11 agosto 1991 Torre Santa Susanna (BR). Salvatora Tieni e Nicola Guerriero cercavano la verità sulla sparizione del figlio, tutti vittime di lupara bianca.

Salvatora Tieni e Nicola Guerriero furono uccisi a Torre Santa Susanna, in provincia di Brindisi, l’11 agosto del 1991. Nel corso di una faida per i possedimenti agricoli nel paese di Torre Santa Susanna, che avviene tra i Bruno e i Persano, il loro figlio Romolo (che era autista di Cosimo Persano) scompare, vittima di lupara bianca. Solo nel 1990, nel Comune di Torre Santa Susanna nove persone erano scomparse, vittime di lupara bianca. Salvatora e Nicola, suo marito, decidono di testimoniare contro i fratelli Bruno, ritenendoli responsabili della morte del figlio. Ma l’11 Agosto 1991 la coppia, che si stava recando a portare il cibo ai cani in un podere di contrada Monticelli, scompare nel nulla con il loro motoape. I due genitori cercavano la verità sulla scomparsa del loro figlio, Romolo, fatto poi ritrovare dopo la loro scomparsa, grazie alle rivelazioni di un pentito, ucciso e sepolto proprio vicino al podere di contrada Monticelli. Con la morte dei genitori, Cosima, loro figlia, diventa testimone di giustizia, entrando nel programma di protezione testimoni ed è grazie a lei se sono stati condannati gli assassini dei suoi genitori.

Fonte: memoriaeimpegno.it 

 

 

Ringraziamo amicidilibera.blogspot.com  per l’aiuto nella ricerca di nomi e storie da non dimenticare

Fonte: brindisicronaca.it
Articolo del 10 agosto 2013
Lupara bianca, 22 anni fa sparivano Nicola Guerriero e sua moglie

TORRE SANTA SUSANNA – 11 Agosto 1991 – 11 Agosto 2013. Sono passati 22 anni dalla scomparsa ad opera della Sacra corona unita di Nicola Guerriero e di sua moglie Salvatora Tieni. La coppia si stava recando a portare il cibo ai cani in un podere di contrada Monticelli. Sparirono nel nulla con il loro motoape. 22 Anni di misteri e indagini purtroppo senza esito. I due genitori cercavano la verità sulla scomparsa di loro figlio, Romolo Guerriero, fatto poi ritrovare dopo la loro scomparsa, grazie alle rivelazioni di un pentito, ucciso e sepolto proprio vicino al podere di contrada “Monticelli”.

Non ci saranno cerimonie per ricordare due innocenti vittime della mafia. Forse qualche messa sarà celebrata in suffragio nel luogo segreto dove vive l’unica figlia rimasta in vita, Cosima Guerriero. Per il resto Nicola e Salvatora, onesti lavoratori, sono caduti nel dimenticatoio. Non avevano fatto nulla di male e cercavano il loro figlio scomparso come fece la Madonna con Gesù.

Un triste capitolo, affermano i gli amici e conoscenti della coppia, che pare nessuno voglia ricordare. Ma non si possono seppellire i ricordi di una tragedia che 22 anni fa commosse l’Italia Intera. L’efferato duplice omicidio di Nicola Guerriero e Salvatora Tieni non può restare impunito.
BrindisiCronaca.it

 

 

 

Fonte:  ricerca.repubblica.it
Articolo del 31 dicembre 1992
ASSASSINI VI PREGO, IN NOME DI UN BAMBINO FATEMI TROVARE I CORPI
di Tea Sisto

BRINDISI – “Io sono un prete, non ho nulla da perdere, non ho né oro né argento. Se potessi offrirmi come ostaggio in cambio della libertà dei coniugi Guerriero, lo farei. Ma sento, so, che quell’ uomo e che quella donna non sono più in vita. Ed io prego coloro che li hanno uccisi di farmi sapere dove si trovano i loro corpi. Io non li denuncerò, non li denuncerò mai”. La chiesa di Cristo Re a Torre Santa Susanna, paese della provincia di Brindisi sconvolto da troppi casi di lupara bianca, era piena di fedeli la notte di Natale. Davanti a loro il parroco, don Tommaso Prisciano, ha recitato la sua omelia. E dall’ altare ha lanciato questo appello agli assassini di Nicola Guerriero e Salvatora Tieni, anziani coniugi, contadini senza pretese tranquilli, scomparsi nel nulla l’ 11 agosto del 1991 solo perché genitori di Romolo del quale si sono perse le tracce dal maggio del 1990. Nicola e Salvatora sono anche genitori di Cosima, una giovane e coraggiosa donna che dopo aver visto la sua famiglia decimata aveva deciso di collaborare con la giustizia ed è testimone chiave, protetta dallo Stato, nel processo in corso contro i presunti componenti della Sacra Corona Unita. Pasqualino Di Gaetano, un ragazzino di dieci anni, figlio di questa giovane donna e nipote delle vittime della lupara bianca, aveva scritto nei giorni scorsi una lettera a Gesù Bambino. Non voleva giocattoli, Pasqualino, ma chiedeva a Gesù e a Babbo Natale un regalo immenso: ritrovare i corpi di suo zio e dei suoi nonni ai quali era tanto affezionato. “Quella lettera è un pugno nello stomaco”, ha detto il parroco dall’ altare. “Quel bambino ci dice che in questo mondo violento è meglio morire che vivere. Lui vive con la sua famiglia in una località segreta perché c’ è pericolo per la sua vita e per quella dei suoi genitori e dei suoi fratelli. Non è una vita che può condurre un bambino. Lui, Pasqualino, non chiede altro di sapere dove si trovano i corpi dei suoi nonni per poter portare un fiore sulla loro tomba. I suoi nonni sono stati uccisi dalla mafia. È l’uomo che diventa vittima dell’uomo sopraffatto dalla cupidigia del potere e del denaro, asservito a questi falsi valori, che vede in essi l’ unica possibilità valida per vivere”. “Non vi denuncerò”, ha ripetuto più volte il sacerdote lanciando questo messaggio e sperando che tra i tanti fedeli che affollavano la chiesa ci fosse qualcuno in grado di portare a destinazione la sua richiesta. “Vi garantisco l’ assoluto anonimato”, e si è autocandidato per fare da intermediario tra ciò che resta di una famiglia decimata ed i killer che oltre un anno fa fecero sparire nel nulla una coppia di contadini che aveva raggiunto un appezzamento di campagna per trascorrere l’abituale giornata di fatica. Con loro scomparve anche il furgoncino con il quale erano partiti per la campagna, non distante dal centro abitato. Pasqualino aveva messo la sua letterina sotto l’albero di Natale sperando in un miracolo, perché era stanco di vedere la mamma piangere e perché non aveva più voglia di dire bugie sui nonni ai due fratellini più piccoli. “A loro abbiamo sempre detto che i nonni si trovano all’estero perché nonna Salvatora deve sottoporsi ad un’operazione e che il telefono del nonno è rotto”, c’era scritto in quella lettera. “Abbracciali forte i nonni quando li incontrerai, Gesù Bambino, e dai loro un bacio grande grande da parte mia. Dì loro che non li dimenticheremo mai”. E don Giuseppe ha deciso di aiutare Gesù Bambino a compiere questo miracolo. Come? Dichiarando pubblicamente, in chiesa, la sua disponibilità ad incontrarsi con coloro che hanno fatto sparire questi nonni affettuosi ed indimenticati. E garantendo loro che non ci sarà alcuna denuncia. Parola di parroco.

 

 

 

Foto da: mafie.blogautore.repubblica.it

Fonte: mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 1 maggio 2019
Brindisi, scomparsa tutta una famiglia

di Tea Sisto
Nicola Guerriero “Dov’è mio figlio. Dove avete ammazzato Romolo, dove avete nascosto il suo corpo. Lo so che siete stati voi. Lo sanno tutti, qua in paese, che siete stati voi. Non ve la caverete. Ridatemi il corpo di mio figlio”.
Nicola Guerriero aveva 55 anni, ma ne dimostrava molti di più. Come sua moglie, la coetanea Salvatora Tieni. Sui loro visi i segni di una vita di fatica nelle campagne, ma anche altre rughe profonde provocate dal dolore per quel loro figlio scomparso nel nulla il 29 maggio del 1990, quel figlio che si era messo a “lavorare” per la persona sbagliata.
Siamo a Torre Santa Susanna, paese della provincia di Brindisi, territorio da sempre tenuto sotto scacco dalla famiglia di Ciro e Andrea Bruno che lì ha “governato” con l’arma di una forza intimidatoria senza limiti e del sostegno elettorale anche a una parte della politica locale. Una “famiglia” affiliata alla Sacra corona unita che, nonostante le inchieste, i processi e gli arresti, “governa” ancora. La Direzione investigativa antimafia, nella sua ultima relazione semestrale, scrive a proposito della mafia brindisina: “Nel limitrofo comune di Torre Santa Susanna permane il clan Bruno”.
Nicola Guerriero non perdeva occasione, quando incontrava i Bruno e i loro luogotenenti nella piazza e nei bar del paese. Urlava, inveiva senza paura. Rivoleva suo figlio, voleva sapere dove era stato nascosto il suo corpo. Gli uomini del clan fingevano di ignorarlo, dicevano in giro che era un pazzo. Ma in verità covavano agitazione per quelle accuse pubbliche, per le indagini private che quei genitori disperati continuavano a condurre cercando di avere informazioni, di sfondare il muro di omertà che aveva ridotto al silenzio un intero paese dove, in quel 1990, erano scomparse nove persone. E, soprattutto, marito e moglie andavano spesso in Procura, a Brindisi. Ha aspettato poco più di un anno la mafia di Torre. Poi ha fatto sparire anche loro, Nicola Guerriero e la moglie Salvatora Tieni.
Era l’11 agosto del 1991. Siamo nel pieno dei festeggiamenti per la patrona del paese, Santa Susanna. I coniugi decidono di dare qualche ora di tregua al loro dolore. Si mettono i vestiti buoni ed escono dalla loro casa di via Duca d’Aosta. Salgono sulla motoape. Non vengono visti mai più, né in piazza, né a casa, né altrove. Svaniti. E se il corpo di Romolo, ormai ridotto a poche ossa, viene trovato sette anni dopo la scomparsa in contrada Monticelli, dei suoi genitori ancora oggi non si sa niente. Almeno tre volte in questi quasi trent’anni gli investigatori hanno ritenuto e sperato di aver finalmente scoperto i loro resti in fondo a pozzi abbandonati, in terreni mai frequentati. Ma gli esami su quelle ossa hanno dato esiti negativi: erano tutti altre vittime della Scu. Niente corpi, nessun colpevole, nessun processo, nessuna condanna. Era questo che si voleva. Caso chiuso, archiviato, a meno che non emergano altri elementi, a meno che qualcuno del clan di Torre si decida a collaborare, a raccontare. A meno che non si apra uno spiraglio in quell’omertà diffusa a Torre. Cose che sino ad oggi non sono accadute.
Perché era stato ammazzato Romolo Guerriero? Per uno dei soliti eventi che accadono lì dove comanda la mafia. Romolo si era unito al boss Cosimo Persano, imprenditore vitivinicolo. Persano si stava rendendo troppo autonomo. Fu accusato di aver compiuto una rapina ai danni di una bisca del fondatore della Scu, Pino Rogoli. Con i Bruno era in corso una faida per i possedimenti agricoli. Il 9 marzo 1990 Persano era in auto, Romolo era il suo autista. Spararono e uccisero il boss mentre Romolo riuscì a sfuggire all’agguato. Ma, in meno di due mesi, lo scovarono. Aveva visto in faccia gli assassini del suo capo. Fu un’esecuzione in pieno stile mafioso. La Scu torrese non voleva lasciare tracce: l’obiettivo era eliminare tutti coloro che indagavano anche privatamente e collaboravano con la Procura. Il 7 febbraio del 1991, qualche mese prima dei coniugi Guerriero, scomparve anche la compagna di Cosimo Persano, Silvana Foglietta, madre dei suoi quattro figli. Era in auto a Ostuni. Fu accerchiata da un commando. Si chiuse dentro terrorizzata, bloccando le portiere. I killer spaccarono i parabrezza con un grosso masso e la portarono via. Aveva 37 anni. Neanche il suo corpo è mai stato ritrovato. Cinque vittime, tre delle quali del tutto innocenti, per uno sgarro. Così funzionava la mafia brindisina. E a Torre i Bruno hanno continuato a comandare.
I Guerriero hanno un’altra figlia, Mina, unica sopravvissuta alla strage e diventata collaboratrice di giustizia, testimone fondamentale in un processo che ha fatto condannare il clan per associazione a delinquere di stampo mafioso e per l’omicidio del fratello Romolo. Per molti anni inserita in un programma di protezione e lontana dal suo paese, aveva tentato di vendere le proprietà di famiglia a Torre. Non le è stato mai concesso. Appena affissi i cartelli “in vendita” davanti all’abitazione dei genitori, comparvero sui muri le scritte “Chi compra muore” e “Lascia o muori”.
Un potenziale compratore che aveva mostrato interesse alla casa fu picchiato a sangue da aggressori a volto scoperto e tra i passanti. Disse di non averli riconosciuti e rinunciò all’acquisto. Un altro, che aveva già versato la caparra di 10mila euro ad un notaio, preferì perdere i soldi pur di non rischiare la vita. I boss non danno tregua nonostante i processi, le condanne, gli arresti. I boss continuano a decidere su tutto a Torre Santa Susanna. Il patrimonio dei Bruno di contrada Canali? E’ enorme ed è stato ovviamente confiscato. E’ la più consistente confisca alla mafia in Puglia. L’Amministrazione comunale non pare interessata a utilizzarlo per fini sociali. Con la nuova legge sicurezza potrebbe essere venduto a privati. Dunque, cerchiamo di indovinare nelle mani di chi, in un modo o nell’altro, ritornerà.