11 settembre 1988 Siderno (RC). Domenico (Mimmo) Carabetta, 22 anni, fu ucciso per errore, aveva la stessa auto del destinatario dell’agguato.

Foto da  amicidilibera.blogspot.com

Domenico (Mimmo) Carabetta è un giovane chef di Siderno. L’ 11 settembre del 1988, come ogni giorno, si reca a bordo della sua 112 lx verde bottiglia al lido-ristorante “Il pentagono”, di Sant’Ilario dello Ionio, dove presta servizio come cuoco. È una giornata tranquilla, di fine estate, pochi clienti e poco lavoro. È circa mezzanotte quando la giornata di Domenico si conclude senza troppa fatica e sale a bordo della sua auto per fare ritorno a casa. Ma quella sera, quell’auto, si rivela la causa della sua morte: una scarica di colpi lo uccide senza scampo perché i killer scambiano la sua automobile per quella dei gemelli Bruno e Ilario Tallariti, che devono essere giustiziati per aver commesso l’omicidio di Antonio Catanzariti, titolare dell’Euro Hotel, ucciso l’11 luglio di quell’anno. (Fonte:  impronteombre.it )

 

 

Si ringrazia  amicidilibera.blogspot.com per l’aiuto nella ricerca di nomi e storie da non dimenticare

Fonte: larivieraonline.com
Articolo del 9 giugno 2008
Mimmo Carabetta. ucciso per errore
di Natalina Misogano

Nel 1988 due cose erano importanti per molti ventenni della Locride: il mestiere e la macchina. Domenico Carabetta, giovane sidernese, il mestiere ce l’aveva: si era diplomato chef qualche anno prima all’Istituto Alberghiero di Locri. Possedeva anche una macchina. Ma la sua 112 lx verde bottiglia, acquistata poco tempo prima dal padre, era la macchina sbagliata. Questo almeno secondo la versione di due collaboratori di giustizia: Nino Gullì ucciso lo scorso 4 maggio a Reggio Calabria e Federico Lorenzo. Andiamo per ordine. L’11 settembre 1988 Mimmo (così lo chiamavano i genitori, il fratello e gli amici) si era recato come ogni pomeriggio a S. Ilario, sul lungomare. Uno sguardo al mare dalla terrazza del lido-ristorante “Il Pentagono” e via in cucina per i preparativi di una delle ultime cene di quell’estate. Della sua ultima estate. Poche comande sulla mensola. Quella sera i fornelli furono spenti qualche ora prima. I fari psichedelici già in deposito, lo strobo fuori uso da ferragosto, la musica a basso volume e nessuno in pista. Fuori dal lido la “striscia” di Sant’Ilario somigliava a un deserto. Una sigaretta e un ci vediamo domani a chi era rimasto a chiacchierare. Mimmo si avviò verso l’uscita. A pochi metri dal locale la macchina e pochi istanti dopo, prima di aprire lo sportello, la violenza e la crudeltà si materializzava attraverso tantissimi colpi d’arma da fuoco contro un giovane appassionato di cucina e felice per la sua gioventù piena di lavoro e passione. Piena di sogni raggiungibili. Era mezzanotte quando nel piccolo centro della Locride, dove negli anni a causa di una faida senza fine si sono contati tanti morti, veniva assassinato per un errore enorme un ragazzo normale La missione dei killer doveva portare all’uccisione di due fratelli gemelli Bruno e Ilario Tallariti, entrambi di Ardore e proprietari di una 112 simile a quella di Domenico Carabetta. Il movente dell’azione criminale? Vendicare (questa la versione dei due collaboratori) Antonio Catanzariti, titolare dell’Euro Hotel, ucciso l’11 luglio di quell’anno. In sella a uno moto i due sicari portarono a termine il loro “lavoro”. Innocente, innocente, innocente. Mimmo Carabetta era innocente. Non c’è più da vent’anni e la sua piccola famiglia in contrada Trigoni a Siderno continua a piangerlo ogni giorno. Da allora i suoi cari non trovano più pace e nemmeno sorrisi. Da allora è finita. Il padre di Mimmo Carabetta è morto la scorsa estate, ma è anche lui è stato ammazzato quel maledetto 11 settembre di vent’anni fa insieme al figlio. A penare ancora la madre. Da allora evita di passare da S. Ilario. Non riesce a respirare l’area di quel paese che gli ha rubato la sua creatura. Il fratello Antonio grida in silenzio. Un silenzio che copre una ferita enorme, profonda quanto 20 anni di giochi e dialoghi mancati con il suo unico “fratellino”. L’esistenza di questa povera famiglia è stata segnata dall’odio inspiegabile di una vicenda che ha cancellato l’estate, la musica e anche gli odori. Un territorio, la Locride dove morire ammazzati è sempre più normale. Ma il dopo quell’11 settembre spiega ancora meglio la tragedia che vive la gente della Locride. La marcata arretratezza di questi luoghi si manifesta con pochissima reazione. La gente invece di condannare e reagire a questi delitti efferati tenta di trovare il motivo per poi provare a difendere l’indifendibile. E in giro si schiamazza il solito bisbiglio: “Ci sono sicuramente donne di mezzo, sarà stato un delitto passionale; il tradimento, l’onore. Se l’hanno ucciso qualcosa avrà fatto. Forse avrà offeso qualcuno o fors’anche sputato nel piatto di qualche mammasantissima o chissà cos’altro ha potuto combinare. Nessuno uccide tanto per… E intanto sola in un angolo, indifesa da vent’anni una famiglia sidernese piange disperata. Nessun sostegno, pochi affetti hanno segnato ancora di più il dramma del Padre, della madre e del Fratello di Mimmo Carabetta ucciso a Sant’Ilario l’11 settembre del 1988. Il caso è stato riaperto.

 

 

 

 

Fonte:gazzettadelsud.it
Articolo del 23 gennaio 2013
Omicidio Carabetta – Pg chiede l’ergastolo per due imputati
Secondo il procuratore generale Scuderi, Monteleone e Tripodo avrebbero fatto parte del gruppo che ha ucciso per un errore di persona. Quattordici anni, invece, per il collaboratore Federico. In primo grado l’Assise aveva decretato l’assoluzione.
Vincenzo Monteleone e Antonino Tripodo, secondo il Pg Francesco Scuderi, vanno condannati all’ergastolo per aver avuto un ruolo attivo nell’agguato che ha portato all’omicidio di Domenico Carabetta la notte tra l’11 e il 12 settembre del 1988. Il dott. Scuderi, al termine della requisitoria pronunciata dinanzi ai giudici della Corte d’assise d’appello di Reggio (presidente Bruno Finocchiaro, giudice Maria Luisa Crucitti), ha chiesto la riforma della sentenza di primo grado, emessa dalla Corte d’assise di Locri nel giugno del 2011, che ha mandato assolti i due imputati, detenuti per altra causa. Il Pg ha, inoltre, chiesto la conferma della sentenza di primo grado nei confronti del collaboratore di giustizia Lorenzo Federico, condannato dai giudici di Locri a 14 anni per aver partecipato all’azione di fuoco in cui è rimasto ucciso per un errore di persona il 22enne Carabetta, originario di Siderno, che stava salendo sulla propria auto dopo aver concluso le proprie mansioni in un ristorante sul lungomare di Sant’Ilario dello Jonio. Nel corso della discussione il Pg Scuderi ha sottolineato come la prova della penale responsabilità a carico degli imputati Monteleone, ritenuto il presunto esecutore materiale, e Tripodo, considerato il “basista”, è da collegare con il racconto del defunto collaboratore di giustizia Antonino Gullì, ucciso il 4 maggio del 2008 ad appena 40 anni nel rione Modena di Reggio, dove era tornato a vivere dopo la parentesi della collaborazione con la giustizia. Le dichiarazioni di Gullì, secondo la pubblica accusa, sarebbero una “prova” diretta di quanto è avvenuto in quei giorni di settembre di 24 anni fa, e andrebbero a riscontrare le affermazioni dell’imputato Lorenzo Federico contro gli altri due coimputati Monteleone e Tripodo. Per i giudici di Locri, però, nel processo sono emerse prove schiaccianti solo a carico del collaboratore Federico, nei confronti del quale l’Assise ha reputato di ritrovare “tutti gli elementi per ritenere che egli abbia concorso nell’esecuzione del delitto, apportando il proprio contributo materiale e causale nella verificazione dell’evento “, aggravato dalla premeditazione.

 

 

 

Fonte: reggio.gazzettadelsud.it
Articolo del 27 febbraio 2013
Sentenza ribaltata in Appello: 2 ergastoli

Condannati all’ergastolo Vincenzo Monteleone e Antonino Tripodo, accusati di essere rispettivamente il presunto esecutore materiale e, il secondo, il basista del commando che la notte tra l’11 e il 12 settembre del 1988 ha ucciso Domenico Carabetta. La Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria (presidente Bruno Finocchiaro, a latere Maria Luisa Crucitti), accogliendo la richiesta del Pg Francesco Scuderi, ha confermato la condanna a 14 anni disposta nei confronti del collaboratore di giustizia Lorenzo Federico, che ha partecipato all’azione di fuoco, ma ha completamente ribaltato la sentenza di primo grado del processo a carico degli altri due imputati, già mandati assolti dall’Assise di Locri, sui quali da ieri pende una condanna alla massima pena. Il dottor Scuderi, al termine della requisitoria pronunciata dinnanzi ai giudici della Corte d’assise d’appello reggina, aveva concluso per la riforma del pronunciamento dei giudici di primo grado, emesso dalla Corte d’assise di Locri nel giugno del 2011, chiedendo il riconoscimento della responsabilità penale a carico di Monteleone e Tripodo, che insieme al collaboratore Federico hanno avuto un ruolo attivo nell’omicidio dell’allora 22enne Carabetta, originario di Siderno, ucciso per un errore di persona mentre stava salendo sulla propria autovettura dopo aver concluso le proprie mansioni in un ristorante posto sul lungomare di Sant’Ilario dello Jonio.

Il sostituto procuratore generale, del resto, aveva sottolineato che la prova della responsabilità penale a carico degli imputati, in particolare Monteleone e Tripodo, considerato che il collaboratore Federico aveva fornito dichiarazioni auto ed etero accusatorie, era comunque da collegare con il narrato fornito dal defunto, già collaboratore di giustiziam Antonino Gullì, ucciso il 4 maggio del 2008 ad appena 40 anni nel rione Modena di Reggio Calabria, dove era tornato a vivere dopo la parentesi della collaborazione con la giustizia. Le dichiarazioni del Gullì, secondo la pubblica accusa, sarebbero quindi una “prova diretta” di quanto è avvenuto in quei giorni di settembre di 24 anni fa, ed andrebbero a riscontrare le affermazioni rese dall’imputato Federico contro gli altri due coimputati Monteleone e Tripodo. Gullì, tra l’altro, aveva dichiarato nel corso dell’incidente probatorio di aver raggiunto la Locride a bordo della propria autovettura per riprendere Monteleone e Federico, che lo avevano interessato con una telefonata avvenuta dopo l’esecuzione del delitto, e li ha riportati a Reggio Calabria a bordo di una Fiat 500.

Dalla ricostruzione dell’accusa, Domenico Carabetta è stato ucciso solo perché aveva in uso un’autovettura, un’Autobianchi A112, di colore simile a quella utilizzata da un’altra persona, che sarebbe stato il vero obiettivo del commando, intervenuto – secondo il racconto di Federico – per vendicare l’omicidio di un ristoratore della Locride, avvenuto qualche mese prima. A quasi 25 anni di distanza i familiari della giovane vittima, rappresentati dall’avv. Giuseppe Sgambellone, hanno finalmente ottenuto il riconoscimento quantomeno di una prima verità giudiziaria sul tragico destino del 22enne, apprezzato lavoratore, ucciso per errore. Nel corso del processo d’appello il nutrito collegio di difesa (avvocati Eugenio Minniti e Sandro Furfaro per l’imputato Tripodo, e gli avvocati Basilio Pitasi e Marilena Barbera, questa in sostituzione dell’avv. Francesco Calabrese, nell’interesse di Monteleone; mentre il collaboratore Federico è rappresentato dall’avv. Maddalena Taverna), ha sostenuto la bontà della sentenza di primo grado. Il collegio di difesa, all’esito della riformata sentenza in Appello, ha preannunciato di attendere il deposito delle motivazioni per promuovere ricorso in Cassazione.

 

 

 

 

Fonte:  larivieraonline.com
Articolo del 21 marzo 2014
Omicidio Carabetta: dopo 25 anni condannati i colpevoli

Venerdì, 21 marzo 2014
Dopo 25 anni di attese gli assassini di Domenico Carabetta hanno finalmente un volto. Antonino Venanzio Tripodo e Vincenzo Monteleone sono stati condannati, ieri, dalla I sezione penale della Cassazione alla pena dell’ergastolo.
Monteleone e Tripodo sono accusati di essere stati rispettivamente l’esecutore e il basista del gruppo che l’11 settembre 1988 sparò uccidendo il giovane 22enne originario di Siderno. Domenico Carabetta fu ucciso solo perché alla guida di un’automobile A 112 di colore simile a quella del destinatario dell’azione di fuoco.