12 Febbraio 1988 Cittanova (RC) Ucciso da un coetaneo Francesco Megna, 14 anni.

12 febbraio 1988 Cittanova (RC) – Francesco Megna di 14 anni.
“Francesco non ha nulla a che fare con la ‘ndrangheta, la famiglia ha un bar in paese, frequenta il primo anno dell’istituto per geometri. Durante una festa di carnevale litiga con un coetaneo forse per uno scherzo di troppo. Si danno appuntamento “fuori” per risolvere la questione “magari con una sana scazzottata tra adolescenti”. Ma l’altro non la pensa così e si presenta all’appuntamento armato di pistola e lo colpisce al torace. “La cultura della faida è difficile da cancellare”.
Accade un fatto straordinario: sono i ragazzi che hanno assistito al litigio a parlare, a “tradire” il loro coetaneo. Segno che qualcosa è cambiato in città dagli anni bui della faida senza quartiere. La morte di Francesco Megna è talmente sconvolgente da non ammettere il silenzio.” (Tratto da “Dimenticati” di Danilo Chirico/Alessio Magro)

 

 

 

Foto dal libro “Dimenticati” di Danilo Chirico/Alessio Magro

Tratto dal  capitolo XIX di “Dimenticati” di Danilo Chirico/Alessio Magro

“Troppo piccoli per morire”

Bambini innocenti o ragazzini già ammaestrati, figli d’onore o testimoni scomodi, semplici passanti o strumenti di vendetta trasversale. Sono le morti bianche della ‘ndrangheta. Troppo giovani per morire, eppure massacrati senza pietà. Che le regole dell’onorata società vietino di infierire sui bambini e sulle donne è una leggenda smentita dal sangue, da decine di piccoli cadaveri, caduti di faida già a partire dal Dopoguerra, in una lotta senza quartiere e senza umanità. Sono le pagine nere della storia delle cosche, quelle che nessuno ricorda, le storie feroci di killer che non si fermano neanche davanti a un bambino con le mani alzate in segno di resa. Si uccide nelle culla per annientare il casato nemico: strage preventiva e “pulizia etnica”. La legge della ‘ndrangheta è la legge del taglione, l’onore degli uomini è il dominio sulle donne, la vendetta e la giustizia sono sinonimi nella cultura di una società antica che, entrata nella modernità, ha generato la criminalità più potente del continente.

 Spesso sono i figli a pagare le colpe dei genitori ‘ndranghetisti, vittime nell’età dell’innocenza che non hanno nemmeno avuto la possibilità di scegliere una vita diversa, onesta.

La faida – quella di vendetta, quella d’onore e la più prosaica guerra tra cosche – non si è fermata davanti a niente e ha lasciato sul campo centinaia di vittime collaterali. E’ difficile distinguere il torto dalla ragione, la giustizia dalla vendetta, la spirale della violenza mescola tutto e ricade su tutti. Nessuno può chiamarsi fuori, quando c’è la faida. E’ impossibile raccontare di quelle vite spezzate senza ricostruire la ragnatela infinita delle parentele, degli interessi, delle gelosie, dell’odio, delle regole non scritte ma accettate da tutti. E’ impossibile, e forse è anche inutile. Ma il sangue dei bambini impone di ricordare.

Più di 50 storie in questo capitolo, una più atroce dell’altra.

Oggi ricordiamo Francesco Megna di 14 anni.

Francesco non ha nulla a che fare con la ‘ndrangheta, la famiglia ha un bar in paese, frequenta il primo anno dell’istituto per geometri. Durante una festa di carnevale litiga con un coetaneo forse per uno scherzo di troppo. Si danno appuntamento “fuori” per risolvere la questione “magari con una sana scazzottata tra adolescenti”. Ma l’altro non la pensa così e si presenta all’appuntamento armato di pistola e lo colpisce al torace. “La cultura della faida è difficile da cancellare”.

Accade un fatto straordinario: sono i ragazzi che hanno assistito al litigio a parlare, a “tradire” il loro coetaneo. Segno che qualcosa è cambiato in città dagli anni bui della faida senza quartiere. La morte di Francesco è talmente sconvolgente da non ammettere il silenzio.

 

 

 

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