12 Settembre 1997 Alcamo (TP) Gaspare Stellino, morto suicida perché solo contro il racket delle estorsioni.

Foto daLa Stampa del 14 Settembre 1997

Gaspare Stellino, 53 anni, titolare di una torrefazione nel centro di Alcamo (TP) si è suicidato il 12 settembre del 1997, per paura di dover confermare agli investigatori le accuse contro i boss che da anni lo taglieggiavano, che continuano a imporre il pizzo a decine e decine di commercianti, imprenditori, artigiani e chiunque svolga un’attività, compresi gli ambulanti, sperando così di “salvare” la sua famiglia dalle loro ritorsioni.

 

 

Articolo del 31 Luglio 2008 da senzamemoria.wordpress.com
Suicidio da Pizzo, da soli si muore
IL SUICIDIO DI GASPARE STELLINO, COMMERCIANTE ALCAMESE

È il 12 settembre del 1997. Ci troviamo ad Alcamo e fa ancora caldo. Gaspare Stellino di 57 anni, titolare di una torrefazione in città, ha lo sguardo impaurito e la faccia di uno che è per troppo tempo rimasto solo.

Quei giorni sono troppo caldi, e non solo perché è ancora piena estate, ma perché il piccolo commerciante deve essere interrogato a breve dalla DIA di Trapani. Nel 1996 era infatti scattata l’operazione Cadice che aveva portato all’arresto di circa 20 persone coinvolte nell’imposizione del pizzo ai commercianti. Gaspare Stellino doveva confermare le accuse e le prove raccolte con intercettazioni ambientali contro i boss di Alcamo del clan Melodia.

Stellino era dunque una delle tante vittime di quel racket delle estorsioni che è sempre stato un’ ostacolo allo sviluppo e alla crescita economica della nostra terra. Un business da capogiro che ad Alcamo ha creato sempre scintille (dato il giro d’affari) come ha raccontato Benedetto Filippi, uno dei primi pentiti di giustizia della provincia di Trapani.

Da solo contro la mafia alcamese, non è proprio roba da poco… Perché mettersi contro i potenti boss di Alcamo quando tutti gli altri commercianti pagano e stanno muti? Nessuno aveva intenzione di denunciare la mafia e giustamente Gaspare Stellino ha paura. È lasciato solo dai colleghi commercianti, dalla politica e dalle associazioni di categoria e soprattutto sa bene che giocare a fare gli eroi non porta benefici a nessuno.

Quel tragico venerdì mattina esce da casa ma, anziché andare a Trapani negli uffici della Dia, prende un’ altra direzione. Si reca nella sua casa di campagna in contrada “Bosco Falconara”, lega una corda a una trave del tetto e dopo pochi minuti si impicca.

Chissà cosa pensava Stellino? Voleva forse liberare la sua famiglia rinunciando alla vita? Chissà…

Questa può essere la storia di un suicidio da racket, oppure la storia di un commerciante come tanti altri, o meglio la storia di uno che muore come se si trattasse di morte naturale data la quasi totale indifferenza degli alcamesi. Però questa è anche la storia di una ribellione che non è mia nata, la storia di un’apatia che fa morire troppo spesso soltanto di solitudine in una lotta in cui i cattivi vincono quasi sempre.

Il gesto di Gaspare Stellino provocò in città molta indignazione ma nessuna rivolta da parte dei commercianti alcamesi che non si dichiararono nemmeno parte civile al processo. Ai funerali parteciparono soltanto parenti e amici ma nessun commerciante. Quasi nessuna saracinesca chiusa al passaggio del corteo funebre, nessuna protesta, e per finire anche il sindaco di Alcamo Massimo Ferrara che diserta la diretta della Rai sulla vicenda perché di sabato, dice ai giornalisti, si deve dedicare solo ai suoi pazienti… Per fortuna il sindaco si costituirà successivamente parte civile al processo.

Proprio durante i tre anni del processo tenutosi a Trapani, che si è concluso nell’ottobre 2002 con una dura sentenza di condanna per i mafiosi estortori, i taglieggiati chiamati a deporre hanno, ovviamente, sempre negato tutto. Complessivamente a 8 dei 10 imputati (due gli assolti) sono stati inflitti 76 anni e 11 mesi. La condanna più severa al capomafia di Alcamo, Nino Melodia: 25 anni e 4 mesi. Tommaso Gallo dovrà scontare 17 anni e 6 mesi; Ignazio Melodia 11 anni; Vito Coraci 9 anni; Salvatore Giacalone 5 anni e 10 mesi; Luciano Melodia 5 anni e 6 mesi; Giuseppe Calabrò 2 anni; Antonino Bosco 9 mesi. Assolti Rocco Coppola e Vincenzo Palermo.

Dal processo è emerso un altro particolare agghiacciante: la mafia alcamese era tanto potente che aveva continuato nel frattempo a ordinare le estorsioni anche dal carcere.

Pochi commercianti di Alcamo, ovviamente senza esporsi, dissero allora ai giornalisti che contro il racket sono mancati l’impegno di gruppo e la solidarietà delle associazioni di categoria. Durissimo è stato invece il commento di Tano Grasso, coordinatore nazionale di 45 associazioni antiracket: “In sette anni non ho mai ricevuto una richiesta di aiuto ne’ una segnalazione dal Trapanese. Quella del commerciante di Alcamo mi sembra una storia esemplare di solitudine… Il suicidio e’ l’atto estremo di chi si sente disperatamente impotente.”

 

 

Articolo di La Repubblica del 14 settembre 1997
‘PAPA’, RESTO QUI A COMBATTERE’
di Francesco Viviano

ALCAMO – “Mio padre è stato l’ ennesima vittima del racket. Era molto preoccupato di quello che stava succedendo, ma si chiudeva in se stesso e non trovava il coraggio di parlare. Il pensiero di dover testimoniare contro i presunti boss del racket ad Alcamo lo atterriva, lo rendeva ansioso e teso, anche se cercava di non far trasparire nulla per non fare preoccupare la famiglia”. Con le lacrime agli occhi Isidoro Stellino, 19 anni, parla così della morte del padre, suicidatosi venerdì mattina nelle campagne di Alcamo per paura di dover confermare agli investigatori le accuse contro i boss che da anni lo taglieggiavano e che continuano a imporre il pizzo a decine e decine di commercianti, imprenditori, artigiani e chiunque svolga un’ attività, compresi gli ambulanti. Gaspare Stellino, 53 anni, titolare di una torrefazione nel centro di Alcamo, un paese a cavallo tra le province di Palermo e Trapani, non ha resistito e si è suicidato, sperando così di “salvare” la sua famiglia. E il figlio Isidoro, a soli 19 anni, si è trovato sulle spalle, improvvisamente e tragicamente, un pesante fardello, quello di “guidare” la sua famiglia (la madre e una sorella di 14 anni) e la torrefazione del padre. “Io non mollerò, continuerò l’ attività di mio padre, non voglio abbandonare, debbo farcela a ogni costo”, dice singhiozzando all’ uscita della cerimonia funebre celebrata nella chiesa del Sacro Cuore dove il sacerdote, Mario Viola, ha parlato a poche decine di persone, familiari e pochi amici della vittima. Nessuna corona di fiori delle cosiddette istituzioni, delle cosiddette associazioni che a vario titolo rappresentano i commercianti, gli imprenditori, gli artigiani. E in pochi hanno abbassato le saracinesche al passaggio del corteo funebre. Era come se Gaspare Stellino fosse morto a causa di un infarto e non invece perché non aveva più la forza di resistere alla paura e alle imposizioni della mafia che condiziona la vita del paese. Un paese dove boss e vittime convivono da secoli. Dove la mafia l’ ha sempre fatta da padrona, imponendo la sua legge e le sue regole, assoggettando centinaia di imprenditori e commercianti.

Alcamo negli ultimi tre anni è stata teatro di una cruenta guerra di mafia dove i morti, tra le fila di Cosa nostra e in quelle degli altri gruppi criminali, si sono contati a decine. Una guerra scoppiata proprio per il controllo del territorio, per gestire anche il racket delle estorsioni. Un business che era stato già dettagliatamente descritto da uno dei primi pentiti trapanesi, Benedetto Filippi, che aveva raccontato i particolari e fatto i nomi di chi imponeva il pizzo e delle vittime. Allora, agli inizi del ’90, scattarono le retate, ma le cosche si ricomposero subito, si divisero di nuovo il paese e continuarono ancora a imporre la loro legge. E che tutto continuava come prima è confermato dall’ ultima indagine sul racket delle estorsioni ad Alcamo, dall’ operazione Cadice, scattata nel ’96 e che ha consentito di individuare i nuovi vertici mafiosi e le loro vittime. Tra queste ultime, Gaspare Stellino che proprio l’ altro ieri era stato convocato dalla Dia di Trapani per confermare le accuse e le prove raccolte con intercettazioni ambientali, contro i boss di Alcamo che tra qualche mese saranno processati. Ma Stellino non ha resistito e venerdì mattina, quando è uscito da casa, anziché andare a Trapani negli uffici della Dia, ha preso un’ altra direzione, è andato nella sua casa di campagna, in contrada “Bosco Falconara”, ha legato una corda a una trave del tetto e si è impiccato. E come sempre, appena c’ è il morto, scoppiano le polemiche, si scopre che le associazioni di categoria non si sono costituite parte civile nel processo contro i boss, che le vittime vengono lasciate al loro destino e che soltanto il Comune, guidato dal sindaco progressista Massimo Ferrara, ha avuto la sensibilità e il coraggio di costituirsi parte civile. “La mancata costituzione di parte civile al processo delle associazioni sindacali e di categoria – dice il sindaco del paese – ha contribuito a isolare Stellino. Non è stato un buon segnale ed è necessaria una svolta culturale per mettersi insieme e superare la paura”.

 

 

 

Articolo dal Corriere della sera del 14 Settembre 1997
Suicidio da racket: al funerale solo i parenti del commerciante
di Dino Martirano
Convocato venerdì dalla Dia il negoziante ha scelto il gesto estremo
Ad Alcamo silenzio intorno all’ ultima vittima del pizzo

ALCAMO (Trapani) – Al funerale del commerciante taglieggiato dalla mafia ci sono andati solo amici e parenti. Gaspare Stellino, 53 anni, titolare della torrefazione di corso 6 Aprile, si e’ ucciso l’altra mattina nella sua casa di campagna: e proprio venerdi’, l’imprenditore sarebbe dovuto andare negli uffici della Dia di Trapani dove lo avevano convocato perche’ il suo nome era nell’elenco dei 50 negozianti sottoposti alla legge del pizzo imposta dalle cosche. Stellino, che come tutti gli altri colleghi non si era voluto costituire parte civile al processo contro il clan dei Melodia, si e’ tolto la vita perche’ si sentiva solo, schiacciato tra le pressioni di un ambiente indifferente al suo dramma e la tentazione di andare fino in fondo contro i suoi aguzzini. Stellino ha scelto di sottrarsi a questa morsa togliendosi la vita. E ai suoi funerali, celebrati ieri mattina da padre Mariano Viola nella chiesa del Sacro Cuore, gli e’ stato vicino fino all’ultimo solo chi lo conosceva bene. Duecento persone in tutto. E fatta eccezione per l’assessore alla Cultura, Gino Paglino, e per il segretario cittadino del Pds, Vincenzo Amodeo, politici e rappresentanti degli organismi di categoria non si sono fatti vedere. Non c’erano le corone di fiori davanti all’altare e anche di fronte alla saracinesca abbassata della torrefazione di corso 6 Aprile nessuno ha pensato di lasciare un messaggio di solidarieta’. Per Alcamo quella del povero Stellino e’ da considerarsi una morte naturale. Qui la vita continua senza che la gente si faccia troppe domande in pubblico su quello che e’ accaduto. Il neurochirurgo Massimo Ferrara, il sindaco progressista, si e’ fatto intervistare ma poi non ha trovato il tempo per partecipare alla diretta tv organizzata dal tg regionale Rai: “Il sabato lo dedico ai miei pazienti e ho molti impegni”. Il solo segnale di speranza lo hanno dato i familiari di Stellino: “Mio padre era terrorizzato, sconvolto. Era caduto in una forte depressione. Ma io continuero’ la sua attivita’. Non voglio abbandonare, ce la devo fare”, dice Isidoro, 19 anni, l’unico figlio del commerciante. Che cerca di vincere il dolore davanti alle telecamere: “Continuero’, ma spero che non capitino altri casi come questo. Mio padre si chiudeva in se stesso e non trovava il coraggio di confidarsi”. Il perche’ di tanto terrore lo spiega Mariano Guinci, un cognato del commercinate scomparso: “Gaspare era abbattuto e la parola mafia gli faceva paura solo a sentirla pronunciare. E forse aveva ragione lui: in questa situazione e’ difficile avere speranza”. Va avanti il cognato di Stellino: “Non mi aspettavo questo isolamento. Finora, a parte parenti e amici, abbiamo ricevuto la visita di tanti fotografi e giornalisti. Mi auguro che l’interessamento massiccio della stampa serva a qualcosa”. Poi rivolto a Isidoro: “Non ti preoccupare, non rimarrai solo”. La tragica storia del commerciante suicida fa riflettere solo ora, con i parenti e gli amici disperati. Da un anno Stellino sapeva che i carabinieri di Alcamo avevano trovato il suo nome nel libro mastro delle estorsioni e da quel momento lui era entrato in un tunnel poi rivelatosi senza ritorno. Solo ora gli altri commercianti di Alcamo, ma senza esporsi, dicono che contro il racket sono mancati l’impegno di gruppo e la solidarieta’ delle associazioni di categoria. Durissimo il commento di Tano Grasso, coordinatore nazionale di 45 associazioni antiracket: “In sette anni non ho mai ricevuto una richiesta di aiuto ne’ una segnalazione dal Trapanese. Quella del commerciante di Alcamo mi sembra una storia esemplare di solitudine… Il suicidio e’ l’atto estremo di chi si sente disperatamente impotente: lo stesso e’ accaduto a Niscemi con Agata Azzolina. E se Stellino avesse discusso con altri dei suoi problemi, tutto questo non sarebbe successo”. Ad Alcamo il pizzo oscilla tra i 15 e i 20 milioni all’anno piu’ le esorbitanti richieste “una tantum”. Le indagini della Dia, rafforzate dopo le recenti dichiarazioni del pentito Giuseppe Ferro, hanno consentito di scoprire i vertici del “mandamento” che per anni ha imposto la legge del pizzo. Un giro d’affari impressionante che nella guerra di mafia esplosa nel ’91, e durata 18 mesi, provoco’ 50 omicidi.

 

 

Articolo da La Stampa del 31 Marzo 2001
L’ANALISI DEL COMMISSARIO CONTRO LE ESTORSIONI «Impossibile l’antiracket ad Alcamo»
Intervista di Guido Ruotolo
Grasso: il dramma cominciò con il suicidio Stellino

ROMA. Non vuole dare cifre, fornire fatturati, numero di dipendenti di quella tentacolare ed estesa impresa del «Pizzo spa», che sembra essere sempre forte. Di una cosa, però, è¨ certo Tano Grasso, commissario antiracket: «Anche quando il soggetto che riscuote il pizzo non è un mafioso, l’attività  estorsiva è comunque riconducibile a una organizzazione mafiosa perché il pizzo è lo strumento per eccellenza per esercitare il controllo del territorio. Oggi il pizzo è diventato uno strumento al servizio dell’impresa mafiosa, non più solo della mafia».
Per cercare di far capire la dimensione del fenomeno, il commissario Grasso racconta proprio la «sua» Alcamo: «Era il settembre del 1997 e mi precipitai ad Alcamo perché si era suicidato un commerciante, Gaspare Stellino, che aveva una torrefazione di caffé nel corso principale. Qualche giorno dopo la sua morte, si tenne un consiglio comunale aperto ai rappresentanti delle istituzioni. Ci andai anch’io, che allora ero il coordinatore nazionale delle associazioni antiracket per incontrare intanto i familiari».

Perché Stellino si tolse la vita?
«La Dia attraverso le indagini, e credo grazie a collaboratori di giustizia, riuscì ad elaborare una mappa dettagliata degli imprenditori e dei commercianti che pagavano il pizzo ad Alcamo. Gli investigatori convocarono così una cinquantina di commercianti, tra questi anche Gaspare Stellino».

Commissario Grasso, anche il nonno della piccola Caterina faceva parte di quell’elenco…
«Questo non lo sapevo, quel che è certo è che Stellino la notte prima di essere interrogato si suicidò. Stellino aveva di fronte a sé due alternative: confermare quanto sapevano gli investigatori oppure negare la circostanza. Nel primo caso. Stellino avvertiva il rischio di esposizione, le probabili ritorsioni anche nei confronti dei familiari. Quel commerciante era una persona perbene e si sarebbe vergognato per tutta la vita se avesse raccontato il falso, se avesse negato.

Di quella tragedia cosa la colpì?
«Il tormento, la disperazione di un commerciante perbene che chissà  da quanto tempo subiva il ricatto, era costretto a pagare e per tutto quel tempo non ha mai potuto confrontarsi con un altro, confidarsi, consolarsi. Mi chiedo come possa aver vissuto questo dramma in perfetta solitudine. Quel suicido era un’occasione per aprire una discussione. Allora ero il coordinatore nazionale delle associazioni antiracket. Vado ad Alcamo per tentare di costituire un’associazione. Tentativo fallito. Oggi, a distanza di quasi quattro anni, siamo al punto di partenza. Non è¨ cambiato niente. L’associazione antiracket non esiste, l’imprenditore o il commerciante continua a vivere il suo dramma in solitudine e l’organizzazione mafiosa continua a condizionare l’economia di quella realtà, di Alcamo».

Commissario Grasso, proviamo ad allargare l’obiettivo. Da Alcamo alla Sicilia, al sud. Qual’è la realtà  del pizzo?
«Il fenomeno del pizzo è assai più diffuso non solo rispetto a quello che emerge dalle denunce ma anche a quello che ciascuno di noi percepisce. Il racket ormai non si configura più con il tradizionale meccanismo dell’imposizione, con la “bussata”. Con il pizzo la mafia condiziona sempre di più l’economia».

Il pizzo come pretesto, chiave d’ingresso per affermarsi come impresa nel mercato dell’economia legale?
«Il pagamento di una somma, anche ridotta, diventa il primo passo di una scalata. Nel momento in cui accetti di pagare devi essere consapevole che accetti anche i successivi condizionamenti mafiosi».

Quali?
«La fornitura delle merci. La mafia impone ai commercianti di comprare la merce in un certo posto e da una certa persona. Poi, l’organizzazione si occupa di fornire i mezzi per il trasporto delle merci e ovviamente il commerciante è costretto a rivolgersi a quella ditta di trasporto».

E poi ci sono le assunzioni dei dipendenti…
«Certo. Si tratta comunque di servizi e costi che l’operatore economico deve comunque sostenere: solo che li sceglie non secondo una libera scelta imprenditoriale ma subendo il condizionamento mafioso».

(Intervista effettuata a seguito del rapimento lampo ad Alcamo di una bambina di 8 mesi)

 

 

 

Fonte isiciliani.it 
Francesco Appari e Giacomo Di Girolamo – marsala.it – febbraio 2013

Alcamo: epidemia di bombe

Nella geografia criminale siciliana la zona di Alcamo è strategica

È una zona cuscinetto, un’area che sta a metà tra i mandamenti mafiosi storici di Palermo e Trapani, che ha avuto sempre regole sue, godendo di uno stato di “terzietà” rispetto agli af­fari mafiosi. Non è un caso che tra Castellammare ed Alcamo abbiano trovato riparo fior di latitanti, da Brusca a Messina Denaro e che in tempi non lontani ci siano stati gli episodi più violenti delle guerre di mafia che hanno caratterizzato la storia di Cosa nostra.

Il 2013 qui è cominciato con un’escalation di attentati incendiari a case di imprenditori, auto, abitazioni estive. Con il corredo di soliti avvertimenti: bottiglie incendiarie davanti casa, mazzi di fiori, etc. “È come se d’improvviso fosse mutato qualcosa – dicono gli investigatori -, come se ci fosse una nuova banda in azione, che vuole farsi conoscere, imporre il suo pizzo”.

Sono soprattutto le aziende edili ad essere state colpite. Il 2 febbraio hanno incendiato un escavatore di una impresa di movimento terra. Pochi giorni prima un altro attentato incendiario, sempre a dei mezzi di un’impresa edile. E poi ancora fiamme ad alcune auto, gomme tagliate, danni alle carrozzerie ad altri imprenditori e professionisti. Tutto in serie. Con un’escalation incredibile nelle ultime settimane.

Il clima ad Alcamo e Castellammare è teso. Dopo l’ennesima intimidazione, un centinaio tra commercianti ed imprenditori hanno sfilato in corteo ad Alcamo per dire no al racket.

Il loro striscione era chiarissimo: “Alcamo unita contro il racket”. Anche il Sindaco di Castellammare, Marzio Bresciani, si è fatto sentire: “Questa comunità non è più disposta a tollerare i continui atti di qualcuno che persegue fini criminali – ha detto –. È inconcepibile ed inaccettabile che si voglia portare questa città indietro nel tempo”.

Già, indietro nel tempo. In questi momenti a molti viene in mente la storia di Gaspare Stellino. Era titolare di una torrefazione nel centro di Alcamo. Taglieggiato, fino all’osso.

Il 12 settembre del 1997 Stellino si impicca nella casa di campagna. Lo stesso giorno avrebbe dovuto testimoniare contro i boss di Alcamo, Melodia, che gestivano l’intenso giro di estorsioni a commercianti e imprenditori. Gli stessi che poi non alzarono un fiato di indignazione dopo il suicidio del collega.

“Il pensiero di dover testimoniare contro i presunti boss del racket ad Alcamo lo atterriva, lo rendeva ansioso e teso, anche se cercava di non far trasparire nulla per non fare preoccupare la famiglia”, raccontò il figlio Isidoro. Non ebbe il coraggio di raccontare tutto, si sentiva solo, Stellino. E poco dopo, Alcamo tornò nel suo silenzio dei taglieggiati. E nel frastuono delle sirene delle varie operazioni antimafia, che via via decapitavano i clan.

L’ultima operazione antimafia nella zona risale allo scorso giugno: “Crimiso”. Furono arrestate 12 persone accusate di associazione mafiosa, estorsione aggravata, incendio aggravato, violazione di domicilio e violazione delle misure di sorveglianza speciale. In cella sono finiti anche tre imprenditori.

L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Teresa Principato, e dai pm Paolo Guido, Marzia Sabella, Carlo Marzella e Piero Padova, ruotava attorno alle cosche del mandamento mafioso di Alcamo e dei clan di Castellammare del Golfo e Calatafimi. Dall’inchiesta, che ha portato alla scoperta dei vertici delle cosche, è emersa una spaccatura all’interno della famiglia mafiosa di Castellammare: un gruppo di uomini d’onore che faceva riferimento a Diego Ruggeri, pregiudicato e sorvegliato speciale, avrebbe preteso il pizzo senza chiedere l’autorizzazione al capomafia Michele Sottile che, per “anzianità”, sarebbe stato il capo naturale del clan.

Per evitare che scoppiasse una guerra di mafia e dirimere le controversie da altri due uomini d’onore coinvolti nel blitz, Antonino Bonura e Rosario Leo, venne convocata una riunione tra i vertici delle famiglie di Alcamo, Castellammare e Calatafimi.

Diverse le estorsioni emerse dall’inchiesta: i clan riscuotevano il pizzo da ristoranti, bar, imprese di costruzioni facendo precedere le richieste estorsive da danneggiamenti e attentati incendiari. Oltre a chiedere somme di denaro alle vittime, i boss imponevano assunzioni di loro protetti e costringevano professionisti – è il caso di un dentista – a rinunciare al pagamento delle parcelle per cure fatte a un complice del capomafia Diego Ruggeri. Gli inquirenti hanno anche scoperto un tentativo della famiglia mafiosa di Alcamo di ottenere il monopolio del commercio di calcestruzzo imponendo alle imprese di acquistarlo da ditte vicine ai clan.

È un laboratorio il territorio di Alcamo. Le forze dell’ordine, dal canto loro, fanno per il momento quello che possono: il controllo del territorio. Con grandi sforzi, data la scarsità di mezzi e uomini, i Carabinieri hanno passato al setaccio abitazioni di pregiudicati e sorvegliati speciali, messo posti di blocco, aumentato le ronde nel vastissimo territorio di mezzo tra le province di Palermo e Trapani. Per scongiurare quel ritorno al passato.

 

 

 

Fonte:  qlnews.it 
Articolo del 14 maggio 2017
L’associazione Antiracket di Alcamo dedicata a Gaspare Stellino: il commerciante abbandonato da tutti
di Michele Giuliano

Sarà l’immobile dell’associazione Antiracket e antiusura di Alcamo ad essere intitolato a Gaspare Stellino, il commerciante alcamese morto nel 1997 e definito vittima della mafia.

Lo ha stabilito il sindaco Domenico Surdi che quindi recepisce la mozione approvata in consiglio comunale nei mesi scorsi in cui per l’appunto si impegnava l’amministrazione a intitolare un bene confiscato al concittadino che morì suicida nel 1997, perché, secondo la ricostruzione all’epoca dei fatti, si sentì solo e abbandonato dalle istituzioni dopo avere denunciato i suoi estorsori.

Con proprio decreto il primo cittadino fa sua la proposta degli uffici intitolando a Stellino il bene confiscato di via XI Febbraio, dove per l’appunto opera l’associazione Antiracket: dunque una sorta di doppio riconoscimento simbolico per l’esercente. “È stato uno delle tante vittime di quel racket che è sempre stato un ostacolo allo sviluppo e alla crescita economica e culturale della nostra terra – si legge nel decreto emanato dal primo cittadino – È stato soprattutto un cittadino onesto, un commerciante conosciuto e stimato da tutta la città per la professionalità e gentilezza”.

Stellino era titolare di una torrefazione ad Alcamo e salì alla ribalta per aver accusato i suoi estorsori, ed in particolare la potente e sanguinaria famiglia mafiosa dei Melodia. L’esercente era stato tra coloro che avevano contribuito nel 1996 a far scattare l’operazione antimafia “Cadice” che aveva portato all’arresto di una ventina di persone accusate di far parte di Cosa nostra e di avere imposto a tappeto il pizzo al tessuto economico alcamese. Una collaborazione con gli inquirenti che all’epoca dei fatti era quasi impensabile quando gli operatori economici pagavano in silenzio senza che si muovesse foglia.

E come spesso accadeva in quella Sicilia degli anni ’90 imbrattata di sangue nelle strade Stellino finì quasi per rimanere isolato, non solo dai colleghi commercianti ma anche dalla politica delle associazioni di categoria. Troppo rischioso anche per loro rimanere vicini a quello che all’epoca era definito “uno sbirro infame”.

La mattina in cui l’esercente doveva recarsi negli uffici della Dia per confermare le sue accuse agli estorsori la fece finita: andò nella sua campagna di contrada Bosco Falconeria e si impiccò. Un gesto che provocò in città molta indignazione ma nessuna rivolta da parte dei commercianti alcamesi che non si dichiararono nemmeno parte civile al processo.

Da oggi un pezzo della città che lo ripudiò porta proprio il suo nome.

 

 

 

Leggere anche: mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 28 ottobre 2020

La solitudine di Gaspare Stellino
di Sara Cela

 

 

 

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