13 ottobre 1992 Porto Empedocle (AG) . Ucciso Pasquale Di Lorenzo, sovrintendente di Polizia Penitenziaria presso il carcere di Agrigento

 

Foto da:  polizia-penitenziaria.it

Pasquale Di Lorenzo era un sovrintendente di Polizia Penitenziaria, prestava servizio nel carcere di Agrigento e, in assenza del comandante, svolgeva le funzioni di reggente. Di Lorenzo era conosciuto come “persona dotata di forte carattere, non incline a compromessi e considerato dai detenuti un duro”, consapevole della delicatezza che il suo ruolo richiedeva in un istituto penitenziario con una forte presenza di detenuti per reati di mafia. Il 13 ottobre 1992 fu ucciso con quattro colpi d’arma da fuoco mentre si trovava in campagna, in contrada Durruelli di Porto Empedocle, dove possedeva un appezzamento di terra. Il collaboratore di giustizia Alfonso Falzone, autoaccusatosi del delitto, al processo celebrato nel 1999 presso la Corte d’Assise di Agrigento svelò il movente, fece i nomi dei mandanti e il nome del complice che, insieme a lui, fu l’esecutore materiale del delitto. L’omicidio era maturato in un clima d’intimidazione e di ritorsione, Di Lorenzo fu identificato come obiettivo simbolo della vendetta mafiosa, che doveva prevedere l’uccisione di un poliziotto penitenziario per ogni carcere della Sicilia. Progetto scellerato che, fortunatamente, non fu attuato, perché le menti strategiche della mafia temettero che il piano avrebbe comportato un’attenzione troppo forte da parte delle forze dell’ordine. La vita del sovrintendente, però, era ormai tragicamente segnata.

 

 

Articolo tratto da:  leduecitta.com
Sono le prime ore dell’alba del 14 ottobre 1992, a casa Di Lorenzo arriva una telefonata che segnerà tragicamente la vita di una famiglia composta, fino a quel momento, da quattro persone: il capo famiglia, Pasquale Di Lorenzo, 45 anni, la moglie Angela Cillis, Ilenia e Doriana, le figlie, che all’epoca hanno 18 e 16 anni. Pasquale Di Lorenzo era un sovrintendente di Polizia Penitenziaria, prestava servizio nel carcere di Agrigento e, in assenza del comandante, svolgeva le funzioni di reggente. Di Lorenzo era conosciuto come “persona dotata di forte carattere, non incline a compromessi e considerato dai detenuti un duro”, consapevole della delicatezza che il suo ruolo richiedeva in un istituto penitenziario con una forte presenza di detenuti per reati di mafia. Nel 1992 si era in piena guerra di mafia, il Paese era sconvolto per le stragi di Falcone e Borsellino, la risposta dello Stato alle carneficine mafiose era stata ferma e decisa. Di lì a poco, l’introduzione del “41 bis” darà via al cosiddetto “carcere duro”.

Il 13 ottobre Pasquale Di Lorenzo si trovava in campagna, in contrada Durruelli di Porto Empedocle, dove possedeva un appezzamento di terra che utilizzava per l’addestramento di cani da difesa, una passione cui Di Lorenzo si dedicava nelle ore libere dal lavoro. In campagna era andato alle 10 e vi era rimasto per l’intera giornata. Calata la sera, Di Lorenzo non aveva ancora fatto ritorno a casa, ma la signora Angela non era preoccupata perché sapeva che, come era solito fare, Pasquale si sarebbe trattenuto fino a tardi. Quella sera, però, il ritardo si era protratto oltre il consueto e la signora Angela trascorse la notte insonne, attenta a ogni rumore di macchina che potesse farle sperare che l’uomo stesse per rientrare a casa. Alle prime luci dell’alba ebbe un brutto presentimento e chiamò il vicino di casa, in campagna, pregandolo di verificare se il marito fosse ancora sul posto. Il vicino uscì e scorse la macchina di Di Lorenzo fuori del cancello che immette nella proprietà, si avvicinò e vide il corpo dell’uomo disteso supino sul terreno, la macchina con il finestrino aperto, sul sedile posteriore c’era il pastore tedesco che, però, sembrava tranquillo. L’uomo rientrò in casa e telefonò alla signora Di Lorenzo, poi chiamò la polizia. Pasquale Di Lorenzo era morto, era stato ucciso con quattro colpi d’arma da fuoco.

Il collaboratore di giustizia Alfonso Falzone, autoaccusatosi del delitto, al processo celebrato nel 1999 presso la Corte d’Assise di Agrigento, prima sezione, svelò il movente, fece i nomi dei mandanti e il nome del complice che, insieme a lui, fu l’esecutore materiale del delitto. L’omicidio era maturato in un clima d’intimidazione e di ritorsione, Di Lorenzo fu identificato come obiettivo simbolo della vendetta mafiosa, che doveva prevedere l’uccisione di un poliziotto penitenziario per ogni carcere della Sicilia. Progetto scellerato che, fortunatamente, non fu attuato, perché le menti strategiche della mafia temettero che il piano avrebbe comportato un’attenzione troppo forte da parte delle forze dell’ordine. La vita del sovrintendente, però, era ormai tragicamente segnata.
Pasquale Di Lorenzo cominciò ad essere pedinato, in un primo momento gli assassini pensarono di ucciderlo nei pressi dell’abitazione, progetto accantonato perché il sovrintendente abitava in una cooperativa dove vivevano altri colleghi e questo avrebbe potuto comportare dei rischi, così, venendo a sapere della casa in campagna, si decise che l’agguato poteva essere portato a termine in quel luogo appartato e solitario. La sera del 13 ottobre i killer si appostarono di fronte al canile di Di Lorenzo, verso le 23 l’uomo spense le luci per andare via, uscì dall’abitato, chiuse il cancello e si avviò verso la macchina, a quel punto partirono due colpi dal fucile a canna lunga di Gerlando Messina, complice di Falzone, Di Lorenzo cadde a terra e Falzone lo finì con altri tre o quattro colpi di pistola. L’indomani mattina avvenne la scoperta del corpo senza vita di Pasquale Di Lorenzo, disteso sulla schiena, accanto all’auto.
Al processo le dichiarazioni del collaborante Falzone convergeranno con quelle rese da Giovanni Brusca, che confermerà la seguente tesi: l’omicidio di Di Lorenzo è maturato nell’ambito di una strategia terroristica portata avanti dagli appartenenti a Cosa Nostra nei confronti di operatori della Polizia Penitenziaria, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 41 bis Ord. Pen.

 

 

Fonte (2012)  libera.it
Pasquale Di Lorenzo, orgoglio del nostro Paese
Don Marcello Cozzi
Vice presidente di Libera

“Pian piano mi andavo specchiando in quelle quattro mura, e per la prima volta mi rendevo conto che stavo iniziando a guardarmi dentro”. Con queste parole un pentito di Cosa Nostra mi raccontava un pezzo del suo carcere duro. Stesso concetto che, anche se con parole diverse, più volte ho ascoltato dalla bocca di non pochi ex mafiosi incontrati in questi anni.
Quando lo scorso mese di agosto mi sono ritrovato nel carcere dell’Asinara, fra le cui mura Libera aveva allestito una mostra, e ho messo piede in quegli spazi angusti che, per un po’ di tempo, hanno ospitato il capo dei capi, Totò Riina, le parole di quel pentito mi sono tornate in mente e, con esse, il cammino di svolta che molti mafiosi hanno iniziato proprio nel momento più duro della loro detenzione, il 41bis.
Ecco di cosa hanno paura le mafie. Che quell’isolamento, quella rigidità, quella durezza possano far ritornare uomini i propri scagnozzi; d’altronde la storia recente del nostro Paese ce lo dice con chiarezza: gran parte dei successi che lo Stato ha ottenuto contro le mafie parte proprio dal pentimento (quello vero!) di molti ex uomini d’onore.
Cosa Nostra lo capì dall’inizio e non a caso portò anche questo capitolo sul tavolo della trattativa con lo Stato. Prima, però, cercò di spiegarlo in altro modo.
Erano passati pochi mesi dalle stragi di Capaci e Via d’Amelio, allo Stato bisognava lanciare un messaggio chiaro anche sul tema delle carceri iniziando a far capire la propria contrarietà al regime duro a cui venivano sottoposti i boss negli istituti di massima sicurezza di Pianosa e dell’Asinara.
Totò Riina decise così di far uccidere un agente penitenziario per provincia, a partire da Agrigento, dove nel mirino fu messo Pasquale Di Lorenzo, “secondino” integerrimo, originario della provincia casertana ma sposato a Potenza. Due sicari lo attesero dinanzi la sua casa di campagna, a Porto Empedocle, la sera del 13 ottobre 1992, e gli spararono a bruciapelo.
In questo anno così pieno di celebrazioni e anniversari di importanti stragi di mafia, la memoria di noi tutti vada anche a Pasquale, al suo sacrificio silenzioso, al suo nome passato in secondo piano, per ricordare a noi stessi che sono davvero tanti quelli che ci hanno rimesso la vita in questa sporca guerra contro le mafie, e per dire ai suoi familiari che uomini così sono l’orgoglio del nostro Paese.

 

 

 

Articolo di La Repubblica del 14 Ottobre 2003
Una piazza per Di Lorenzo l’ agente ucciso dalla mafia
di Fabio Russello

AGRIGENTO – Il piazzale antistante il carcere di contrada Petrusa sarà intitolato a Pasquale Di Lorenzo, il sovrintendente della polizia penitenziaria, ucciso dalla mafia il 13 ottobre del 1992. Di Lorenzo è stata dichiarato con un decreto del ministero dell’ Interno «vittima del dovere». Alla cerimonia prevista questa mattina parteciperanno il sindaco Aldo Piazza e la direttrice della Casa circondariale, Laura Brancato.«Il sindaco – come recita una nota del Comune – intende mostrare così un segno tangibile dei sentimenti di solidarietà avvertiti nei confronti dell’ istituzione carceraria, degli agenti di polizia penitenziaria, che svolgono ogni giorno un compito delicato e di responsabilità, e verso le famiglie dei detenuti».Sull’ omicidio Piazza è stata fatta luce grazie ai collaboratori di giustizia.Il delitto secondo quanto è emerso sarebbe nato dalla volontà di Cosa nostra di reagire al carcere duro cui venivano sottoposti gli uomini d’ onore nei penitenziari di massima sicurezza. Totò Riina, che all’ epoca era ancora latitante, decise di dare un segnale preciso ed avrebbe dato l’ ordine di uccidere un agente di custodia per provincia. Ad Agrigento la scelta cadde su Pasquale Di Lorenzo, tra i più integerrimi del carcere di San Vito, il vecchio monastero che all’ epoca fungeva da carcere di Agrigento prima del trasferimento a Petrusa. Il delitto fu commesso da Alfonso Falzone (oggi collaboratore di giustizia) e Gerlandino Messina (inserito nella lista dei latitanti più pericolosi). I due killer lo uccisero mentre stava uscendo dalla sua casa di campagna in contrada Durrueli a Porto Empedocle. Pasquale Di Lorenzo stava salendo sulla sua Giulietta e quella sera pioveva a dirotto. Fu trovato la mattina dopo dalla moglie che andò a cercarlo in campagna.

 

 

 

Fonte: editorpress.it
Articolo del 13 ottobre 2018
Il ricordo di Pasquale Di Lorenzo, agente di Polizia Penitenziaria ucciso dalla mafia 26 anni fa

Ventisei anni fa, il 13 ottobre 1992, a Porto Empeclode fu ucciso dalla mafia Pasquale Di Lorenzo agente di Polizia Penitenziaria, su ordine del boss Totò Riina.

Nato nel 1947 a Sipicciano di Galluccio, in provincia di Caserta, era Sovrintendente di Polizia Penitenziaria presso il carcere di San Vito, il vecchio monastero che all’ epoca fungeva da carcere di Agrigento

Svolgeva la funzione di Comandante reggente del carcere e da tutti veniva considerato “persona dotata di forte carattere, non incline a compromessi e considerato dai detenuti un duro” e consapevole del ruolo delicato che svolgeva in un istituto penitenziario con una forte presenza di detenuti per reati di mafia. Viveva a Porto Empedocle con la moglie e le due figlie adolescenti.

Il 13 ottobre Pasquale Di Lorenzo si trovava in campagna, in contrada Durruelli di Porto Empedocle, dove possedeva un appezzamento di terra che utilizzava per l’addestramento di cani da difesa, una passione cui Di Lorenzo si dedicava nelle ore libere dal lavoro. In campagna era andato alle 10 e vi era rimasto per l’intera giornata. Il suo corpo senza vita fu ritrovato la mattina seguente, era stato ucciso con quattro colpi d’arma da fuoco ed era rimasto a terra in una pozza di sangue e fanghiglia dopo una nottata di pioggia.

La Polizia comincia le indagini, ma iniziarono subito i depistaggi e il caso fu archiviato attribuendo l’omicidio ad una controversia legata a questioni personali.

Sette anni dopo, nel 1999, il collaboratore di giustizia Alfonso Falzone si autoaccusò del delitto e, davanti ai giudici della Prima Sezione della Corte di Assise di Agrigento, svelò il movente, fece i nomi dei mandanti e il nome del complice che, insieme a lui, fu l’esecutore materiale del delitto

Al processo le dichiarazioni del collaborante Falzone convergeranno con quelle rese da Giovanni Brusca, che confermerà la seguente tesi: l’omicidio di Di Lorenzo è maturato nell’ambito di una strategia terroristica portata avanti dagli appartenenti a Cosa Nostra nei confronti di operatori della Polizia Penitenziaria, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 41-bis dell’Ordinamento Penitenziario.

Quel 13 ottobre 1992, i killer eseguirono gli ordini di Riina appostandosi di fronte al canile di Di Lorenzo. Verso le 23,00 Di Lorenzo uscì dall’abitato, chiuse il cancello e si avviò verso la macchina; a questo punto partirono due colpi dal fucile a canne lunghe esplosi da Alfonso Falzone appostato nei pressi del canile. Pasquale Di Lorenzo cade a terra; a quel punto Gerlando Messina, complice di Falzone, finisce l’uomo con quattro colpi di pistola.

L’omicidio di Pasquale Di Lorenzo si consuma nell’ottobre del 1992, pochi mesi dopo gli attentati ai giudici Falcone e Borsellino e la mafia tenta di reagire ai provvedimenti restrittivi denominati “Carcere duro”, a cui venivano sottoposti i boss negli istituti di massima sicurezza di Pianosa e dell’Asinara.

Totò Riina decise di rispondere a questi provvedimenti ordinando l’uccisione di un poliziotto penitenziario per ogni carcere della Sicilia. Il primo a morire doveva essere proprio Pasquale Di Lorenzo, noto per la sua professionalità e moralità. Nel frattempo da Palermo era arrivato l’ordine di sospendere l’agguato poichè si temevano ulteriori provvedimenti restrittivi, ma Pasquale Di Lorenzo era troppo tardi. Il Sovraintendente fu ucciso la sera di 25 anni fa.

Ma per lunghi sette anni, oltre al dolore per la scomparsa di Pasquale, i familiari di Di Lorenzo dovettero subìre le accuse di essere coinvolti nell’uccisione dell’agente di Polizia Penitenziaria. Soltanto nel 1999, dopo la confessione di un pentito, fu ristabilita la verità.

Il ricordo di Don Marcello Cozzi, Vice Presidente di Libera

Totò Riina decise così di far uccidere un agente penitenziario per provincia, a partire da Agrigento, dove nel mirino fu messo Pasquale Di Lorenzo, “secondino” integerrimo, originario della provincia casertana ma sposato a Potenza. Due sicari lo attesero dinanzi la sua casa di campagna, a Porto Empedocle, la sera del 13 ottobre 1992, e gli spararono a bruciapelo.

In questo anno così pieno di celebrazioni e anniversari di importanti stragi di mafia, la memoria di noi tutti vada anche a Pasquale, al suo sacrificio silenzioso, al suo nome passato in secondo piano, per ricordare a noi stessi che sono davvero tanti quelli che ci hanno rimesso la vita in questa sporca guerra contro le mafie, e per dire ai suoi familiari che uomini così sono l’orgoglio del nostro Paese.

 

 

 

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