14 Settembre 1990 Foggia. Ucciso Nicola Ciuffreda, imprenditore edile di 53 anni. Vittima del racket.

Nicola Ciuffreda, imprenditore edile di 53 anni fu ucciso a Foggia il 14 settembre del 1990. Una punizione esemplare per essersi rifiutato di pagare il racket delle estorsioni. Il primo ucciso dopo quattro imprenditori che negli ultimi mesi erano stati “avvertiti” con gambizzazioni ed ordigni nei negozi, programmati per esplodere durante l’orario di chiusura.
“Dietro l’escalation di violenza (questo è il quarto omicidio in meno di un mese) c’è senz’altro la saldatura fra malavita locale e criminalità di zone limitrofe, quel miscuglio esplosivo che ha fatto definire la Puglia una «regione ragionevolmente a rischio» dall’alto commissario Sica.” (La Stampa del 15 settembre 1990).

 

 

 

Articolo di La Repubblica del 15 Settembre 1990
I CLAN ASSEDIANO FOGGIA
di Federico Pirro

BARI.  La rappresaglia dei clan torna a farsi sentire a Foggia: ieri mattina è toccato a uno dei più grossi imprenditori edili, Nicola Ciuffreda di 53 anni, freddato nel suo cantiere in via Eugenio Masi. Ad aggredirlo due giovani in motoretta: dopo averlo individuato vicino ad un gruppo di operai, gli hanno scaricato addosso una decina di pallottole. I due sono quindi fuggiti via rendendosi irreperibili.

Le condizioni del Ciuffreda sono subito apparse disperate: i proiettili lo avevano raggiunto alla testa, al collo, al torace, all’addome e alle gambe. Una sequenza micidiale di colpi, senza scampo. Nulla hanno potuto fare i sanitari del pronto soccorso degli Ospedali riuniti.

Nicola Ciuffreda è il primo imprenditore edile foggiano a rimetterci la vita, ma già altri suoi colleghi in precedenti occasioni erano stati aggrediti e gambizzati. Questa volta l’esito della spedizione è stato tragico: il killer ha sparato per uccidere. Su questo punto gli inquirenti non hanno alcun dubbio. Se avesse voluto soltanto intimidire, sarebbe stato sufficiente mirare basso, sparare contro le gambe. Ieri mattina, invece, l’omicida ha vuotato il caricatore indirizzando la canna verso organi vitali.

Nicola Ciuffreda, insomma, non doveva sopravvivere. Escludere, quindi, l’intimidazione significa anche non ritenere che dietro l’attentato ci sia il racket delle estorsioni che potrebbe non aver nulla da guadagnare dalla morte della vittima. Le indagini si orientano allora in una direzione precisa: lo scontro in atto per il varo e la gestione del piano regolatore. La questione va avanti da un ventennio, ma solo negli ultimi anni, quando cioè ci si è avvicinati alla stretta finale, il confronto-scontro è diventato molto cruento.

Già nel luglio dello scorso anno Pasquale Ciuffreda, fratello della vittima, aveva subito un attentato; ma per fortuna tutto si era risolto con delle ferite alle gambe. Era tuttavia la conferma di un clima che andava facendosi irrespirabile, anche perché nei mesi precedenti analoghe aggressioni erano toccate ad altri facoltosi imprenditori edili, Eliseo Zanafi e Salvatore Spezzati.

Nel tardo pomeriggio è circolata a Foggia la voce secondo cui a Nicola Ciuffreda era giunta una richiesta di trecento milioni dal racket delle estorsioni. Le minacce risalirebbero a circa tre mesi fa. L’episodio potrebbe essere collegato all’omicidio, ma gli inquirenti non offrono alcun supporto a questa pista. Del resto la dinamica del tragico episodio è fin troppo chiara: i giovani a bordo della loro motoretta sono stati mandati per sparare e ammazzare e non certo per indurre l’imprenditore a cedere alla richiesta di quella somma di danaro.

Rimarrebbe perciò la pista del piano regolatore. I sindaci eletti in questi ultimi anni hanno sempre posto in testa ai loro impegni il varo del piano, ma nessuno è riuscito a mantenere la promessa. Qualunque scelta trasforma infatti in miliardari terreni destinati ad affari speculativi o ne impoverisce altri. Interessi troppo alti che stanno sfociando in scontri sempre più violenti, anche perché le aree che con ogni probabilità rientreranno nel piano sono già nei cassetti dei più grossi imprenditori.

Una situazione che un paio di anni fa provocò la scissione dell’Assindustria di Capitanata; un troncone, denominatosi Unione degli industriali, si staccò fra mille roventi polemiche, rimproverando a quanti gestivano la vecchia associazione di aver perpetuato i consueti sistemi di potere, tralasciando ogni tentativo di aprirsi al nuovo. Quanti finora hanno subito aggressioni o intimidazioni, sono per la maggior parte vicini all’Unione; ciò non significa, naturalmente, trasferire automaticamente ogni responsabilità, sia pure solo morale, a quanti hanno scelto l’altra sponda. È piuttosto il segnale di un imbarbarimento che ormai affida alla ferocia del killer la soluzione di problemi apparentemente irrisolubili.

Il presidente dell’amministrazione provinciale di Foggia, Armando Palmieri, ha diffuso un comunicato che invita le istituzioni alla mobilitazione ed alla vigilanza affinché dalla Capitanata possa essere estirpato il seme della malavita organizzata che sembra purtroppo radicarsi sempre più profondamente e drammaticamente. Finora sono 95 le persone uccise in Puglia dall’inizio dell’ anno; quindici nella sola provincia di Foggia.

 

 

 

Articolo da La Stampa del 15 settembre 1990
Agguato a Foggia
di Anna Langone
Assassinato imprenditore edile La mafia pugliese alza il tiro

FOGGIA. Un imprenditore edile è stato ucciso ieri mattina nel suo cantiere in centro. Non era mai accaduto in questa regione che sta diventando terra di conquista per la mafia.

La vittima, Nicola Ciuffreda, 53 anni, originario di Manfredonia ma domiciliato a Foggia, era appena arrivato nel cantiere. Imboccata la porticina in zinco su vico Fauno, si preparava a dirigere i lavori di sterramento. Il braccio della pala meccanica era ancora immobile, in attesa di ordini quando, pochi minuti prima delle 9, accanto al recinto metallico del cantiere è sfrecciata una potente moto. La frenata e uno dei due uomini a bordo, con il volto nascosto da casco, è salito sul sellino per superare la lamiera alzata attorno al cantiere e ha sparato a bruciapelo su Ciuffreda. Sette colpi sparati da distanza ravvicinata hanno raggiunto l’imprenditore al collo, al torace e all’addome, alle braccia e alle gambe. Quando gli operai si sono chinati su di lui per soccorrerlo respirava ancora, ma ogni soccorso è stato vano. Inutili le ricerche dei due killer da parte della polizia.

Ciuffreda, sposato e padre di quattro figli, un passato di commerciante all’ingrosso di olio, soltanto da qualche anno era entrato nell’attività edilizia. Pare che in un passato non molto lontano Ciuffreda abbia ricevuto richieste di denaro, di due o trecento milioni. Tentativi di estorsione cui Ciuffreda deve aver risposto con fermezza, se i sicari del racket sono stati pagati per uccidere e non per «avvertire», come era avvenuto per altri quattro imprenditori foggiani nel giro degli ultimi 12 mesi.

Per primo era toccato a Eliseo Zanasi, ora presidente degli edili dell’Assindustria, ridotto in fin di vita una notte di circa un anno fa, da killer che gli tesero un agguato aspettandolo sotto casa. Poi nel mirino del racket erano finiti Pasquale Ciuffreda (omonimo ma non parente della vittima), Salvatore Spezzati, Giuseppe Ricucci e, solo qualche settimana fa, Nicola Sacco, titolare di una concessionaria di automobili.

Con l’agguato a Ciuffreda il racket cambia faccia, smettendo la consuetudine delle gambizzazioni e degli ordigni nei negozi, programmati per esplodere durante l’orario di chiusura. Dietro l’escalation di violenza (questo è il quarto omicidio in meno di un mese) c’è senz’altro la saldatura fra malavita locale e criminalità di zone limitrofe, quel miscuglio esplosivo che ha fatto definire la Puglia una «regione ragionevolmente a rischio» dall’alto commissario Sica.

 

 

 

Articolo da L’Unità del 15 Settembre 1990
Banda delle estorsioni?
Costruttore ucciso a Foggia in pieno centro storico
Si seguono tutte le piste.
di Ninni Andriolo
A Foggia è stato ucciso ieri un imprenditore edile che avrebbe rifiutato di pagare la tangente che gli era stata richiesta dopo l’apertura di un suo cantiere.
Gli inquirenti seguono tutte le piste per dare una spiegazione al delitto, mentre l’Associazione dei costruttori chiama le categorie dell’industria ad una giornata di mobilitazione contro la criminalità organizzata e il dilagare del racket delle estorsioni.

ROMA. È stato ucciso all’interno del suo cantiere, a Foggia, in Vico Fauno, nella città vecchia. Nicola Giuffrida, un imprenditore edile di 53 anni, era sposato e padre di quattro figli. È morto ieri mattina, in ospedale, attorno alle 9,30. Un’ora prima gli avevano scaricato addosso sette colpi di pistola automatica calibro 7,65. Lo hanno soccorso i suoi operai. Per lui non c’è stato nulla da fare. È spirato qualche attimo dopo il ricovero.

Davanti al cantiere si sono presentati in due. Erano a bordo di una moto di grossa cilindrata. Uno dei killer ha preso la mira e ha sparato dal sellino posteriore, sporgedosi oltre il recinto di metallo ondulato. I testimoni hanno descritto gli assassini: erano due giovani, uno è salito con i piedi sulla moto ha preso la mira ed ha fatto fuoco a ripetizione.

Racket delle estorsioni? «Sapevamo che recentemente aveva ricevuto pressioni, richieste di tangenti, minacce – dicono  all’Associazione degli industriali – qui queste cose sono ormai all’ordine del giorno, ci sono stati agguati ed attentati intimidatori, la situazione è diventata molto difficile».

In questura indagano a vasto raggio. Giuffrida si era rivolto agli inquirenti per denunciare minacce e richieste di danaro? La polizia non conferma e non smentisce. Si parla di trecento milioni, quelli che per telefono, voci anonime che lo perseguitavano, avevano richiesto al costruttore per permettergli di continuare a lavorare. Lui aveva preso tempo, aveva fatto intendere che non avrebbe pagato.

All’Assindustria raccontano altri casi di estorsione «investono imprenditori di tutti i settori: dell’edilizia. del commercio, dell’agricoltura, dell’industria». Pallottole che fischiano e che vanno a segno da anni. Sparate per intimidire, per fare paura, per ottenere la tangente contro gli uffici, le fabbriche, le macchine. Ma, anche, contro i titolari di imprese e di negozi.

Ma perchè, questa volta, i killer hanno deciso di andare fino in fondo e non si sono accontentati solo di sparare per intimorire? Per dare un esempio? Per fare intendere che nessuno può illudersi di sottrarsi alla legge del racket? L’interrogativo è d’obbigo, ma le risposte non sono univoche. «Mesi fa ho presentalo una interpellanza al governo sulla grave situazione presente a Foggia – dice Orazio Montinaro, senatore del Pci – ho parlato di possibili interconnessioni tra ambienti politici e ambienti economici e tra questi ultimi ed ambienti malavitosi. Ci sono stati soltanto pesanti silenzi. L’omicidio di Giuffrida e un’altra terribile tappa nella esplosiva situazione pugliese. Gli investigatori devono agire in tutte le direzioni senza privilegiare ipotesi minimali».

Il costruttore ucciso a Foggia era originario di Monte Sant’Angelo, un comune che dista una quindicina di chilometri da Manfredonia. Prima commerciante, poi da qualche anno imprenditore edile. Nella città vecchia il cantiere era stato aperto da poco, per il momento due escavatrici e qualche operaio. L’omicidio è arrivato quasi subito: in pieno giorno, in un luogo frequentato del centro. «Un vero e proprio salto di qualità della criminalità organizzata» – dice Michele Galante, deputato comunista. E il consiglio provinciale terrà al più presto una seduta straordinaria, allargata ai sindaci, per sollecitare al governo
«tutti gli atti necessari affinché la battaglia contro il crimine possa contare su una capillare presenza dello Stato».

Mentre l’Associazione dei costruttori edili si fa promotrice di una giornata di mobilitazione «contro il fenomeno della criminalità» e chiede agli imprenditori di tutte le categorie una reazione unitaria per fare «fronte unico» contro le estorsioni.

 

 

 

Articolo da La Repubblica del 26 Settembre 1990
BARI, LA DROGA TRA I VECCHI MERLETTI
di Silvana Mazzocchi

BARI A Putignano, una rete commerciale produce e vende preziosi pizzi e merletti per romantici abiti da sposa. Dà lavoro a decine di persone: operaie, rappresentanti, piazzisti. Un giro d’affari davvero florido. Alla vigilia del duemila però i pizzi non sono più bramati come un tempo: la moda di dotare le fanciulle da marito di corredi sterminati è tramontata e le spose non si addobbano più come madonne. Così, schiacciata dall’evoluzione dei costumi, la piccola azienda di Putignano, in provincia di Bari, entra in crisi e rischia la chiusura. Ma, di fronte al disastro economico, i capifila non si perdono d’animo e, con il consenso di gran parte dei lavoratori, l’impresa viene trasformata senza traumi in un’organizzazione dedita allo spaccio della droga. E riprende a funzionare, con la stessa operosità, con la stessa efficienza. Finchè, grazie ad una fortunata intercettazione telefonica, la polizia scopre la strana riconversione e la piccola azienda di droga e vecchi merletti viene smantellata.

È uno dei tanti frammenti di criminalità quotidiana nel barese, una terra dove la mentalità mercantile di antica tradizione s’intreccia ormai con lo stile di vita della moderna malavita, sempre più ingorda e sempre più violenta. Traffico di stupefacenti esercitato con ogni mezzo, scippi, furti d’auto, rapine. La microcriminalità tiene in scacco tutta la provincia e si serve di mano d’opera di ogni genere, dai ragazzini alle donne ammette Enzo Caso, capo della Criminalpol nella regione ma se si parla di quarta mafia, per fortuna non siamo ancora all’Antistato, anche se le attività illecite continuano ad espandersi e la conquista dei mercati diventa l’occasione per faide sanguinose.

Aggiunge Vincenzo Binetti, ex magistrato, deputato dc, membro della commissione parlamentare Antimafia: La Puglia è senz’altro una regione a rischio. C’è però ancora una grande differenza tra la realtà criminale nelle nostre province e la ‘ndrangheta, la camorra o la mafia. In Calabria, in Campania o in Sicilia la delinquenza è all’offensiva, tiene collegamenti internazionali, è organizzata in maniera imprenditoriale, uccide uomini delle istituzioni e magistrati ed è entrata in competizione con lo Stato. In Puglia, invece la criminalità segue ancora una linea di convivenza con il potere legale. Ma attenzione, il salto di qualità può essere dietro l’angolo.

Nella storia emblematica dell’impresa di pizzi e merletti di Putignano, Binetti vede un preoccupante segnale di sconfinamento tra legalità e illegalità. Una trasformazione della cultura e del tessuto sociale che può creare il terreno propizio all’espandersi del modello mafioso. Nella nostra regione dice il deputato dc si stanno creando quasi due società parallele. Da una parte ci sono i cittadini onesti che hanno paura, che non sentono abbastanza tutelata la loro sicurezza, che temono la conquista della Piovra. Dall’altra quelli che accettano senza troppi problemi di entrare nelle attività illegali gestite dai criminali. In Puglia l’economia tira, è solida e variegata, ma la regione è diventata comunque territorio di riciclaggio. I canali sono i soliti: le finanziarie, le discoteche magari intestate a prestanomi, i centri turistici, i supermercati, le aziende messe in piedi da spiantati.

Eppure la Guardia di Finanza spesso non ha i mezzi per effettuare le indagini patrimoniali che pure la legge Rognoni-La Torre consente. Oppure, come denunciano alcuni magistrati, spesso non c’è la volontà di collaborare. Così è ora l’Antimafia informa Antonio Bargone, deputato comunista, membro della commissione parlamentare a condurre un lavoro d’indagine molto approfondito sui possibili canali del riciclaggio in Puglia. Ho avviato racconta il deputato Pci un’indagine sulle finanziarie delle varie province nelle camere di commercio locali e i primi risultati, le prime risposte dovrebbero arrivare in Parlamento entro l’anno.

Ad un censimento dei rami finanziari della quarta mafia hanno cominciato a lavorare anche gli 007 di Domenico Sica, dopo i ripetuti blitz dell’Alto commissario nelle Puglie e la promessa di aprire a breve scadenza una sede dell’ufficio nella regione. Se il Barese è ancora terra di microcriminalità e di riciclaggio spiega Enzo Caso se nel Salento oltre al traffico di droga, alle estorsioni e al contrabbando, si contano già un gran numero di omicidi prodotti dalla guerra fra le bande, il picco più alto nella graduatoria criminale spetta a Foggia. In quella zona la violenza è ormai diffusa e il racket delle estorsioni non si limita alle minacce, ma gambizza e uccide le vittime che non pagano le tangenti con una frequenza inconsueta nel resto della Puglia.

Il nord della regione è considerato insomma il cuore della violenza organizzata che sta esportando anche in questa terra di agricoltori e di mercanti il modello mafioso dell’occupazione criminale. Qui si pratica il commercio della droga, l’usura con interessi del venti per cento mensile; qui è diffuso il racket per il recupero dei crediti. Qui si consumano le truffe più estese ai danni della Comunità economica europea, qui si verifica l’intreccio più inquietante tra politica, potentati economici e criminalità. Nel foggiano ci si arricchisce con l’agricoltura, anche grazie alle frodi messe a segno ai danni dell’Aima e i capitali illecitamente accumulati finiscono nell’edilizia denuncia Severino Cannelonga, deputato comunista ed ex segretario della federazione del Pci a Foggia.

E adesso che si sta per discutere il nuovo piano regolatore, è aumentato il rischio d’infiltrazione delinquenziale attraverso l’impiego dei capitali accumulati. Qui perfino l’associazione degli industriali si è spaccata in due e una parte guarda ormai all’altra con sospetto; qui le indagini patrimoniali sono tuttora quasi inesistenti e i 200 chilometri di costa della Capitanata (Cerignola, San Severo, Manfredonia) e l’inaccessibilità di intere zone come il Gargano, garantiscono alle bande la sicurezza e impunità. E sempre alla Capitanata spetta il record del maggior numero di omicidi negli ultimi anni.

La droga, comunque, resta il grande affare nel nord della Puglia, il mercato che meglio di ogni altro permette la rapida formazione di capitali da riciclare e da investire. Per il controllo del traffico di stupefacenti a Foggia venne consumata la strage di Bacardi nel 1986, quando in una notte furono uccise quattro persone per aggiudicarsi il predominio criminale. Allora erano in lotta due bandi rivali, nate anche grazie alle infiltrazioni camorristiche favorite dalla presenza nel carcere speciale della città di elementi di spicco della malavita napoletana.

In questi anni però molto è cambiato ed è l’Antimafia a indicare nella provincia ormai almeno cinque zone a differente insediamento criminale e ad attività miste: l’Ofanto, da Trinitapoli a San Ferdinando di Puglia; il Sud Tavoliere con Cerignola, Orta Nova e Stornara; Foggia città; San Severo dove più grave è il fenomeno del traffico della droga e il Gargano dove imperversa l’abigeato. Dentro questo osservatorio sulla Piovra, Cerignola rappresenta il paese che meglio di ogni altro mostra il clima in cui vive il nord della Puglia. A Cerignola, 30.000 mila abitanti e un’altissima densità criminale, la malavita dedita al racket delle tangenti prospera e impone ai cittadini un alto indice di violenza.

E proprio a Cerignola il ricco boss Giovanni Ferraro, sebbene condannato nel maggio scorso a 7 anni di galera per traffico di stupefacenti, è stato mandato agli arresti domiciliari perché riconosciuto dalla magistratura locale in grave stato di indigenza e quindi nella necessità di lavorare. Una decisione censurata dall’Antimafia, che ha espresso perplessità sui modi d’amministrazione dell’istituto degli arresti domiciliari nella zona, in quanto, è scritto nella relazione del luglio scorso le forze di polizia riferiscono di sentirsi impotenti e frustrate.

Ecco è forse questa la magagna più grave della nostra democrazia conclude Caso. Nel nostro paese c’è bisogno non tanto di riforme legislative, quanto di riacquistare la certezza della pena. Una volta condannato, insomma, l’imputato deve scontare la galera che i giudici gli hanno inflitto. Passività e tolleranza Passività, tolleranza, quando non connivenza. La criminalità organizzata nel Mezzogiorno denuncia il più recente documento dei vescovi italiani viene favorita da atteggiamenti di disimpegno, di passività e di immoralità nella vita politica amministrativa.

C’è infatti una mafiosità di comportamento quando ad esempio i diritti diventano favori, quando non contano i meriti, ma i legami di comparaggio politico. Ha aggiunto il vescovo di Foggia, Don Giuseppe Casale, all’indomani dell’ uccisione del costruttore Nicola Ciuffreda avvenuta il 15 settembre scorso: Il sangue degli innocenti non può essere versato invano ed ha quindi esortato i cattolici a denunciare ogni tentativo mirante a creare un clima di paura e di omertà.

 

 

 

Articolo di La Repubblica del 22 Novembre 2002
Lo Stato vuole il rimborso dagli assassini di Panunzio
di Mara Chiarelli

Energie profuse in abbondanza, risorse finanziarie puntualmente reperite, e poi vuoi mettere il danno morale che lo Stato ha subito a causa dell’attività mafiosa dei clan foggiani tra l’89 e il ’92? A distanza di tre anni dalla sentenza definitiva che inchiodò i 36 mafiosi, responsabili tra l’altro dell’omicidio degli imprenditori foggiani Nicola Ciuffreda e Giovanni Panunzio, lo Stato ne chiede conto.

Rappresentati dall’ avvocato Filippo Patella, la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell’Interno, costituitisi parti civili nel giudizio, hanno presentato al giudice civile (l’udienza si terrà il 28 febbraio) una cospicua richiesta di risarcimento danni: ben 11 milioni di euro, dei quali 10 per riparare il danno morale.

«La costituzione dell’associazione mafiosa nel territorio foggiano e lo svolgimento dell’attività associativa – scrive il legale – hanno indubitabilmente scosso l’opinione pubblica in generale, e la popolazione della provincia di Foggia in particolare. Quest’ultima ha dovuto subire gravemente e pesantemente la forza intimidatrice dell’associazione, sicché ha finito col dubitare della capacità dello Stato di porre in essere idonee, appropriate e soprattutto immediate contromisure, finalizzate non solo a rintuzzare il fenomeno criminoso ma a debellarlo in via definitiva».

Non vanno sottovalutate, peraltro, le risorse finanziarie impegnate dallo Stato per attuare «strategie capaci di fare da contrappeso agli effetti del sodalizio criminoso». Si riferisce anche all’istituzione del fondo, con denaro pubblico, «per fronteggiare le esigenze delle persone vittime di estorsioni e usura» che hanno così evitato il tracollo finanziario. Sono invece di natura patrimoniale i danni (un milione di euro), chiesti per conto del ministero dell’interno, della prefettura e questura di Foggia che avviarono iniziative per fronteggiare il fenomeno criminale.

Un esempio? «I costi elevatissimi che l’ amministrazione dell’interno – scrive l’ avvocato Patella – ha dovuto sopportare per garantire, mediante appostamento di uomini e mezzi, la protezione del collaboratore di giustizia Salvatore Chiarabella». E ancora, «la protezione e l’assoluta incolumità del testimone chiave del processo, quel Mario Nero le cui dichiarazioni hanno permesso di individuare in Donato Delli Carri l’autore materiale dell’ omicidio dell’imprenditore foggiano Giovanni Panunzio. Quel Mario Mero – si legge ancora – che, dato il suo peso probatorio nel processo penale e il pericolo di vita nel quale incorreva (e forse tuttora incorre), è stato fatto trasferire, insieme con i suoi familiari, in località segreta dove ha mutato persino le proprie generalità per sfuggire a possibili rappresaglie da parte dei malavitosi foggiani».

 

 

 

Foto da: vivi.libera.it

Fonte: vivi.libera.it
Articolo del 14 settembre 2019
Nicola tornò ad essere vivo
di Federica Bianchi

Il nome di Nicola Ciuffreda lo avevamo sentito fare quando si parlava di costruttori ammazzati dalla mafia per essersi ribellati al racket delle estorsioni, ma ben poco si sapeva di lui.

L’unica certezza era che il suo nome era inserito nella “sentenza Panunzio” dove, in maniera cristallina, si decretava che la sua uccisone era stata decisa dalle stesse persone che avevano poi, due anni dopo, ordinato di freddare un altro imprenditore, Giovanni Panunzio. Una sentenza importante per la città di Foggia perché riconobbe, per la prima volta, la natura mafiosa della “Società Foggiana”, che già dalla fine degli anni ‘80 si era infiltrata nell’economia sana della città, in particolare nell’edilizia.

Ma la famiglia di Nicola era sempre stata molto riservata e noi scegliemmo di rispettare quel silenzio, quel dolore così grande che non gli permetteva di parlare pubblicamente dell’accaduto ma che, invece, li spingeva a chiudersi a testa bassa nelle proprie vite, provando a ricucire una ferita troppo profonda. Eppure, nel profondo rispetto di questo dolore, abbiamo sempre sentito il dovere morale di fare memoria di Nicola, di scandire il suo nome quando parlavamo delle vittime innocenti delle mafie, soprattutto in terra di capitanata, e con ancor più forza nella sua amata città di Foggia, che da troppi anni aveva invece scelto di dimenticare un pezzo così importante della sua storia.

E così venne un giorno in cui, a margine di uno dei tanti incontri di preparazione della “XXIII Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti della mafie” che si sarebbe tenuta proprio a Foggia, un uomo timido e riservato si avvicinò a noi e, con voce tremante e occhi lucidi, ci disse il suo nome: “Sono Roberto Ciuffreda, figlio di Nicola”.

Riuscì ad aggiungere solo poche parole, un grazie, sentito e profondo, per aver ricordato suo papà in tutti quegli anni trascorsi dalla sua uccisione, per aver restituito un pizzico di verità e dignità a quella storia troppo a lungo ignorata e dimenticata da tutti, per averli fatti sentire memo soli.

A seguito di quell’incontro Roberto ci inviò una lettera, carica di emozione, in cui ci raccontava la vicenda che li aveva travolti. Quella storia di cui noi conoscevamo solo il tragico epilogo o poco più, diventava all’improvviso completa. Nicola Ciuffreda non era più solo un nome letto nelle pagine di cronaca locale ma acquisiva finalmente tutti i colori di una persona vera. Nicola tornò ad essere vivo.

Arrivò il 21 marzo, e sotto una pioggia battente cominciò la lettura degli oltre 1000 nomi delle vittime innocenti delle mafie. La piazza era gremita, il corteo riempiva anche le arterie laterali. Era tutto un susseguirsi di volti, di occhi lucidi e mani strette. Per la prima volta davanti a più di 40mila persone, fu letto anche il nome di Nicola. Fu come un boato, una voce libera si alzò dal palco fino a raggiungere tutte le vie della città e le altre piazze collegate nel resto d’Italia. Finalmente la città di Foggia riabbracciava il suo con – cittadino che da troppo tempo aveva dimenticato.

L’impegno di quel giorno, le emozioni che ne scaturirono – aggiungendosi al prezioso e costante lavoro svolto negli anni dal coordinamento provinciale, da altri familiari di vittime innocenti e da volontari – ci convinsero a fare di più. Fu così che decidemmo di dar vita al primo presidio cittadino di Libera a Foggia. La scelta di intitolarlo a Nicola Ciuffreda e a Francesco Marcone venne da sé: due uomini di questa stessa terra, due lavoratori, due padri, che hanno saputo vincere la paura scegliendo di stare dalla parte giusta. La loro memoria ricorda a tutti noi la possibilità di scegliere; ci ricorda che ciascuno può incontrare la mafia, ma quello che cambia è l’elemento della scelta su come reagire, perchè solo insieme possiamo fare la differenza.

La storia di Nicola e della sua famiglia racchiude il valore profondo della memoria e della vicinanza alle famiglie delle persone vittime, richiamandoci quotidianamente al nostro impegno per sottolineare con forza che tutte le vittime innocenti delle mafie hanno la stessa dignità, anche se spesso sono oggetto di rimozione da parte dell’opinione pubblica.

La famiglia di Nicola, assieme a quella di Francesco, sono parte integrante di quel Presidio, che ogni settimana si incontra per costruire antimafia sociale, per liberare bellezza e provare a realizzare un sogno: rendere Foggia una città libera dalla mafia.

 

 

Fonte:  vivi.libera.it
Nota del 13 settembre 2020
Nicola Ciuffreda: 30 anni dopo il senso di giustizia del figlio

Ci sono delle date che appartengono alla memoria di una famiglia, generalmente sono date felici: compleanno, anniversario e battesimi. La nostra data quella che ci riunisce in un silenzio triste, in un dolore sordo è il 14 Settembre 1990.
Mio padre Nicola Ciuffreda morì il 14 Settembre 1990 due anni prima del giudice Falcone.
Giovanni Falcone è un eroe italiano, un uomo che ha dimostrato con la propria vita, prima che con la morte, come essere servitori leali del proprio Paese.
Mio padre un uomo che ha dimostrato coerenza e forza, perché la forza è vivere il quotidiano nonostante tutto, non voglio assolutamente che mio padre venga considerato al pari di Falcone ma purtroppo per noi, per il nostro paese l’epilogo è stato comune.
Questo ci dovrebbe far riflettere che la forza di queste organizzazioni chiamate in modo diverso, rispetto all’origine territoriale, ma sempre uguali nei loro principi, notevole perché sono coesi, invece Noi??
Ricordare non è sufficiente, cerchiamo di cambiare la visione delle cose, facciamolo fare alle istituzioni ai nostri figli, non ci abituiamo alle storture morali perché solo così si potrà costruire una cordata di sostegno per tutti.
Li hanno ammazzati fisicamente ma moralmente le loro idee e il loro senso del dovere devono continuare a camminare nelle gambe dei nostri giovani: questo vuol dire ricordare oggi. Dobbiamo ricordare in famiglia, nelle scuole, tutti i giorni dell’anno. Noi genitori con i docenti e le associazioni, abbiamo l’obbligo morale di testimoniare la verità in un clima dove prevalgono sempre più l’indifferenza, il silenzio, la falsità che fanno prosperare e rendere ogni giorno più forte il potere mafioso. Solo in questo modo potremo testimoniare degnamente senza paura.
Le nuove mafie temono il libero pensiero e chi lo pratica, perciò non dobbiamo combattere solo la mafia ma anche l’agire mafioso.
Trent’anni dalla sua morte il suo ricordo vivo dentro di me, il dolore vivo dentro di me ma con una speranza che domani potrò fare qualcosa, potrò dare voce al mio senso di giustizia.

Tuo Figlio Roberto Ciuffreda

 

 

 

Nicola Ciuffreda – Foto da mafie.blogautore.repubblica.it

Leggere anche:

 

 

mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 20 ottobre 2020
Nicola che disse “no” al pizzo
di Francesca Carbotti

 

 

 

vivi.libera.it
Nicola Ciuffreda – 14 settembre 1990 – Foggia (FG)
La sua vicenda di vita è emblematica della storia della città di Foggia perché quello dell’edilizia è stato per molti anni il settore di maggiore sviluppo economico. Ma la risposta di Nicola è significativa perché è stato lui per primo, con il suo rifiuto di pagare, a togliere il velo sul sottobosco mafioso che preme e distorce il mercato delle case a Foggia. Nicola Ciuffreda di fatto, con la sua vita ha difeso la possibilità di lavorare, di fare imprenditoria a Foggia come uomini e donne liberi.

 

 

corrieredelmezzogiorno.corriere.it
Articolo dell’11 settembre 2021
Ciuffreda, ucciso dalla mafia a Foggia Il figlio: «Lasciati soli e senza aiuto»
L’imprenditore ucciso nel 1990 per aver detto no al racket. «È stata una esecuzione. È stato ucciso perché ha osato ribellarsi e bisognava dare un segnale»
di Luca Pernice

 

 

 

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *