15 Luglio 1982 Napoli. Ucciso il Vice questore Antonio Ammaturo e l’Agente Pasquale Paola, suo autista.
Probabilmente Antonio Ammaturo, coriaceo dirigente della Squadra Mobile di Napoli, aveva intuito un contatto forte tra camorra e brigate rosse. Relazionò su quei fatti, ma non fece in tempo a proseguire le sue indagini, nel pomeriggio del 15 luglio del 1982 fu trucidato insieme a Pasquale Paola, il poliziotto che aveva al suo fianco. Ammaturo, irpino, nato a Contrada l’11 luglio del 1925, una laurea in legge ed una serie di concorsi vinti in Polizia e Magistratura, era il poliziotto per antonomasia, fiuto, carattere, cuore. Scelse la Polizia non a caso, prima a Bolzano, perchè forte conoscitore della lingua tedesca, poi ad Avellino, Benevento, Potenza, Giugliano, Gioia Tauro, Siderno, Cassino, quindi ai Commissariati di Mercato e Montecalvo di Napoli prima del suo passaggio alla Mobile. Visse uno degli anni tristi di Napoli, quello della lotta a Raffaele Cutolo, del terremoto, della rivolta di Poggioreale, degli assassini degli assessori regionali Amato e Delcogliano. I Brigatisi Rossi, ma forse anche i camorristi con i quali si erano alleati, lo freddarono a Piazza Nicola Amore a pochi passi da casa. Con lui scompare una delle figure forti del poliziotto servitore dello Stato.
Articolo da Pupia.TV Accadde Oggi
Telefono giallo – Il delitto Ammaturo – RaiPlay
Puntata del 5 marzo 1991
La puntata racconta un delitto, quello di Antonio Ammaturo, che secondo Augias “evoca una delle collusioni più vergognose della storia della nostra Repubblica”. Funzionario di polizia, nel solo 1973 Ammaturo viene promosso tre volte raggiungendo il grado di vice questore aggiunto; presta servizio presso il commissariato di Giugliano in Campania e poi in Calabria, a Gioia Tauro e a Siderno, dove si distingue per il suo impegno e per le sue doti investigative. Tornato in Campania, arresta ad Ottaviano Roberto Cutolo, figlio del boss della camorra Raffaele. Il 15 luglio 1982 viene ucciso a Napoli, sotto casa sua, insieme all’agente Pasquale Paola. I veri mandanti dell’omicidio non sono mai stati identificati con chiarezza: dietro il delitto si cela una storia di intrighi legati al rapimento da parte delle BR dell’uomo politico Ciro Cirillo, il cui misterioso rilascio vide l’intervento di Raffaele Cutolo e dei servizi segreti, nonché di una fitta rete di complici e interessi oscuri sui quali “Telefono giallo” cerca di far luce.
Tratto da: corriereirpinia.it
“Ucciso da Br e camorra”
Oggi a Contrada (AV) sarà ricordato Antonio Ammaturo vittima venti anni fa di un patto scellerato
Per Contrada quella di oggi è una giornata di grande sensibilità democratica: si ricorda, con presenze autorevolissime, Antonio Ammaturo, vice questore, ucciso a Napoli da quel patto scellerato tra Brigate Rosse e camorra per la liberazione di Ciro Cirillo, assessore regionale all’Urbanistica.
Ammaturo fu ucciso il 15 luglio del 1982, venti anni fa, a piazza Nicola Amore, nei pressi della sua abitazione, mentre, come ogni pomeriggio, si recava al suo lavoro in Questura. Perse la vita anche il suo autista, Pasquale Paola, come Ammaturo crivellato di colpi.
Quel giorno si consumò una delle pagine buie della nostra Repubblica.
E da quel giorno quella trattativa, avvenuta tra brigatisti e camorristi, rimane ancora avvolta nel grande mistero.
Negli anni seguenti ci sono stati strani omicidi, persone scomparse nel cemento, camorristi saltati in aria, rapporti dei servizi segreti deviati pronti a far sparire ogni prova.
Come il rapporto che Ammaturo inviò al Ministero per anticipare una sua intuizione sul possibile patto intervenuto tra poteri criminali.
Lo stesso rapporto Ammaturo lo inviò anche al fratello Grazio, ma anche questa volta si perse ogni traccia. E ancora oggi la famiglia chiede di sapere, pretende giustizia, si batte per conoscere la verità di quel drammatico luglio dell’82. Ammaturo era innamorato del suo paese, era la sua radice dalla quale non si staccò mai pur costretto ad allontanarsene nel suo lungo peregrinare per le questure d’Italia.
Il suo esempio di coraggio diventa oggi orgoglio di una intera comunità che intende ricordarlo alle nuove generazioni come servitore dello Stato, dalla parte della legalità.
Blu Notte Misteri Italiani – Antonio Ammaturo
Blu Notte Misteri Italiani 2001, 4° stagione, 5° puntata
Articolo del 15 Luglio 2012 da dallapartedellevittime.blogspot.it
ANTONIO AMMATURO E PASQUALE PAOLA UCCISI DALLE BR PER CONTO DELLA CAMORRA?
di Raffaele Sardo
La morte di Antonio Ammaturo e del suo autista, Pasquale Paola, è ancora avvolta da troppi misteri. Si dice che fu un “favore” delle Br al boss Raffaele Cutolo. Ammaturo aveva scoperto molte cose della trattativa tra lo Stato e le Br, per la liberazione dell’assessore regionale della Dc, Ciro Cirillo, avvenuto il 27 aprile del 1981. Trattativa fatta per il tramite della camorra,.Misteri che sono rimasti ancora tali.
Questo racconto che segue è tratto dal mio libro “Al di là della notte” edizione Tullio Pironti
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Suona il citofono. «Capo, sono io. L’aspetto giù». «Va bene. Scendo in un attimo, aspettami in auto». Pasquale Paola, l’agente di polizia scelto, quel giorno fa lui da autista al capo della squadra mobile, Antonio Ammaturo. Si conoscono da tempo. È uno degli uomini più fidati del vicequestore. La moglie, Ermelinda Lombardi, sta preparando il caffè. Ma il marito preferisce scendere subito, per non far aspettare Pasquale. La macchina, un’Alfetta bianca, una di quelle auto civetta della polizia che si fanno notare in giro, esce dall’edificio dove abita il vicequestore, in piazza Nicola Amore, a Napoli, al centro della città. Sono le sedici e quarantacinque del 15 luglio 1982. L’anno e il mese in cui l’Italia vince i mondiali in Spagna. Tutti gli italiani parlano solo degli azzurri di Bearzot. Anche in piazza Nicola Amore c’è tanta gente per strada e al bar si accendono appassionate discussioni calcistiche.
È un pomeriggio afoso. Pasquale, invece, è intento nel suo lavoro. Ma non s’accorge che ad aspettare Antonio Ammaturo non è il solo. Fuori il palazzo ci sono altre persone. È un commando di brigatisti rossi. Sono in missione di morte. Due armati con pistole e mitragliette. Altri due in auto. Sono in una Fiat 128 verde chiaro, che aspetta con il motore acceso. La vittima designata è proprio Antonio Ammaturo. Pasquale Paola sarà la seconda vittima. Da tempo pedinavano il capo della mobile. In uno dei covi delle BR scoperti un paio di anni prima proprio a Napoli, era stata trovata una scheda sul poliziotto: «Un funzionario con grande esperienza di polizia giudiziaria», era scritto, «il quale, tra l’altro, in una sola notte riuscì ad arrestare sull’Aspromonte sei latitanti». Antonio Ammaturo e l’autista Pasquale Paola hanno solo il tempo di mettersi in macchina, uscire dal palazzo e fare pochi metri. La Fiat 128 gli sbarra la strada. I due brigatisti armati gli si parano davanti. Indossano tute da meccanici. Fanno fuoco a ripetizione. Dieci, venti, trenta colpi. La sparatoria continua. Altri colpi partono dalla mitraglietta e dalla pistola. Per i due poliziotti non c’è niente da fare. La morte è istantanea. Scene di panico. La gente che corre per scappare. Un vigile urbano che è nei paraggi si accorge della sparatoria e reagisce. Spara alcuni colpi di pistola contro l’auto che sgomma a tutta velocità. I brigatisti cercano la fuga risalendo per via Duomo. Poi imboccano via Tribunali. Si infilano nei vicoli di Napoli. Passano per San Gregorio Armeno dove incrociano una pattuglia di “falchi”. Ne nasce un conflitto a fuoco. L’auto è colpita. Forse anche qualche brigatista è stato colpito. Nella sparatoria vengono feriti lievemente anche due passanti. Sono Giuseppina Scarano, di quarant’anni e Luciano Manzo, di diciannove. Nei vicoli è difficile continuare a correre con l’auto. I vicoli di Napoli si stringono.
Le auto non riescono a passare. Troppi ostacoli. Fine della corsa. I terroristi scappano a piedi. C’è sangue nell’auto e per terra. Qualcuno di loro è ferito. Scatta una gigantesca caccia all’uomo, ma senza esito. I brigatisti spariscono. Inghiottiti nei vicoli. Saranno aiutati da alcuni appartenenti alla camorra. In piazza Nicola Amore, intanto, arrivano numerose pattuglie della polizia. Sono tutti sbigottiti e increduli. Ermelinda Lombardi, la moglie di Ammaturo, ha sentito tutto il trambusto e i colpi d’arma da fuoco. Ha come un presentimento. Apre la porta e corre di corsa per le scale. La blocca un inquilino e l’abbraccia. A quel punto capisce che l’obiettivo dell’agguato è il marito. Scoppia a piangere. Vuole scendere per forza. Per vedere per l’ultima volta il suo Antonio.
«Quel giorno in cui fu ucciso mio padre, me lo ricordo come se fosse ieri», racconta Gilda, la figlia di Antonio Ammaturo. «Ero sul letto quando citofonò Pasquale Paola. Le sue ultime parole che sentii mentre scendeva dalle scale furono: “Ho fatto tardi”, e non prese nemmeno il caffè che mamma aveva preparato. Faceva un gran caldo e benché sapessi che non gli faceva piacere che ci si sedesse sopra il suo letto, io mi distesi lo stesso sopra, vedendo che andava via, ma quella volta non mi disse niente. Papà prese la giacca, salutò la mamma e scese subito. Mia madre mi ha raccontato che prima di attraversare il portone per uscire si voltò, aveva la giacca del vestito sul braccio, e con l’altro la salutò mentre lei dal balcone lo guardava andare via… Fu l’ultima volta che lo vedemmo e ascoltammo i suoi passi per la casa. Le raffiche di mitra le sentii nitide. Poi un silenzio assordante. C’era l’Italia che giocava i mondiali di calcio. Pensai che i tifosi volessero festeggiare. Ma fu un attimo. Il silenzio non corrispondeva alla gioia per l’Italia. Il cuore mi si gelò dentro. Capii che era accaduto qualcosa a mio padre. Non volevo crederci. Poi mia madre di corsa per le scale. E scoppiai a piangere. Fino a poco tempo fa», dice ancora Gilda, oggi funzionaria della Prefettura di Avellino, «non avevo il coraggio di ritornare nella piazza dove fu ucciso papà. La sua morte è una ferita che ancora non si è chiusa. Mio padre era una persona molto riservata e schiva», dice Gilda con la voce rotta dall’emozione, «gran parte della sua giornata la passava per strada. “Ordine pubblico”, davanti ai suoi uomini, nei lunghi cortei tra le assordanti manifestazioni dei “disoccupati organizzati” per i quali aveva sempre una parola di speranza ed un aiuto. Oppure passava le giornate tra le tende dei terremotati a cui la camorra stava togliendo anche il respiro, per il giro degli affari sporchi e degli appalti del post terremoto che solo papà ebbe il coraggio di denunciare, senza paura. Qualche giorno prima dell’agguato mi disse: “State vicino alla mamma. Aiutatela”. Forse aveva presagito qualcosa. Non so spiegarmi quelle sue parole pronunciate con grande riserbo mentre eravamo da soli a casa e non c’era nessuno presente. Il tono con cui le disse manifestava una sua segreta preoccupazione che non voleva fosse percepita da noi familiari. Ci teneva sempre al di fuori dei suoi problemi di lavoro e con noi non ne parlava mai, così come fece cancellare le minacce scritte sul portone di casa già alcuni mesi prima dell’attentato per non metterci in apprensione. Malgrado le difficoltà e la lontananza, visto che ha sempre lavorato in posti molto disagiati, e noi ci siamo ricongiunti solo con il suo trasferimento a Napoli, non ci ha fatto mancare mai la sua affettuosa presenza, con grandi sacrifici, e ci ha regalato un’infanzia dorata e felice».
Ammaturo non si occupava di politica. Si occupava solo di criminalità organizzata. Perciò la sua morte per mano delle Brigate Rosse è strana. Conosceva vita, morte e miracoli dei clan della camorra. Aveva contribuito a sgominare molti clan. Lo temevano, come lo temeva il boss di Ottaviano, Raffaele Cutolo, a cui aveva reso la vita difficile da quel 5 settembre 1981, giorno della sua nomina a capo della squadra mobile di Napoli. Pochi giorni dopo il suo insediamento fece irruzione nel castello di Ottaviano, roccaforte di Raffaele Cutolo, interrompendo un summit di camorra e arrestando tra gli altri il figlio del boss, Roberto. Ammaturo, in un’intervista al quotidiano «Paese Sera», aveva anche detto di Cutolo: «È completamente artefatto. Ogni parola che dice risuona subdola e carica di secondi fini. La sua fortuna è quella di aver trovato terreno fertile con i mali della città». Un affronto che Cutolo non riuscì a mandare giù. Il 27 aprile del 1981 c’era stato il rapimento dell’assessore regionale Dc, Ciro Cirillo. Cutolo aveva fatto da intermediario per farlo rilasciare. Alle BR erano state promesse armi e soldi.
A Cutolo condizioni di vita migliori nelle carceri e il trasferimento di numerosi camorristi. Antonio Ammaturo, che era un vero e proprio segugio e aveva le sue fonti confidenziali sparse per l’intera città, seppe che dietro la liberazione di Ciro Cirillo c’era stata una trattativa tra lo Stato e le BR che aveva avuto come intermediario Raffaele Cutolo. Al fratello Grazio, parlò di un dossier che aveva compilato e che gli aveva spedito. Un altro lo spedì al Ministero dell’Interno. «Sono cose grosse. Napoli tremerà», gli aveva confidato il giorno prima della sua morte.
Quei dossier non si sono mai trovati. E, forse, dietro la sua uccisione c’è anche questa sua attività di ricostruzione della “trattativa”. All’epoca si parlò molto di un «favore fatto» a Cutolo da parte delle BR. Ma questo non è stato mai dimostrato. L’uccisione di Antonio Ammaturo e Pasquale Paola verrà rivendicata dalle BR, partito della guerriglia. Antonio Ammaturo aveva cinquantasette anni quando fu ucciso. Era sposato con Ermelinda Lombardi, da cui aveva avuto tre figlie: Gilda, Maria Cristina e Grazia. Era nato a Contrada, in provincia di Avellino, l’11 gennaio 1925. Laureato in giurisprudenza, divenne funzionario di polizia nel 1955. Prestò servizio presso la Questura di Avellino. Gli anni che lo formano e gli faranno acquisire tanta esperienza sul campo saranno quelli alla guida del Commissariato di Giugliano. Otto anni in una terra dove il clan di Alfredo Maisto la faceva da padrone. Ammaturo raccontò che, poco dopo il suo arrivo a Giugliano, incontrò il boss in un motel. Alfredo Maisto si considerava un perseguitato della polizia e diceva di essere una brava persona. «Su di me ci sono solo tante dicerie». Maisto gli mostrò delle foto che lo ritraevano con dei politici ad un congresso della Democrazia cristiana. Quelle foto le esibì quasi come un salvacondotto. Ma Ammaturo non si lasciò impressionare. Qualche tempo dopo, arrestò il boss. Tornò a Napoli il primo dicembre 1976. Gli venne affidata prima la direzione del commissariato Mercato e poi di quello di Montecalvario. Il 5 settembre 1981 fu scelto come dirigente della squadra mobile di Napoli. Era «un uomo duro dal cuore d’oro». E questo lo riconoscevano anche molti di quelli che lui aveva arrestato. Difatti in tanti erano presenti ai suoi funerali.
Due mesi prima della sua morte, ad un giornalista che gli chiedeva perché non avesse la scorta, aveva risposto: «Auto blindata? Certo, è più sicura. Ma quando “quelli” hanno deciso di farti fuori, non c’è auto blindata che tenga. Lo sa lei dove abito io? Vivo con la mia famiglia a meno di duecento metri in linea d’aria dal cuore di Forcella. In un posto così l’auto blindata è inutile». Proprio la mattina del 15 luglio ’82 la polizia aveva arrestato Luigi Giuliano, il re di Forcella. Pasquale Paola, l’agente scelto, di anni ne aveva trentadue. La giovane moglie, Raffaella Bonito, solo ventiquattro. Era originario di Vico Equense. Dal 1977 faceva l’autista di scorta. Era uno che ci sapeva fare. E la sua grande corporatura rassicurava tutti quelli che lo avevano vicino. Il suo era un lavoro che non si notava, ma di grande apporto. Proveniva dalla scuola di Polizia di Nettuno. Poi era passato alla sezione investigativa con compiti di scorta. Due anni prima era stato promosso guardia scelta. La giovane moglie era preoccupata di questo suo nuovo incarico, ma lui che aveva sempre la battuta pronta per sdrammatizzare anche le situazioni più difficili, l’aveva rassicurata. Ma contro le armi delle BR non era bastata né la sua stazza fisica, né la sua professionalità.
Le spoglie di Pasquale Paola si trovano nel cimitero di Vico Equense. Lì c’è una targa con questa scritta: «Qui riposano le spoglie mortali dell’agente scelto della Polizia di Stato Paola Pasquale. Per il giusto merito, riconoscimento e prestigio della polizia distintesi con la sua vita. Severo servitore dello Stato, insignito di medaglia d’oro al valore civile. Caduto nell’adempimento al dovere il 15.07.1982 in un agguato terroristico a Napoli. A ricordo dei posteri questi grandi eroi non dovranno mai essere dimenticati per il nostro caro congiunto sicuro che può essere di sollievo alla sua anima immortale e di ammonimento alle nostre coscienze». «Ancora oggi la morte di mio padre resta senza un perché», dice con disappunto Gilda. «Troppe cose non chiare. Troppi misteri. Il fatto che riesca a parlarne, però, mi aiuta a elaborare il lutto. Ci riesco da tre anni grazie a Libera, l’associazione di don Luigi Ciotti. Mi ha aiutato molto. Grazie a loro ho incontrato tanti bambini e ragazzi nelle scuole della provincia di Avellino. A loro ho parlato di mio padre e del suo lavoro come funzionario dello Stato. Ho parlato dei suoi valori. Un esempio di vita per i giovani di oggi. “Un poliziotto duro dal cuore d’oro” che è stato sempre fiero di servire lo Stato».
Ad Antonio Ammaturo e Pasquale Paola è stata assegnata la medaglia d’oro al valor civile.
Antonio Ammaturo – eroe ucciso da camorra e brigate rosse.
ilovenaples2007
Antonio Ammaturo, ucciso a seguito di un patto della camorra e delle brigate rosse.
Fonte: napoli.repubblica.it
Articolo del 14 luglio 2019
Napoli, il Premio per Antonio Ammaturo
La manifestazione – ospitata nella splendida struttura dell’Università Federico II, dopo i saluti del rettore Gaetano Manfredi – vedrà la partecipazione di numerose autorità civili e militari e sarà animata da un dibattito, moderato dalla inviata di “Repubblica” Conchita Sannino, al quale parteciperanno oltre al questore Alessandro Giuliano e del capo della polizia Franco Gabrielli, anche il procuratore della Repubblica di Napoli Gianni Melillo, l’ex presidente del Tribunale di Napoli Carlo Alemi ( che fu giudice istruttore del processo e tenace indagatore dei patti scellerati stretti tra terroristi e camorristi), oltre che Mariacristina Ammaturo, una delle figlie del dirigente ucciso
Aveva visto, con qualche decennio di anticipo rispetto all’introduzione della norma, il voto di scambio politico- mafioso. In un’epoca di omertà e silenzi incrociati, aveva denunciato le connessioni tra la sete di appalti delle cosche e le strategie d’espansione della politica guasta. “( I clan, ndr) hanno bisogno dell’uomo politico. E l’uomo politico, specie sotto elezione, ha bisogno di questa gente” , indicava Antonio Ammaturo, allora capo della Squadra Mobile di Napoli.
Poco dopo, il 15 luglio 1982, veniva ucciso in piazza Nicola Amore, insieme con l’agente scelto, suo autista, Pasquale Paola. Trentasette anni fa. Bersagli – insieme – della viltà criminale delle Br, e di un intreccio di interessi dei terroristi con la camorra cutoliana, su cui la giustizia non è mai riuscita ad ottenere certezze. Un sacrificio che domani alle 11 sarà ricordato, ancora una volta, con la giornata dedicata al Premio Ammaturo, che si svolgerà nel complesso monumentale dei Santi Marcellino e Festo, in centro storico, alla presenza del questore Alessandro Giuliano e del capo della polizia Franco Gabrielli.
La manifestazione – ospitata nella splendida struttura dell’Università Federico II, dopo i saluti del rettore Gaetano Manfredi – vedrà la partecipazione di numerose autorità civili e militari e sarà animata da un dibattito, moderato dalla inviata di “Repubblica” Conchita Sannino, al quale parteciperanno oltre a Giuliano e a Gabrielli, anche il procuratore della Repubblica di Napoli Gianni Melillo, l’ex presidente del Tribunale di Napoli Carlo Alemi ( che fu giudice istruttore del processo e tenace indagatore dei patti scellerati stretti tra terroristi e camorristi), oltre che Mariacristina Ammaturo, una delle figlie del dirigente ucciso. Un documento video toccante, ed inedito, mostrerà per la prima volta immagini private familiari di Ammaturo e ripercorrerà, con proprie dichiarazioni ai giornali e l’audio di una intervista radiofonica, le analisi lucide pronunciate dall’allora capo della Mobile.
“Cutolo? Un cialtrone. Ma ha fortuna in una società che non funziona ” , disse a Paese Sera. Parole che, insieme all’arresto del figlio del super padrino, dovettero contribuire alla sua condanna a morte. “Ammaturo è stato un precursore, ha visto e inquadrato in anticipo dinamiche criminali che noi oggi diamo per scontate. Anche per questo, oltre che per il suo sacrificio, costituisce un esempio per tutti noi. Il Premio si ripropone di tenerlo vivo, è fondamentale ricordare la sua azione e il suo coraggio “, sottolinea il questore Giuliano. Ulteriore momento di riflessione sarà la partecipazione dell’attore Renato Carpentieri. Al termine, verranno premiate tre operazioni di polizia particolarmente meritevoli.
Fonte: ilmattino.it
Articolo del 14 luglio 2019
Vico Equense, il ricordo dell’agente Pasquale Paola e dell’allora capo della squadra mobile di Napoli Ammaturo
di Antonio Siniscalchi
VICO EQUENSE – Il 15 luglio 1982, Antonio Ammaturo, allora capo della Squadra mobile di Napoli veniva ucciso in piazza Nicola Amore, insieme con l’agente scelto, suo autista, Pasquale Paola. Trentasette anni fa. Bersagli – insieme – della viltà criminale delle Br, e di un intreccio di interessi dei terroristi con la camorra cutoliana, su cui la giustizia non è mai riuscita ad ottenere certezze. Un sacrificio che domani pomeriggio, alle 17 sarà ricordato al cimitero di San Francesco di Vico Equense.
Pasquale Paola, originario di Vico Equense aveva 32 anni quando fu ucciso e sin da ragazzino aveva dimostrato uno sviscerato amore per la divisa. La indossò per la prima volta nel 1970, quando entrò nella Polizia. Dopo aver frequentato la scuola di allievi di Alessandria e la scuola sottufficiali di Nettuno, prestò servizio a Torino, Novara e, infine, presso la Questura di Napoli. Nel 1981 fu premiato per servizio di Polizia giudiziaria di speciale importanza.
Con decreto del Presidente della Repubblica, in data 3 maggio 1984, alla memoria dell’agente Pasquale Paola, fu conferita la medaglia d’oro al valore civile con la seguente motivazione: «Autista di funzionario di pubblica sicurezza impegnato in rischiose operazioni di Polizia giudiziaria, assolveva il proprio compito con serena dedizione ed alto senso del dovere, pur consapevole dei rischi personali connessi con la recrudescenza degli attentati contro i rappresentanti delle Forze dell’ordine. Riportava mortali lesioni in un feroce e proditorio agguato sacrificando la vita a difesa dello Stato e delle istituzion»”.
Le sue spoglie riposano nel cimitero di San Francesco, e sulla lastra di marmo che le racchiude è scritto «A ricordo dei posteri questi grandi eroi non dovranno mai essere dimenticati».