15 Settembre 1993 Palermo. Assassinato Padre Pino Puglisi a causa del suo costante impegno evangelico e sociale.

Foto da da La Sicilia

Don Giuseppe Puglisi, meglio conosciuto come padre Pino Puglisi (Palermo, 15 settembre 1937 – Palermo, 15 settembre 1993), è stato un presbitero italiano, ucciso da Cosa nostra il giorno del suo 56º compleanno a motivo del suo costante impegno evangelico e sociale.
La sua lotta alla mafia inizia il 29 settembre 1990 quando venne nominato parroco a San Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo, controllato dalla criminalità organizzata attraverso i fratelli Graviano, capi-mafia legati alla famiglia del boss Leoluca Bagarella.
Egli non tentò di portare sulla giusta via coloro che erano già entrati nel vortice della mafia, ma cercò di non farvi entrare i bambini che vivevano per strada e che consideravano i mafiosi degli idoli, persone che si facevano rispettare. Egli infatti, attraverso attività e giochi, fece capire loro che si può ottenere rispetto dagli altri anche senza essere criminali, semplicemente per le proprie idee e i propri valori. Si rivolse spesso ai mafiosi durante le sue omelie, a volte anche sul sagrato della chiesa.
Don Puglisi tolse dalla strada ragazzi e bambini che, senza il suo aiuto, sarebbero stati risucchiati dalla vita mafiosa, e impiegati per piccole rapine e spaccio. Il fatto che lui togliesse giovani alla mafia fu la principale causa dell’ostilità dei boss, che lo consideravano un ostacolo. Decisero così di ucciderlo, dopo una lunga serie di minacce di morte di cui don Pino non parlò mai con nessuno.
Il 25 maggio 2013, sul prato del Foro Italico di Palermo, davanti ad una folla di circa centomila fedeli, è stato proclamato beato. La celebrazione è stata presieduta dall’arcivescovo di Palermo, cardinale Paolo Romeo, mentre a leggere la lettera apostolica, con cui si compie il rito della beatificazione, è stato il cardinale Salvatore De Giorgi, delegato da papa Francesco. (Wikipedia)
È il primo ecclesiastico riconosciuto martire della Chiesa ucciso dalla mafia.

 

 

 

Foto e fonte:  padrepinopuglisi.diocesipa.it

Don Giuseppe Puglisi nasce nella borgata palermitana di Brancaccio, cortile Faraone numero 8, il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio, Carmelo, e di una sarta, Giuseppa Fana, e viene ucciso dalla mafia nella stessa borgata il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno.

Entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e viene ordinato sacerdote dal cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio 1960 nella chiesa-santuario della Madonna dei Rimedi. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e dal 27 novembre 1964 opera anche nella vicina chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi a Romagnolo.

Dal 1962 è anche confessore delle suore basiliane Figlie di Santa Macrina nell’omonimo istituto.
Inizia anche l’insegnamento: al professionale Einaudi (1962-63 e 64-66) alla media Archimede (63-64 e 66-72), alla media di Villafrati (70-75) e alla sezione staccata di Godrano (75-77), al magistrale Santa Macrina (76-79) e infine al liceo classico Vittorio Emanuele II (78-93).

Nel 1967 è nominato cappellano presso l’istituto per orfani “Roosevelt” all’Addaura e vicario presso la parrocchia Maria Santissima Assunta a Valdesi.
Nel 1969 è nominato vicerettore del seminario arcivescovile minore. Nel settembre di quell’anno partecipa a una missione nel paese di Montevago, colpito dal terremoto.

Sin da questi primi anni segue in particolare modo i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città.
Segue con attenzione i lavori del Concilio Vaticano II e ne diffonde subito i documenti tra i fedeli, con speciale riguardo al rinnovamento della liturgia, al ruolo dei laici, ai valori dell’ecumenismo e delle chiese locali. Il suo desiderio fu sempre quello di incarnare l’annunzio di Gesu’ Cristo nel territorio, assumendone quindi tutti i problemi per farli propri della comunità cristiana.

Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo – segnato da una sanguinosa faida – dove rimane fino al 31 luglio 1978, riuscendo a riconciliare le famiglie dilaniate dalla violenza con la forza del perdono.
In questo periodo unisce le forze anche con Lia Cerrito e altri volontari del movimento Crociata del Vangelo (dal 1987 Presenza del Vangelo), fondato dal frate minore siciliano Placido Rivilli.

In questi anni segue pure le battaglie sociali di un’altra zona degradata della periferia orientale della città, lo “Scaricatore”, in collaborazione con il centro della zona dei Decollati gestito dalle Assistenti sociali missionarie, tra cui Agostina Ajello.

Il 9 agosto 1978 è nominato pro-rettore del seminario minore di Palermo e il 24 novembre dell’anno seguente è scelto dall’arcivescovo Salvatore Pappalardo come direttore del Centro diocesano vocazioni. Il 24 ottobre 1980 è nominato vice delegato regionale del Centro vocazioni e dal 5 febbraio 1986 è direttore del Centro regionale vocazioni e membro del Consiglio nazionale.
Agli studenti e ai giovani del Centro diocesano vocazioni ha dedicato con passione lunghi anni realizzando, attraverso una serie di “campi scuola”, un percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico e cristiano.

A Palermo e in Sicilia è stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra cui: Presenza del Vangelo, Azione cattolica, Fuci, Equipes Notre Dame, Camminare insieme. Dal maggio del 1990 svolge il suo ministero sacerdotale anche presso la “Casa Madonna dell’Accoglienza” a Boccadifalco, dell’Opera pia Cardinale Ruffini, in favore di giovani donne e ragazze-madri in difficoltà.

Il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a San Gaetano, a Brancaccio, e dall’ottobre del 1992 assume anche l’incarico di direttore spirituale del corso propedeutico presso il seminario arcivescovile di Palermo. Il 29 gennaio 1993 inaugura a Brancaccio il centro “Padre Nostro”, che diventa il punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere.
In questo periodo viene aiutato anche da un gruppo di suore, tra cui suor Carolina Iavazzo, e dal viceparroco, Gregorio Porcaro. Collabora con i laici della zona dell’Associazione Intercondominiale per rivendicare i diritti civili della borgata, denunciando collusioni e malaffari e subendo minacce e intimidazioni.

Viene ucciso sotto casa, in piazzale Anita Garibaldi 5, il giorno del compleanno, 15 settembre 1993.
La salma è tumulata presso il cimitero di Sant’Orsola, nella cappella di Sant’Euno, di proprietà dell’omonima confraternita laicale.

La sua attività pastorale – come è stato ricostruito anche dalle inchieste giudiziarie – ha costituito il movente dell’omicidio, i cui esecutori e mandanti mafiosi sono stati arrestati e condannati con sentenze definitive.
Per questo già subito dopo il delitto numerose voci si sono levate per chiedere il riconoscimento del martirio.

Nel ricordo del suo impegno, innumerevoli sono le scuole, i centri sociali, le strutture sportive, le strade e le piazze a lui intitolate a Palermo, in tutta la Sicilia, in Italia.
Commemorazioni e iniziative si sono tenute anche all’estero, dagli Stati Uniti al Congo, all’Australia.
A partire dal 1994 il 15 settembre, anniversario della sua morte, segna l’apertura dell’anno pastorale della diocesi di Palermo.

Il 15 settembre 1999, a dieci anni dal delitto, il Cardinale Salvatore De Giorgi ha insediato il Tribunale ecclesiastico diocesano per il riconoscimento del martirio. L’indagine è stata conclusa a livello diocesano nel maggio 2001 e l’incartamento è stato inviato presso la Congregazione per le Cause dei Santi in Vaticano, che lo ha in esame.

Un “Archivio Puglisi” di scritti editi ed inediti, registrazioni, testimonianze e articoli si è costituito presso il Centro diocesano vocazioni in via Matteo Bonello a Palermo ( 091-334669 ).

La sua vita e la sua morte sono state testimonianze della sua fedeltà all’unico Signore e hanno disvelato la malvagità e l’assoluta incompatibilità della mafia con il messaggio evangelico.

 

 

 

Fonte Wikipedia 
Le circostanze della morte

Il 19 giugno 1997 viene arrestato a Palermo il latitante Salvatore Grigoli, accusato di diversi omicidi tra cui quello di don Pino Puglisi. Poco dopo l’arresto Grigoli comincia a collaborare con la giustizia, confessando 46 omicidi tra cui quello di don Puglisi. Grigoli, che era insieme a un altro killer, Gaspare Spatuzza, gli sparò un colpo alla nuca. Dopo l’arresto egli sembra intraprendere un cammino di pentimento e conversione. Lui stesso ha raccontato le ultime parole di don Pino prima di essere ucciso: un sorriso e poi un criptico “me lo aspettavo”. Condannato a 16 anni dalla Corte d’Assise di Palermo, è stato scarcerato nel 2000 dopo aver scontato una pena effettiva inferiore a due anni di reclusione. Mandanti dell’omicidio furono i capimafia Filippo e Giuseppe Graviano, arrestati il 26 gennaio 1994. Giuseppe Graviano viene condannato all’ergastolo per l’uccisione di don Puglisi il 5 ottobre 1999. Il fratello Filippo, dopo l’assoluzione in primo grado, viene condannato in appello all’ergastolo il 19 febbraio 2001. Condannati all’ergastolo dalla Corte d’assise di Palermo anche Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, gli altri componenti del commando che aspettò sotto casa il prete.

Sulla sua tomba, nel Cimitero di Sant’Orsola a Palermo, sono scolpite le parole del Vangelo di Giovanni: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

 

 

 

Fonte:  giovaniemissione.it
Don Luigi Ciotti: La parabola di don Pino

“Entrato nella città di Gerico, Gesù la stava attraversando” (Lc 19, 1)

Gesù percorreva quelle strade attento non soltanto a incontrare la folla che gli era attorno, ma anche chi, a causa della ressa, non riusciva a vederlo: Zaccheo. Un Gesù che attraversa le strade del suo tempo è, probabilmente, il più bel ricordo di don Giuseppe  Puglisi ucciso a Palermo esattamente un anno fa, nel giorno del suo compleanno.

Lo hanno ucciso in “strada”. Dove viveva, dove incontrava i “piccoli”, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti,  con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso:  perché un modo così radicale di abitare la “strada” e di esercitare il ministero del parroco è scomodo.

Lo hanno ucciso nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione. Ricordare quel momento significa non soltanto “celebrare”, ma prima di tutto alzare lo sguardo, far nostro l’impegno di don Giuseppe, raccogliere quell’eredità con la stessa determinazione, con identica passione e uguale umiltà.

Cosa ci ha consegnato don Giuseppe? Innanzitutto il suo modo di intendere e di vivere la parrocchia, di essere parroco. Non ha pensato, infatti, la parrocchia unicamente come la “sua” comunità di fedeli, come comunità di credenti slegata dal contesto storico e geografico in cui è inserita. L’ha vissuta, prima di tutto, come territorio, cioè come persone chiamate a condividere uno spazio, dei tempi e dei luoghi di vita. Per partecipare alla vita di chi gli era vicino ha accettato di percorrere e ripercorrere le strade del rione Brancaccio. Ha vissuto la strada -quella strada che Gesù ha fatto sua- come luogo di povertà, di bisogni, di linguaggi, di relazioni e di domande in continua trasformazione. L’ha abitata così e ha tentato, a ogni costo, di restarvi fedele.

In altre parole, ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia. Con la sua testimonianza don Pino ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio. Non il silenzio di chi rinuncia a parlare e denunciare, ma quello di chi, per la scelta dello “stare” nel suo territorio, rifiuta le passerelle o gli inutili proclami. “Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5, 10).

Anche questo ci ha consegnato don Giuseppe: una grande passione per la giustizia, una direzione e un senso per il nostro essere Chiesa e soprattutto un invito per le nostre parrocchie ad alzare lo sguardo, a dotarsi di strumenti adeguati e incisivi per perseguire quella giustizia e quella legalità che tutti, a parole, desideriamo. Per questo don Giuseppe è  morto: perché con l’ostinata volontà del cercare giustizia è andato oltre i confini della sua stessa comunità di credenti.

“Entrato in casa di uno dei capi dei farisei, Gesù…” (Lc 14, 1). Ecco un  altro aspetto ricco di significati. Al di là dei princìpi o delle roboanti dichiarazioni ciò che conta è la capacità di viverli e di praticarli nella quotidianità.

Don Puglisi non è stato ucciso perché dal pulpito della sua chiesa annunciava princìpi astratti, ma perché ha voluto uscire dalla loro genericità per testimoniarli nella vita quotidiana, dove le relazioni e i problemi assumono la dimensione più vera.

 

 

 

 

 

Intervista a Padre Puglisi

 

 

 

l’uomo che sparava dritto (estratto) – 28 maggio 2007
documentario/backstage su don puglisi realizzato durante le riprese del film “alla luce del sole” di roberto faenza a palermo

 

 

Foto da padrepinopuglisi.diocesipa.it

 

Articolo del 18 Settembre 2011 da La Sicilia
Sorrise e disse: «Me l’aspettavo»
di Dino Paternostro
Fu questa l’ultima frase pronunciata da padre Pino Puglisi la sera del 15 settembre 1993, quando fu ucciso. Il sacerdote si batteva con tutte le sue forze per strappare i giovani e i bambini del quartiere alla nefasta influenza della mafia.

La sorte di padre Pino Puglisi, parroco della parrocchia di San Gaetano a Brancaccio, era segnata. Ma quella sera non doveva morire. La sera del 15  settembre 1993, infatti, il commando dei “picciotti” del quartiere, composto da Gaspare Spatuzza, Salvatore Grigoli, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, era andato a cercarlo per “conoscerne le abitudini e gli spostamenti”, in previsione dell’omicidio. Ma, appena lo videro solo, in una cabina  telefonica vicino alla chiesa, pensarono “di attuare subito il delitto”. Corsero a prendere l’arma da usare, una 7,65 col silenziatore, che tenevano nascosta. Poi tornarono verso la cabina telefonica in cerca del prete, ma non lo trovarono più. “Decidemmo allora di attenderlo sotto casa. Cosa che avvenne. Lui arrivò e io e lo Spatuzza siamo scesi dalle macchine”, avrebbe raccontato anni dopo Grigoli. E aggiunse: “Il padre si stava accingendo ad aprire il portoncino di casa. Aveva un borsello nelle mani. Fu una questione di pochi secondi: io ebbi il tempo di notare che lo Spatuzza si avvicinò, gli mise la mano nella mano per prendergli il borsello. E gli disse piano: “Padre, questa è una rapina!”. Lui si girò, lo guardò – una cosa questa che non posso dimenticare, che non ci ho dormito la notte -, sorrise e disse: “Me l’aspettavo”. Non si era accorto di me. Io allora gli sparai un colpo alla nuca”. Morì così, 18 anni fa, nel giorno del suo 56° compleanno, questo prete di frontiera, che si stava battendo con tutte le sue forze per dare dignità di uomini e di cittadini agli abitanti del quartiere “Brancaccio”, oppressi dalla miseria, dal malgoverno e dalla mafia. Fino all’ultimo, fino al giorno in cui l’ammazzarono. La mattina del 15 settembre, infatti, era andato al Comune per chiedere ancora una volta la costruzione di una scuola media, che il quartiere non aveva mai avuto. Poi aveva celebrato due matrimoni. Di pomeriggio, invece, aveva avuto dei colloqui con le famiglie per la preparazione al battesimo. Infine, una riunione con i suoi più stretti  collaboratori per discutere i dettagli di un’imminente visita a Brancaccio della commissione Antimafia. E poi… arrivarono i killer, ai quali i fratelli-boss, Giuseppe e Filippo Graviano, avevano ordinato di ammazzare quel sacerdote “rompiscatole”. Salvatore Grigoli, soprannominato “u cacciaturi”, venne arrestato il 19 giugno del ’97, dopo una lunga latitanza. Si pentì, confessando il delitto del sacerdote, chiamando in causa i suoi complici ed autoaccusandosi di tanti altri delitti. In una lettera del 7 settembre 1998 all’allora sindaco  di Palermo, Leoluca Orlando, si volle scusare con la città. “Oggi – scrisse Salvatore Grigoli – sono consapevole di aver sbagliato in modo grave. Oggi che comincio ad assaporare il bene e a disgustare il male. La morte di don Pino ha contribuito al mio cambiamento.
Purtroppo è una realtà che fa molto male… chissà se don Pino è stato mandato da Dio sulla Terra con dei compiti specifici… A me personalmente fa male ricordarlo per il motivo che tutti conosciamo, ma a tanti e tanti altri può far bene ricordarlo, perché lui è morto per il bene degli altri e il prezzo è stato altissimo”.
Grazie alla collaborazione di Grigoli e di altri “pentiti”, alle coraggiose testimonianze degli amici di padre Pino Puglisi (lo chiamavano “3P”), e all’azione della magistratura e della polizia, per il delitto del sacerdote si sono celebrati due processi, arrivati alla sentenza definitiva della Corte di Cassazione, dove sono stati condannati all’ergastolo, come mandanti, i boss Giuseppe e Filippo Graviano, e come esecutori Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone, tutti in carcere. Il “pentito” Grigoli, grazie agli sconti di pena, è stato condannato a 18 anni e dal luglio 2004 è agli arresti domiciliari.
Ma come mai don Puglisi era finito a Brancaccio, dove nessuno voleva andare? “Ho accettato per obbedienza e per amore – raccontò il prete (F. Deliziosi,
3P-Padre Pino Puglisi, la vita e la pastorale del prete ucciso dalla mafia. Milano, Edizioni Paoline, 1994) -. D’altronde io sono fatto così. Appena mi dicono che in quel posto non vuole andare nessuno, avverto immediatamente l’impulso a precipitarmi proprio lì…”. E lì cominciò a “strappare” dalle grinfie dalla mafia
tanti ragazzini. Un “delitto” gravissimo per i boss.

Le minacce

Gli ultimi mesi di attività di padre Puglisi a Brancaccio furono segnati da un crescendo di avvertimenti e di minacce da parte della mafia. Per il primo anniversario della strage di Capaci, il 23 maggio 1993, il sacerdote aveva pensato di organizzare una marcia nel quartiere. Ma la marcia per Giovanni
Falcone scatenò la reazione dei boss. Alla vigilia della manifestazione, dei giovani in groppa a moto di grosse cilindrata lanciarono delle bombe molotov
contro il furgone della ditta che stava eseguendo i lavori di restauro della chiesa di San Gaetano. La marcia si svolse lo stesso, ma a parteciparvi furono solo poche persone, la maggior parte ebbe paura. Contro “i fatti” prodotti dal sacerdote continuarono le intimidazioni mafiose. Nella notte tra il 29 e il 30 giugno furono dati alle fiamme i portoni di casa di Giuseppe Martinez, Mario Romano e Giuseppe Guida, tre volontari dell’Intercondominio, che si battono insieme al prete per la scuola media a Brancaccio. Per domenica 25 luglio, padre Pino organizzò ancora una manifestazione per ricordare Paolo Borsellino e gli agenti morti nella strage di via D’Amelio. E dall’altare pronunciò una durissima omelìa contro la mafia: “La Chiesa ha già colpito con la scomunica chi si è
macchiato di atroci delitti come i cosiddetti uomini d’onore. Io posso soltanto aggiungere che gli assassini, coloro che vivono e si nutrono di violenza hanno perso la dignità umana. Sono meno che uomini, si degradano da soli, per le loro scelte, al rango di animali”. “Non è da Cosa Nostra – spiegò don Puglisi
ai suoi parrocchiani – che potete aspettarvi un futuro migliore per il vostro quartiere. Il mafioso non potrà mai darvi una scuola media per i vostri figli o un asilo nido dove lasciare i bambini quando andate al lavoro”. Il giorno dopo, uno dei ragazzi della parrocchia, Tony, sfuggì per miracolo ad un tentativo di pestaggio, mentre gli aggressori gli urlavano: “Dicci ’o parrinu chinn’havi a fari travagghiari in paci”. Ma “3P” non li lasciava lavorare in pace. Ai suoi  collaboratori diceva: “Il massimo che possono farmi è ammazzarmi. E allora?”. Poi arrivò la sera del 15 settembre…

 

 

 

Padre Pino Puglisi, la confessione del Killer in tribunale
Padre Pino Puglisi, la confessione del Killer Salvatore Grillo in tribunale. Le parole del sacerdote ”scomodo” alla malavita. (Servizio del Tg3 Sicilia, del 24 Maggio 2013)

 

 

 

Don Puglisi: a Tv2000 parla il testimone di giustizia Giuseppe Carini
Pubblicato il 15 set 2018
Ospite dello Speciale del ‘Diario di Papa Francesco il testimone di giustizia, Giuseppe Carini, in occasione del viaggio di Papa Francesco in Sicilia per il 25° anniversario della morte del Beato Pino Puglisi, vittima della mafia.

La testimonianza di Giuseppe Carini, amico e collaboratore di Don Puglisi, ha permesso di far arrestare gli esecutori materiali dell’omicidio del parroco del quartiere di Brancaccio, a Palermo, ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993.

 

 

Leggere anche:

 

 

Lista degli articoli scritti sulla rivista online La Repubblica dal 1 settembre 2020 al 15 settembre 2020:   vittimemafia.it

 

 

 

 

 

 

 

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