16 Dicembre 1996 Lamezia Terme (Cz). Scompare Gennaro Ventura, 28 anni, fotografo, ex carabiniere, il corpo ritrovato nel 2008. Fu ucciso perché da carabiniere aveva contribuito all’arresto di un esponente di spicco di una cosca mafiosa lametina.
“Da carabiniere, qualche anno prima aveva contribuito a individuare un giovane picciotto del clan come responsabile di una rapina. Era il luglio del ’91 e il giovanissimo Gennaro Ventura era in servizio a Tivoli. Lontano dalla Calabria delle faide, la famiglia lo pensava al sicuro. Eppure, proprio lì, ha incrociato il destino di Raffaele Rao, giovanissimo compaesano, che “studiava” da picciotto. Per ordine del clan, il 15 luglio del ‘91 aveva rapinato un perito chimico del Tribunale di Roma di un importante quantitativo di eroina e cocaina. Ma proprio mentre si allontanava dall’appartamento dell’uomo, Rao si è scontrato con Ventura, la cui testimonianza è stata fondamentale per arrivare all’individuazione e alla condanna del giovane. E questo il clan non glielo ha mai perdonato. Sette anni dopo, hanno individuato l’ex carabiniere proprio a Lamezia Terme e gli hanno presentato quel conto rimasto in sospeso da anni.”(Repubblica.it)
Articolo da calabrianews.it
Lamezia, la morte di Gennaro Ventura: un giallo durato 20 anni
Catanzaro – Ucciso e gettato in una botola per la fermentazione del mosto. Fu questo il prezzo pagato 20 anni fa da Gennaro Ventura, ex carabiniere ausiliario, che nel 1996 permise di arrestare un conterraneo, Raffaele Rao, responsabile a Tivoli (Roma) di una rapina ai danni di un perito del tribunale di Roma. Venti anni dopo la scomparsa di Ventura avvenuta il 16 dicembre 1996 a Lamezia Terme, la squadra mobile della questura di Catanzaro ha ricostruito l’intera vicenda, notificando il provvedimento a Domenico Antonio Cannizzaro, 50 anni, esponente di spicco della cosca Cannizzaro-Daponte di Lamezia Terme, già detenuto nel carcere di Tolmezzo (Udine).
A rendere nota la dinamica dei fatti, nel corso di una conferenza stampa che si è svolta a Catanzaro, sono stati il procuratore aggiunto di Catanzaro, Giovanni Bombardieri; il capo della squadra Mobile, Nino De Santis; il vice Angelo Paduano; il capo del commissariato di Lamezia Terme, Antonio Borelli, il vice questore vicario Luigi Peluso. Fondamentali ai fini delle indagini le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gennaro Pulice, accusato di essere l’autore materiale del delitto.
E’ stato lui a raccontare dell’ordine avuto da Cannizzaro affinchè uccidesse l’ex carabiniere, a cui la cosca contestava il contributo offerto a Tivoli, dove l’uomo prestava servizio, nelle indagini per rapina che avevano portato all’arresto di Rao, cugino del boss Cannizzaro e poi condannato ad otto anni di carcere per quel reato.
Nonostante Ventura non fosse più in servizio nell’Arma ed ormai svolgesse la professione di fotografo nella sua città natale, Lamezia Terme, la cosca decise comunque di ucciderlo. Secondo gli inquirenti, Pulice avrebbe attirato il fotografo in una trappola, chiedendo un servizio fotografico, quindi lo avrebbe ucciso a colpi di pistola e ne avrebbe gettato il corpo in una zona di campagna del Lametino, in localita’ Carra’ Cosentino, in un pozzo per la decantazione del mosto.
Ed e’ qui che nel 2008, dodici anni dopo, la polizia ritrovò casualmente i resti della vittima insieme a oggetti personali, tra i quali le attrezzature fotografiche, il telefono cellulare, la fede nuziale e altri oggetti personali. Gli esami del Dna confermarono l’identità della vittima ed ora, otto anni dopo il ritrovamento, il delitto è stato ricostruito anche rispetto alle responsabilità.
Cannizzaro sarebbe stato, dunque, il mandante ed a lui è stata notificata l’ordinanza in carcere per omicidio aggravato dal metodo mafioso, mentre Pulice sarebbe stato l’esecutore materiale, nascondendo poi il cadavere. Lo stesso Pulice, infatti, nonostante all’epoca dei fatti avesse solo 18 anni, era considerato uno dei killer di punta della cosca di Lamezia.
Il procuratore aggiunto Bombardieri ha ricostruito le attività investigative. Il fascicolo relativo all’omicidio era stato riaperto solo dopo il ritrovamento dei resti, mentre un primo procedimento si era chiuso con l’archiviazione. Il capo della mobile, De Santis, si è soffermato sulla valenza dell’attività investigativa, mentre il capo del Commissariato di Lamezia, Borelli, ha affermato: “A Lamezia Terme si può essere uccisi anche solo perchè si svolge il proprio dovere, come è accaduto anche per il sovrintendente di polizia Salvatore Aversa e per la moglie, ed ora anche per Ventura. Le forze dell’ordine – ha aggiunto – sono state colpite negli anni e Lamezia è un territorio che rigenera continuamente le sue cellule tumorali”.
(AGI)
Articolo del 23 giugno 2016 da repubblica.it
Il cold case di Catanzaro: delitto di un fotografo risolto a 20 anni di distanza
di Alessia Candito
Gennaro Ventura aveva lasciato la divisa ma questo non l’aveva salvato dalla vendetta dal clan Cannizzaro. Secondo l’accusa, ha pagato uno sgarbo fatto alla famiglia. In manette Domenico, l’elemento di spicco dell’organizzazione
A vent’anni dalla sua morte, c’è un responsabile per l’omicidio del fotografo Gennaro Ventura. Ex carabiniere, ventotto anni compiuti da poco, Ventura aveva svestito la divisa per seguire le orme del padre, storico fotografo di Lamezia Terme. Ma questo – ha scoperto la Dda di Catanzaro, diretta dal procuratore capo Nicola Gratteri – non lo ha salvato dalla vendetta del clan Cannizzaro. A ordinarne l’esecuzione è stato Domenico Cannizzaro, già all’epoca elemento di vertice dell’omonimo clan di Lamezia Terme, arrestato oggi dagli uomini della Squadra Mobile di Catanzaro. Ventura – ha deciso vent’anni fa Cannizzaro – doveva pagare lo sgarbo fatto alla famiglia.
Da carabiniere, qualche anno prima aveva contribuito a individuare un giovane picciotto del clan come responsabile di una rapina. Era il luglio del ’91 e il giovanissimo Ventura era in servizio a Tivoli. Lontano dalla Calabria delle faide, la famiglia lo pensava al sicuro. Eppure, proprio lì, ha incrociato il destino di Raffaele Rao, giovanissimo compaesano, che “studiava” da picciotto. Per ordine del clan, il 15 luglio del ‘91 aveva rapinato un perito chimico del Tribunale di Roma di un importante quantitativo di eroina e cocaina. Ma proprio mentre si allontanava dall’appartamento dell’uomo, Rao si è scontrato con Ventura, la cui testimonianza è stata fondamentale per arrivare all’individuazione e alla condanna del giovane. E questo il clan non glielo ha mai perdonato. Sette anni dopo, hanno individuato l’ex carabiniere proprio a Lamezia Terme e gli hanno presentato quel conto rimasto in sospeso da anni.
Per gli uomini del clan Cannizzaro non è stato difficile. Un appuntamento di lavoro per fotografare dei terreni è bastato ad attirare il fotografo in una trappola. Borsa dell’attrezzatura in spalla, cellulare e chiavi in tasca, quel pomeriggio del 16 dicembre del 1996, Ventura è uscito in fretta dal suo studio fotografico. “Ho da lavorare facciamo un’altra volta”, ha detto in fretta ad un’amica che lo aveva invitato a prendere un caffè. Una promessa che non ha mai potuto mantenere, perché quello stesso pomeriggio – ha scoperto la Dda di Catanzaro –Ventura è stato ucciso con un colpo alla fronte. Il suo corpo è stato gettato nella cisterna del mosto di un casolare e solo nel 2008 è stato fortuitamente ritrovato. Del giovane fotografo erano rimaste solo le ossa, la sua Zenza Bronica professionale arrugginita, il cellulare e un mazzo di chiavi. Neanche questi elementi però hanno aiutato gli investigatori a dare un nome al suo assassino. Per anni, le indagini si sono arenate. Su suggerimento della famiglia, cui il fotografo aveva confessato i propri timori, gli investigatori si sono concentrati sul periodo in cui Ventura ha vestito la divisa, ma senza approdare a nulla di concreto.
A svelare cosa sia successo quel pomeriggio di vent’anni fa è stato il pentito Gennaro Pulice, neo collaboratore di giustizia che da mesi sta svelando alla Dda di Catanzaro i segreti dei clan lametini. “Ho ammazzato io il fotografo Ventura” ha svelato ai magistrati coordinati dal procuratore capo Nicola Gratteri, riferendo dettagli sulle modalità di esecuzione che per anni gli investigatori hanno mantenuto segreti. Una prova dell’attendibilità del pentito, che è stato anche in grado di svelare perché il giovane fotografo fosse stato e chi abbia dato l’ordine. Quella di Ventura – ha messo a verbale di fronte ai magistrati – è stata un’esecuzione. “Aveva arrestato una persona facente parte dei Cannizzaro” e per questo Domenico, all’epoca al vertice dell’omonimo clan, ne ha decretato la morte. Accuse cui gli uomini della Squadra Mobile di Catanzaro hanno trovato riscontro
e che oggi hanno portato all’arresto di Cannizzaro, nel frattempo diventato uno dei più temibili boss del lametino. Un’operazione che da una risposta alla famiglia del giovane fotografo, che da vent’anni – instancabile – chiede giustizia e verità.
Articolo del 16 Marzo 2016 da lameziaoggi.it
Lamezia: Pulice confessa l’omicidio del fotografo Ventura
Lamezia Terme – E’ stato Gennaro Pulice ad uccidere Gennaro Ventura, il fotografo rapito il 16 dicembre del 1996 e poi assassinato con un colpo di pistola in fronte, i cui resti mortali furono rinvenuti il 26 aprile del 2008 in un vecchio casolare di campagna in località Geraci. Un particolare che emerge da un verbale reso da Pulice dopo essere diventato collaboratore di giustizia.
Un omicidio, ha confessato Pulice, che “ho realizzato da solo e comunque darò i particolari su come si è svolto, come si è svolto, come ha fatto il Ventura a salire in macchina mia, ecc”, svelando anche che “il Ventura è stato ucciso con due colpi di pistola, uno in testa a mo’ di esecuzione”. Ventura, secondo la versione del collaboratore di giustizia, è stato “eliminato” per vendetta perché quando era ausiliario dei carabinieri aveva “arrestato una persona facente parte dei Cannizzaro”.
Dopo 20 anni dall’omicidio, sembra arrivata la svolta su questo fatto di sangue sul quale per anni hanno indagato le forze dell’ordine. Quindi non è escluso che sulla base delle rivelazioni di Pulice e dopo anni di attività investigativa si possa giungere a individuare, il mandante e il movente dell’omicidio. Dopo la scomparsa del giovane, le indagini furono portate avanti per alcuni anni e poi archiviate perché non si riuscì a trovare il fotografo, né si sospettava che potesse essere stato ucciso. Per anni si è indagato nel passato dell’uomo, soprattutto sull’attività svolta come carabiniere, nella speranza che gli inquirenti potessero individuare qualche elemento utile al ritrovamento.
Il 4 novembre del 1997, nel corso della trasmissione “Chi l’ha visto”, il fratello di Gennaro, Raffaele, parlò di un incontro che il fratello avrebbe avuto nel giugno del 1994 con un fantomatico avvocato Di Cello. In seguito a questo incontro, Gennaro gli avrebbe confidato di essere molto preoccupato. La chiave del mistero era forse legata a un cliente che Ventura doveva incontrare nel pomeriggio di quel 16 dicembre: appuntamento per il quale avrebbe declinato l’invito di una sua amica a prendere un caffé. Erano le 15.40. Le indagini portate avanti per qualche anno furono poi allentate, fino a quando non si trovarono i resti di Gennaro. Dopo la scoperta del cadavere e la conferma, dopo gli esami autoptici e del Dna, che quelle ossa ritrovate erano del fotografo, le indagini ripresero a ritmo serrato, ma senza esito.
Nell’immediatezza della sparizione, l’attività investigativa si concentrò nel periodo in cui il fotografo era in servizio come carabiniere a Tivoli. Ventura fu uno dei testimoni chiave in un procedimento penale che portò alla condanna di 2 uomini, uno di Torino e uno, incensurato, lametino. Il 15 luglio del 1991, Ventura si era recato a Roma con un commilitone per consegnare a un perito chimico del Tribunale, un campione di stupefacente sequestrato. I due carabinieri avevano incrociato sulle scale del palazzo un uomo vestito da poliziotto, insieme con uno in borghese.
Trovarono la porta dello studio aperta e il perito massacrato di botte, rapinato di un importante quantitativo di eroina e cocaina che aveva in consegna. Durante le indagini, Ventura, il suo collega e il perito contribuirono a definire un identikit fotografico del finto poliziotto, che portò a incriminare due uomini. Il fratello ricordò che, dopo l’incontro con un sedicente avvocato nel giugno del ’94, Gennaro Ventura apparve spaventato e pronunciò la frase: «Sono riusciti a trovarmi», forse riferendosi a qualche episodio avvenuto quando era carabiniere. Questa ipotesi investigativa, che per anni ha contraddistinto le indagini, non furono tenute nella giusta considerazione. Ora, a distanza di 20 anni dalla sua uccisione e sulla base delle rivelazioni del collaboratore, trovano certezza. Ventura sarebbe stato ucciso per una vendetta.
Articolo del 23 giugno 2016 da repubblica.it
Il cold case di Catanzaro: delitto di un fotografo risolto a 20 anni di distanza
di Alessia Candito
Gennaro Ventura aveva lasciato la divisa ma questo non l’aveva salvato dalla vendetta dal clan Cannizzaro. Secondo l’accusa, ha pagato uno sgarbo fatto alla famiglia. In manette Domenico, l’elemento di spicco dell’organizzazione
A vent’anni dalla sua morte, c’è un responsabile per l’omicidio del fotografo Gennaro Ventura. Ex carabiniere, ventotto anni compiuti da poco, Ventura aveva svestito la divisa per seguire le orme del padre, storico fotografo di Lamezia Terme. Ma questo – ha scoperto la Dda di Catanzaro, diretta dal procuratore capo Nicola Gratteri – non lo ha salvato dalla vendetta del clan Cannizzaro. A ordinarne l’esecuzione è stato Domenico Cannizzaro, già all’epoca elemento di vertice dell’omonimo clan di Lamezia Terme, arrestato oggi dagli uomini della Squadra Mobile di Catanzaro. Ventura – ha deciso vent’anni fa Cannizzaro – doveva pagare lo sgarbo fatto alla famiglia.
Da carabiniere, qualche anno prima aveva contribuito a individuare un giovane picciotto del clan come responsabile di una rapina. Era il luglio del ’91 e il giovanissimo Ventura era in servizio a Tivoli. Lontano dalla Calabria delle faide, la famiglia lo pensava al sicuro. Eppure, proprio lì, ha incrociato il destino di Raffaele Rao, giovanissimo compaesano, che “studiava” da picciotto. Per ordine del clan, il 15 luglio del ‘91 aveva rapinato un perito chimico del Tribunale di Roma di un importante quantitativo di eroina e cocaina. Ma proprio mentre si allontanava dall’appartamento dell’uomo, Rao si è scontrato con Ventura, la cui testimonianza è stata fondamentale per arrivare all’individuazione e alla condanna del giovane. E questo il clan non glielo ha mai perdonato. Sette anni dopo, hanno individuato l’ex carabiniere proprio a Lamezia Terme e gli hanno presentato quel conto rimasto in sospeso da anni.
Per gli uomini del clan Cannizzaro non è stato difficile. Un appuntamento di lavoro per fotografare dei terreni è bastato ad attirare il fotografo in una trappola. Borsa dell’attrezzatura in spalla, cellulare e chiavi in tasca, quel pomeriggio del 16 dicembre del 1996, Ventura è uscito in fretta dal suo studio fotografico. “Ho da lavorare facciamo un’altra volta”, ha detto in fretta ad un’amica che lo aveva invitato a prendere un caffè. Una promessa che non ha mai potuto mantenere, perché quello stesso pomeriggio – ha scoperto la Dda di Catanzaro –Ventura è stato ucciso con un colpo alla fronte. Il suo corpo è stato gettato nella cisterna del mosto di un casolare e solo nel 2008 è stato fortuitamente ritrovato. Del giovane fotografo erano rimaste solo le ossa, la sua Zenza Bronica professionale arrugginita, il cellulare e un mazzo di chiavi. Neanche questi elementi però hanno aiutato gli investigatori a dare un nome al suo assassino. Per anni, le indagini si sono arenate. Su suggerimento della famiglia, cui il fotografo aveva confessato i propri timori, gli investigatori si sono concentrati sul periodo in cui Ventura ha vestito la divisa, ma senza approdare a nulla di concreto.
A svelare cosa sia successo quel pomeriggio di vent’anni fa è stato il pentito Gennaro Pulice, neo collaboratore di giustizia che da mesi sta svelando alla Dda di Catanzaro i segreti dei clan lametini. “Ho ammazzato io il fotografo Ventura” ha svelato ai magistrati coordinati dal procuratore capo Nicola Gratteri, riferendo dettagli sulle modalità di esecuzione che per anni gli investigatori hanno mantenuto segreti. Una prova dell’attendibilità del pentito, che è stato anche in grado di svelare perché il giovane fotografo fosse stato e chi abbia dato l’ordine. Quella di Ventura – ha messo a verbale di fronte ai magistrati – è stata un’esecuzione. “Aveva arrestato una persona facente parte dei Cannizzaro” e per questo Domenico, all’epoca al vertice dell’omonimo clan, ne ha decretato la morte. Accuse cui gli uomini della Squadra Mobile di Catanzaro hanno trovato riscontro
e che oggi hanno portato all’arresto di Cannizzaro, nel frattempo diventato uno dei più temibili boss del lametino. Un’operazione che da una risposta alla famiglia del giovane fotografo, che da vent’anni – instancabile – chiede giustizia e verità.
Articolo del 27 Ottobre 2016 da preserreedintorni.it
Lamezia Terme (CZ) – Ex carabiniere ucciso nel 96:
Disposto giudizio immediato per due imputati.
Sono Gennaro Pulice, di 38 anni, collaboratore di giustizia, e Domenico Antonio Cannizzaro, di 50. presunto affiliato ad una cosca di ‘ndrangheta
La Dda di Catanzato ha dispost9o il giudizio immediato per l’omicidio di Gennaro Ventura, fotografo di Lamezia con un passato da carabiniere, ucciso a Lamezia Terme il 16 Dicembre del 1996.
Imputati per l’omicidio sono Gennaro Pulice, di 38 anni, collaboratore di giustizia, che sarebbe stato l’esecutore materiale, e Domenico Antonio Cannizzaro, di 50, presunto affiliato ad una cosca di ‘ndrangheta di Lamezia, indicato come mandante.
La prima udienza del processo è fissata per il 20 Dicembre prossimo. Gennaro Ventura sarebbe stato ucciso per vendetta. Alcuni anni prima, infatti, mentre era in servizio a Tivoli (Roma) come carabiniere, avrebbe riconosciuto e fatto arrestare per rapina un affiliato alla stessa cosca cui apparterrebbe Cannizzaro.
Nel dicembre del 1996, dopo essere rientrato a Lamezia, Ventura fu attirato in una trappola e ucciso con un colpo di pistola alla testa. Il suo cadavere venne abbandonato nella cisterna di un casolare abbandonato.
Articolo del 16 Novembre 2016 da quotidianodelsud.it *
Ex carabiniere ucciso a Lamezia, il giudice ha deciso
Un solo imputato sarà giudicato col rito abbreviato
LAMEZIA TERME (CATANZARO) – Rigettata dal gip di Catanzaro, Pietro Scuteri, la richiesta di rito abbreviato condizionato per Domenico “Mimmo” Cannizzaro, il presunto mandante dell’omicidio del fotografo Gennaro Ventura, sì all’abbreviato invece per l’esecutore materiale, il collaboratore di giustizia Gennaro Pulice. Il pm Elio Romano infatti aveva chiesto il giudizio immediato per i due imputati, mentre la difesa aveva chiesto l’abbreviato per gli imputati.
IL RINVIO A GIUDIZIO PER DUE IMPUTATI
Al termine dell’udienza preliminare tenutasi ieri il gip ha però accolto solo al richiesta di Pulice. E così il 20 dicembre prossimo inizierà il processo in Corte d’Assise a Catanzaro per Cannizzaro (ritenuto il capo dell’omonima cosca) e il 24 febbraio 2017 il processo dal gup di Catanzaro con il rito abbreviato per Pulice. E nel corso dell’udienza preliminare di ieri i genitori e la sorella di Ventura si sono costituiti parte civile rappresentata dall’avvocato Italo Reale.
Il fotografo ed ex carabiniere lametino Gennaro Ventura fu ucciso il 16 dicembre del 1996. La svolta alle indagini a luglio 2015 grazie alle rivelazioni del pentito Gennaro Pulice, 38 anni, che a quasi 20 anni dall’omicidio ha rivelato il presunto mandante e il movente, indicando Antonio Domenico Cannizzaro, detto Mimmo, 50 anni, (difeso dall’avvocato Lucio Canzoniere), raggiunto a giugno scorso da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere (su richiesta della Dda e in base alle indagini della Squadra mobile) che gli era stata notificata nel carcere di Udine dove Cannizzaro è detenuto per l’operazione “Andromeda”.
LEGGI GLI ARRESTI E LA SVOLTA NELLE INDAGINI
Cannizzaro avrebbe ordinato l’eliminazione di Ventura per vendetta poichè – secondo le accuse – la vittima da carabiniere ausiliario in servizio alla compagnia carabinieri Casilina di Tivoli e poi trasferito al nucleo operativo di Tivoli con l’incarico di fotografo, fece arrestare e condannare (per una rapina di un quantitativo di droga da un laboratorio di un perito chimico a Roma), Raffaele Rao, cugino di Cannizzaro Ventura fu uno dei testimoni chiave nel processo che portò alla condanna di Rao. Il 15 luglio del 1991, Ventura si era recato a Roma con un commilitone per consegnare a un perito chimico del Tribunale, un campione di stupefacente sequestrato.
I due carabinieri avevano incrociato sulle scale del palazzo un uomo vestito da poliziotto e uno in borghese. Trovarono il perito massacrato di botte, rapinato di un importante quantitativo di eroina e cocaina che aveva in consegna. Ventura contribuì a definire l’ identikit fotografico del finto poliziotto, che portò a incriminare due uomini, uno di questi era Rao.
I resti di Ventura furono ritrovati il 25 aprile del 2008 quando la proprietaria e l’acquirente di un terreno dove era ubicato un vecchio casolare di campagna in località Carrà – Frasse, denunciarono al commissariato che durante un sopralluogo l’acquirente di quel terreno aveva rinvenuto dei resti umani in una cisterna sotto il pavimento del vecchio casolare utilizzato per la vendemmia e che appartenevano a Gennaro Ventura, portato sul luogo del delitto da Pulice nel primo pomeriggio del 12 dicembre 1996 con la scusa di un servizio fotografico, uccidendolo con un colpo di pistola in testa.
Dodici anni dopo il ritrovamento dei resti nel vecchio casolare utilizzato per la vendemmia. Sul luogo la Polizia scientifica del commissariato di Lamezia trovò infatti anche la fede nuziale del fotografo con incisi i nomi di Ventura e della moglie e la data del loro matrimonio. Furono ritrovate anche il telefono cellulare della vittima, due macchine fotografiche intatte e accanto una borsa da fotografo con all’interno vari accessori. Le dichiarazioni di Gennaro Pulice trovarono riscontro nelle indagini della Squadra mobile nelle dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, Pietro Paolo Stranges, il quale ha riferito di aver appreso circostanze sia dal cognato Domenico Cannizzaro che dalla moglie.
Un primo procedimento (che vide fra gli indagati lo stesso Pulice perchè fu trovata un’agenda nello studio fotografico di Ventura in cui veniva riportato un appuntamento con Pulice il giorno della sparizione e dell’uccisione) si era chiuso con l’archiviazione.
Fonte: calabrianews.it
Articolo del 12 maggio 2018
Lamezia, omicidio Gennaro Ventura: in 16 pagine il racconto di una tragedia
di Alessia Truzzolillo
Corriere della Calabria.it
Catanzaro – Sedici pagine. Hanno dovuto aspettare un anno, e protestare con forza, i familiari di Gennaro Ventura (nel riquadro foto a sinistra), per ottenere le motivazioni della sentenza emessa dal gup Carlo Saverio Ferraro l’8 maggio del 2017 che condannava a 10 anni di reclusione il collaboratore di giustizia Gennaro Pulice, reo confesso di essere l’esecutore materiale dell’omicidio del fotografo, e carabiniere in congedo, di Lamezia Terme. Le motivazioni portano la data del 10 maggio scorso e ripercorrono quelle che sono state le fasi del processo, tirando dentro anche il boss Domenico Antonio Cannizzaro, che in questa drammatica vicenda ricopre il ruolo di mandante. Un comando di uccidere che Cannizzaro – condannato in primo grado a 30 anni di reclusione – avrebbe dato all’allora appena 18enne Gennaro Pulice (nel riquadro foto a destra) per vendicare l’arresto di un cugino, Raffaele Rao, avvenuto nel 1991 quando Ventura faceva il carabiniere a Tivoli.
L’arresto, per una rapina durante la quale era stato sottratto un ingente quantitativo di sostanza stupefacente dagli uffici del perito chimico del tribunale, avrebbe provocato delle «conseguenze psicologiche al Rao» e anche queste andavano vendicate. Una volta congedato dall’Arma, Gennaro Ventura si era impiegato come fotografo con il padre. Quella del lavoro fu la scusa con la quale Pulice attirò nella sua trappola Ventura – che già conosceva per un precedente rapporto professionale – con la scusa di fotografare dei reperti archeologici che Pulice diceva di avere trovato in località Carrà-Volpe, alla periferia di Lamezia.
Una volta lì, due colpi di pistola calibro 9×19, di cui uno alla testa, uccidono il giovane fotografo di 28 anni. Era il 16 dicembre 1996. Il corpo di Gennaro Ventura giacerà occultato nel palmeto di una vecchia casa diroccata fino al 2008.
DATI EMERSI FIN DALL’INIZIO Eppure fin dall’inizio, fin dalla denuncia, era emerso che Gennaro Ventura, prima di sparire aveva avuto un appuntamento di lavoro con tale Gennaro Pulice. Ed era emerso il fatto dell’arresto di Tivoli, di Rao e della parentela con Cannizzaro. «Non essendo emersi ulteriori elementi il procedimento era stato archiviato il 13 marzo del 1998», scrive il Ferraro.
ALTRI COLLABORATORI Le indagini vengono riaperte nel 2008, col ritrovamento del copro da parte di persone che stavano visitando il casolare perché interessati a comprarlo. Si scopre che altri collaboratori di giustizia avevano parlato dell’omicidio Ventura. Gianfranco Norberti riferì di averne sentito parlare durante una cena da parte dello stesso Pulice il quale riferì di screzi con un fotografo per questioni di droga. Norberti, benché convinto che si trattasse di Ventura, fraintese e pensò che forse il fotografo consumava droga. Nel 2011 Massimo Di Stefano raccontò che «nel 94/95 i Torcasio mi avevano chiesto di portare loro Gennaro Ventura facendomi capire che lo volevano ammazzare sia per i fatti legati ad una operazione di droga alla quale Ventura aveva partecipato mentre si trovava a Tivoli e che concerneva sostanza stupefacente – gestita da gente dei Morabito/Pizzata e dei Cannizzaro per mezzo di un loro parente a nome Rao – sia per fatti di donne». Saltò fuori più di ogni altro elemento, per la cronaca, il fatto delle donne. Solo scandalo, solo fumo, nonostante alcuni elementi importanti e concordanti nelle dichiarazioni dei pentiti, e una nuova archiviazione.
LA SVOLTA La svolta arriva con le confessioni di Gennaro Pulice, collaboratore di giustizia dopo l’arresto nell’operazione antimafia Andromeda, a maggio 2015. Pulice racconta che quando uscì la notizia del ritrovamento delle ossa di Ventura lui era a Rosarno a casa di suo suocero. Suo cognato allora fece la battutta «Adesso il “Bibbiano” non dorme», riferendosi a Mimmo Cannizzaro, detto Bibbiano perché quando era latitante a casa della sorella stava sempre con una Bibbia in mano. Ai suoi parenti di Rosarno Pulice spiega che “Sto cane”, Ventura, andava punito perché aveva «rovinato Raffaele (Rao, ndr)» che si era fatto 7/8 anni di carcere. «È stato – racconta Pulice – accusato ingiustamente. E sto cugino è andato fuori di testa mentre era detenuto, non si è mai ripreso più no?» Era questa la matrice della vendetta.
Il delitto avrebbe dovuto consumarsi nel negozio ma nel negozio Ventura non era mai solo, c’erano sempre il fratello minore e la madre o la moglie.
DIECI ANNI PER L’ASSASSINO Per quanto riguarda la condanna il giudice scrive di avere tenuto conto della «dichiarazione confessoria con la quale ha riconosciuto la sua responsabilità quale esecutore materiale dell’omicidio». «Il corretto comportamento processuale dell’imputato – prosegue il giudice – consente la concessione delle attenuanti generiche».
«Pena congrua da irrogare, valutati i criteri tutti di cui agli articoli 133 e seguenti del codice penale, ritenuta la continuazione, è quella di anni dieci di reclusione, così determinata: pena base, ergastolo, sostituita ex art 8 legge 203/91 (la legge sulla dissociazione dall’attività mafiosa, ndr) con la pena di anni 15 di reclusione, ulteriormente ridotta per la scelta del rito (il rito abbreviato può comportare uno sconto di pena, ndr) alla pena di anni 10 di reclusione». Alla famiglia della vittima, assistita dall’avvocato Italo Reale, è stato riconosciuto il risarcimento danni con una provvisionale di 80mila euro che sarà valutata in sede civile.
Adesso, dopo 22 anni, si può cominciare a pensare al secondo grado di giudizio e all’avvio di una condanna definitiva.
Fonte: quotidianodelsud.it
Articolo del 7 febbraio 2019
30 anni di carcere in appello per Mimmo Cannizzaro
di Pasqualino Rettura
LAMEZIA TERME – La Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato 30 anni di carcere per il mandante dell’omicidio dell’ex carabiniere e fotografo lametino Gennaro Ventura.
Anche per i giudici di secondo grado Antonio Domenico “Mimmo” Cannizzaro è il mandante dell’omicidio, così come sentenziò la Corte d’Assise di Catanzaro (a maggio 2017) (LEGGI LA NOTIZIA) che condannò Cannizzaro anche al risarcimento dei danni alle parti civili (i familiari di Ventura).
Dopo il killer (il collaboratore di giustizia Gennaro Pulice, condannato a 10 anni in primo grado dal gup (LEGGI LA NOTIZIA) con il rito abbreviato e a 7 anni e 8 mesi in appello, una sentenza che ha amareggiato molto i familiari di Ventura) in appello è stata confermata la sentenza anche per chi avrebbe ordinato l’omicidio.
SCOPRI I CONTENUTI SULL’OMICIDIO DI GENNARO VENTURA
Il presunto mandante, è stato indicato da Gennaro Pulice, collaboratore di giustizia, che rivelò di essere stato lui il killer di Ventura su mandato di Cannizzaro. Due collaboratori di giustizia, come si ricorderà, fecero riaprire il caso Ventura fino all’arresto del presunto mandante, Antonio Domenico Cannizzaro, detto Mimmo, 52 anni, che finì a processo insieme a chi si autoaccusò di aver ucciso il fotografo ed ex carabiniere Gennaro Ventura. Oltre a Pulice, diede un contributo alle indagini anche Pietropaolo Stranges, collaboratore di giustizia da gennaio 2014, sulle cui dichiarazioni si incentrò molto la linea difensiva per Mimmo Cannizzaro, ritenuto il capo dell’omonima cosca.
In particolare la difesa di Cannizzaro chiese e ottenne che al processo venissero ascoltati l’ex moglie di Pietropaolo Stranges, Giuseppina Cannizzaro (sorella di Domenico) e il cognato di Stranges, Domenico Cannizzaro (cugino dell’imputato). E questo perchè l’ex moglie di Stranges e Domenico Cannizzaro (teste) avrebbero riferito a Pietropaolo Stranges il movente dell’eliminazione di Ventura. Circostanze che in aula i due testi smentirono.
La svolta alle indagini a luglio 2015 (dopo un primo procedimento archiviato) dopo le rivelazioni di Gennaro Pulice (e prima ancora di Stranges) che a quasi 20 anni dall’omicidio rivelò il presunto mandante e il movente (LEGGI LA NOTIZIA), indicando Cannizzaro che avrebbe ordinato l’eliminazione di Ventura per vendetta poichè – secondo le accuse – la vittima da carabiniere in servizio a Tivoli, fece arrestare e condannare (per una rapina di un quantitativo di droga da un laboratorio di un perito chimico a Roma), Raffaele Rao, cugino di Cannizzaro.
Ventura fu ucciso il 16 dicembre del 1996 e i resti furono ritrovati il 25 aprile 2008 in un vecchio casolare di campagna in una cisterna sotto il pavimento utilizzato per la vendemmia. Pulice portò Ventura nel luogo del delitto con la scusa di un servizio fotografico, uccidendolo con un colpo di pistola in testa