16 Maggio 1911 Santo Stefano Quisquina (AG). Uccisione di Lorenzo Panepinto, insegnante, dirigente del movimento contadino e del Partito socialista. Ucciso dalla mafia per la sua attività politica contro lo sfruttamento dei braccianti e dei contadini.

Foto da:xoomer.virgilio.it

Lorenzo Panepinto, tornato in Sicilia (1893), dopo qualche anno in cui era vissuto a Napoli, notando “lo stato di subbuglio causato dal movimento dei Fasci siciliani, decise di fondare il Fascio di Santo Stefano Quisquina, sciolto dopo appena pochi mesi dal governo del riberese Francesco Crispi, che represse tutti i Fasci dell’isola. Negli stessi anni aderisce al Partito Socialista Italiano. In seguito fu licenziato dal comune dal posto di maestro elementare per rappresaglia politica: non si scoraggiò, continuò i suoi studi pedagogici e di metologia didattica e pubblicò due volumi nel 1897. All’inizio del XX secolo, alla ripresa degli scioperi agricoli, Panepinto si affiancò ad alcuni dirigenti, come Bernardino Verro di Corleone e Nicola Alongi di Prizzi, insieme ai quali progettò un cambiamento di strategia politica, puntando a dare ai contadini gli strumenti delle cooperative agricole e delle Casse Agrarie, per emarginare i gabelloti dei feudi. Nel 1907, Lorenzo Panepinto, si trasferì in America, ma ritornò nuovamente al suo paese appena un anno dopo. Il 16 maggio 1911 venne assassinato a Santo Stefano Quisquina, proprio davanti l’ingresso di casa sua, con due colpi di fucile al petto. La sua fu una figura paradigmatica dei sindacalismo agrario per tutti i comuni dell’area dei monti Sicani.” (Fonte: it.wikipedia.org )

 

 

Fonte: it.wikipedia.org
Lorenzo Panepinto
nato a Santo Stefano Quisquina, comune siciliano in provincia di Agrigento, il 4 gennaio 1865 da Federico ed Angela Susinno, fu un maestro elementare ed un artista: una sua grande passione, infatti, era la pittura; l’altra era la politica. La cominciò a praticare dal 1889: in tale anno fu eletto consigliere comunale nel gruppo dei democratici mazziniani, mettendo in minoranza il gruppo fino ad allora predominante dei liberal-moderati. Questi ultimi reagirono con veemenza, facendo sciogliere il consiglio comunale ed insediando il regio commissario Roncourt: tuttavia egli, nonostante la condotta partigiana, non riuscì ad impedire una seconda sconfitta dei conservatori nelle elezioni svoltesi nel mese di agosto 1890. Il governo del marchese Antonio di Rudinì commissariò nuovamente il comune e Lorenzo Panepinto si dimise per protesta, dedicandosi solamente all’insegnamento e alla pittura.

Successivamente si sposò e si trasferì a Napoli; al ritorno in Sicilia (1893), notò lo stato di subbuglio causato dal movimento dei Fasci siciliani. Decise pertanto di fondare il Fascio di Santo Stefano Quisquina, sciolto dopo appena pochi mesi dal governo del riberese Francesco Crispi, che represse tutti i Fasci dell’isola. Negli stessi anni aderisce al Partito Socialista Italiano. In seguito fu licenziato dal comune dal posto di maestro elementare per rappresaglia politica: non si scoraggiò, continuò i suoi studi pedagogici e di metologia didattica e pubblicò due volumi nel 1897. All’inizio del XX secolo, alla ripresa degli scioperi agricoli, Panepinto si affiancò ad alcuni dirigenti, come Bernardino Verro di Corleone e Nicola Alongi di Prizzi, insieme ai quali progettò un cambiamento di strategia politica, puntando a dare ai contadini gli strumenti delle cooperative agricole e delle Casse Agrarie, per emarginare i gabelloti dei feudi. Nel 1907, Lorenzo Panepinto, si trasferì in America, ma ritornò nuovamente al suo paese appena un anno dopo. Il 16 maggio 1911 venne assassinato a Santo Stefano Quisquina, proprio davanti l’ingresso di casa sua, con due colpi di fucile al petto.
La sua fu una figura paradigmatica dei sindacalismo agrario per tutti i comuni dell’area dei monti Sicani.

 

 

 

Fonte: La Sicilia del 12 Giugno 2005
Omicidio Lorenzo Panepinto, nessun colpevole
di Dino Panepinto

Tutti assolti gli imputati dell’uccisione del leader contadino.
La deposizione di una teste oculare non servì a inchiodare i veri responsabili.

Non si può dire che fu la giustizia a trionfare quel 7 aprile 1914, nell’aula del Tribunale di Catania dove si era riunita la Corte d’Assise. Infatti, dopo un dibattimento durato appena 11 giorni, venne letta una sentenza, che lasciò con l’amaro in bocca i contadini di S. Stefano Quisquina.
«Avendo i giurati dato risposta negativa alle domande se l’imputato abbia ucciso Lorenzo Panepinto ed abbia tentato di uccidere Antonio Picone e Ignazio Reina – disse il presidente, cavalier Sgroi – l’imputato Giuseppe Anzalone deve essere dichiarato assolto per non aver commesso i fatti a lui attribuiti e pertanto si ordina la di lui scarcerazione».

Una sentenza “scandalosa”, che lasciò impunito l’assassinio di uno dei più amati dirigenti socialisti del movimento contadino isolano. Ma, per certi versi, una sentenza obbligata. Il vero scandalo, infatti, era accaduto qualche ora prima, quando la parte civile si era ritirata inaspettatamente dal processo. A darne  comunicazione era stato l’avv. Luigi Macchi. «Poiché non esclusa la possibilità di un equivoco di identificazione, per mandato delle nostre costituenti, ci ritiriamo dalla causa», disse il legale, che era un noto esponente del socialismo catanese. Con lui, si erano ritirati anche gli altri avvocati di parte civile, Gaspare Nicotri e Francesco Alessi, componenti della direzione regionale del Partito Socialista.

Incredibilmente, la motivazione del ritiro stava tutta in quella «possibilità di equivoco di identificazione», esclusa con fermezza dalla teste Provvidenza Rumore, che aveva visto in faccia l’assassino e che, coraggiosamente, confermò la circostanza davanti alla Corte. Tra l’altro, nemmeno gli avvocati difensori erano riusciti a smontarne la testimonianza con circostanze oggettive. Essi, infatti, poterono solamente fare delle insinuazioni sulla sua condotta morale, che lo stesso codice di procedura penale di allora vietava.

Le udienze processuali si erano aperte il 28 marzo 1914, con la lettura dei capi d’accusa contro Giuseppe Anzalone, 26 anni, originario di Lercara Friddi, campiere dell’ex feudo “Melia” di cui erano gabelloti i fratelli Petta. Grazie alla testimonianza della Rumore e di tanti contadini stefanesi, tutto lasciava presagire che si potesse arrivare almeno alla condanna di uno degli esecutori materiali del delitto. Allora perché quella scelta di ritirarsi, avallata dalla moglie e dei figli del Panepinto? È lecito pensare che intervennero fatti nuovi. Probabilmente, pressioni e minacce talmente forti, da indurre i familiari della vittima e i loro avvocati a ritirarsi. Il processo, infatti, si era svolto a Catania per legittima suspicione chiesta dagli avvocati di parte civile per ben due volte. E fu concessa con la motivazione che l’Anzalone era “figlioccio” del Ministro di Grazia e Giustizia on. Camillo Finocchiaro Aprile, anche lui di Lercara Friddi.

Ma dietro il killer dovevano esserci i mandanti. Alcuni di essi erano stati individuati e denunciati dalla polizia e dai carabinieri di S. Stefano Quisquina, tanto che il 2 giugno 1911 il prefetto di Agrigento aveva scritto al Ministero degli interni, comunicandone i nomi: Rosario Ferlita, Domenico Ferlita, Giuseppe Ferlita, Ignazio Scolaro e Giovanni Battista Scolaro, tutti grossi gabelloti degli ex feudi di S. Stefano Quisquina. Ma, tre anni dopo, il processo venne istruito solo a carico dell’Anzalone, perché tutti gli individui denunciati come mandanti furono prosciolti in sede istruttoria.

Il delitto Panepinto rimase, dunque, senza colpevoli. Il coraggioso maestro elementare di questo paese dell’agrigentino, uno dei più noti dirigenti contadini fin dal tempo dei Fasci, era stato assassinato la sera del 16 maggio 1911, con due colpi di fucile al petto. Gli spararono davanti la porta della sua abitazione, in via Madre Chiesa n. 21, vicina alla centralissima piazza principale, a quell’ora frequentata da molta gente, mentre stava conversando con le signorine Cannella. Era accompagnato da due amici – il cav. Picone e il signor Ignazio Reina – che rimasero feriti nell’agguato. Panepinto lasciò la moglie Maria Sala e tre piccoli figli nella più completa povertà.

 

Foto da  it.wikipedia.org

 

 

Fonte: agrigentoierieoggi.it
Articolo del 13 marzo 2015
Agrigento vittime della mafia: Lorenzo Panepinto
di Elio Di Bella

A Santo Stefano di Quisquina, paese montano dell’agrigentino di cinquemila anime, il silenzio della placida sera del 16 maggio 1911 è improvvisamente rotto dall’esplosione di due fucilate. Il maestro elementare del paese, Lorenzo Panepinto, di 46 anni, cadeva davanti la chiesa madre e a poca distanza da lui restarono feriti due suoi amici con i quali stava serenamente conversando e passeggiando, dopo essere stato alla sede della Lega dei contadini che dirigeva. Due colpi erano bastati per fermare il cuore del più importante difensore dei diritti dei lavoratori di quel povero paese. Il giorno dopo, quando velocemente la notizia si diffuse, i negozi, le botteghe i circoli rimasero chiusi in segno di lutto. Si radunarono ben 4000 cittadini nella piazza dove era morto reclamando giustizia e che si facesse subito luce su quel delitto efferato. Venne inviata a Santo Stefano la fanteria perché si temevano disordini. Il corpo di Panepinto venne portato nella sede della Lega e avvolto con una bandiera rossa.

Aveva così cessato di parlare per sempre il protagonista di tante battaglie, una speranza e simbolo vivente di lotta per la giustizia per migliaia di poveri lavoratori del Sud. Quel brutale assassinio apparve infatti immediatamente chiaro per quello che intendeva rappresentare: non un caso anonimo di vendetta individuale ma un lucido disegno di azzerare le trasformazioni messe in atto dall’impegno di panepinto. Si intendeva con quei colpi di lupara distruggere la rete di cooperative e di istituzioni periferiche su cui si andava costruendo la piattaforma riformatrice del socialismo isolano così come l’aveva concepita Lorenzo Panepinto.

Era nato il 4 gennaio del 1863 a santo Stefano di Quisquina. Brillante negli studi fin da fanciullo, aveva ottenuto la licenza ginnasiale e prese l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole elementari. Nel 1895 entrò nel consiglio comunale del suo paese ma nel 1890 e tornò all’insegnamento alla scuola elementare e alla pittura sua giovanile passione. Un anno dopo si sposò e si trasferì a Napoli per motivi di lavoro. Tornò in Sicilia nel 1893, quando l’Isola era scossa dalla rivolta dei Fasci siciliani il grande movimento di rivendicazione salariale e sindacale dei contadini e dei minatori che grande successo ebbe tra l’altro anche nella provincia di Girgenti. Panepinto si impose presto come leader riconosciuto ed amato nel suo paese e nel circondario della sezione del fascio dei lavoratori. Egli era vicino all’area della democrazia radicale, ma presto divenne socialista militante. Cominciò a parlare apertamente al popolo del diritto che ognuno aveva al lavoro, al pane, alla riduzione delle ore di lavoro, all’abolizione di balzelli. Parlava in maniera semplice, da bravo maestro.

Alla prima manifestazione pubblica che organizzò parteciparono circa 500 lavoratori. Le successive ebbero un successo sempre crescente e non vi furono mai disordini. Ma quando cominciò ad organizzare i primi scioperi per chiedere la revisione dei patti agrari, i gabelloti andavano spesso dal sindaco e dal prefetto a chiedere provvedimenti contro l’agitatore di Santo Stefano di Quisquina. Istituì anche un’associazione che rimediava economicamente agli eventuali disagi causati dagli scioperi. Presto ebbe lusinghieri riconoscimenti a livello regionale nazionale e partecipò come membro della federazione regionale socialista ai più importanti congressi nazionali del suo partito. Ma con lo stato d’assedio voluto dal capo del governo Francesco Crispi, nel gennaio del 1894 i fasci in tutta la Sicilia vennero sciolti e anche Panepinto venne ufficialmente invitato dalle autorità “a chiudere la sede del fascio e a non tenere riunioni affollate”.

Nei primi anni dopo l’esperienza dei fasci siciliani, il suo impegno politico continuò attraverso “la lega di miglioramento fra i contadini” (1901), che gestiva scuole serali, ma si manifestò soprattutto attraverso l’attività culturale e il giornalismo in particolare. Diresse nel 1903 il foglio “La Plebe”, un quindicinale di ispirazione socialista che polemizzava con la locale amministrazione. Fallito un tentativo di farsi eleggere deputato, per le crescenti difficoltà in cui si trovò nel suo stesso paese, la famiglia di Lorenzo Panepinto decise di trasferirsi nel 1907 nella città di Tampa, in Florida, negli Stati Uniti. Nel nuovo continente oltre a lavorare si dedicò alla stesura di alcune opere di carattere sociale e pedagogico. Il soggiorno in America ebbe breve durata. Tornato a Santo Stefano nel 1908 riprese l’attività di maestro di scuola elementare, ma nello stesso tempo prese anche attivamente parte alla campagna elettorale per le politiche di quell’anno nel collegio di Bivona. Con la Lega prese in affitto il feudo Mailla Soprana, si trattava della prima “affittanza collettiva”.

Le affittanze eliminavano la mediazione parassitaria del gabelloto e realizzavano la conduzione diretta di ex feudi, introducendo concimi chimici, macchine agricole e più avanzati sistemi di rotazione colturale. Il fatto suscitò malcontento tra i potenti gabelloti e gli agrari mafiosi. Panepinto si spinse oltre, sollecitando la direzione del Banco di Sicilia ad istituire una banca agraria in grado di concedere gli anticipi ai contadini che avrebbero potuto così organizzarsi in proprio. Tutte queste iniziative gli valsero parecchie minacce da parte della mafia. Gli anni che seguirono furono tutti segnati dall’impegno per sviluppare le azioni di lotta della sua Lega, delle sue cooperative, anche perché in quegli anni la crescita del movimento contadino si collegava con lo sviluppo delle cooperative e delle affittanze collettive.

Nel 1909 Panepinto partecipò al congresso agricolo socialista di palazzo Adriano e venne acclamato presidente di quell’assise. La sera del 16 maggio 1911,in cui venne assassinato, aveva da poco concluso un incontro nella sede della Lega dove si stava preparando la fase costituente della Cassa agraria di Santo Stefano che funzionasse come intermediario del Banco di Sicilia per poter soccorrere con i piccoli anticipi i contadini. Una delle ipotesi dell’omicidio verteva proprio intorno alla costituzione di tale iniziativa bancaria. Le indagini giudiziarie furono piuttosto tardive. Venne accusato del delitto poco più di un mese dopo il campiere Giuseppe Anzalone perché una donna lo aveva visto sul luogo del delitto con addosso una lupara. Ma nel processo del 1914 a Catania Anzalone venne assolto. Il “caso Panepinto” si chiudeva così il 7 aprile 1914 con una sconfitta per lo Stato.

 

 

 

Fonte: stampacritica.org
Articolo del 31 maggio 2017
Lorenzo Panepinto, l’uomo del popolo
di Lamberto Rinaldi

“Lu sidici di maju a prima sira | lu tempu scuru e luna nun cci nn’era […] E per avere il popolo aiutato | don Lorenzo finì ammazzato”.

Recitano così la prima e l’ultima strofa della “Storia per la morte di Lorenzo Pinto”. Un canto semplice, umile, in dialetto. Un canto che tutto il popolo intonò la sera dei funerali di Lorenzo, insegnante, politico, artista, giornalista ma soprattutto uomo del popolo.

Nasce a Santo Stefano Quisquina, in provincia di Agrigento, e viaggia tantissimo. Prima si trasferisce a Napoli, poi in America. Ogni volta che torna nella sua Sicilia fa qualcosa per cambiarla. Quando rientra dalla Campania infatti fonda il Fascio di Santo Stefano Quisquina, uno dei tanti movimenti agrari di massa di ispirazione democratica e socialista che nascono nell’isola alla fine dell’Ottocento.

Il Fascio viene subito sciolto, Panepinto viene addirittura licenziato dal ruolo di maestro elementare per rappresaglia politica. Agli inizi del 900, insieme ad altri dirigenti come Bernardino Verro e Nicola Alongi, arriva alla svolta decisiva. Per difendere i lavoratori e i loro interessi insieme capiscono che devono puntare agli intermediari, ai gabellotti dei grandi possedimenti terrieri.

È questo il primo nucleo mafioso d’Italia, criminali al servizio dei potenti, che ne controllano gli averi e gli introiti, guadagnando sulle spalle dei ceti più umili. Insieme a centinaia di lavoratori, Panepinto organizza i braccianti in una Lega e ottiene la prima fittanza collettiva di un ex feudo.

Oggi come allora sono interessi forti. Chi si mette di traverso va eliminato. Lorenzo Panepinto sarà uno dei primi, aprendo la strada agli altri suoi colleghi: Verro morirà nel 1915, Alongi nel 1920.

La sera del 16 maggio infatti, mentre sta tornando a casa, stranamente le luci dell’illuminazione pubblica sono spente. Un guasto, secondo molti. Ma non è una casualità quella, i lampioni sono spenti per favorire i sicari che lo aspettano davanti casa. Due colpi di fucile al petto lo stesero a terra.

A rincorrere i due assassini, scappati tra la folla, ci andrà solo una persona. È la prostituta del paese, che riesce a strappargli la benda che copriva il volto di uno dei due, per vedere chi fosse.
Pochi giorni dopo sparì anche lei, nessuno si preoccupò di indagare.

 

 

 

Fonte:  siciliastoriaemito.altervista.org
Articolo dell’11 febbraio 2018
Il Siciliano Lorenzo Panepinto: “un maestro di libertà”

Fu una sentenza definita “scandalosa” quella del 7 aprile 1914. Nell’aula del Tribunale di Catania si era riunita la Corte d’Assise per l’omicidio di Lorenzo Panepinto. Dopo un dibattimento durato appena undici giorni venne pronunciata la clamorosa sentenza: “Avendo i giurati dato risposta negativa alle domande se l’imputato abbia ucciso Lorenzo Panepinto ed abbia tentato di uccidere Antonio Picone e Ignazio Reina”, dichiarò il presidente Sgroi, “l’imputato Giuseppe Anzalone deve essere dichiarato assolto per non aver commesso i fatti a lui attribuiti e pertanto si ordina la di lui scarcerazione”.

La sentenza provocò malumore tra i numerosi contadini di Santo Stefano Quisquina, che si erano riuniti per seguire i fatti processuali sull’omicidio del loro caro compagno, uno dei più amati dirigenti socialisti del movimento contadino dell’isola.

Dell’omicidio era stato accusato Giuseppe Anzalone, campiere dell’ex feudo Melia. I carabinieri avevano individuato e denunciato i mandanti e il 2 giugno 1911 il Prefetto di Agrigento aveva scritto al Ministero degli Interni comunicando i nomi dei tre Ferlita: Domenico, Giuseppe e Rosario e degli Scolaro, Ignazio e Giovan Battista, uomini potenti, gabellotti degli ex feudi di Quisquina.

Tre anni dopo venne istruito il processo con un solo imputato, Giuseppe Anzalone. Tutti gli altri furono prosciolti in sede istruttoria. Il delitto del maestro rimase senza colpevoli.

Lorenzo Panepinto era nato il 4 gennaio del 1863 a Santo Stefano di Quisquina. Brillante negli studi fin da fanciullo, aveva ottenuto la licenza ginnasiale e prese l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole elementari.

Nel 1895 entrò nel consiglio comunale del suo paese ma nel 1890 e tornò all’insegnamento alla scuola elementare e alla pittura sua giovanile passione. Un anno dopo si sposò e si trasferì a Napoli per motivi di lavoro, ma nel 1893 ritornò in Sicilia, quando l’Isola era scossa dalla rivolta dei Fasci Siciliani dei Lavoratori il grande movimento di rivendicazione salariale e sindacale dei contadini e dei minatori che grande successo ebbe tra l’altro anche nella provincia di Girgenti, fondando il Fascio dei Lavoratori di Santo Stefano Quisquina.

Panepinto si impose presto come leader riconosciuto ed amato nel suo paese e nel circondario della sezione del fascio dei lavoratori. Egli era vicino all’area della democrazia radicale, ma presto divenne socialista militante. Cominciò a parlare apertamente al popolo del diritto che ognuno aveva al lavoro, al pane, alla riduzione delle ore di lavoro, all’abolizione di balzelli. Parlava in maniera semplice, da bravo maestro.

Alla prima manifestazione pubblica che organizzò parteciparono circa 500 lavoratori. Le successive ebbero un successo sempre crescente e non vi furono mai disordini. Ma quando cominciò ad organizzare i primi scioperi per chiedere la revisione dei patti agrari, i gabelloti andavano spesso dal sindaco e dal prefetto a chiedere provvedimenti contro l’agitatore di Santo Stefano di Quisquina. Istituì anche un’associazione che rimediava economicamente agli eventuali disagi causati dagli scioperi. Presto ebbe lusinghieri riconoscimenti a livello regionale nazionale e partecipò come membro della federazione regionale socialista ai più importanti congressi nazionali del suo partito.

 

 

 

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