16 marzo 1994 Reggio Calabria. Scompare Angela Costantino, 25 anni, madre di quattro figli, uccisa per aver tradito il marito boss della ‘ndrangheta

Foto dal Video del programma Chilhavisto

Angela Costantino, venticinque anni e madre di quattro figli, scomparve dalla sua casa di Reggio Calabria il 16 marzo 1994. Era moglie del boss della ‘ndrangheta Pietro Lo Giudice, detenuto nel carcere di Palmi.

Dopo 18 anni, grazie alle rivelazioni di alcuni pentiti si è saputa la verità.

Angela Costantino è stata strangolata in casa ed il suo corpo fatto sparire, condannata a morte dalla famiglia del marito per averlo tradito mentre lui era in carcere.

 

 

 

Fonte:  repubblica.it 
Articolo del 14 aprile 2012
Tradì il marito boss mentre era detenuto
Così madre di 4 figli fu uccisa dai parenti
Operazione contro la cosca Lo Giudice a Reggio Calabria: 12 arresti e beni sequestrati per 5 milioni. Nella retata anche i tre presunti assassini di Angela Cosentino, scomparsa nel 1994.

REGGIO CALABRIA – Fu uccisa perché tradì il marito boss mentre lui era detenuto. A distanza di 18 anni esce fuori la verità su Angela Costantino, madre di 4 figli, assassinata nel 1994 a Reggio Calabria. La squadra mobile reggina, grazie alle rivelazioni di alcuni pentiti tra cui Maurizio Lo Giudice, fratello del boss Nino, anch’egli pentito, ha scoperto i tre presunti responsabili dell’omicidio della donna, arrestati nell’ambito dell’operazione che ha portato stamattina all’esecuzione di 12 ordinanze di custodia cautelare nell’ambito di due distinte operazioni e di un’indagine coordinata dalla procura distrettuale antimafia del capoluogo reggino.

Le accuse che hanno portato alle ordinanze di custodia cautelare in carcere sono associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, omicidio e occultamento di cadavere. L’operazione ha portato anche al sequestro di beni per cinque milioni di euro.

Nella retata sono finiti dunque anche i presunti responsabili dell’omicidio di Angela Costantino, il cui cadavere non è mai stato trovato. Accusati dell’omicidio sono Vincenzo Lo Giudice, 51 anni, fratello di Nino e considerato uno dei capi della cosca; il cognato Bruno Stilo (51) e il nipote Fortunato Pennestrì (38). Angela Costantino era la moglie del pregiudicato Pietro Lo Giudice, 46 anni, figlio del boss Giuseppe e fratello di Vincenzo e considerato uno dei principali protagonisti della guerra di mafia registratasi a Reggio Calabria tra la metà degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Giuseppe Lo Giudice è stato a sua volta ucciso in un agguato nel 1990.

Secondo quanto è emerso dalle indagini, la donna, scomparsa mentre si stava recando a trovare il marito detenuto nel carcere di Palmi, fu uccisa perché avrebbe avuto una relazione extraconiugale mentre il marito era detenuto. Comportamento che avrebbe indotto i capi della cosca Lo Giudice a ordinarne l’uccisione. Due giorni dopo la scomparsa della donna, a Villa San Giovanni (Reggio Calabria), fu trovata l’automobile (una Fiat Panda) alla guida della quale la donna si stava recando da Reggio Calabria a Palmi.

 

 

 

Fonte: liberainformazione.org 
Articolo del 16 aprile 2012
Angela Costantino, la verità dopo 18 anni
Di Anna Foti

Sarebbe stata giustiziata per onore, strangolata in casa per aver avuto una relazione extraconiugale mentre il marito, il boss Pietro Lo Giudice, era detenuto nel carcere di Palmi negli anni Novanta. Per aver tradito la famiglia si paga con la vita. Con la violenza ci si assicura il rispetto dove comanda la Ndrangheta. Tutto diventa più spietato e brutale, come nelle peggiori degenerazioni di antichi retaggi, quando a farlo è una donna. È la storia di Angela Costantino, madre di quattro figli, scomparsa all’età di 25 anni, il 16 marzo del 1994. La sua auto, una panda, fu ritrovata a Villa San Giovanni due giorni dopo la scomparsa ma a non essere mai trovato fu il suo cadavere. La verità su questa drammatica vicenda ha cominciato a fare capolino già qualche anno fa, quando Maurizio Lo Giudice, fratello di Nino, collaborando con la giustizia, aveva chiaramente parlato di omicidio. E adesso un passo in avanti nelle attività di accertamento di una verità scomoda e perciò sepolta da 18 anni.

Una verità dolorosa. La squadra mobile reggina sabato ha, infatti, notificato, tra le dodici, anche tre ordinanze di custodia cautelare in carcere ai tre presunti responsabili dell’omicidio della donna: Vincenzo Lo Giudice, 51 anni (fratello di Nino e zio del marito della giovane), mandante ed arrestato sabato, il cognato Bruno Stilo (51) e il nipote Fortunato Pennestrì (38), rispettivamente esecutore ed altro mandante già in carcere.  Angela Costantino era la moglie del pregiudicato Pietro Lo Giudice, 46 anni, figlio del boss Giuseppe e fratello di Vincenzo e considerato uno dei principali protagonisti della guerra di mafia registratasi a Reggio Calabria tra la metà degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90. Giuseppe Lo Giudice era stato a sua volta ucciso in un agguato nel 1990 ed il figlio era detenuto a Palmi dove la giovane si stava recando il giorno in cui è scomparsa. Il giorno per il quale era stato stabilito, era stato deciso che quella presunta offesa avrebbe dovuto essere pagata con il sangue.

La storia purtroppo ci consegna un altro dramma analogo per troppi aspetti: quello di Barbara Corvi, sposata con Roberto Lo Giudice, fratello di Pietro e dunque cognata di Angela, con due figli Salvatore e Giuseppe di 19 e 15 anni, scomparsa dopo una lite in famiglia il 26 ottobre 2009 ad Amelia, frazione di Terni, in Umbria. La famiglia non ha sue notizie da allora. Uno squarcio si era aperto quando una cartolina era stata ricevuta da Firenze alcuni giorni dopo la scomparsa. Nessuna traccia in più fino allo scorso novembre quando si ipotizzò che delle ossa ritrovate in uno bosco. Monte Morello, nella capitale toscana potessero essere le sue. Un’ipotesi smentita nello stesso dicembre dall’esame del DNA. Dunque nessuna traccia del suo corpo, nessuna indicazione da parte dei pentiti a Reggio Calabra che hanno parlato solo della cognata Angela. Il destino di Barbara è ancora avvolto nel mistero. Un altro volto drammatico della Ndrangheta, che vede vittima una donna e carnefice il clan reggino dei Lo Giudice, nell’applicazione di un codice perverso che si arroga il termine di onore laddove di onorevole non v’è proprio nulla.

 

 

 

Fonte: corrieredellacalabria.it 
Articolo del 12 gennaio 2015
Condannati a 30 anni gli assassini di Angela Costantino
di Alessia Candito

REGGIO CALABRIA. Hanno un nome e un volto gli assassini di Angela Costantino, la moglie del boss Pietro Lo Giudice, scomparsa senza lasciare traccia il 16 marzo del 1994.

Il gup Carlo Alberto Indellicati ha condannato a trent’anni di reclusione Pietro Lo Giudice, zio del marito, e suo nipote, Fortunato Pennestrì, Secondo la ric9ostruzione del pm Sara Ombra, che ha sostenuto l’accusa in dibattimento, sarebbero stati rispettivamente il mandante e l’esecutore materiale di quell’omicidio scoperto a distanza di quasi vent’anni grazie alle rivelazioni del pentito Maurizio Lo Giudice.

Sposata giovanissima a Pietro Lo Giudice, Angela era solo una ragazza che a 25 anni, già madre di quattro figli e vedova bianca di un boss in galera – aveva pensato di poter vivere un’altra vita. O anche solo strappare alla sua quotidianità di moglie, cognata e parente di “uomo d’onore”, dei momenti di felicità con un altro uomo capitato per caso nella sua vita. Un uomo con il quale Angela aveva deciso – o molto più probabilmente con il quale era capitato – di fare un figlio. Ma il marito era già da troppo tempo in galera e, quella gravidanza non era giustificabile in nessun modo. Per la famiglia – che nel caso di Angela come di tutte le donne di ‘ndrangheta va molto oltre quella anagrafica e diventa un grumo di sangue, parentele e  “rispetti” che ti soffoca e ti attanaglia – è un marchio di infamia, una manifestazione di debolezza, un segno di resa. Come matrimoni e fidanzamenti sanciscono alleanze fra clan, un figlio è per la famiglia – tutta la famiglia – un progetto di futuro mantenimento del potere. Un’assicurazione sulla perpetuazione stessa del clan. Per questo un figlio illegittimo, per un boss è il segnale che può essere tradito, colpito.

Espropriata del diritto di decidere della sua stessa vita, del suo stesso corpo, Angela china la testa. Obbedisce. Si “disfa” di quel figlio che forse è capitato, o forse voleva, ma che in ogni caso era suo – suo e di un altro uomo – e sul destino del quale le è stata negata qualsiasi facoltà di scelta. Ma al clan non basta. Le notizie corrono, le voci girano e Angela è diventata, essa stessa, un marchio di infamia. Che deve essere cancellato in nome di un distorto concetto di onore, di cui le ‘ndrine si riempiono la bocca, ma che calpestano quotidianamente sotto le suole. In due strangolano una donna indifesa, in sei contribuiscono a occultare il cadavere e il delitto, un’intera famiglia sa e nasconde per quasi vent’anni.

Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti grazie alle rivelazioni dei pentiti del clan Lo Giudice – Maurizio prima, Nino “il nano” poi – come di altri collaboratori di giustizia come l’ex capolocale di Gallico, Paolo Iannò, Angela sarebbe stata sorpresa in casa da Natino Pennestrì, all’epoca appena diciannovenne. Su mandato dello zio, l’avrebbe strangolata quindi insieme avrebbero fatto sparire il corpo, mai più ritrovato. Di lei rimarrà solo l’auto, fatta ritrovare a pochi giorni dalla scomparsa a Villa San Giovanni. All’interno, saranno anche opportunamente collocate anche le ricette mediche del servizio salute mentale che serviranno per giustificare la presunta depressione che – secondo le versioni fornite all’epoca dai familiari – avrebbe spinto la donna ad allontanarsi. Una versione di comodo durata vent’anni, ma su cui oggi il Tribunale reggino è riuscito a fare luce.

 

 

 

Fonte:  strill.it 
Articolo del 25 aprile 2015
Omicidio Angela Costantino, ecco le motivazioni di secondo grado
di Angela Panzera

«Il delitto è stato realizzato in attuazione di un programma saldo e predeterminato, avente ad oggetto la punizione della donna fedifraga, che aveva leso l’onorabilità del marito, mentre questi era detenuto, il quale rispetto alla sua onorabilità, era stato tenuto all’oscuro di tutto. La donna non sono aveva tradito il marito, ma vi erano allarmanti segnali, quali metrorragia e frequenti svenimenti, indicativi che la donna portasse in grembo una creatura che non era del marito. Onta questa ancora più grave e che necessitava di essere occultata, grazie al ricorso ad un primario “amico”, che avrebbe potuto ammorbidire le risultanze della cartella clinica. A tutto ciò andavano aggiunte quelle misure repressive adottate dalla famiglia Lo Giudice: accompagnamento a vista, percosse per reprimere i moti di ribellione, psicofarmaci per sedare le continue crisi di pianto e per creare un alone di malattia psichiatrica, addotta quel genesi del suicidio». Sono queste le motivazioni della sentenza con cui il due febbraio scorso i giudici della Corte d’Assise d’Appello, Lucisano presidente con Crucitti a latere, hanno confermato la condanna di primo grado a 30 anni di carcere per Bruno Stilo e Fortunato Pennestrì ritenuti colpevoli del delitto della cognata Angela Costantino. Per l’accusa, così come per il gup che comminò le condanne, la donna, fu uccisa perché aveva osato tradire il marito detenuto. E adesso anche per i giudici d’appello. Una relazione extraconiugale che la Costantino, moglie del boss Pietro Lo Giudice, ha pagato con la vita. La Costantino, 25enne all’epoca dei fatti, sarebbe stata uccisa per “un accordo di famiglia” – come dirà il pentito Paolo Iannò- a causa della sua relazione extraconiugale con un uomo nel periodo in cui il marito era recluso. I suoi assassini l’avrebbero raggiunta alle prime ore del 16 marzo 1994. Da circa un mese abitava a Reggio Calabria in via XXV luglio, in un immobile al piano terra che, per decenni, è stato il feudo storico della cosca Lo Giudice. Lì, infatti, era più facilmente controllabile. A uccidere materialmente la donna sarebbe stato Fortunato Pennestrì. Bruno Stilo – uno dei “vecchi” dello storico clan Lo Giudice– sarebbe invece stato tra i mandanti del delitto. «Vi è stata- è scritto nelle motivazioni- la maturazione del progetto criminoso, gelosamente custodito per non intaccare la serenità di Pietro lo Giudice e l’ideazione dello stato depressivo per gettare sulla misteriosa scomparsa l’ombra del suicidio. A ciò si aggiungeva un’ulteriore pericolo: Angela Costantino, conosceva partecipi, e modus operandi della cosca, e se non tutti almeno alcuni dei reati fine. Non era tollerabile che ella potesse sfuggire al controllo della famiglia esponendo quest’ultima al rischio della divulgazione dei segreti criminali custoditi». Ecco perché l’avrebbero ammazzata. Aveva osato tradire il marito ed era ancora peggio se avesse tradito “a famigghia”.

«è giudizio di questa Corte-scrivono i giudici- che l’intento punitivo della donna, rea di infedeltà coniugale, per l’onta arrecata al marito, ampiamente tutelato dalla famiglia Lo Giudice e lasciato ignaro di tutto, è espressione del senso di dominio su un essere umano, considerato non come individuo assistito dal diritto di autodeterminarsi, ma come un’appartenenza la cui insubordinazione andava sanzionata con la più inappellabile delle condanne: la morte». A gravare inoltre, sulle posizioni di due imputati le dichiarazioni dei pentiti Domenico Cera e Maurizio Lo Giudice, il quale nel 1999 quando deciderà di collaborare con la giustizia racconterà agli inquirenti della scomparsa della cognata, parlando, fin da subito, di una possibile eliminazione. Dichiarazioni giudicate quindi attendibili.

 

 

 

Fonte:  iacchite.com 
Articolo del 28 giugno 2016
Angela, uccisa e fatta sparire per salvare l’onore dei boss: le condanne ora sono definitive

Condanna definitiva per gli assassini di Angela Costantino, la giovane moglie del boss Pietro Lo Giudice uccisa e fatta scomparire a Reggio Calabria nel marzo del 1994.

La Corte di Cassazione ha infatti confermato e reso irrevocabile la condanna a 30 anni di reclusione nei confronti di Bruno Stilo e Fortunato Pennestrì.

A darne notizia oggi è La Gazzetta del Sud con un articolo a firma di Francesco Tiziano, che mette un punto definitivo su una vicenda che ha segnato la storia della città.

La giovane Angela Costantino era la moglie di Pietro Lo Giudice (oggi deceduto), uno dei 13 fratelli dell’omonima famiglia mafiosa del rione Santa Caterina, tra cui i collaboratori di giustizia Antonino e Maurizio Lo Giudice. Fu uccisa e fatta scomparire dai familiari. Dal cognato Bruno Stilo e dal nipote Fortunato Pennestrì, che non le perdonarono una relazione extraconiugale.

“La sparizione di Angela Costantino – inizialmente inquadrata come un’improbabile fuga facendola passare in un mistero in piena regola a tal punto che si occupò anche la celebre trasmissione Rai “Chi l’ha visto?” – risale al 16 marzo 1994. Ad oltre 22 anni fa, quando la giovane donna scomparve nel nulla” scrive oggi Francesco Tiziano su Gazzetta del Sud.

Angela Costantino, 25enne all’epoca dei fatti, sarebbe stata uccisa per “un accordo di famiglia” (come dirà il collaboratore di giustizia Paolo Iannò) a causa della sua relazione extraconiugale con un uomo nel periodo in cui il marito era detenuto.

I suoi assassini l’avrebbero raggiunta alle prime ore del giorno del 16 marzo 1994. Da circa un mese abitava a Reggio Calabria in via XXV luglio, in un immobile al piano terra che, per decenni, è stato il feudo storico della cosca Lo Giudice. Lì, infatti, era più facilmente controllabile. A uccidere materialmente la donna sarebbe stato Fortunato Pennestrì.

Bruno Stilo – uno dei “vecchi” dello storico clan Lo Giudice di Reggio Calabria – sarebbe invece stato tra i mandanti del delitto.

“Il delitto è stato realizzato in attuazione di un programma saldo e predeterminato, avente ad oggetto la punizione della donna fedifraga, che aveva leso l’onorabilità del marito, mentre questi era detenuto, il quale rispetto alla sua onorabilità, era stato tenuto all’oscuro di tutto.

La donna non solo aveva tradito il marito, ma vi erano allarmanti segnali, quali metrorragia e frequenti svenimenti, indicativi che la donna portasse in grembo una creatura che non era del marito. Onta questa ancora più grave e che necessitava di essere occultata, grazie al ricorso ad un primario “amico”, che avrebbe potuto ammorbidire le risultanze della cartella clinica.

A tutto ciò andavano aggiunte quelle misure repressive adottate dalla famiglia Lo Giudice: accompagnamento a vista, percosse per reprimere i moti di ribellione, psicofarmaci per sedare le continue crisi di pianto e per creare un alone di malattia psichiatrica, addotta quel genesi del suicidio”.

Questo c’era scritto nelle motivazioni della sentenza d’Appello che ora la Cassazione ha reso definitiva.

 

 

Fonte:  chilhavisto.rai.it

Reggio Calabria, 14/4/2012 – Angela Costantino, il cui cadavere non è mai stato trovato, fu assassinata da parenti del marito, boss detenuto. La squadra mobile di Reggio Calabria, grazie alle rivelazioni di alcuni pentiti tra cui Maurizio Lo Giudice, fratello del boss Nino, anche egli pentito, ha arrestato i tre presunti responsabili dell’omicidio della donna, nell’ambito dell’operazione che ha portato all’esecuzione di 12 ordinanze di custodia cautelare. Dell’omicidio di Angela Costantino, sono accusati Vincenzo Lo Giudice, 51 anni, fratello di Nino e considerato uno dei capi della cosca; il cognato Bruno Stilo (51) e il nipote Fortunato Pennestri’ (38). Angela Costantino era la moglie del pregiudicato Pietro Lo Giudice, 46 anni, figlio del boss Giuseppe e fratello di Vincenzo e considerato uno dei principali protagonisti della guerra di mafia registratasi a Reggio Calabria tra la metà degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, a sua volta ucciso in un agguato nel 1990. Secondo quanto è emerso dalle indagini, Angela Costantino, madre di quattro figli, scomparsa mentre si stava recando a trovare il marito detenuto nel carcere di Palmi, fu uccisa su ordine dei capi della cosca perché avrebbe avuto una relazione extraconiugale. Due giorni dopo la scomparsa della donna fu trovata a Villa San Giovanni (Reggio Calabria) la sua Fiat Panda.

Dal 2009 è scomparsa da Amelia (Terni) anche la moglie del cognato di Angela Costantino, Barbara Corvi. Le due donne hanno sposato i due fratelli Pietro e Roberto Lo Giudice. Un altro fratello, Antonino, arrestato l’8 ottobre 2010 a Reggio Calabria ha ammesso di essere il mandante della bomba alla Procura e del bazooka fatto ritrovare per intimidire il procuratore Giuseppe Pignatone.

 

 

http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-7d9b6989-2e75-4c70-b6ce-ad87205a164a.html

Angela Costantino e Barbara Corvi – 18 aprile 2012

Puntata del 18 aprile 2012

 

 

Dal libro: Dead Silent  Life Stories of Girls and Women Killed by the Italian Mafias, 1878-2018 di Robin Pickering Iazzi University of Wisconsin-Milwaukee, rpi2@uwm.edu

 

 

 

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Angela Costantino – 16 marzo 1994 – Reggio Calabria (RC)
Allontanamento volontario. Due parole utili a liquidare una vicenda dai contorni oscuri e misteriosi. Due parole ripetute da qualcuno per chiudere questa storia, perché non facesse clamore, perché non avesse alcun risalto. Angela se n’era andata di sua spontanea volontà, abbandonando senza alcun preavviso i suoi quattro figli e senza mai più dare sue notizie.