16 Settembre 1970 Palermo. Scompare Mauro De Mauro, giornalista de “L’Ora”
Mauro De Mauro è stato un giornalista italiano, venne rapito la sera del 16 settembre del 1970, mentre rientrava nella sua abitazione di Palermo. Fu visto l’ultima volta dalla figlia Franca mentre posteggiava la macchina davanti la sua abitazione di via delle Magnolie. La figlia, nell’attesa che il padre raccogliesse le sue vettovaglie dal sedile della macchina, entrò nell’androne per chiamare l’ascensore, vedendo però che il padre non la raggiungeva uscì nuovamente dal portone e vide suo padre, circondato da due o tre persone, risalire in macchina e ripartire senza voltarsi per salutarla. Ella riuscì a cogliere soltanto la parola «amunì» detta da qualcuno a suo padre poco prima di mettere in moto e ripartire senza lasciare traccia.
La sera successiva l’auto venne ritrovata a qualche chilometro di distanza in via Pietro D’Asaro, con a bordo piccole vettovaglie che il giornalista aveva acquistato rincasando. L’auto fu ispezionata con cura, il cofano fu aperto dagli artificieri, ma non furono reperiti elementi utili al rintraccio. Furono allestiti posti di blocco e si disposero minuziose ricerche, ma dello scomparso non si seppe più nulla.
Il suo corpo non è mai stato ritrovato.
Mauro De Mauro, la verità scomoda” è il titolo del libro del giornalista Francesco Viviano
Aliberti Editore, 2009
1962: un vecchio verbale di polizia viene ritrovato da Mauro De Mauro, giornalista del quotidiano siciliano “L’Ora”. Si tratta delle rivelazioni di un pentito mafioso, risalenti al 1936, che descrivono l’organigramma completo di Cosa Nostra. Un giornalista d’assalto come De Mauro non si lascia sfuggire l’occasione e pubblica il verbale sul giornale palermitano in tre puntate. Un documento scioccante e allo stesso tempo decisivo per le sorti di De Mauro, che oggi potrebbe costituire la giusta chiave per ristabilire i motivi della sua scomparsa, avvenuta il 16 settembre 1970 a Palermo. A processo in corso contro la cupola di Cosa Nostra, l’inchiesta di Francesco Viviano, inviato speciale di “Repubblica”, fa a pezzi le tesi montate per un trentennio sulla morte di De Mauro: le indagini che il cronista fece sulla scomparsa del presidente dell’Eni Enrico Mattei, quella sul presunto traffico di stupefacenti e svariate altre ipotesi, poi rivelatesi veri e propri depistaggi. Dietro la morte di De Mauro ci sarebbero infatti il famigerato tentato golpe di Junio Valerio Borghese e la ricostruzione con troppi anni d’anticipo degli interessi che la mafia siciliana tesseva insieme a illustri personalità del mondo politico, nobiliare e imprenditoriale, che da Palermo portavano dritto dritto a Roma.
Articolo da La Stampa del 6 Marzo 2009
Mauro De Mauro, l’Ora dei veleni
di Francesco La Licata
Il giornalista scomparso nel 1970 vittima dell’indifferenza del suo giornale e del Pci di Palermo?
L’arte del revisionismo, spesso interessato e «a qualunque costo», è un vezzo che sembra essersi impossessato di giornalisti e storici che si addentrano nelle riletture di vicende passate. A questa suggestione pare non volersi sottrarre la rivisitazione sul «caso De Mauro» (Mauro De Mauro. La verità scomoda, ed. Aliberti editore) offerta dall’inviato della Repubblica Franco Viviano.
L’ammiccamento al tentativo di capovolgere una storia esemplare, quella di un giornalista vittima, insieme col suo giornale e i suoi colleghi, del potere politico-mafioso «disturbato» da un cronista troppo efficiente, è già evidenziato nel sottotitolo. «La verità scomoda», annuncia la copertina. Perché, per chi «scomoda»? L’interpretazione che sembra prevalere è esattamente opposta a quella storicamente codificata e contenuta nella storia di un giornale, L’Ora di Palermo, foglio battagliero e di opposizione al potere mafioso. No, la rivisitazione offerta oggi da Viviano va nella direzione che descrive il giornalista scomparso (e poi ucciso) come vittima quanto meno dell’indifferenza e della pavidità del collettivo presso cui lavorava. Se non addirittura di un melmoso utilitarismo che avrebbe portato L’Ora e il Pci (all’epoca editore del quotidiano) a sacrificare la (presunta) verità sulla scomparsa di De Mauro sull’altare di una non meglio precisata «ragion politica» favoreggiatrice dell’insabbiamento investigativo. Non sarà casuale che tra i primi a cavalcare l’onda revisionista sull’Ora siano stati i giornali della destra e in particolare Il Giornale di Berlusconi.
L’occasione di cronaca per riportare a galla la storia di Mauro De Mauro (settembre 1970) è data dal processo che, a distanza di quasi 40 anni, si sta celebrando a Palermo sulla scorta di non recentissime rivelazioni di pentiti e, soprattutto, dell’inchiesta portata avanti dal pm di Pavia Vincenzo Calìa. Il magistrato, indagando sulla morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei, raccolse nuovi spunti sulla scomparsa di Mauro De Mauro (che quando fu sequestrato stava ricostruendo gli ultimi momenti di vita di Mattei), li stralciò e li spedì ai colleghi di Palermo che adesso celebrano il processo.
Ma da quelle carte, una montagna di spunti che ha fatto impazzire fior di investigatori, oggi si preferisce privilegiare il sospetto di un coinvolgimento ambientale degli amici di De Mauro, fino a introdurre il dubbio dell’esistenza di un «Giuda» che avrebbe tradito il cronista. Un personaggio dato per ancora in vita, ma neppure entrato nella pur labile trama processuale.
Il perno della «ragion politica» insabbiatrice sarebbe la presunta indifferenza del giornale di fronte al coinvolgimento nell’inchiesta dell’avv. Vito Guarrasi, ambiguo manovratore della politica economica siciliana che in passato (anni 50 e 60) era stato vicino alla sinistra isolana. Altro «indizio» sarebbe l’ormai annosa questione del trasferimento di De Mauro alla sezione sportiva, decisa dal direttore, Vittorio Nisticò. E ancora, la presunta sottovalutazione di un appunto di De Mauro, un foglio su cui era scritto «Colpo di Stato». Tutte questioni che l’inchiesta ha affrontato e risolto. Vittorio Nisticò non è oggi in grado di intervenire nel dibattito per motivi di salute. Ma forse può servire quanto dice Roberto Ciuni, all’epoca redattore capo del Giornale di Sicilia: «Mauro De Mauro sarebbe passato alla testata concorrente. Il trasferimento era stato preventivato per il Natale 1970 su richiesta dello stesso Nisticò (e presumo di De Mauro). L’Ora non attraversava un periodo florido e Nisticò temeva di non poter salvaguardare il futuro di un redattore non organico alle origini e alla cultura del collettivo». Già, perché De Mauro lavorava in un giornale di sinistra ma era stato fascista e uomo di Borghese a Salò. Motivo questo che porterà gli investigatori a prediligere la pista processuale di un sequestro voluto da mafia e fascisti, impegnati nel tentativo di golpe di Borghese, nella famosa notte di Tora-Tora.
Ma De Mauro non era un corpo estraneo nella redazione. Ricorda Etrio Fidora, prima redattore capo dell’Ora e poi successore di Nisticò: «Non è vero che il giornale si discostò dalla famiglia. Io stesso e altri colleghi siamo stati vicini a familiari e investigatori e abbiamo messo a disposizione tutto quanto sapevamo. Il collega Gianni Lo Monaco, prestigioso cronista di giudiziaria, abitò quotidianamente in quel periodo la casa di De Mauro». E Guarrasi? «Ho letto – insiste Fidora – il tentativo di associare quella ambigua eminenza grigia ad ambienti del giornale, quasi per dimostrare la volontà di scaricare De Mauro in braccio ai suoi assassini. Ricostruzione malevola: basterebbe ricordare soltanto che ci fu un processo durato ben 13 anni, fino al 1983, fra L’Ora e l’avvocato in questione. L’Ora, infatti, fu il primo a pubblicare ciò che risultava a carico del famigerato “Mister X” e Guarrasi querelò per essersi riconosciuto nell’identificazione fatta dall’Ora e anche da altri giornali».
Insomma, del caso De Mauro si continuerà a parlare. Basti dire che il nome del giornalista è stato accostato (Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Profondo Nero, ed. Chiarelettere) persino all’assassinio di Pier Paolo Pasolini, in una ricostruzione che traccia un filo unico a unire la fine di Mattei e quelle dello scrittore e del giornalista. «De Mauro e Pasolini… entrambi avrebbero denunciato una verità che nessuno voleva venisse a galla: e cioè che con l’uccisione di Mattei prende il via un’altra storia d’Italia, un intreccio perverso e di fatto eversivo che si trascina fino ai nostri giorni».
Articolo di Antimafia Duemila del 16 Settembre 2010
Mauro De Mauro: a quarant’anni dalla scomparsa
di Aaron Pettinari
Palermo, Via delle Magnolie 58, ore 21 e 10 del 16 settembre 1970. Il giornalista del quotidiano ”L’Ora”, Mauro De Mauro, parcheggia e sul portone scorge la figlia Franca ed il fidanzato Salvatore, anche loro appena giunti. Avrebbero dovuto mangiare assieme a pochi giorno dal loro matrimonio.
Anche loro si accorgono di lui e lo aspettano davanti all’ascensore. Passa qualche attimo. Franca torna sui suoi passi perché il padre, che avrebbe dovuto averli raggiunti, non arriva. Giusto in tempo per sentire qualcuno dire “Amuninni!” e vedere il padre “con la faccia tirata”, allontanarsi in macchina in compagnia di altre persone. “Amuninni”, una parola detta con tono fermo, quasi di comando. E’ l’ultima volta che Franca vede il padre. Undici ore dopo la famiglia denuncia la scomparsa ed iniziano le indagini.
La riapertura del caso
Da allora sono passati 40 anni e la scomparsa di De Mauro è ancora avvolta nel mistero. Un caso che scotta e che nel tempo è stato studiato sempre a singhiozzo. Le indagini infinite, scenari contorti, archiviazioni e riaperture d’indagini. Ogni tanto qualche giornale lo ricorda dando voce alla famiglia, lasciata senza giustizia, non rassegnata, ma stanca, segnata da una ferita sempre aperta. Nel 2001, finalmente, una nuova svolta. Sul giornale “La Repubblica” vengono pubblicate le dichiarazioni del pentito Francesco Di Carlo, ex padrino di Altofonte, ai magistrati: “De Mauro è stato ucciso perché sapeva del golpe. Lo seppellimmo alla foce dell’Oreto”. Tali dichiarazioni sono similari a quelle fatte qualche anno prima dal pentito Gaspare Mutolo, ma allora venne vagliato senza trovare risconti. Anche per questo la Procura di Palermo sobbalza ed immediatamente chiede al gip la riapertura dell’inchiesta, soprattutto alla luce delle nuove dichiarazioni dell’ex boss di Altofonte. Durante le indagini preliminari vengono rispolverati tutti gli atti riguardanti la scomparsa del giornalista. Dalla Procura di Pavia vengono inviate le carte sul caso Enrico Mattei, presidente dell’Eni, sulla cui morte stava indagando lo stesso De Mauro nel lontano 1970. Vengono così ripercorse tutte le tappe che segnarono le prime indagini degli anni successivi a quel 16 settembre e rianalizzate le tre piste che portavano ai già citati “Caso Mattei” e “Golpe Borghese” oltre al traffico di droga. Su quest’ultima nel 1970 indagò soprattutto il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa convinto che De Mauro avesse scoperto i luoghi dove cocaina ed eroina sbarcavano e ripartivano verso altri lidi, dato che in passato lo stesso giornalista aveva scritto più volte sul tema. Nel giugno del 2005 l’inchiesta su uno dei primi delitti eccellenti di Palermo viene conclusa con la richiesta, da parte dei pm Antonio Ingroia e Gioacchino Natoli, di rinvio a giudizio per Totò Riina, al tempo al vertice di Cosa Nostra come sostituto di Luciano Liggio, congiuntamente a Gaetano Badalamenti e Stefano Bontade, entrambi morti. Era l’epoca del famoso triunvirato.
Il processo
Martedì 4 Aprile 2006 si è aperto il processo d’innanzi alla Corte d’Assise di Palermo presieduta da Giancarlo Trizzino che è tutt’oggi in fase di dibattimento. Imputato unico Totò Riina, difeso dagli avvocati Luca Cianferoni e Riccardo Donzelli. Dall’altra parte l’accusa, rappresentata dal pm Antonio Ingroia, le parti civili (famiglia e quotidiano “l’Ora”) rappresentate dall’avvocato Francesco Crescimanno, e la Provincia di Palermo rappresentata dall’avvocato Concetta Pillitteri. E’ toccato proprio ad Ingroia esporre il filone d’indagine che condurrà il processo di questo “giallo senza soluzione”. Il sequestro e l’omicidio di Mauro De Mauro si colloca in un periodo storico di grande fermento segnato da due particolari eventi come il tentativo di colpo di Stato (Golpe Borghese) e la morte di Enrico Mattei. “L’eliminazione di De Mauro faceva gola non solo a Cosa nostra” ha detto Ingroia. Un riferimento ai burattinai senza nome e senza volto che favorirono i depistaggi nel corso delle indagini. Poi il pm, all’apertura del processo, ha evidenziato come il boss corleonese Riina fosse sì in cabina di regia, ma non l’unico a dirigere determinati eventi dato che c’erano dietro interessi precisi “della destra eversivo – golpista, della massoneria deviata, oltre a quelli della finanza, dell’economia e della politica corrotta”. Pochi dubbi quindi vi sarebbero che De Mauro sia stato sequestrato e ucciso per le sue inchieste giornalistiche, quelle già archiviate o che avrebbe potuto ancora scrivere. Durante il processo è emersa anche un’ulteriore movente, seppur complicato, per la scomparsa del giornalista. Secondo le testimoninanze dell’ex numero 3 del Sisde Bruno Contrada (sentito a più riprese come testimone per esigenze della Corte, naturalmente tenendo conto della condanna definitiva a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa), e ancor prima del collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino, dietro la scomparsa e la morte del cronista giudiziario de “L’Ora” ci sarebbe stato l’interesse di Nino Salvo. Lo scorso 2 luglio, dopo quattro anni di dibattimenti, si e’ conclusa l’istruttoria del processo.
La corte d’assise ha quindi rinviato al 22 ottobre l’inizio della requisitoria dei pm Sergio De Montis e Antonio Ingroia. Forse con la conclusione del processo la famiglia potrà avere un minimo di giustizia grazie all’individuazione delle responsabilità concrete sulla morte di De Mauro. Golpe Borghese, caso Mattei, gli interessi dei cugini Salvo. Uno scoop che avrebbe fatto tremare l’Italia. Difficile, forse impossibile, dire quale fosse la notizia che il giornalista de “L’Ora” stesse seguendo. Troppi i pezzi mancanti per chiudere il puzzle. Anche per questo il caso De Mauro resta un mistero di Stato.
Articolo del 24 Marzo 2011 da antimafiaduemila.com
ANSA
Dopo 40 anni altre carte sulla scomparsa di De Mauro
Palermo. Note, appunti, relazioni di servizio dell’ufficio politico della Questura sulla scomparsa di Mauro De Mauro tornano alla luce dopo 40 anni.
I documenti, rintracciati negli archivi polverosi della polizia, saranno portati domani in aula dalla corte d’assise davanti alla quale si celebra il processo per il rapimento del redattore del giornale L’Ora. Unico imputato è Totò Riina. Nell’udienza del 4 marzo il pm Antonio Ingroia aveva già cominciato la requisitoria che domani pomeriggio dovrebbe proseguire l’altro pm, Sergio Demontis. Ma l’arrivo delle carte a lungo dimenticate, e mai consegnate ai magistrati, potrebbe provocare la riapertura dell’istruzione dibattimentale. I documenti sono stati recuperati su richiesta della stessa corte in base alle tracce emerse in alcune testimonianze tra cui quella di Bruno Contrada che nel 1970 condusse con Boris Giuliano la prima fase delle indagini sul caso De Mauro. Alcuni accertamenti furono delegati dal questore dell’epoca, Ferdinando Li Donni, all’ufficio politico. Le «nuove» carte, che in un primo momento non erano state trovate, dovrebbero toccare le piste seguite per risalire al movente della scomparsa del giornalista. Ma potrebbero riguardare altre vicende oscure che da 41 anni frenano la ricerca della verità. È probabile che domani la difesa e le parti civili chiedano un breve rinvio del processo per l’esame degli atti.
Articolo da grr.rai.it dell’11 Giugno 2011
E’ uno dei misteri d’Italia ancora insoluti
De Mauro, processo sui depistaggi
Il pm Ingroia non si arrende. Dopo la sentenza della corte di Assise di Palermo che ha assolto Totò Riina come mandante del sequestro del giornalista la procura istruirà un processo bis per appurare responsabilità dirette su deviazioni e manomissioni di testimonianze e prove.
PALERMO – Il caso De Mauro rischia di non avere soluzione. Dopo 41 anni di indgini l’unico imputato del rapimento del cronista del quotidiano palermitano ‘L’Ora’ è Totò Riina che viene assolto dalla corte di Assise del capoluogo di Palermo dall’accusa di essere il mandante del sequestro del giornalista. La camera di consiglio ha ritenuto che le prove a carico di Riina erano insufficienti. I fatti risalgono al settembre del 1970 quando De Mauro fu rapito sotto la sua abitazione. Di lui non si seppe più nulla e per anni si è cercato invano di ricostruire processualmente la dinamica dei fatti.Il processo De Mauro era iniziato nel 2006. Le indagini si erano riaperte molto tempo dopo i fatti, quando un pubblico ministero di Pavia, Vincenzo Calìa, riprese in mano il fascicolo del caso Mattei sull’onda delle dichiarazioni di pentiti come Tommaso Buscetta e Gaspare Mutolo. Le piste che emersero nel tempo furono sostanzialmente tre: De Mauro avrebbe potuto ottenere qualche nuova rivelazione sul caso Mattei, oppure essere venuto a sapere qualcosa del futuro golpe Borghese (il fallito colpo di stato tentato nel dicembre 1970), grazie ai suoi contatti con l’ex comandante della X MAS; infine, come hanno suggerito numerosi pentiti tra cui Tommaso Buscetta, la sua scomparsa potrebbe essere stata decisa dalla mafia a causa del suo coinvolgimento in diverse inchieste giornalistiche sulla criminalità organizzata.Nessuno dei tre filoni è approdato a risultanze significative. Con l’assoluzione in corte di Assise si ritorna al punto di partenza, cioè a un nulla di fatto. Sono in aperta polemica le dichiarazioni del Procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo “Sull’imputato Riina ritenevamo che ci fossero gli elementi di prova sufficienti per arrivare alla condanna all’ergastolo. Sono curioso di leggere le motivazioni della sentenza d assoluzione”.
Intorno al caso De Mauro, uno dei misteri d’Italia, non c’è segno di resa. La Procura non si rassegna. La ricerca della verita’ sul caso De Mauro proseguirà ora su due fronti”. Il pm Antonio Ingroia indica le linee delle strategie processuali sulla scomparsa del giornalista del quotidiano ‘L’Ora’. Sul primo fronte, quello delle responsabilità dirette, Ingroia ha confermato che sarà presentato appello contro l’assoluzione di Totò Riina. Dal secondo fronte, quello dei depistaggi, Ingroia si dice certo che nascerà un nuovo processo.
Fonte: famigliacristiana.it
Articolo del 23 giugno 2011
Omicidio De Mauro, si riparte da zero
Franco Nicastro, cronista e memoria storica delle vicende di mafia, parla delle nuove indagini sull’omicidio di Mauro de Mauro, il giornalista rapito e ucciso nel 1970.
A distanza di 41 anni, il caso De Mauro rimane un delitto senza colpevoli, un giallo senza mandanti e senza esecutori, un mistero collegato ad altri misteri. Le indagini ripartono da zero sulla scomparsa di Mauro de Mauro, il coraggioso giornalista del quotidiano l’Ora di Palermo, rapito e ucciso nel 1970.
L’unico imputato del processo – il boss Totò Riina – è stato assolto, nelle scorse settimane, dalla Corte di Assise di Palermo, perché non vi erano prove certe sulle sue responsabilità. Tuttavia, i giudici della Corte di Assise hanno chiesto alla Procura della Repubblica di Palermo di far luce sui depistaggi istituzionali nell’intera vicenda. L’assoluzione di Riina, inoltre, non cancella la validità delle due principali piste seguite dai magistrati: il caso Mattei e il Golpe Borghese. Secondo la prima tesi, De Mauro sarebbe stato ucciso per la ricerca della verità sul sabotaggio dell’aereo nel quale viaggiava il presidente dell’Eni, Enrico Mattei, morto nel 1962. In base alla seconda pista, invece, Mauro De Mauro avrebbe scoperto le trame del Golpe Borghese, il tentativo di colpo di Stato ideato dal principe fascista Junio Valerio Borghese nel 1970.
Sul caso De Mauro abbiamo intervistato Franco Nicastro, consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, memoria storica delle vicende di mafia e cronista di punta del quotidiano L’Ora (di cui divenne vicedirettore, prima della chiusura del giornale).
Chi era Mauro De Mauro, dal punto di vista umano e professionale?
«Come giornalista sembrava la controfigura dei reporter del cinema americano, avvolti da una nuvola di fumo e con la bottiglia di whisky nel cassetto. Sempre sulla notizia, capace di leggere non solo i fatti ma anche le loro relazioni e i contesti, curioso, abile, brillante. Aveva poi una straordinaria capacità di scrittura: riusciva a dettare a braccio un articolo lungo e complesso, punteggiatura compresa. Insomma, un uomo carico di fascino e un giornalista del suo tempo come non se ne incontrano più».
Quale pista considera più attendibile? Caso Mattei, Golpe Borghese o traffico internazionale di droga?
«Escludiamo subito la droga: era una pista totalmente inventata per depistare le indagini, come il processo ha dimostrato; un’operazione che mirava a oscurare le verità scomode e inquietanti sulla scomparsa del giornalista. Le altre due piste sembrano correre su binari diversi ma in molti punti si incrociano, si sovrappongono e si integrano. Certo, il golpe Borghese prospetta in modo suggestivo la convergenza di progetti eversivi in cui si ritrovavano gruppi neofascisti, servizi segreti, mafia, poteri occulti. Ma il processo non è riuscito, a mio giudizio, a collegare in modo convincente la figura di De Mauro al golpe Borghese».
Che cosa pensa, invece, del collegamento con la morte del presidente dell’Eni?
«La pista Mattei è quella che, sin dal primo momento, è apparsa più convincente. Se non altro per l’ostinazione con cui De Mauro negli ultimi giorni stava ricostruendo, per il film di Francesco Rosi, la trama del complotto che culminò con la morte del presidente dell’Eni. Aveva fatto scoperte clamorose? Era questa la storia che, come confidava a colleghi e amici, poteva fare “tremare l’Italia”? L’accusa si è sforzata di ricomporre un movente complesso. E ha colto i collegamenti tra le due piste puntando sulla centralità del ruolo organizzativo della mafia. Sforzo generoso ma difficile a distanza di oltre 40 anni dalla scomparsa».
Nell’epoca del caso De Mauro, per il quotidiano L’Ora vi occupavate di eversione nera e trame neofasciste in Sicilia. Era un tema sul quale era particolarmente impegnato un altro cronista coraggioso, Giovanni Spampinato, poi ucciso nel 1972. Cosa si è scoperto?
«La Sicilia in quegli anni era il punto di confluenza delle trame eversive di personaggi e di gruppi neofascisti che avevano anche collegamenti internazionali. Le università erano teatro di scontri violenti e di assalti che preparavano il terreno a una deriva terroristica. Pierluigi Concutelli, condannato per l’omicidio del giudice Vittorio Occorsio, e Francesco Mangiameli, poi assassinato dai suoi stessi amici, erano nomi che incutevano paura. Nella Sicilia occidentale erano stati individuati perfino campi paramilitari. Spampinato era, tra Ragusa e Siracusa, sulle tracce di Stefano Delle Chiaie e di altri personaggi che alimentavano trame oscure e misteriose. Con le sue inchieste, L’Ora proponeva un modello militante di controinformazione, come allora si chiamava».
Può parlarci del grande depistaggio sul caso De Mauro pianificato nella Villa Boscogrande di Palermo?
«La notizia aveva una fonte certa: Boris Giuliano allora capo della sezione omicidi della squadra mobile. Le indagini battevano soprattutto la pista Mattei e stava toccando personaggi potenti, ambienti influenti, settori dell’economia. L’inchiesta sulla scomparsa di De Mauro si stava inoltrando su un terreno proibito. Bisognava fermare tutto. L’ordine fu portato da uomini dei servizi segreti e comunicato in una riunione a Villa Boscogrande. Il magistrato che si occupava del caso De Mauro, Ugo Saito, si ritrovò solo. La folla di investigatori che faceva la fila davanti al suo ufficio a palazzo di giustizia da un giorno all’altro si eclissò. Sul suo tavolo non arrivò più alcuna carta. Per anni, gli archivi della polizia e dei servizi segreti sono rimasti sigillati. E dopo 40 anni sono stati trovati vuoti. In aula sono arrivate solo le tracce di indagini parallele che miravano non a svelare ma a oscurare la verità».
Che cosa pensa infine dell’assoluzione di Totò Riina e del processo conclusosi dopo 41 anni?
«Era nell’ordine delle cose. Se per tanto tempo si ostacola il corso della giustizia e si occultano o si manipolano le prove, diventa perfino difficile condannare Totò Riina. La Corte ha dovuto prendere atto che sul caso De Mauro si è giocata una partita sporca. Forse per proteggere imbarazzanti, e gravi, segreti di Stato».
Blu notte – 2005
La scomparsa di Mauro De Mauro: un mistero di Stato
Mauro De Mauro è scomparso a Palermo il 16 settembre 1970: il rapimento del giornalista per mano di Cosa nostra è un mistero tuttora irrisolto, sul quale sono state formulate numerose ipotesi correlate ad altri grandi enigmi della storia italiana, considerato soprattutto che Mauro De Mauro stava indagando sulla morte di Enrico Mattei. In questa puntata, fra le altre, anche le interviste al fratello Tullio e alla moglie Elda.
Il caso De Mauro Sparire a Palermo – La Storia siamo noi
Scena Criminis
Mauro De Mauro viene #rapito la sera del 16 Settembre 1970, mentre rientra nella sua abitazione di #Palermo. Sua figlia Franca, nell’attesa che il padre parcheggi l’auto e raccolga delle vettovaglie dal sedile, entra nell’androne per chiamare l’ascensore. Dopo poco, non vedendo arrivare il padre, esce nuovamente in strada e vede il #giornalista, circondato da due o tre persone, risalire in macchina e ripartire senza voltarsi a salutarla. Riesce a cogliere soltanto la parola «amunì» detta da qualcuno poco prima di mettere in moto e ripartire senza lasciare traccia.
Articolo del 7 Agosto 2012 da palermo.repubblica.it
La sentenza su De Mauro
“Ucciso per lo scoop su Mattei”
Le motivazioni della Corte d’assise sul caso del cronista scomparso e ucciso: violò il segreto sulla morte del patron dell’Eni, mettendo a rischio l’impunità di tanti potenti
La sentenza su De Mauro “Ucciso per lo scoop su Mattei” Mauro De Mauro
“La causa scatenante della decisione di procedere senza indugio al sequestro e all’uccisione di Mauro De Mauro fu costituita dal pericolo incombente che egli stesse per divulgare quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell’incidente aereo di Bascapè, violando un segreto fino ad allora rimasto impenetrabile e così mettendo a repentaglio l’impunità degli influenti personaggi che avevano ordito il complotto ai danni di Enrico Mattei, oltre a innescare una serie di effetti a catena di devastante impatto sugli equilibri politici e sull’immagine stessa delle istituzioni”.
In 2.199 pagine, depositate questo pomeriggio, i giudici della prima sezione della Corte d’assise di Palermo ricostruiscono così l’omicidio del giornalista Mauro De Mauro, sequestrato da Cosa nostra il 16 settembre 1970 e mai più tornato a casa.
Pur assolvendo l’unico imputato, Totò Riina, il collegio presieduto da Giancarlo Trizzino, a latere Angelo Pellino (estensore della motivazione) ricostruisce il torbido contesto in cui il colo dllcronista del quotidiano “L’Ora” pagò il suo scoop sulla morte del presidente dell’Eni, Mattei, simulata da incidente aereo nei pressi di Pavia il 27 ottobre 1962.
“La natura e il livello degli interessi in gioco -scrive il giudice Pellino- rilancia l’ipotesi che gli occulti mandanti del delitto debbano ricercarsi in quegli ambienti politico-affaristico-mafiosi su cui già puntava il dito il professor Tullio De Mauro (fratello del giornalista, ndr) nel 1970. E fa
presumere che di mandanti si tratti e non di una sola mente criminale. Non per questo deve escludersi qualsiasi responsabilità di elementi appartenenti a Cosa Nostra, stante il livello di compenetrazione all’epoca esistente e i rapporti di mutuo scambio di favori e protezione tra l’organizzazione mafiosa e uomini delle istituzioni ai più disparati livelli”.
Articolo dell’8 Agosto 2012 da palermo.repubblica.it
Depistaggi sul delitto De Mauro
La Corte: “Si indaghi anche su Contrada”
I giudici che hanno assolto Riina inviano gli atti alla Procura perché approfondisca l’inchiesta sull’ex numero tre del Sisde, sul giornalista Pietro Zullino e su altre due persone. “Il colonnello Russo in rapporti con gli esattori Salvo”
Uno dei capitoli della sentenza sull’omicidio del giornalista Mauro De Mauro, le cui motivazioni sono state depositate ieri e riconducono il delitto a uno scoop sul caso Mattei, si occupa dei depistaggi che avrebbero segnato l’inchiesta. I giudici, nel dispositivo che ha chiuso il processo contro Totò Riina, unico imputato e assolto, avevano evidenziato alcune posizioni di testimoni apparsi falsi e ora, nella motivazione, depositata ieri e lunga 2.199 pagine, parlano di “incongruenze, contraddizioni e palesi reticenze emerse nel corso delle deposizioni”, a causa delle quali “va disposta la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Palermo, per quanto di competenza” nei confronti dell’ex vicequestore Bruno Contrada, dei giornalisti Pietro Zullino (moto nel gennaio scorso) e Paolo Pietroni, dell’avvocato Giuseppe Lupis.
Il capitolo dei depistaggi dell’indagine, evidenziati dai familiari, che erano costituiti parte civile – così come l’Ordine regionale dei giornalisti – con l’assistenza dell’avvocato Francesco Crescimanno, avrebbe riguardato il fatto che le indagini furono indirizzate verso piste palesemente sbagliate, come quella che avrebbe voluto De Mauro vittima di boss che gestivano il traffico degli stupefacenti.
Dopo avere esaminato le testimonianze ritenute
false, tra le quali quella dell’ex numero tre del Sisde, Bruno Contrada, che sta finendo di scontare in detenzione domiciliare una condanna a 10 anni per concorso in associazione mafiosa, la Corte d’assise palermitana, presieduta da Giancarlo Trizzino, a latere l’estensore Angelo Pellino, osserva che “il depistaggio vi fu, ma Contrada sembra voler concedere ai carabinieri il beneficio della buona fede, nel senso che essi sarebbero stati spinti a sostenere una tesi investigativa palesemente inconsistente non già dall’intento di favorire” i cugini esattori mafiosi Nino e Ignazio Salvo “o altri, bensì per risolvere rapidamente il caso della scomparsa di De Mauro; e, soprattutto, per poter ancorare ad un episodio delittuoso specifico e di innegabile gravità un’indagine che, al pari di tutte quelle che ruotavano intorno a generiche ipotesi accusatorie di associazione a delinquere, rischiava altrimenti di finire nel nulla”.
Due i nomi di valenti investigatori antimafia, poi entrambi uccisi da Cosa nostra, il cui ruolo viene analizzato e criticato dalla sentenza. Uno è “l’allora colonnello Dalla Chiesa”, al quale il collegio concede una giustificazione: “Pur prodigandosi in una sorta di difesa d’ufficio della scelta operata a suo tempo dall’Arma, nel senso di privilegiare la pista della droga”, il prefetto assassinato a Palermo il 3 settembre 1982 ne aveva riconosciuto “l’inconsistenza, sottolineando però che, se si fosse dato carico agli esponenti mafiosi inquisiti e poi arrestati per associazione a delinquere e traffico di stupefacenti (33 dei quali riportarono condanna in esito al processo noto come dei 114) di un delitto molto più grave come il sequestro De Mauro, forse si sarebbe inferto un colpo mortale all’organizzazione mafiosa, decapitandone i vertici”.
Dalla Chiesa dunque, più che depistare consapevolmente, avrebbe voluto evitare “altri omicidi eccellenti, come quelli di Boris Giuliano e del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, che erano entrambi impegnati attivamente in indagini sul traffico di stupefacenti quando vennero assassinati”.
Il fine del generale dunque era forzare un po’ la mano per neutralizzare i corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano e “l’efferata pericolosità dell’organizzazione mafiosa, grazie all’arresto dei suoi capi e al deterrente dell’imputazione per un gravissimo delitto, come quello di De Mauro”.
Discorso diverso invece per l’ex capitano, poi divenuto colonnello, Giuseppe Russo, ucciso il 20 agosto del 1977 a Ficuzza assieme all’amico insegnante Filippo Costa. Su di lui ci sarebbero numerosi elementi secondo cui l’ufficiale avrebbe intrattenuto rapporti con i cugini Salvo. I giudici citano fra l’altro la testimonianza di Etrio Fidora, ex direttore de L’Ora, il giornale di De Mauro: “Russo, quando è morto, lavorava per i Salvo, era un ex ufficiale dei carabinieri in pensione e i Salvo gli avevano proposto di occuparsi dei loro servizi di vigilanza. Cosa un po’ strana, diciamo la verità, ma non è mai stata chiarita”. Non si sa se Russo avesse accettato o meno l’offerta: “Si sa – aveva proseguito Fidora – che gli avevano fatto questa offerta dopo che era andato in pensione da carabiniere”.
“In ogni caso – sintetizzano i giudici – tra depistaggi più o meno consapevoli, influenti protezioni di cui i Salvo godevano in ambienti politico-istituzionali e mancato o carente coordinamento fra i vari organi inquirenti che da tempo avevano attenzionato il gruppo Salvo-Cambria (i carabinieri, la Commissione parlamentare antimafia e la Guardia di Finanza)”, l’ipotesi secondo cui De Mauro pagò l’inchiesta giornalistica sulle esattorie, “sull’impero economico dei Salvo e sulle sue oscure radici”, non fu valorizzata, sebbene portata avanti da un valoroso investigatore come l’allora commissario Boris Giuliano, anche lui ucciso da Cosa nostra il 21 luglio 1979.
“I fatti insomma ci dicono – conclude il giudice estensore Pellino – che una coltre di omertoso silenzio o di servile ignavia, che non ha risparmiato nessuno degli uffici e organi preposti alle indagini, sia in ambito giudiziario che parlamentare, ha letteralmente inghiottito nel nulla anche quella pista, sancendo di fatto la fine delle indagini, o degli ultimi sussulti investigativi sul caso De Mauro”.
Articolo del 16 Settembre 2012 da ilfattoquotidiano.it
Il caso De Mauro, paradigma dei delitti di Stato
di Giuseppe Pipitone
Se uno scrittore di libri gialli avesse voluto farne un thriller non ci sarebbe stato bisogno di romanzare nulla. Perché la storia di Mauro De Mauro, giornalista del quotidiano palermitano L’Ora, è un giallo naturale, un omicidio dai tanti mandanti e dai molteplici moventi, che alla fine conduce ai piani alti dello Stato italiano.
Esattamente 42 anni fa De Mauro scompariva nel nulla, mentre stava per rientrare a casa dopo una lunga giornata di lavoro. L’ultima a vederlo fu la figlia Franca, che nella penombra di viale delle Magnolie (dove al civico 58 abitavano i De Mauro) scorse il padre mentre si rimetteva alla guida della sua Bmw blu scuro. Nell’abitacolo dell’automobile si erano materializzate tre oscure figure. “Amuninni”, andiamo, gridò uno dei passeggeri, e De Mauro mise in moto la macchina per l’ultimo viaggio della sua vita. Un viaggio che lo avrebbe condotto prima alla morte e poi a 40 anni di depistaggi. “E’ una cosa di mafia” si diceva sottovoce nelle strade palermitane.
Tre settimane dopo la scomparsa di De Mauro la squadra mobile di Palermo era pronta ad arrestare l’avvocato Vito Guarrasi, Mister X, braccio destro dell’allora presidente dell’Eni Eugenio Cefis ed eminenza grigia di tutti gli affari di Sicilia. Forse non era soltanto “cosa di mafia”. Le manette ai polsi di Guarrasi però non scattarono mai. Nel frattempo il Sid, il servizio segreto della difesa, aveva chiamato a raccolta gli investigatori, impartendo un ordine definitivo: “non indagate su De Mauro”. E sulla fine del cronista dell’Ora calò un oblio lungo trent’anni.
A riaprire il caso, alla fine degli anni ’90, fu il sostituto procuratore di Pavia Vincenzo Calia, autore negli anni ’90 di una lunga indagine che provò a scavare sulla fine del cronista dell’Ora. Calia capi come l’ordine di assassinare De Mauro fosse legato a doppio filo con l’ultima inchiesta a cui stava lavorando il cronista. Nell’estate del 1970 De Mauro infatti iniziò a lavorare per il regista Francescoo Rosi, che gli aveva chiesto di ricostruire gli ultimi giorni in Sicilia del presidente dell’Eni Enrico Mattei, poi precipitato con il suo Morane Saulnier al suolo di Bascapè la notte del 27 ottobre 1962. Dal lavoro di Pavia presero spunto i pm Antonio Ingroia e Sergio Demontis, che a Palermo portarono a processo il super boss Totò Riina, unico superstite di quella stagione di sangue. L’anno scorso la corte d’assise ha deciso però di assolvere il boss corleonese dall’accusa di essere il mandante del delitto De Mauro.
Ma nelle oltre duemila pagine delle motivazioni della sentenza, i giudici fissano alcuni punti chiave sul caso De Mauro, 42 anni dopo il rapimento. A cominciare dalla rilevanza dei vari pezzi del puzzle che nel frattempo sono spariti. Come la busta gialla notata più volte tra le mani del giornalista scomparso prima di morire, che conteneva probabilmente il lavoro definitivo per Rosi, il carteggio in cui si metteva nero su bianco l’inconfessabile segreto che stava alla base della morte di Mattei. De Mauro muore infatti perché ha scoperto con trent’anni d’anticipo la verità sulla fine del presidente dell’Eni, che non è morto per un incidente, ma è stato in realtà assassinato. Principale fonte del giornalista è Graziano Verzotto, già senatore democristiano e uomo dell’Eni in Sicilia, poi passato a dirigere l’Ente Minerario Siciliano. È Verzotto il primo a dare le “dritte” giuste a De Mauro sull’affaire Mattei, ma è lo stesso Verzotto che a un certo punto si tramuta in “giuda” del giornalista. “Se Guarrasi è colpevole (dell’omicidio De Mauro n.d.r.), Verzotto lo è due volte di più” scrivono i giudici. I pezzi mancanti del caso De Mauro però sono più di uno, e seminati in fila conducono inevitabilmente ai vertici più alti dello Stato italiano. Non si spiega altrimenti come mai i fascicoli sulle indagini degli anni ’70 siano spariti persino dagli archivi della Polizia di Stato e da quelli del Ministero dell’Interno.
Il caso De Mauro è molto più che un singolo fatto di mafia, rientra in logiche molto più ampie dell’omicidio mafioso ed è piuttosto un esempio paradigmatico di cosa siano i delitti di Stato in questo paese, dove semplicemente a Cosa Nostra viene “appaltata” la parte esecutiva.
Nelle prime perquisizioni a casa De Mauro, gli inquirenti s’imbatterono anche nell’ordinatissimo archivio del giornalista. Decine di faldoni che contenevano articoli catalogati per argomento. Tra questi una carpetta, semivuota, con un grosso titolo scritto in nero: Petrolio. Lo stesso identico titolo che Pier Paolo Pasolini aveva scelto per il romanzo a cui stava lavorando, nello stesso periodo in cui fu assassinato sul lungomare di Ostia la notte tra l’1 e il 2 novembre 1975. Questa però è un’altra storia. O forse no.
Articolo del 16 Settembre 2013 da isiciliani.it
16 settembre 1970: Mauro De Mauro, il giornalista scomparso nel nulla
Franca, la figlia del giornalista Mauro De Mauro, è davanti all’ascensore del palazzo in cui vive con la famiglia. Attende che arrivi al piano terra e attende anche che il padre rientri. Lo ha visto parcheggiare appena un attimo prima e sarà questione di momenti, varcherà il portone e potranno salire a casa. Ma Franca non viene raggiunta da lui e allora la ragazza torna fuori e lo scorge mentre sta parlando con alcune persone che di cui non riesce a scorgere con chiarezza i lineamenti. Vede però il padre che risale in auto, una Bmw, e che si allontana per non tornare mai più.
Inizia così, il 16 settembre 1970, il segreto che avvolge la fine del giornalista Mauro De Mauro, firma del quotidiano palermitano L’Ora e una vita trascorsa in cronaca nonostante il recente passaggio allo sport. Che fine ha fatto? Perché? Chi lo ha fatto sparire? Tra i motivi emerge la vicenda di Enrico Mattei, fondatore e primo presidente dell’Eni, morto in un disastro aereo il 27 ottobre 1962 che si scoprirà anni dopo essere stato un attentato. Un attentato legato all’Ente Minerario Siciliano, l’Ems, lo stesso a cui si sarebbero legate, attraverso alcuni suoi funzionari, diverse storie nere della storia d’Italia. Ai tempi l’Ems era presieduto dal democristiano veneto Graziano Verzotto, inviato nel 1955 in Sicilia da Amintore Fanfani, e se l’esplosione del Saulnier 706 di fabbricazione francese fu una delle storiacce che lo lambirono, ci furono altri fatti, legati al bancarottiere siciliano Michele Sindona e al suo finto sequestro dell’agosto 1979, oltre a storie poi innestate su fondi neri.
Ma non c’è solo la vicenda Mattei nella scomparsa di Mauro De Mauro che vi lavorava su incarico del registra Francesco Rosi. Scomparsa che è stata definita un delitto di cosa nostra, ma non solo. Il giornalista, infatti, si era occupato del tentato golpe che il principe nero Junio Valerio Borghese avrebbe attuato qualche mese dopo la scomparsa, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, e del ruolo preparatorio avuto dai boss. Secondo quanto affermarono alcuni collaboratori di giustizia, De Mauro aveva ricevuto informazioni in proposito da alcuni fascisti con i quali era rimasto in contatto dopo aver fatto parte della X Mas dello stesso Borghese.
Quando poi il giornalista sparì furono molti i depistaggi che per quattro decenni impedirono di accertare quello che accadde. E di uno di questi parlò il capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, poi ucciso a sua volta il 21 luglio 1979, al pubblico ministero che si occupava della vicenda, Ugo Saito. Si trattava di una riunione riservata che si sarebbe tenuta a Villa Boscogrande e a cui avrebbero partecipato anche uomini dei servizi segreti. Tanti dunque gli interrogativi, riproposti ancora nel 2006 con l’imputazione a Totò Riina, assolto dalla Corte d’Assise di Palermo nel 2011 per “incompletezza della prova”. Interrogativi che dunque restano ancora oggi, nonostante le recentissime dichiarazioni di altri pentiti, e che riconducono sempre lì, ai primi anni della strategia della tensione e ai suoi addentellati con la criminalità organizzata, oltre che con il terrorismo.
Articolo del 16 settembre 2013 da antimafiaduemila.com
Caso De Mauro, un’inchiesta da far tremare il Paese
di Aaron Pettinari
A 44 anni di distanza dalla sua morte riproponiamo il ricordo di Mauro De Mauro, cronista de L’Ora sequestrato da Cosa nostra il 16 settembre 1970.
“Ho per le mani uno scoop da far tremare l’Italia”. Mauro De Mauro, giornalista del quotidiano L’Ora di Palermo, non aveva dubbi quando con queste parole, in quella calda estate del 1970, si era rivolto a qualche collega di lavoro. Lo ricordano bene anche la moglie Elda Barbieri, la figlia Franca, ed è scritto nel diario dell’altra figlia, Junia. Una notizia talmente sensazionale da potergli aprire le porte della “laurea in giornalismo”.
Ma De Mauro era anche una figura schiva, solitaria, e a nessuno ha parlato di quell’inchiesta che stava portando avanti con tanta tenacia. Sono circa le nove di sera del 16 settembre 1970. Mauro De Mauro rientra a casa alla guida della sua BMW e si ferma al numero 58 di Viale delle Magnolie in uno di quei tanti quartieri della nuova Palermo. Uno sguardo verso l’ingresso di casa dove vede la figlia Franca in compagnia del fidanzato. I due giovani decidono di lasciare spalancato il portoncino del palazzo e si dirigono verso l’ascensore. Una volta che il padre avrà parcheggiato la macchina saliranno sopra tutti insieme per la cena. L’ascensore arriva, ma Mauro De Mauro non si vede. Improvvisamente si sente una voce, con forte accento siciliano: “amuninne” (andiamo). Pochi attimi dopo la BMW è già lontana e in Viale delle Magnolie c’è solo il silenzio. Quando la figlia incuriosita si dirige in strada è già troppo tardi: l’auto del padre è scomparsa e non ha lasciato nessuna traccia.
Passano le ore e il giornalista non rientra in casa. L’ansia cresce e durante la notte partono le prime telefonate. La prima alla redazione del giornale, poi agli amici giornalisti, agli ospedali, al pronto soccorso.
Scattano le indagini. La Polizia ritroverà parcheggiata la BMW in pieno centro. Ma di De Mauro non vi è traccia.
Cosa è accaduto a De Mauro in quella notte? Chi lo ha portato via? Chi lo ha fatto eliminare? E soprattutto quale scoop stava preparando? Domande che dopo 43 anni restano in parte senza risposta. Il processo di primo grado che ha visto come unico imputato Salvatore Riina (poi assolto) non è riuscito a dirimere le ombre.
Lo scorso aprile si è riaperto il processo in Corte d’Appello con la decisione di riaprire l’istruttoria dibattimentale dopo la richiesta del pg Luigi Patronaggio di chiamare a deporre il pentito Francesco Di Carlo.
Quest’ultimo, in un libro intervista scritto col giornalista Enrico Bellavia, ha partlato di alcune confidenze fattegli dal “Capo dei Capi” che prima del delitto accompagnò a un summit. Nel corso della riunione, gli disse poi Riina, si sarebbe deciso l’omicidio del giornalista. Un elemento importante che può riscrivere l’esito del processo nella parte della responsabilità che il capomafia corleonese ha avuto nella vicenda.
Tuttavia le dichiarazioni di Di Carlo, a differenza di quanto scritto nelle motivazioni della sentenza di primo grado, indica nel Golpe Borghese il movente della morte del giornalista.
Il collaboratore di giustizia ai giudici ha raccontato di avere accompagnato Riina nell’abitazione del capomafia Giuseppe Giacomo Gambino per un summit tra boss qualche settimana prima del rapimento di De Mauro. Sia Riina sia il mafioso Stefano Bontande gli avrebbero raccontato che proprio nel corso di quella riunione, alla quale lui non avrebbe partecipato, sarebbe stato deliberato il delitto. Il pentito ha anche specificato che Cosa nostra avrebbe stabilito l’eliminazione del giornalista perché da Roma si era saputo che De Mauro era a conoscenza del progetto di golpe del principe Junio Valerio Borghese, piano, poi fallito, a cui collaborava la mafia. Di Carlo ha anche precisato che in Cosa nostra non si parlava mai espressamente di omicidi.
“Dicevamo: – ha spiegato – risolviamo il problema, andiamo a parlarci e si capiva cosa intendevamo”. Di Carlo ha poi smentito l’esistenza di un collegamento tra il delitto dell’ex presidente dell’Eni Enrico Mattei e il sequestro De Mauro, ma ha precisato che “all’attentato costato la vita a Mattei ci avevano pensato i catanesi”.
Un elemento di raccordo, quest’ultimo, che rafforza la considerazione dei giudici che nelle 2200 pagine di motivazione della sentenza, depositata nell’agosto 2012, hanno messo nero su bianco anche quanto accaduto a Bescapè, il 27 ottobre 1962. Di fatto viene considerata provata la matrice dolosa dell’ “incidente aereo” in quanto vi fu un’esplosione di una piccola carica di esplosivo piazzata all’interno del velivolo.
E secondo i giudici era proprio sulla morte di Mattei che De Mauro stava indagando prima di scomparire. “La causa scatenante della decisione di procedere senza indugio al sequestro e all’uccisione di Mauro De Mauro fu costituita dal pericolo incombente che egli stesse per divulgare quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell’incidente aereo di Bascapè” scrivono i giudici.
I giudici spiegano anche il motivo per cui l’unico imputato a processo, Totò Riina, è stato assolto. All’epoca colui che venne poi definito come il “Capo dei Capi”, infatti, non era ancora al comando di Cosa Nostra.
Al tempo stesso la sentenza diventa importante in quanto viene messo nero su bianco il torbido contesto in cui il cronista del quotidiano “L’Ora” pagò il suo scoop sulla morte del presidente dell’Eni, simulata da incidente aereo nei pressi di Pavia il 27 ottobre 1962. Nella lettura dei giudici si indica come mandante dell’omicidio Graziano Verzotto, ex dirigente dell’Eni, all’epoca segretario regionale della DC, morto il 12 giugno 2010, prima dell’ultima deposizione in aula, a Palermo.
Questi, secondo la Corte, ha un ruolo centrale sia nell’assassinio di Mattei che nel sequestro e nell’omicidio di De Mauro.
“Se Guarrasi è colpevole (dell’omicidio De Mauro n.d.r.), Verzotto lo è due volte di più” scrivono i giudici.
Per la Corte di Palermo, l’interesse dell’ex Dc per il lavoro di De Mauro era “duplice”. In primis perché “si riprometteva di strumentalizzarlo in chiave anti-Cefis”, in quanto nell’estate del ’70 ambiva alla sua successione come presidente dell’Eni. Poi perché aiutando De Mauro si garantiva “un osservatorio privilegiato per orientare la sua inchiesta e indirizzarla con opportuni suggerimenti, secondo la propria convenienza”. Questo “fino al momento in cui si è reso conto che il cronista, pur fidandosi ancora di lui, era troppo prossimo a scoprire la verità: e a quel punto doveva essere eliminato”.
Tutto secondo copione
De Mauro stava scrivendo tutto nella ricerca che gli era stata commissionata dal regista Francesco Rosi, per ricostruire gli ultimi giorni di vita del presidente dell’Eni in Sicilia. Sarebbe anche riuscito a scoprire i nomi delle persone che erano al corrente dell’orario di partenza del volo di rientro di Mattei, all’epoca tenuto segretissimo per ragioni di sicurezza.
A De Mauro però mancavano comunque dei passaggi. “Ancora si fidava del presidente dell’Ente Minerario, – si legge nelle motivazioni – mancavano solo alcuni tasselli, alcune conferme; e le chiedeva proprio a Verzotto”.
Secondo la Corte quest’ultimo “non avrebbe potuto reggere ancora per molto il gioco sottile che lui stesso aveva innescato, cercando di orientare l’indagine di De Mauro nella direzione a sé più conveniente, a cominciare dall’individuazione dei probabili mandanti del complotto. E l’impossibilità di fornire al giornalista i chiarimenti o le conferme che questi gli chiedeva non avrebbe certo mancato di rendere sospetto il suo comportamento”.
Il lavoro di De Mauro per Rosi era quasi terminato, “nella sceneggiatura approntata, dovevano essere contenuti gli elementi salienti che riteneva di avere scoperto a conforto dell’ipotesi dell’attentato. Bisognava agire dunque al più presto, prima che quegli elementi venissero portati a conoscenza di Rosi e divenissero di pubblico dominio”.
Il giorno della propria scomparsa il giornalista de “L’Ora” aveva con sé una busta gialla, o arancione. Al suo interno, molto probabilmente, vi era il copione per il regista. Con questa il collega Nino Sofia lo aveva visto passeggiare, ma poco dopo, una volta salito in redazione, la busta non c’era già più. Che fine aveva fatto? De Mauro l’aveva consegnata a qualcuno? Secondo i giudici il cronista de “L’Ora” l’avrebbe data allo stesso Verzotto.
Il 14 settembre, nei locali dell’Ems, il giornalista e l’ex senatore avrebbero proprio concordato la consegna del “copione”, ormai concluso, in quanto proprio Verzotto si sarebbe offerto di dare una mano per la sistemazione finale, prestandosi a fare da “corriere” portandolo a Roma. Del resto lo stesso Verzotto aveva dato luogo ad un “lapsus linguae” durante un’udienza nel quale aveva sostenuto di non aver parlato con De Mauro il 14 settembre in quanto in quella data si trovava a Peschiera del Garda, dove invece si recò due giorni dopo, il 16 settembre. In quel preciso momento, rilevano i giudici, “Verzotto si confonde, equivoca sulla data, identificandola con il giorno della scomparsa di De Mauro”, perché effettivamente “fu allora che Verzotto incontrò De Mauro per l’ultima volta”, circostanza che ha sempre negato.
Uno scoop da far tremare l’Italia
Secondo i giudici di Palermo la rivelazione di un attentato a Mattei, progettato con la complicità di apparati italiani (e forse con il supporto della Cia), avrebbe avuto “effetti devastanti per i precari equilibri politici generali, in un paese attanagliato da fermenti eversivi e tentato da svolte autoritarie”. E’ per questo motivo che vengono allertati gli alleati mafiosi di Verzotto e dei cugini Salvo: ovvero i boss Stefano Bontade e Giuseppe Di Cristina sancendo di fatto la delibera alla morte del giornalista. Erano in tanti, infatti, all’interno di Cosa Nostra, che non volevano far conoscere i retroscena del delitto Mattei, ovvero quello che il collaboratore di giustizia “Masino” Buscetta aveva definito come “il primo delitto della Commissione”.
A quel punto, “quando i sequestratori hanno ormai la certezza che il materiale raccolto su Mattei si trova in mani sicure”, De Mauro viene rapito con tutta la sua auto, “per avere qualche ora di vantaggio sugli inquirenti, simulando un allontanamento spontaneo con amici”, ma anche perché De Mauro forse aveva portato con sé altro materiale, o magari la copia del dossier consegnato, e “non si poteva correre il rischio di lasciare le carte del dossier Mattei nell’auto”.
Lo scabroso capitolo dei depistaggi
Se il “caso De Mauro” sembra davvero essere senza fine la causa è da ricercare nei continui insabbiamenti e depistaggi che hanno caratterizzato le indagini. Sono tanti i pezzi mancanti del puzzle di questa storia che assume sempre più i colori del “giallo”.
Nel dispositivo che ha chiuso il processo contro Riina i giudici avevano evidenziato alcune posizioni di testimoni apparsi falsi tanto che la Corte ha tramesso gli atti al Pubblico Ministero perché proceda per falsa testimonianza nei confronti dell’ex funzionario del Sisde Bruno Contrada, dei giornalisti Pietro Zullino (morto nel gennaio scorso) e Paolo Pietroni e dell’avvocato Giuseppe Lupis. Tutti avrebbero avuto un ruolo depistante nelle indagini e questo verrà approfondito in un nuovo dibattimento. Nel corso degli anni le difficoltà per ricostruire la verità si sono manifestate a più livelli. Basti pensare alle indagini iniziali, che si erano concentrate verso direzioni differenti per poi infrangersi muro del silenzio. Per non parlare poi della singolare “assenza di notizie” negli archivi dei servizi e degli apparati investigativi. A queste si aggiungono le pagine strappate dai quaderni di De Mauro, la scomparsa degli appunti e del nastro con l’ultimo discorso di Mattei a Gagliano, che secondo le testimonianze dei familiari il giornalista “ascoltava e riascoltava in continuazione”. Addirittura la sentenza pone l’attenzione sulla scomparsa del materiale all’interno di uno dei raccoglitori conservati in un armadio a casa De Mauro, il cui titolo era “Petrolio”. Un nome che riporta al romanzo a cui stava lavorando Pier Paolo Pasolini prima di morire. Strane coincidenze che aprono a nuovi scenari d’indagine. E con il processo bis ai “depistatori” si cercherà di capire chi e perché ha ostacolato “la ricerca della verità”. E forse si scoprirà che il “delitto De Mauro” non si è trattato di un semplice omicidio ma di un “delitto di Stato”.
«Il caso De Mauro. Così scompare un giornalista: un mistero lungo 41 anni» di Giuseppe Pipitone
Fotocopertina e nota da editoririuniti.net
Quarantuno anni di misteri, bugie e depistaggi. Tre inchieste finite senza colpevoli. Un buco nero su cui non si farà mai luce. Quella di Mauro De Mauro è una delle pagine più buie della storia italiana, un delitto perfetto dai troppi moventi, dai troppi mandanti occulti e senza un corpo su cui piangere. Per la prima volta Giuseppe Pipitone racconta gli aspetti sconosciuti del giornalista dell’Ora, dal passato fascista alla fuga a Palermo sotto falso nome, fino all’inchiesta sulla morte di Enrico Mattei che gli sarebbe valsa “la libera docenza in giornalismo”. La sparizione della busta gialla, le menzogne degli investigatori e l’ordine impartito, quando si era alla svolta, dai Servizi segreti: «Fermate le indagini». Mauro De Mauro era un imprevisto che rischiava di far fallire un sistema di potere che è alla base degli apparati di Stato: per questo doveva essere messo a tacere con ogni mezzo e con ogni copertura.
Articolo del 27 Gennaio 2014 da livesicilia.it
L’omicidio di Mauro De Mauro. Assolto Totò Riina
di Riccardo Lo Verso
Un delitto senza colpevoli. Un mistero lungo quarantatré anni e destinato a restare tale forse per sempre. La Corte d’assise d’appello ha confermato l’assoluzione del padrino corleonese, unico imputato per l’omicidio del giornalista de L’Ora.
Un delitto senza colpevoli. Un mistero lungo quarantatré anni e destinato a restare tale forse per sempre. La Corte d’assise d’appello ha confermato l’assoluzione di Totò Riina, unico imputato per l’omicidio del giornalista Mauro De Mauro. Il cronista del quotidiano L’Ora fu sequestrato e ucciso la sera del 16 settembre 1970. A nulla sono servite, in primo e secondo grado, le dichiarazioni di alcuni pentiti storici, da Tommaso Buscetta a Gaspare Mutolo, da Francesco Marino Mannoia a Francesco Di Carlo.
Un caso senza colpevoli, dunque, ma con tanti buchi neri e depistaggi. Lo avevano sottolineato i pubblici ministeri di primo grado: “Non fu solo Cosa nostra a volere la morte del cronista de L’Ora c’erano anche altri ambienti e personaggi interessati, altre organizzazioni non mafiose alleate con Cosa nostra: dalla massoneria deviata alla destra eversiva golpista, dai servizi segreti infedeli a un certo mondo della finanza e della politica”. E lo aveva ribadito il procuratore generale Luigi Patronaggio che aveva chiesto di ribaltare l’assoluzione infliggendo l’ergastolo a Riina. Secondo il pg, il movente del delitto sarebbe stata la scoperta da parte del giornalista del progetto di golpe del principe Valerio Borghese e il coinvolgimento nel piano di Cosa nostra.
Era questa una delle piste suggerita dal collaboratore Di Carlo. Mutolo, Buscetta e Grado ipotizzarono, invece, che lo scoop che qualcuno volle fermare riguardava la morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei, deceduto il 27 ottobre 1962 nell’esplosione dell’aereo che lo stava riportando a Milano dopo una visita in Sicilia. Una ipotesi accolta in pieno anche dai giudici di primo grado che mandarono Riina assolto. “La causa scatenante della decisione di procedere al sequestro e all’uccisione di Mauro De Mauro – si leggeva nella motivazione – fu costituita dal pericolo incombente che stesse per divulgare quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell’incidente aereo di Bascapè, violando un segreto fino ad allora impenetrabile e così mettendo a repentaglio l’ impunità degli influenti personaggi che avevano ordito il complotto ai danni di Enrico Mattei, oltre a innescare una serie di effetti a catena di devastante impatto sugli equilibri politici e sull’immagine stessa delle istituzioni”. I giudici andarono oltre, tirando pesantemente in ballo l’ex dirigente dell’Eni ed ex senatore dc Graziano Verzotto, ormai deceduto. Sarebbe stato lui a chiedere l’intervento dei mafiosi per bloccare lo scoop di De Mauro su Mattei. E allora, nel 1970, a reggere le redini di Cosa nostra erano ancora i boss palermitani e non i corleonesi di Totò Riina. Da qui l’assoluzione del capo dei capi, oggi confermata.
In mezzo ci sono, però, i presunti depistaggi. Tanto che fu lo stesso presidente della Corte d’assise di primo grado a disporre la trasmissione in Procura della deposizione, fra gli altri, del superpoliziotto Bruno Contrada, che ha finito di scontare una condanna a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Gli investigatori hanno fatto notare la presenza incombente dei servizi segreti. Di certo c’è che gli appunti di De Mauro sul caso Mattei scomparvero nel nulla. Qualcuno li aveva trafugati dal cassetto del giornalista.
E a parlare di depistaggi era stato pure il difensore di Riina, l’avvocato Luca Cianferoni, per chiedere l’assoluzione dell’imputato. “Questo è un processo politico costituito da depistaggi e voluto dallo Stato, siate sereni nell’opporvi a queste ricostruzioni e confermate l’assoluzione di primo grado perché non c’è un solo elemento sul quale costruire l’accusa”, aveva detto nella sua arringa. Secondo l’avvocato del boss di Corleone, “il delitto De Mauro fu messo in piedi in fretta e furia, organizzato ed eseguito da Stefano Bontade, uomo d’onore in contatto con la Cia. Riina di quell’omicidio non sapeva nulla. De Mauro, senza volerlo, si era infilato in un ginepraio, scoprendo che la Cia era presente in Sicilia e proprio in Bontade aveva un suo sicuro contatto. Riina è praticamente diventato il parafulmine di tutte le stragi possibili ma certamente prove penalmente rilevanti su una sua responsabilità decisionale, di pianificazione e di esecuzione materiale dell’omicidio, non ce ne sono”. La Corte d’assise d’appello gli ha dato ragione.
Articolo del 16 Settembre 2014 da palermo.repubblica.it
Mauro De Mauro ricordato a 44 anni dal rapimento
La sera del 16 settembre del 1970 il giornalista de L’Ora sparì mentre tornava a casa in viale delle Magnolie
È stato ricordato a Palermo il giornalista del quotidiano “L’Ora” Mauro de Mauro, rapito da un commando mafioso e scomparso la sera del 16 settembre 1970.
L’iniziativa dell’Unci (Unione cronisti italiani) si è svolta alla presenza dei familiari, insieme al prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo, al sindaco, Leoluca Orlando, al presidente dell’Odg Sicilia, Riccardo Arena, in viale delle Magnolie, luogo del sequestro, a pochi passi dall’abitazione del giornalista.
Su richiesta del gruppo siciliano dell’Unci, entro la fine dell’anno verrà posto dall’amministrazione comunale un cippo marmoreo per ricordare l’assassinio di De Mauro. “Ho sempre evitato di passare da questa strada, perchè è un’emozione pesante – ha detto la figlia del giornalista, Franca – sono grata all’Unci per questo interessamento. Per fortuna dopo tutto questo tempo tanta gente a Palermo ricorda ancora mio padre e questo per me è il ceppo più bello”.
“De Mauro è stato uno degli 8 giornalisti morti per mano mafiosa”, ha detto Arena, che ha ricordato “coloro che per l’informazione libera hanno perso la vita”.
Per L’Ora De Mauro aveva seguito diverse inchieste su mafia e politica, droga e comitati d’affari. Sulle cause della sua scomparsa Leonardo Sciascia disse: “Ha detto la cosa giusta all’uomo sbagliato e la cosa sbagliata all’uomo giusto”. Il corpo del giornalista non è mai stato trovato e le piste seguite negli anni dagli investigatori sono andate dal caso Mattei al golpe Borghese.
Leggere anche:
Lista degli articoli scritti sulla rivista online La Repubblica
dal 16 settembre 2020 al 11 ottobre 2020: vittimemafia.it
ilfattoquotidiano.it
Articolo del 16 settembre 2020
Mauro De Mauro, così scompariva un giornalista. Depistaggi, servizi e mafia: dopo 50 anni è rimasto un caso senza verità
di Giuseppe Pipitone
Il 16 settembre 1970 scompariva nel capoluogo siciliano il giornalista de L’Ora, storico quotidiano antimafia del pomeriggio. Mezzo secolo dopo non esiste una sentenza che condanni i colpevoli di quell’omicidio. L’unico imputato, Totò Riina, è stato assolto in tutti i tre gradi di giudizio. “La verità è stata massacrata da un massiccio e mirato depistaggio”, scrissero i giudici nelle motivazioni della sentenza. Pubblichiamo un estratto del libro di Giuseppe Pipitone, uscito nel 2012 per Editori Riuniti.