17 Aprile 1981 Roma. Rapito Giovanni Palombini “il re del caffè”, 81 anni. Il suo corpo sarà ritrovato il 28 Ottobre , sepolto in un campo.

Foto da: L’Unità del 18 Aprile 1981

Giovanni Palombini venne sequestrato il 17 aprile del 1981 e tenuto prigioniero sotto una tenda, legato mani e piedi. Giovanni Palombini, anziano e ammalato, il “re del caffè” tentò ripetutamente di fuggire. Non si rassegnava, nonostante le continue vessazioni e umiliazioni che era costretto a subire. Una sera, ci riuscì. Ma “Lallo” lo riacciuffò. Lo prese per il collo, lo scosse violentemente e gli disse: “Ma allora sei diventato pazzo, vuoi proprio morire”. Non lo uccise quella notte. Aspettò ancora qualche giorno, il tempo di riscuotere una prima rata del riscatto: 350 milioni. Laudovino però non si accontentò: i soldi erano pochi, ne voleva di più. Allora comprò un grande congelatore che trasformò nella bara di Giovanni Palombini. Ogni tanto il cadavere veniva tirato fuori e fotografato con un quotidiano in mano, per dimostrare ai parenti che l’ostaggio era ancora vivo e che per riaverlo avrebbero dovuto pagare. Il trucco andò avanti per mesi e fruttò centinaia di milioni. Fino a quando Laudovino De Sanctis venne catturato. Ma ormai per Giovanni Palombini non c’era più nulla da fare: il suo corpo giaceva, ancora incatenato e bendato, sepolto sotto due metri di terra. (LaRepubblica.it)

 

 

Articolo da L’Unità del 18 Aprile 1981
Rapito Palombini, industriale del caffè
L’imprenditore (81 anni) aggredito sotto casa, a due passi da piazza Cavour – Con lui era la moglie, che è stata colpita alla testa con il calcio di una pistola – Revolverate contro il portiere dello stabile, che era accorso in loro aiuto – Un nome molto conosciuto: dal primo bar di via Vittoria Colonna, alla direzione dell’unione commercianti – Dopo di lui anche una figlia eletta consigliere comunale per la Democrazia Cristiana.

Ore 21,45. In via Marianna Dionigi, tra piazza Cavour e lungotevere del Mellini, due auto con cinque uomini a bordo bloccano una « 132 ». Sopra ci sono Giovanni Palombini, 81 anni, una fortuna costruita sull’importazione e la vendita del caffè, e la moglie Elide Colombi. L’uomo viene afferrato e tirato fuori a forza dalla sua macchina, poi costretto a salire su quella del suoi aggressori. La moglie urla, ma viene picchiata, colpita alla testa col calcio di una pistola, un uomo, il portiere del palazzo dove Palombini abita, accorre, ma viene accolto a colpi di pistola.
Per fortuna nessuna delle pallottole lo raggiunge. Subito dopo le auto dei banditi sgommano e fuggono a motori imballati con il loro ostaggio.

Stavolta l’anonima sequestri non ha fallito, stavolta è riuscita a mettere a segno un colpo probabilmente studiato da tempo. Venti giorni fa aveva fatto fiasco con il figlio del costruttore Anzalone, meno di una settimana fa ci aveva riprovato con il rampollo di casa Corsetti, ma anche quella volta non le era andata bene. Ieri sera invece tutto deve aver funzionato secondo i piani e adesso la polizia e i carabinieri si trovano alle prese con un nuovo, clamoroso sequestro, con un altro ostaggio da riportare al più presto in salvo. Senza contare che l’ostaggio in questione, Giovanni Palombini appunto, è un uomo che ha superato l’ottantina, una persona che solo a costo di enormi difficoltà può riuscire a superare indenne un trauma cosi grave come quella di un sequestro, peggio se prolungato nel tempo.

L’aggressione a Palombini, come abbiamo detto, è stata compiuta ieri sera alle 21,45 proprio davanti alla casa del commerciante, in via Marianna Dionigi 57. Palombini stava rientrando dal lavoro insieme ella moglie. Guidava egli stesso la sua auto, una «132». Arrivato davanti al portone di casa ha trovato la strada sbarrata, davanti ai suoi occhi un’Alfetta con due, forse tre figuri a bordo. Ha tentato di fare marcia indietro ma anche in quella direzione la strada era sbarrata, stavolta da una Renault 18. Pochi secondi per un’aggressione selvaggia, violenta. Elide Colombi urla, ma uno dei banditi la colpisce alla testa con il calcio della pistola e la tramortisce (al Santo Spinto, dove verrà accompagnata più tardi, e sue condizioni non saranno giudicate preoccupanti). Intanto gli altri malvimenti afferrano l’anziano commerciante e lo tirano fuori dalla «132». Palombini grida, chiede disperatamente aiuto, ma non c’è niente da fare, viene costretto a salire sull’Alfetta. Richiamato dalle urla, dal portone esce il portiere dello stabile, pochi passi e diventa il bersaglio di un inferno di pallottole. L’uomo si salva per un pelo.

Intanto Palombini è stato già portato sull’auto dei banditi che ormai fugge sgommando, seguita dall’altra macchina della banda. Quando l’allarme arriva al «113», è ormai troppo tardi, il commerciante è già ostaggio.
Palombini, un nome noto, molto conosciuto Roma. Originario di Amatrice, questo commerciante ha cominciato a costruire la sua fortuna con l’acquisto di due caffè, prima una torrefazione di via Vittoria Colonna, poi un’altra di Borgo Pio. Da esercente a torrefattore, a importatore di caffè, il passo è stato breve. Poi sono venuti la presidenza dell’Associazione caffè e bar, quindi la vicepresidenza dell’Unione commercianti. Negli anni cinquanta e sessanta, Palombini è stato anche consigliere comunale eletto nelle liste della DC e le sue tracce, dieci anni più tardi, sono state seguite da una dei tre figli, Rita (gli altri due sono Aldo e Gaetano), anch’essa eletta nelle liste DC nella penultima legislatura. Attualmente, Giovanni Palombini gestiva personalmente il caffè Grand Italia di piazza della Repubblica.

 

 

 

Articolo da L’Unità del 23 Ottobre 1991
Sette mesi, 40 arresti – Ci sono i suoi killer?
di Raimondo Bultrini

Per mesi i loro annunci si sono alternati sulle pagine del quotidiani romani. «Il  vecchio pappagallo» e la «canarina smarrita dagli occhi verdi» hanno tenuto col fiato sospeso non solo i familiari, ma un’opinione pubblica ormai diventata attenta ad un fenomeno dilagante come quello dei rapimenti. Erano messaggi in codice, ma chiunque  poteva comprenderne il significato.

Per Mirta, la «canarina», si prometteva una «lauta ricompensa». Per l’anziano Palombini, si attendeva invece la riconsegna del «pappagallo vecchio e ammalato». È stata sempre chiara la differenza tra i due sequestri, proprio per questo linguaggio usato nelle trattative. Disperatamente  i familiari dell’anziano industriale imploravano ed attendevano la restituzione. Assai più fiduciosi i genitori della piccola Mirta promettevano soldi. C’è sempre stato il sospetto che si “trattasse” di una stessa banda. Ed ora è arrivata una parziale conferma.

Ma le notizie di questi giorni, sulla partecipazione ai due sequestri di personaggi coinvolti anche in altri «giri», ci permettono di ricostruire seppure sommariamente il quadro di un’«anonima» che tanto anonima e misteriosa non è.
Partiamo dal lontano giorno del rapimento di Palombini. È una tranquilla serata di antivigilia. Prima di Pasqua, il «re del caffè» va con la moglie a trovare alcuni parenti di Amatrice. Torna a Roma la sera, verso le dieci, nella sua  casa di piazza Cavour. E trova la tragica sorpresa. È un’ora insolita per un sequestro. Ma i suoi aguzzini conoscono bene le sue abitudini. Tanto che la polizia ha subito un sospetto: i basisti potrebbero abitare proprio lì, in Prati. Non passano due settimane. Squadra mobile e carabinieri mettono in atto un piano comune e Con un blitz notturno riempiono le carceri di personaggi in odore di «anonima». Molti abitano a quattro passi dall’abitazione di Palombini.

Sono tre fratelli sardi, della famiglia Sanna, un certo Angelo D’Antoni, Franco Trinca, Paolo Frau, ed altri quattro o cinque personaggi «minori». In tutto sono 22 persone a finire in galera. Il sospetto di una loro partecipazione al rapimento Palombini è forte. Ma molte tracce portano ad altri «casi», al rapimento Bianchi (usano la stessa tecnica del doppio riscatto: una prima tangente ai rapitori, una seconda ai «carcerieri» della ‘ndrangheta calabrese), ai falliti rapimenti di Giammarco Corsetti e Luca Anzalone, ai contatti con i «santuari» della grossa malavita. Due degli arrestati, i fratelli Aldo e Giuseppe Zanzarri, sono i luogotenenti del superlatitante Danilo Abbruciati, mentre altri personaggi di cui si tace ora il nome figurano tra gli amici stretti di Damaso De Santis, fratello di Laudovino, principale imputato in questa ultima retata tra i rapitori di Mirta e Palombini.

Nel frattempo, nell’abitazione dell’anziano «re del caffè», la trattativa non si ferma. Telefonate e messaggi in codice sui giornali si susseguono, «contatti» per niente ostacolati dalla retata di polizia. Verso la fine di aprile arriva alla famiglia una foto che mostra Palombini stanco ma vivo. Si paga così la prima rata: 400 milioni.

La polizia pensa che possano servire a pagare gli esecutori della «prima fase», quella del rapimento vero e proprio. Ma a questo punto — dai primi di maggio — c’è il black out, un silenzio preoccupante. Oggi, anche la prima sommaria perizia sul corpo di Palombini sembra confermarlo: proprio in quel periodo può essere morto Palombini. La famiglia insiste, naturalmente, vuole sapere se il loro congiunto è ancora vivo. E i suoi carcerieri tentano in tutti i modi di sfruttare comunque la situazione, per strappare altri soldi.

Non hanno ancora sepolto il povero ostaggio, lo tengono come imbalsamato in formalina in attesa di una decisione. I capibanda devono aver  deciso così di «bluffare». Ai primi di agosto spediscono alla famiglia una foto strana, Palombini ha gli occhi vitrei, una benda gli sorregge la mascella. Probabilmente era già morto. Ma vengono pagati altri 600 milioni. E, forse, altri 600 che vanno ai «calabresi», delegati a gestire l’ultima fase. Sì può intuire, da questa travagliata «trattativa» durata sette mesi» che si tratta di una banda spietata, con mille collegamenti. Anzi. Più di una banda. E difatti oggi, ai vari personaggi arrestati (sono una quarantina in tutto) vengono addebitati altri sequestri, altri delitti, come quello dell’industriale Valerio Ciocchetti, ucciso perché vide in volto i rapitori. Il capo è Laudovino De Santis, ex membro della vecchia «anonima» quella dei marsigliesi, come a testimoniare una tragica continuità. E lungo la strada del «fenomeno sequestri» si aggiungono bande su bande, ‘ndrangheta, «sardi», balordi della mala romana. Dietro le quinte, discreti, i veri burattinai, camuffati da «finanzieri» del crimine.

 

 

 

Articolo da LA STAMPA del 27 Ottobre 1981
Laudovino De Santis, presunto capo della banda sgominata sabato, durante il blitz nella villa di Lavinio
Arrestato dopo la liberazione di Mirta confessa «Cedemmo Palombini ai calabresi: era malato» 

di Liliana Madeo
Il re del caffè venne rapito ad aprile e sulla sua vita si nutrono scarse speranze – Secondo gli inquirenti lo «sciancato» rappresenta l’anello di congiunzione tra la mala romana e la «’ndrangheta» – Trovata una lista di personaggi da sequestrare nell’82 – Altri tre arresti .

ROMA — Altre tre persone arrestate dopo le prime otto, perquisizioni, interrogatori-fiume, perizie balistiche e grafiche, terreni sterrati: la liberazione di Mirta Corsetti e la cattura di una fetta consistente della banda che l’ha sequestrata, hanno aperto agli inquirenti un ampio ventaglio di indagini. Il primo punto che preme chiarire è la sorte di Giovanni Palombini, 80 anni, industriale del caffè, sequestrato nell’aprile scorso e sulla cui vita si nutrono scarse speranze. Laudovino De Santis, il bandito già condannato all’ergastolo ed evaso da Regina Coeli nell’80, arrestato sabato mattina nella villetta di Lavinio dov’era custodita la tredicenne Corsetti, ha fatto a questo proposito alcune ammissioni. Nella villetta erano stati trovati il portafogli dell’industriale, fotocopie di suoi assegni, lettere da lui indirizzate ai familiari e mai spedite, prove di contraffazione della sua scrittura (ci si esercitava in questi falsi per fingere che il rapito fosse ancora in vita, così da estorcere altro denaro alla famiglia?). Sia i messaggi inviati alla famiglia Corsetti sia quelli spediti ai Palombini sono sempre stati impostati a Mondragone. Che sia stata la stessa banda a sequestrare i due appare chiaro. Il bandito l’ha confermato.

Ma ha sostenuto di aver «gestito la prima parte del sequestro e di aver «venduto» poi l’industriale ai calabresi,  soprattutto per le precarie condizioni di salute. Dopo la «cessione» — ha detto — ha saputo solo che l’uomo era peggiorato. Per gli inquirenti le dichiarazioni di De Santis possono significare sia che l’ergastolano ha detto la verità, e la pista che porta al sequestrato va ancora più lontano, sia che Palombini è morto mentre era nelle sue mani e adesso il De Santis tenterebbe di scaricare su altri la responsabilità di questa morte. Per questo si stanno compiendo sterri nei pressi delle abitazioni in cui il bandito aveva le sue basi, nell’eventualità che il corpo del rapito sia stato qui sepolto. Intanto la documentazione grafica rinvenuta è stata mandata negli Stati Uniti per una serie di perizie del tipo di quelle compiute all’epoca del finto rapimento Sindona e che permisero di smascherare le false versioni del bancarottiere.

Quanto sta emergendo dalla prima fase dell’inchiesta indica che il ruolo del De Santis era molto importante all’interno di una banda dalle molte diramazioni, che operava in grande stile. C’è l’impressionante arsenale sequestrato a Lavinio, con divise di finanzieri, documenti di identità falsi, italiani e stranieri. C’è la lista di sei personaggi romani da sequestrare nell’82, con tutta una serie di appunti relativi ad appostamenti già compiuti e altre indagini da compiere. C’è il grosso giro di danaro — almeno due miliardi di lire riscossi negli ultimi mesi — proveniente dai riscatti Palombini, Corsetti, Ciocchetti (l’industriale del caffè trovato morto nel febbraio scorso) e — per quanto finora accertato — investito in una serie frantumata di negozi, ville, garages (ma il resto? E le mediazioni finanziarie per il riciclaggio?).

La pista che seguono gli inquirenti è che Laudavino De Santis rappresenta l’anello di congiunzione fra la mala romana, la n’drangheta calabrese e la riorganizzata malavita marsigliese. De Santis fu coinvolto già nel sequestro di Paul Getty, come collegamento con i banditi calabresi. Un suo fratello, Damaso, fermato alcuni mesi fa, titolare di un’agenzia investigativa che avrebbe fatto da copertura ad altre illecite attività, è stato arrestato ieri. È stato accertato che pregiudicati francesi, superstiti di quel clan dei marsigliesi che per anni avevano insanguinato la capitale con sequestri e rapine, hanno messo nuove radici nella città come titolari di società di import-export, finanziarie addette al riciclaggio del denaro proveniente dai sequestri: il denaro verrebbe acquistato a metà del suo valore corrente. Laudovino «lo sciancato» sarebbe al centro della ricostituita trama di malavita internazionale, che a Roma avrebbe posto le basi per un rilancio delle proprie delittuose attività. Partendo da Laudovino — ritengono gli inquirenti — «L’anonima dei sequestri 1981».

 

 

 

Articolo da LA STAMPA del 29 Ottobre 1981
Trovato ucciso Palombini, il re del caffè sequestrato dai rapitori di Mirto Corsetti
di Giuseppe Fedi
Per il riscatto dell’industriale i familiari avevano pagato 800 milioni
Molto probabilmente è stato assassinato con un colpo di pistola – Il rinvenimento in un campo di grano, a 40 chilometri da Roma (pare dopo una telefonata) – Il cadavere al polso sinistro aveva ancora una catena.

ROMA — Lo cercavano da sabato scorso, da quando, dopo il felice epilogo della vicenda di Mirta Corsetti, gl’inquirenti inseguivano un tremendo sospetto, quello che Giovanni Palombini fosse morto. I dubbi, sempre più pressanti, l’angoscia dei congiunti del «re del caffè» che non avevano rinunciato alla speranza si sono dissolti ieri con il ritrovamento del corpo dell’industriale ottantenne rapito sei mesi fa. Con ogni probabilità Palombini, divenuto ormai un ostaggio scomodo, è stato assassinato, secondo quanto si è appreso nella tarda serata, con un colpo di pistola. Sotto un albero, in un campo di grano, in località «Colle traccia», poco distante dalla strada che congiunge Valmontone a Genazzano, quaranta chilometri a Sud di Roma, gli agenti della mobile hanno estratto verso le 17,30, il cadavere dell’imprenditore.

«Nessun dubbio, è lui», ha confermato poco dopo il dottor De Sena ai giudici Imposimato e Maria Cordova che lo avevano raggiunto sul posto. Il corpo di Palombini, con una tuta da ginnastica blu, era stato adagiato nella fossa, poggiato sul fianco sinistro. Il polso sinistro era ancora stretto da una catena, gli occhi erano bendati con nastro adesivo che copriva anche tutta la fronte. La morte dovrebbe essere avvenuta circa due mesi fa, cioè nel periodo a cui risalgono gli ultimi contatti con i rapitori. Ma una stima precisa è difficile, in quanto i banditi avevano cosparso il cadavere di una sostanza che ne ha ritardato la decomposizione. Avevano abbondantemente ricoperto il corpo di polvere di soda per ritardarne la decomposizione e, senza le indicazioni di cui la polizia è venuta a conoscenza, probabilmente i resti della nuova vittima dell’anonima sequestri non sarebbero mai stati scoperti.

Dai primi esami è risultato che Palombini, oltre ad una frattura alla gamba sinistra, aveva una ferita sul petto, una circostanza la quale, una volta compiuta l’autopsia, dovrebbe confermare che l’industriale è stato ucciso. Nella zona le ricerche, una battuta in grande stile, erano incominciate sin dal mattino. La mobile stava setacciando un’area circoscritta, dando l’impressione di agire a colpo sicuro, seguendo un’indicazione precisa. A parlare, a fare la soffiata non è escluso che sia stato uno dei tredici arrestati per il sequestro di Mirta Corsetti, anche se alla mobile affermano di aver ricevuto, fin da sabato, una telefonata anonima.

Un passo indietro per ricostruire gli ultimi sviluppi della vicenda. A Lavinio, sabato, nella villetta-prigione di Mirta Corsetti erano stati trovati elementi consistenti che avevano fatto pensare che la banda di Laudovino De Santis, «Lallo lo zoppo», aveva condotto a termine anche il rapimento dell’anziano industriale. Non solo era stato rinvenuto il suo portafogli, con i documenti di identità e la patente, ma anche la pistola calibro 6.35 che Palombini aveva con sé la sera del 17 aprile scorso in cui venne bloccato e catturato. Indagando sulla storia della banda messa in piedi da De Santis sarebbero infatti già emersi due cadaveri: quello di Valerio Ciocchetti, il «re del marmo» rapito il 3 dicembre 1980 e trovato morto, tre mesi dopo, «sepolto» nel Tevere con un blocco di cemento ai piedi, e quello di Antonella Montefoschi, la figlia di un grossista di carne uccisa durante un tentato sequestro il 15 luglio dello scorso anno.

Ricostruiamo le fasi del rapimento di Giovani Palombini. Dopo due tentativi andati a vuoto, i banditi lo aggredirono la sera del 17 aprile nell’androne del palazzo di via Marianna Dionigi 67, nei pressi di piazza Cavour, mentre era in compagnia della moglie. Elide Colombi. Da quel momento cominciò lo stillicidio di difficilissimi contatti da parte dei familiari. La prima difficoltà, l’esosità del riscatto richiesto, poi un «avvertimento», con l’incendio dell’auto di uno dei figli del «re del caffè», che indusse la famiglia a versare 400 milioni. Ma la somma non risultò sufficiente per ottenere la libertà dell’imprenditore. E temendo per la sua vita i familiari, dopo aver ricevuto una foto in cui Palombini sembrava in pessime condizioni, chiesero prove per avere la certezza che fosse ancora vivo. Non si sa se le ottennero (sembra di no), comunque pagarono una seconda rata di 400 milioni. Su un quotidiano romano, il giorno di Ferragosto, non essendo ancora tornato a casa, Elide Colombi e i figli fecero pubblicare un annuncio, chiaramente rivolto ai banditi: «Ragionier Fracchia, come da voi comunicato e promesso, attendiamo consegna pappagallo vecchio e ammalato». Ma il «ragionier Fracchia» non si fece più sentire. «Non siamo stati noi — ha affermato tre giorni fa Laudavino De Santis in un interrogatorio —, noi non spariamo mai. Palombini è stato “ceduto” ad una banda di calabresi». Magistrati e polizia non hanno creduto a questa versione. La scoperta di lettere autografe di Palombini scritte e mai spedite e soprattutto di alcune missive nelle quali i rapitori hanno cercato di imitare la sua calligrafia, hanno finito per convincere gli investigatori che le possibilità di ritrovarlo vivo erano ormai inesistenti.

 

 

 

Articolo da LA STAMPA del 30 Ottobre 1981
Palombini fu ucciso dai rapitori con tre colpi di pistola al petto 
L’autopsia ha tolto gli ultimi dubbi sulla morte del «re del caffè»
Forse la banda di Laudavino De Santis sarà accusata del delitto – Gli autori di questo omicidio sarebbero gli stessi che uccisero il «medico della mala» – Una proposta della magistratura romana per combattere con maggiore efficacia la piaga dei sequestri .

ROMA — Tre colpi di pistola al petto: l’autopsia ha sciolto gli ultimi dubbi. Giovanni Palombini è stato assassinato dai suoi rapitori. Per Laudavino De Santis e alcuni gregari dell’anonima sequestri catturati dopo la liberazione di Mirta Corsetti sta per scattare il provvedimento di concorso in omicidio premeditato. L’esame autoptico, eseguito nel pomeriggio all’Istituto di medicina legale dai professori Durante, Ronchetti e Merli, ha rivelato che i tre proiettili, il cui calibro dev’essere ancora stabilito, sono fuoriusciti e ha confermato le fratture alla gamba destra dell’industriale scoperte subito dopo il ritrovamento del corpo. Manca ancora un particolare importante per gli inquirenti: la data dell’esecusione, che qualcuno fa risalire al giorno in cui Palombini — i cui funerali dovrebbero svolgersi oggi — venne sotterrato a Valle Pantano.

Nel luogo del ritrovamento, nei pressi di Valmontone, ieri le ruspe hanno continuato a scavare. Il dirigente della squadra mobile, De Sena, ha confermato che le ricerche continuano anche in altre zone, fra cui Lavinio. in quanto non è affatto escluso che in queste località si trovino i corpi di componenti della banda che potrebbero essere stati uccisi nel corso di faide interne, come il pregiudicato Nicolino Selis, scomparso dall’inverno scorso. Valmontone. una località che è tornata alla ribalta della cronaca nera esattamente dopo tre mesi. Fu qui che il 25 luglio, in un viottolo di campagna, vennero ritrovati i resti carbonizzati del dottor Antonio Mottola, il medico della “mala”. Erano in una Renault data alle fiamme secondo le più feroci regole della malavita.

Dopo la scoperta del corpo di Palombini, gli inquirenti sospettano che dietro i due episodi ci sia la stessa organizzazione. Si fanno illazioni e si cerca in qualche modo di ricostruire quanto potrebbe essere avvenuto durante la notte fra il 24 e il 25 luglio. Giovanni Palombini, prigioniero già da più di novanta giorni, provato dalla lunga segregazione, si sente male. I rapitori cercano di correre ai ripari: ci vuole un medico di fiducia. Mottola ha avuto in passato contatti con Laudavino De Santis.  Mottola viene prelevato a casa, a Roma, nelle prime ore del mattino del 25 luglio. Forse la prigione dove il «re del caffè» è rinchiuso è proprio nei pressi di Valmontone. Arrivato sul posto il medico presta le cure del caso o, più probabilmente, si rifiuta di intervenire. Poco dopo viene ucciso con un colpo di pistola alla nuca. I motivi? Una feroce ritorsione dei banditi per far sparire le tracce di chiunque, al di fuori della gang, possa parlare, oppure un tiro al rialzo da parte del medico che tenta un impossibile ricatto nei confronti dei sequestratori. Si tratta di illazioni, ripetiamo, la cui fondatezza verrà stabilita dagli sviluppi delle indagini.

De Santis è stato trasferito nella tarda mattinata di ieri al carcere di Rebibbia dove gli altri dodici, fra componenti e gregari deila banda arrestati nei giorni scorsi, sono stati già riascoltati a lungo dai funzionari della mobile. «Lallo lo zoppo» verrà nuovamente interrogato dal sostituto procuratore Maria Cordova dal giudice istruttore Ferdinando Imposimato. Quest’ultimo, cosi come i suoi colleghi che a Palazzo di Giustizia si occupano di rapimenti, è convinto che per combattere con maggiore efficacia la piaga dei sequestri occorre una nuova normativa. In particolare, la proposta elaborata dalla magistratura romana, da sottoporre al Parlamento per la conversione in legge, prevede l’obbligo, da parte delle famiglie di denunciare subito il sequestro di un loro parente. L’ipotesi avanzata è quella di incriminare per favoreggiamento chiunque prenda parte alle trattative con i banditi, chi procura i soldi per il riscatto ed anche chi, sebbene a titolo di prestito, contribuisce, al suo pagamento. La stessa incriminazione dovrebbe essere estesa anche agli «sciacalli». La necessità di adottare una linea dura viene confermata, oggi più che mai, dal fatto che il pagamento del riscatto spesso non serve a far liberare i rapiti, vittime, com’è avvenuto più di una volta, di spietate esecuzioni.

 

 

 

Articolo del 31 luglio 1985 da  ricerca.repubblica.it 
ANONIMA ROMANA, CINQUE ERGASTOLI

ROMA – L’atroce e spietata storia della banda di “Lallo lo zoppo” si è chiusa ieri mattina, poco dopo le 9,30. Aggrappati alle sbarre dei gabbioni nell’aula della Corte d’assise del carcere di Rebibbia, Laudovino e i suoi hanno ascoltato, impassibili, la lettura del dispositivo della sentenza. Quattordici cartelle in tutto che traducono in pene i misfatti e gli orrori compiuti da una delle più sanguinose bande della malavita romana: sequestri con l’eliminazione sistematica degli ostaggi, violente aggressioni, furti, saccheggi, rapine, traffico d’ armi. I giudici sono stati severi e nell’esprimere il verdetto, spesso sono andati oltre le pur dure richieste del pubblico ministero: 5 ergastoli più 312 anni complessivi di reclusione.

Doppio carcere a vita per lo stesso boss, ritenuto responsabile dell’uccisione dei commercianti Giovanni Palombini e Valerio Ciocchetti. Carcere a vita anche per il fratello Damaso e per altri due componenti la banda: Amelio Pompili e Stefano Summolo Altomare. A ciascuno di questi imputati, la Corte ha inoltre inflitto 30 anni di reclusione (che però vengono assorbiti dalla pena principale) perchè ritenuti responsabili di un’altra lunga serie di omicidi e di delitti. Tra gli assolti spiccano i nomi della moglie di Renato Vallanzasca, Giuliana Brusa, assistita dall’avvocato Giuseppe Madia e quello di Loretta Lippi, difesa dai legali Nino Marazzita e Antonio Filizzola. Per la prima, il pm Maria Teresa Cordova aveva chiesto 27 anni di reclusione, per la seconda ne aveva sollecitati 14. Con un’ordinanza la corte ha disposto lo stralcio, per ulteriori indagini, delle posizioni degli imputati Marcello De Folchi e Gianfranco Cottarelli. Nei loro confronti, la pubblica accusa aveva chiesto la condanna all’ergastolo.

Ma uno dei passi principali che emerge dal dispositivo della sentenza è quello relativo ai pentiti, alla posizione di quei quattro imputati che attraverso le loro rivelazioni hanno consentito lo smantellamento della banda. I giudici, pur tenendo conto del loro contributo, hanno applicato rigorosamente il codice andando oltre, anche in questo caso, le richieste del pm. Rocco Romano si è visto comminare una pena a 24 anni di reclusione, Domenico Scarano a 22, Giuseppe Giannetto e Virgilio Cottarelli entrambi a 21. Trent’anni di carcere per Ennio Proietti, 26 a Giuseppino Panepuccia, 13 anni a Giuseppa Blasi, 12 a Salvatore Signore, 11 a Maria Cristina Lippi, cinque a Pietro De Sanctis, altro fratello di Laudovino, e per il quale era stato sollecitato l’ergastolo. E poi ancora tre anni e tre mesi a Paola Pompili, due anni ad Agostino Autellatano, uno ad Angela Cottarelli e otto mesi a Ennio Pigliucci.

Tra gli assolti, oltre alla Brusa e a Loreta Lippi, ci sono anche Adriana Bellezza, Maria Bruni, Anna Maria Mulas, Carlo Marzullo, Giuseppe Muggeo e Giuseppina Usuelli. La Corte ha interdetto legalmente i quattro condannati all’ ergastolo. Essi sono stati anche dichiarati decaduti dalla patria potestà. L’ interdizione dai pubblici uffici è stata inflitta a Proietti, Panepuccia, Romano, Scarano, Giannetto, Virgilio, Cottarelli, Signore, La Blasi, Pietro de Sanctis e Maria Cristina Lippi. “Lallo lo zoppo” (così conosciuto nella malavita per quella gamba offesa) apparse sulla scena romana sul finire del 1975. Spavaldo, duro con i suoi gregari, spietato con quelli che minacciavano di tradirlo, Laudovino organizza la rapina di piazza dei Caprettari. Doveva essere il colpo del secolo: un miliardo in contanti. Finì con un agente di polizia, Giuseppe Marchisella, falciato da una raffica di mitra davanti all’ufficio postale. Fu un crimine che scosse l’opinione pubblica, anche perchè, due giorni dopo, la fidanzata del poliziotto, si uccise gettandosi nel vuoto.

Ma la ferocia dimostrata in quell’ occasione non era quasi nulla a confronto di quanto il bandito fu in grado di fare negli anni successivi. Basterà ricordare l’atroce vicenda di Giovanni Palombini. Venne sequestrato il 17 aprile del 1981 e tenuto prigioniero sotto una tenda, legato mani e piedi. Anziano e ammalato, il “re del caffè” tentò ripetutamente di fuggire. Non si rassegnava, nonostante le continue vessazioni e umiliazioni che era costretto a subire. Una sera, ci riuscì. Ma “Lallo” lo riacciuffò. Lo prese per il collo, lo scosse violentemente e gli disse: “Ma allora sei diventato pazzo, vuoi proprio morire”. Non lo uccise quella notte. Aspettò ancora qualche giorno, il tempo di riscuotere una prima rata del riscatto: 350 milioni. Laudovino però non si accontentò: i soldi erano pochi, ne voleva di più. Allora comprò un grande congelatore che trasformò nella bara di Palombini. Ogni tanto il cadavere veniva tirato fuori e fotografato con un quotidiano in mano, per dimostrare ai parenti che l’ ostaggio era ancora vivo e che per riaverlo avrebbero dovuto pagare. Il trucco andò avanti per mesi e fruttò centinaia di milioni. Fino a quando Laudovino De Sanctis venne catturato. Ma ormai per Palombini non c’era più nulla da fare: il suo corpo giaceva, ancora incatenato e bendato, sepolto sotto due metri di terra.

 

 

 

Fonte:  tio.ch/
Articolo del 19 aprile 2004
Italia: boss Laudovino De Santis arrestato da polizia a Roma

ROMA – Il boss Laudovino De Santis, che era capo della cosiddetta “Banda delle Belve”, è stato arrestato dagli agenti della Questura di Roma per le accuse di detenzione di armi e di sostanze stupefacenti. Con De Santis, che ha 79 anni ed è soprannominato “Lallo lo Zoppo”, è stato arrestato anche il fratello, ottantenne.

Laudovino De Santis negli anni ’70 era un componente della Banda della Magliana e poi passato a capeggiare la cosiddetta “Banda delle Belve”. L’organizzazione negli anni ’70-’80 era dedita a numerose attività come traffico di droga e rapimenti.

Fu la banda di De Santis, infatti, a rapire il “re del caffè”, Giovanni Palombini, l’industriale del marmo Valerio Ciocchetti, e la giovane Antonella Montefoschi, assassinata con un colpo di pistola perché reagì all’aggressione dei banditi che tentavano di rapirla, e Mirta Corsetti. Anche Palombini e Ciocchetti vennero uccisi dai componenti della banda e questo nonostante i familiari avessero pagato, complessivamente, più di un miliardo di lire.

A sgominare la banda furono polizia e carabinieri diretti dal giudice istruttore Ferdinando Imposimato. Al processo in appello, nel 1986, l’accusa sostenne che fu proprio Lallo lo Zoppo ad aver ucciso, con tre colpi di pistola, Palombini, il cui corpo fu trovato nell’ottobre 1981. Lo stesso De Santis sarebbe stato il mandante dell’omicidio di Ciocchetti; avrebbe dato lui l’ordine di gettarne il corpo nel Tevere, con un blocco di cemento legato ai piedi, da dove fu recuperato. I suoi complici rapirono anche la Corsetti che fu poi liberata dalle forze dell’ordine.

 

 

 

Fonte: abitarearoma.it
Articolo del 5 novembre 2013
Intitolato a Giovanni Palombini l’Istituto Comprensivo
Dedicato all’imprenditore la scuola con sede nell’omonima via tra Ponte Mammolo e Casal de’ Pazzi
di S. R.

Sabato 26 ottobre, nella scuola di via Giovanni Palombini 39, tra Ponte Mammolo e Casal de’ Pazzi, ha avuto luogo la cerimonia per l’intitolazione ufficiale dell’Istituto Comprensivo a Giovanni Palombini (1901-1981) imprenditore e rappresentante di spicco dell’industria italiana del Novecento.

L’Istituto comprende i plessi di Ciamician, Fossacesia, Gaslini, Palenco, Pratolungo, Largo Stucchi, M. T. Calcutta e Rivisondoli. Nel complesso sono 5 i plessi di Scuola dell’Infanzia, 4 i plessi di Scuola Primaria e 4 Plessi di Scuola Secondaria di Primo Grado.

Erano presenti le autorità di Roma Capitale, del IV Municipio, nonché i rappresentanti della famiglia Palombini: i figli Gaetano, Rosanna, Aldo e la nipote Francesca.

La cerimonia è stata aperta dal Dirigente Scolastico, prof.ssa Silvia Romagnoli, che ha presentato la figura di Giovanni Palombini e il ruolo importante da lui svolto, con altruismo e generosità, nel territorio. Uomo di grande ingegno e capacità, particolarmente sensibile ai rapporti umani, seppe coniugare la tradizione con l’innovazione, valorizzando il proprio operato per il bene comune.

Il figlio Aldo, visibilmente commosso, ha ricordato il padre, punto di riferimento nella vita familiare e nel lavoro per gli alti valori etici e morali.

A seguire, significativi gli interventi del consigliere comunale Massimo Caprari e dell’assessore ai servizi scolasti del IV Municipio, Paolo De Paolis, entrambi da sempre impegnati con passione nella valorizzazione del nostro territorio.

Scoperta la targa, si sono esibiti gli alunni in rappresentanza dei tre ordini di scuola presenti nell’Istituto. I più piccoli, della Scuola dell’Infanzia, hanno partecipato in modo giocoso con il brano musicale “Viva viva la scuola” offrendo ai presenti una gioiosa performance di canto e ballo.

Gli alunni della Scuola Primaria hanno presentato un Suoniamoci su, sonorizzazione ritmica con strumentario didattico orff – tamburi legnetti triangoli e cembali – sul brano sinfonico La marcia trionfale dell’Aida di Giuseppe Verdi.

La Scuola Secondaria di I grado si è esibita nel Nabucco di Giuseppe Verdi. Flauti, violino e tastiera, suonati dagli alunni, hanno contribuito alla suggestiva interpretazione di Va’ pensiero.

La cerimonia del taglio del nastro, accompagnata dalle note della Fanfara della Polizia di Stato, è stata solennizzata dalla presenza dei figuranti del Carosello Storico di Cori che hanno sfilato in abiti rinascimentali.

L’inno di Mameli – suonato magistralmente dalla Fanfara della Polizia di Stato – ha concluso la toccante cerimonia che ha visto la presenza numerosa e festosa del personale scolastico, degli alunni e delle loro famiglie.

 

 

 

Fonte:  romah24.com
Articolo del 17 aprile 2019
Quando in Prati venne sequestrato il re del caffè
di Claudio Lollobrigida

Il 17 aprile 1981, in via Marianna Dionigi 57, viene rapito il re del caffè, Giovanni Palombini. Negli anni in cui terrorismo, lotta armata e criminalità organizzata offrono giornalmente spunti per la cronaca nera, questo sequestro entra di diritto tra i casi più eclatanti del periodo.

Tra piazza Cavour e lungotevere dei Mellini, a poca distanza dal Palazzo di Giustizia, due automobili con cinque uomini a bordo bloccano la Fiat 132 di Palombini, che sta rientrando a casa da Amatrice insieme a sua moglie, Elide Colombi.

L’aggressione si consuma in pochissimo tempo: l’imprenditore viene preso con la forza e trascinato in una delle due macchine, mentre Elide rimane tramortita per un colpo alla testa con il calcio della pistola. Gli esecutori fanno parte della banda di Lallo lo Zoppo, alias Ludovico De Sanctis.

“Pappagallo vecchio e malato”. Così viene chiamato Palombini nei messaggi cifrati pubblicati sui giornali per comunicare le richieste di riscatto alla famiglia, molto preoccupata per le precarie condizioni di salute dell’anziano, tenuto in una roulotte legato mani e piedi.

Ma, in un momento di disattenzione del suo carceriere, l’industriale fugge. Disorientato, bussa alla porta di una villa per chiedere aiuto. Ad aprirla, però, sono proprio i suoi aguzzini, che lo fanno accomodare e gli offrono persino un bicchiere di champagne per tranquillizzarlo. E proprio quando Palombini crede di essere finalmente a sicuro, viene freddato da tre colpi di pistola.

Il corpo senza vita dell’uomo viene poi conservato in un frigorifero per poterlo tirare fuori all’occorrenza e dimostrare, tramite foto, la buona salute e spingere la famiglia a pagare il riscatto. Il cadavere viene ritrovato soltanto ad ottobre, sepolto a Vallata di Pantano, tra Genazzano e Valmontone.

 

 

 

 

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *