17 Gennaio 1987 Reggio Calabria. Antonino Scirtò ferroviere di 41 anni, resta ucciso in un agguato contro un’altra persona
Antonio Scirtò, 41 anni, ferroviere, fu ucciso per caso, alla periferia di Reggio, perché con la sua auto si trovò a passare nel luogo in cui un commando attentava alla vita di un pregiudicato.
Nell’agguato rimase ferito in modo grave anche un ragazzino di tredici anni che stava andando a scuola, e un altro giovane pregiudicato.
I killer aspettavano dietro una curva. Quando l’auto condotta dalla vittima predestinata, spuntò dietro l’angolo, partì una micidiale scarica di colpi di lupara e di pistola. La Renault dell’obiettivo però era preceduta di pochi metri dall’auto di Antonio Scirtò, il quale, investito in pieno dalla raffica di pallettoni morì, innocente, sul colpo.
Articolo del 18 gennaio 1987 da ricerca.repubblica.it
NELL’AGGUATO CONTRO IL BOSS COLPITO A MORTE UN PASSANTE
di Pantaleone Sergi
REGGIO CALABRIA Questa è una città che sprofonda nella violenza e affoga nel sangue. Nella guerra di mafia c’è una nuova vittima, un pover’uomo ucciso per caso, perchè con la sua auto si è trovato a passare nel luogo in cui un commando di sicari attentava alla vita di un pregiudicato. Nell’agguato è rimasto ferito in modo grave, oltre alla vittima predestinata, un ragazzino di tredici anni che stava andando a scuola, e un altro giovane pregiudicato.
Teatro di questa ennesima aggressione mafiosa la periferia di Reggio, la strada che collega la città alla frazione Vito, nella zona collinare. I killer aspettavano dietro una curva. Quando l’auto condotta da Francesco Stillitano, ventotto anni, titolare di una pasticceria e obiettivo da eliminare, è spuntata dietro l’angolo, è partita la micidiale scarica di colpi di lupara e di pistola. La Renault di Stillitano però era preceduta di pochi metri dall’auto di un ferroviere, Antonio Scirtò, quarantun anni, il quale investito in pieno dalla raffica di pallettoni è morto, innocente, sul colpo. Stillitano invece è in fin di vita agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria.
Con lui in auto c’erano Vincenzo Ferrante, il ragazzo di tredici anni, che è pure ricoverato con prognosi riservata anche se i medici per lui nutrono buone speranze di salvarlo, e Salvatore Falduto, ventitrè anni, pasticcere, il quale se la caverà invece in una ventina di giorni. È la continuazione della faida, scatenatasi a Reggio e nel suo hinterland, dopo l’assassinio del boss dei boss Paolo De Stefano, assassinio avvenuto nella casbah di Archi oltre un anno fa. Non ci sono dubbi. Ramificato in varie sotto-faide, se così si può dire, il conflitto di interessi per il predominio mafioso nell’area dello Stretto, ha causato già nove morti dall’inizio dell’anno. Le statistiche del 1986 (oltre cento morti) avevano stabilito che era Reggio la città più violenta d’Italia, una città dove l’ opera instancabile degli inquirenti (non va dimenticato però che la squadra mobile ha quaranta poliziotti in meno rispetto all’organico degli anni cinquanta) risulta ampiamente perdente rispetto all’esplosione della guerra tra le cosche.
La gente assiste impaurita a questa sopraffazione dei clan. La morte innocente del giovane ferroviere, dice qualcuno, non è la prima e in questa situazione non sarà l’ultima. La commissione parlamentare antimafia verrà presto nella regione per cercare di capire dove si inceppa la macchina dello Stato, in quella che dovrebbe essere una lotta continua e costante contro la ‘ndrangheta. E critiche, non tanto velate, vengono rivolte all’ex Alto commissario per la lotta alla mafia, prefetto Boccia, che in questi anni avrebbe brillato per la sua assenza dal problema calabrese. L’agguato di ieri, comunque, ha destato profonda impressione. A chiunque potrebbe capitare di trovarsi, casualmente, sulla traiettoria di un proiettile destinato ad altri.
Gli inquirenti non hanno dubbi che l’agguato sarebbe da collegare allo spezzone della faida generale che vede coinvolte le famiglie dei Rosmini, quasi sterminati in questa cruenta lotta, e la famiglia dei Lo Giudice. Alla prima, spiegano alla squadra mobile, sono legati Stillitano (fratello di Domenico, ventiquattro anni, detenuto perché accusato di essere uno dei protagonisti di questa assurda guerra) e Falduto. Questi, nel giugno dell’anno scorso, era finito in carcere con la pesante accusa di aver ucciso una donna, Rosanna Lotito, trentanove anni. Per l’accusa, il giovane l’aveva assassinata su incarico dell’ex convivente della donna, Francesco Musitano, quarantasette anni, anch’egli arrestato. Falduto però venne subito scagionato e scarcerato. Per la morte della donna (fu eliminata a colpi di pistola e il suo cadavere subito dopo fu dato alle fiamme), venne quindi accusato e arrestato un componente della famiglia amica, Bruno Rosmini, ventisei anni.
È una spirale di morte che nessuno riesce a fermare. Magistrati e investigatori fanno quel che possono, qualcuno assicura che uomini dei servizi segreti sono sguinzagliati in tutta la provincia, ma risultati importanti non se ne vedono. L’oro dello Stretto, che dovrebbe arrivare, al di là dei faraonici ma lontani investimenti per la realizzazione del ponte o del tunnel di collegamento tra la Calabria e la Sicilia, con l’appalto di alcune opere a Villa San Giovanni e sul litorale, ha messo in moto appetiti enormi e la ‘ndrangheta reggina, priva di capi capaci di mettere d’accordo tanti piccoli boss emergenti, ha visto scoppiare al suo interno questo drammatico conflitto che ha reso invivibile città e dintorni. Non appare possibile, in questa situazione, prevedere gli sviluppi della situazione. All’interno della ‘ndrangheta c’è un’operazione di assestamento che, per quel che si può capire, non sarà regolata in tempi brevi. Nella piana di Gioia Tauro, in carcere i vecchi mammasantissima, la nuova ‘ndrangheta uccide senza pietà per affermare il proprio potere.
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 18 gennaio 1987
Per caso si trova nell’agguato: freddato un operaio
Escalation mafiosa di terrore a Reggio Calabria
di Aldo Varano
Ferito gravemente anche un ragazzo di 12 anni – Antonio Scirtò stava andando a lavorare – Un commando era in azione per una vendetta
REGGIO CALABRIA – Ad ucciderlo (e a ferire gravemente un ragazzino) è stata la violenza diffusa di questa città. Antonio Scirtò, ferroviere di 41 anni, lavoratore di quelli che faticano per arrivare al 27 e fare studiare i figli, è stato fulminato con un pallettone di lupara in fronte.
Antonello Pitascio, capo della mobile reggina, scuote la testa «Mai visto né conosciuto né lui né i suoi parenti. Per quel che ci riguarda, uno pulito». Scirtò è colpevole di essere passato da una certa strada ad un certo orario. Strada ed orario scelti anche dai killer per un regolamento di conti, una delle tante azioni di morte che continuano a terrorizzare la città.
Scirtò, per andare a lavorare come ausiliario presso gli uffici del compartimento delle ferrovie reggine, quella strada doveva percorrerla ogni mattina. Alle 7,30 di ieri la sua vecchia «Opel Corsa» precedeva soltanto di un metro la Renault rossa su cui viaggiava l’obiettivo del killer mafiosi, appostati per «cancellare» Francesco Stillitano, 28 anni, ufficialmente pasticciere con alle spalle una sfilza di reati collegati alla droga.
Il commando aveva pazientemente aspettato nascondendosi in un villino disabitato che si affaccia sulla strada che da Vito, una piccola frazione, porta al centro di Reggio attraversando in discesa un’ampia vallata. Stillitano, con la Renault accompagnava a scuola un nipotino di 12 anni. All’altezza del villino la tempesta di fuoco. Sette colpi di lupara. I micidiali pallettoni che si allargano a rosa, ed otto di 7,65. Scirtò, sulla linea di fuoco tra villino e Renault, è morto immediatamente. Non si è neanche accorto cosa stesse succedendo.
Oltre alla moglie lascia due bambini piccoli. Stillitano ed il nipote, colpiti in diversi posti, sono stati ricoverati con prognosi riservata. Il ragazzo, un pallettone al petto, sta lottando disperatamente per sopravvivere. Secondo i medici, se non arriveranno complicazioni, dovrebbe farcela. II terzo passeggero della Renault, l’aiuto pasticciere Salvatore F., 22 anni, pregiudicato anche lui per reati di droga, se la caverà in 20 giorni.
Polizia e carabinieri collocano l’agguato all’interno della guerra tra i Rosmini ed i Logiudice, due famiglie che si contendono i traffici ed il controllo della zona sud della città. Lo scontro, fino ad ora, è costato una decina di morti. Un fratello di Stillitano, Domenico, di 24 anni, in carcere per associazione di tipo mafioso, fu sorpreso ed arrestato lo scorso agosto al summit interrotto dalla polizia in casa del capo dei Rosmini. Un altro fratello, Mario, 20 anni, è stato ferito lo scorso dicembre a pistolettate. I killer gli avevano sparato a pochi metri dalla Cattedrale, nel cuore della città ed in un orario di punta.
Reggio, città più violenta d’Italia nel 1986, sta registrando un ulteriore escalation di sangue e morte. Le cosche, ormai, non vanno tanto per il sottile e non si fermano di fronte a nulla. Nel primo agguato dell’anno è stato ferito un bambino di nove anni, a cui hanno ammazzato il padre, lo chef Demetrio Mammì, sotto gli occhi. Ora la morte di Scirtò che ricorda a tutti, se ve ne fosse ancora bisogno che la guerra che sta sconvolgendo la città non è affare privato delle cosche, ma sta modificando abitudini antiche e cancella diritti fondamentali dei cittadini, fino a minare quello alla vita. Non era mai capitato che le cosche riducessero in fin di vita un ragazzino che sta andando a scuola.
Mercoledì sera assieme a Santo Giordano di 22 anni inseguito per la stradina di Archi, il quartiere più caldo della città, ed ucciso con fucile e pistole, è stata freddata anche la sua compagna Domenica Carbone di 30. In due diversi agguati dello scorso anno le donne che si trovavano assieme agli obiettivi del killer furono risparmiate non è certo la mira a far difetto ai professionisti che distribuiscono la morte. Le indagini sul duplice omicidio di Archi si sono svolte in un clima surreale. Non una finestra aperta, neanche un filo di luce da dietro le persiane. Gli inquirenti hanno lavorato soli, nessun curioso, nessun parente o amico della vittima. La paura sta divorando la città. I conti dell’anno nuovo sono già terribili, se ai morti in citta si sommano le persone ammazzate in provincia, fanno già nove.
Fonte: memoriaeimpegno.blogspot.com
Antonino Scirtò
Erano le 7:40 di una tranquilla mattina lugno la strada che da Vito Inferiore porta al centro di Reggio Calabria. IL ferroviere quarantenne Antonino Scirtò, come era solito fare, si stava dirigendo a lavoro sulla sua Opel Corsa.
Non viveva in un periodo storico semplice, in quanto nel 1987 erano in corso i furenti anni di piombo. L’arco di tempo compreso tra gli anni sessanta e gli anni ottanta del XX secolo era infatti caratterizzato da un uso della politica estremo e violento, applicato nelle piazze, tra pestaggi e sparatorie, dai seguaci di differenti ideologie.
In Calabria gli anni di piombo avevano un’accezione differente, racchiudendo anche lotte sanguinose di potere tra cosche mafiose, tali lotte provocarono numerose vittime, nonostante venisse applicato il coprifuoco e la segnalazione delle zone più a rischio di scontri.
Molte delle vittime erano innocenti, ovvero persone estranee al contesto mafioso che si trovavano a passare nel luogo del conflitto; tra questi vi era Antonino Scirtò.
Il 17 gennaio un commando di sicari aveva ricevuto l’incarico di uccidere Francesco Stillitano, un pasticciere sotto la protezione di una famiglia di ‘ndrangheta. Guidava una Renault e non era solo, accompagnava il tredicenne Vincenzo Ferrante a scuola, mentre sul sedile del passeggero c’era Salvatore Falduto, anch’egli pasticciere. I sicari mandati dalla cosca Logiudice/Rosmini attendevano il bersaglio dietro una curva. Le due macchine scendevano a pochi metri di distanza l’una dall’altra, quando venne aperto il fuoco. La prima macchina investita da una raffica di proiettili fu quella di Antonino Scirtò che fu colpito al torace e in testa da due proiettili, in modo fatale. Sulla Renault, invece, l’obiettivo dei killer, Francesco Stillitano venne ucciso sul colpo mentre gli altri due vennero feriti gravemente e ricoverati in prognosi riservata all’Ospedale Riuniti di Reggio Calabria.
Fonte: strill.it
Articolo del 11 gennaio 2017
Memorie – Il capolinea di Antonino Scirtò
di Anna Foti
Ne avrebbe ancora raggiunti tanti nella sua vita di ferroviere, ma una crudele faida anticipò l’arrivo di quello della sua vita. Erano gli anni del sangue quelli in cui Antonino Scirtò venne colpito a morte da una raffica di piombo mente era a bordo della sua auto. Un giorno come tanti avrebbe dovuto essere quel 17 Gennaio 1987 e invece quel giorno fu l’ultimo per il ferroviere quarantunenne, padre di due figli, ucciso per errore. La vettura sulla quale viaggiava, sulla strada di Vito a Reggio Calabria, precedeva un’altra a bordo della quale rimase ferito il reale bersaglio dell’agguato, Francesco Stillitano. Con Stillitano rimasero feriti anche il tredicenne Vincenzo Ferrante e il ventitreenne Salvatore Falduto.
Gli inquirenti inquadrarono l’agguato nell’ambito della faida tra le famiglie dei Rosmini e quella dei Lo Giudice. A Reggio erano i tempi della seconda guerra di ndrangheta. Nel 1985 il fallito attentato a Nino Imerti di Fiumara di Muro e, due giorni dopo, l’uccisione di Paolo De Stefano avviarono una lunga scia di sangue. Oltre 700 furono i morti a Reggio Calabria tra il 1985 e il 1991; la pax sarebbe stata oggetto di un accordo tra ndrangheta e cosa nostra e suggellata con l’omicidio del magistrato Antonino Scopelliti consumatosi a Campo Calabro nel reggino il 9 agosto 1991. Antonino Scirtò era un ferroviere; operava tutti i giorni in un luogo simbolo del viaggio, del movimento che sposta esistenze e sogni. Un viaggio che per Antonino Scirtò è finito davvero troppo presto.