18 Marzo 1982 Catania. Viene assassinato il maresciallo Alfredo Agosta, da tempo impegnato in delicate indagini sulle attività di alcune famiglie mafiose del catanese.

Foto ancispettoratosicilia.it

Alfredo Agosta, Maresciallo dei Carabinieri, noto a Catania per essere un investigatore preparato e scrupoloso, viene ucciso con colpi d’arma da fuoco sparati a bruciapelo nel centro di Catania mentre sta prendendo un caffè all’interno di un bar in compagnia di un confidente, la sera del 18 marzo 1982.

 

 

Fonte:  it.wikipedia.org
Alfredo Agosta (Pozzallo, 23 aprile 1933 – Catania, 18 marzo 1982) è stato un militare italiano.

Figlio di Giovanni, ex Comandante Navale e Console del Porto di Pozzallo, e Maria Sigona, appartenente alla dinastia dei Marchesi di Pozzallo. Fratello di Felice, espatriato in America, Raffaele, ex Maresciallo della Guardia di Finanza, ed Anna, maestra delle scuole elementari di Pozzallo.

Arruolatosi nel 1951 a soli 17 anni, ha svolto servizio presso la Stazione Carabinieri di Melito Porto Salvo, dove ha incontrato la sua futura moglie Galerana Catona. Dopo il corso di Vice Brigadiere tenutosi a Padova, ha comandato la Stazione Carabinieri di Sant’Elena in Venezia, la Stazione Carabinieri Aeronautica della Base NATO di Sigonella, e come ultimo incarico è stato vice responsabile del Nucleo di Polizia Giudiziaria dell’Arma dei Carabinieri presso il Tribunale di Catania. La brillante carriera militare lo porta ad indossare a soli 46 anni il più alto grado dei Sottufficiali quello di Maresciallo Maggiore “Aiutante”.

Il militare, noto a Catania per essere un investigatore preparato e scrupoloso, viene freddato con colpi d’arma da fuoco sparati a brucia pelo, nel centro di Catania mentre sta prendendo un caffè all’interno di un bar, sito in via Firenze angolo via Vittorio Veneto, in compagnia di un confidente, la sera del 18 marzo 1982.

Da indagini della Polizia giudiziaria si desume «Giorno 18 marzo del 1982, verso le ore 19.10 circa, in Catania, al Viale Vittorio Veneto, nei locali del bar di tale Foti Mario, veniva consumato un agguato mafioso, cui ne accadeva duplice omicidio. Nell’occorso rimanevano vittime della azione di fuoco Rosario Francesco Romeo (pregiudicato) ed Alfredo Agosta (Maresciallo Maggiore “Aiutante”). Dopo qualche minuto, si portavano sul posto i vertici istituzionali dell’Arma nonché funzionari della locale Squadra Mobile. Agli occhi degli Organi investigativi di Polizia si palesava il seguente scenario: i corpi dei due individui giacevano a terra, quello del pregiudicato era riverso supino attinto da diversi colpi di arma da fuoco, sia davanti che a tergo del corpo, mentre quello del sottufficiale era riverso bocconi, e presentava un solo forame di ingresso, localizzato al suo fianco destro. Da una prima sommaria ricostruzione dei fatti, in base alla localizzazione delle ferite mortali riportate dai due cadaveri e dalla posizione finale di quiete assunta, si era potuto dedurre che il pregiudicato Rosario Francesco Romeo si trovava nel predetto esercizio pubblico, in quanto il Maresciallo Alfredo Agosta, noto e meritorio Ispettore dei Carabinieri, in servizio presso il Nucleo di Polizia Giudiziaria del Tribunale di Catania, stava espletando delicate indagini di Polizia Giudiziaria, e nel far ciò si avvaleva di informatori/confidenti. Si desunse che un killer, appena entrato nel locale, aprì il fuoco dapprima contro il Romeo, poi, proseguì, esplodendo un colpo di fucile (risultato mortale) all’indirizzo del sottufficiale, che, benché consapevolmente disarmato, appena assistette all’azione testé riferita, non esitò nemmeno per un secondo ad intervenire, cercando di contrastare l’azione criminale. Nel chiaro tentativo di opporsi ai malviventi e quindi contrastare e bloccare il killer, che aveva aperto il fuoco, non riusciva nel suo lecito intento perché il colpo di fucile, che lo attingeva mortalmente».

Nell’incedere della narrazione dei fatti vièppiù da aggiungere che anche gli organi di stampa dell’epoca hanno messo in chiaro risalto l’azione sprezzante del pericolo, nonostante la manifesta differenza di possibilità offensive, poste in essere da Alfredo Agosta a fronte di una azione di fuoco impari. La verità è stata sempre immediata e mai taciuta: il Maresciallo Alfredo Agosta ha solamente fatto il suo dovere, fino all’estremo sacrificio della propria vita, per l’incolumità altrui.

La lettura della diagnosi clinica, effettuata dalla Commissione medica ospedaliera, espressa con verbale nr. 27/59 del 15.06.1982, non ha fatto altro che ribadire, senza alcuna sorta di dubbio o incertezza, come il militare “nell’intento di reagire a tale aggressione, veniva raggiunto da un colpo di fucile (a canne mozze, caricato a pallettoni) e decedeva poco dopo per la perforazione del cuore, fegato e rene sinistro, con emorragia acuta, insufficienza respiratoria”. Si ricorda che in quel periodo le investigazioni lì effettuavano direttamente le Forze dell’Ordine attraverso i confidenti, poiché non esistevano strumenti altamente qualificati come cimici o apparecchiatura in grado di investigare sulla Mafia, dando a conclusioni indagini notizia di reato all’allora Giudice Istruttore (il codice penale fino 1988 prevedeva che le indagini venissero o potevano essere condotte da personale delle Forze dell’Ordine, senza alcuna delega di indagine).

Lasciava moglie e 3 figli, Giovanni, Antonio e Giuseppe di soli 7 anni, all’epoca dei fatti minorenni. In quel periodo a Catania tra le varie cosche mafiose (Santapaola, Pillera, Cappello, Ferlito) uccisero centinai di persone per le strade, per il semplice fatto che cercavano in qualsiasi modo di contendersi il traffico di stupefacendi, armi ed estorsioni. Con l’uccisione del Maresciallo Alfredo Agosta, che avvenne 6 mesi antecedenti l’uccisione del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, si elimina l’unico uomo delle Forze dell’Ordine negli anni ottanta nella Sicilia orientale, che naturalmente si è occupato di tale fenomeno. Il triste rituale mafioso colpisce, con Agosta, un’appartenente alle Forze dell’Ordine da anni attivo nelle indagini sulla criminalità organizzata.

Il suo omicidio è la testimonianza più vera dell’impegno che da sempre anima i Carabinieri nella lotta alla malavita. Lo stesso è stato riconosciuto con decreti del Ministero dell’Interno “Vittime del Dovere” e “Vittima della Criminalità Organizzata”. In ricordo di questo eroe, nel 1983 è stata consegnata la “Medaglia d’oro Ordine Pubblico” nell’ambito del Premio Sicurezza e Libertà (alla memoria), 1995 è stata intitolato l’Ispettorato Regionale dell’Associazione Nazionale Carabinieri Sicilia, nel 2002 a Catania è stata intitolata una strada, nel 2005 è stata intitolata un’Associazione anti-racket nella zona tra Paternò e Belpasso, nel 2006 nasce l’Associazione Nazionale Carabinieri Alfredo Agosta nel paese d’origine dell’eroe, Pozzallo in Provincia di Ragusa, nel 2011 il comune di Aci Catena gli intitola una nuova strada, il 21 febbraio 2012 viene intitolata una nuova Associazione Antiracket tra il territorio di Motta Sant’Anastasia e Adrano in Provincia di Catania. Il 19 marzo 2012, a 30 anni dell’omicidio del Maresciallo Maggiore “A” dell’Arma dei Carabinieri Alfredo Agosta, l’Istituto comprensivo statale “Roberto Rimini” di Acitrezza-Acicastello della Provincia di Catania, intitola la Palestra della Scuola al grande eroe, presenti alla cerimonia commemorativa numerose autiorità tra cui il Procuratore Capo della Procura della Repubblica, Il Comandante Provinciale dell’Arma dei Carabinieri, il Vice Prefetto, Deputati e tantissime autorità civili, militari e religiose. Il 05 giugno 2013 a Messina in occassione del 199º anno della Fondazione dell’Arma dei Carabinieri, il Comandante di Corpo d’Armata dell’Arma dei Carabinieri Generale Zottin, consegna alla vedova Signora Catona Galerana la Medaglia d’Oro al Merito Civile (alla memoria), questo prestigioso riconoscimento è stato disposto dal Presidente della Repubblica con decreto del Ministero dell’Interno datato 18 aprile 2013,presenti alla cerimonia commemorativa numerose autiorità civili, militari e religiose.

Il 02 luglio 2013, il Comitato Addiopizzo di Catania ha inaugurato dei murales raffigurante anche il Maresciallo Alfredo Agosta, tale manifestazione è stata realizzata nell’ambito del progetto “un muro contro la mafia”, ricadente su un luogo simbolo nella lotta alla legalità, sul muro perimetrale della casa circondariale di Piazza Lanza di Catania, alla manifestazione erano presenti numerose autorità civili, militari e religiose, nonché i familiari delle Vittime di Mafia.

 

 

 

Fonte: oknotizie.virgilio.it
vittima di mafia Alfredo Agosta

di Giuago il 13 nov 11, 20:03:22

VITTIMA DI MAFIA – VITTIMA DI COSA NOSTRA

Il Maresciallo Maggiore Aiutante dell’Arma dei Carabinieri Alfredo Agosta è nato a Pozzallo (RG) il 23 Aprile 1933, da una semplice famiglia. Il Papà fu Giovanni ex Comandante Navale e Console del Porto di Pozzallo, la mamma fu Maria Sigona appartenente alla dinastia dei Marchesi di Pozzallo, il fratello Felice espatriato in America, Raffaele ex Maresciallo della Guardia di Finanza ed Anna maestra delle scuole elementari di Pozzallo. Arruolato nel 1951 a soli 17 anni, ha svolto servizio presso la Stazione Carabinieri di Melito Porto Salvo (RC), dove ha incontrato la sua futura moglie Galerana Catona, dopo il corso di Vice Brigadiere tenutosi a Padova, ha comandato la Stazione Carabinieri di Sant’Elena in Venezia, la Stazione Carabinieri Aeronautica della Base NATO di Sigonella (CT), e come ultimo incarico è stato vice responsabile del Nucleo di Polizia Giudiziaria dell’Arma dei Carabinieri presso il Tribunale di Catania. La brillante carriera militare lo porta ad indossare a soli 46 anni il più alto grado dei Sottufficiali quello di Maresciallo Maggiore “Aiutante”. Il militare, molto noto a Catania per essere un investigatore preparato e scrupoloso, viene freddato con colpi d’arma da fuoco sparati a brucia pelo, nel centro Catania mentre sta prendendo un caffè all’interno di un Bar, sito in via Firenze angolo via Vittorio Veneto, in compagnia di un confidente, la sera del 18 Marzo 1982. . Si ricorda che in quel periodo le investigazioni lì effettuavano direttamente le Forze dell’Ordine attraverso i confidenti, poichè non esistevano strumenti altamente qualificati come cimici o apparecchiatura in grado di investigare sulla Mafia, dando a conclusioni indagini notizia di reato all’allora Giudice Istruttore (il codice penale fino 1988 prevedeva che le indagini venissero o potevano essere condotte da personale delle Forze dell’Ordine, senza alcuna delega di indagine). Lasciava, moglie e 3 figli, Giovanni, Antonio e Giuseppe di soli 7 anni, all’epoca dei fatti minorenni. In quel periodo a Catania tra le varie cosche mafiose, Santapaola, Pillera, Cappello, Ferlito, uccisero centinai di morti ammazzati per le strade. Per il semplice fatto, che cercavano in qualsiasi modo di contendersi il traffico di stupefacendi, armi ed estorsioni. Con l’uccisione del Maresciallo Alfredo Agosta, che avvenne 6 mesi antecedenti l’uccisione del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, si elimina l’unico uomo delle Forze dell’Ordine negli anni 80′ nella Sicilia Orientale, che naturalmente si è occupato di tale fenomeno. Il triste rituale mafioso colpisce, con Agosta, un’appartenente alle Forze dell’Ordine da anni attivo nelle indagini sulla Criminalità Organizzata. Il suo olocausto è la testimonianza più vera dell’impegno che da sempre anima i Carabinieri nella lotta alla malavita. Lo stesso è stato riconosciuto con decreti del Ministero dell’Interno “Vittime del Dovere” e “Vittima della Criminalità Organizzata”. In ricordo di questo eroe, nel 2002 a Catania è stata intitolata una strada, nel 2005 è stata intitolata una Associazione antiracket in territorio caldo tra Paternò e Belpasso provincia di Catania, nel 2006 l’Associazione Nazionale Carabinieri Sicilia, nel 2011 il comune di Aci Catena intitola una nuova strada.

 

 

 

Articolo da L’Unità del 20 Marzo 1982
Il maresciallo ucciso perché indagava sui rackets di Catania?
di Nino Amante
Fulminato da due killer. Il sottufficiale dei CC ammazzato insieme ad un commerciante mentre prendeva un caffé al bar – Malavita nord-sud.

CATANIA  – Droga, estorsioni e contrabbando d’armi: queste le tre piste che polizìa e carabinieri stanno battendo per fare luce sull’uccisione, avvenuta giovedì sera in un bar del centralissimo viale Vittorio Veneto, del maresciallo dei carabinieri Alfredo Agosta di 49 anni, e del commerciante Franco Romeo, 36.
La lotta che dall’inizio dell’anno insanguina la malavita catanese ha già provocato 17 morti e tutto lascia pensare che in gioco ci sia la spartizione della città fra due o tre clan rivali, operando in stretto contatto con le bande del nord Italia.
L’alto grado di «professionalità» con la quale è stata messa a segno quest’ultima esecuzione  ne sarebbe la riprova: i due killer, incappucciati e armati l’uno di pistola e l’altro con un mitra «sten», non hanno dato a Romeo e Agosta neanche il tempo di abbozzare una reazione; li hanno fulminati di fronte a una decina di persone mentre, accanto al bancone, sorbivano un caffè e sono fuggiti in  macchina malgrado il tentativo di un metronotte di bloccarli.
Ciò che ancora gli inquirenti non sono riusciti a sapere con sicurezza, è se il maresciallo fosse, anche lui come commerciante, vittima predestinata dei killers, o se si sia trovato per caso coinvolto nella sparatoria; certo è che i due parlavano fra di loro e nessuno se la sente di escludere che il sottufficiale, molto stimato e spesso impiegato in inchieste delicate di polizia giudiziaria, stesse cercando di strappare delle informazioni a Franco Romeo, pregiudicato per reati contro il patrimonio, ma da qualche tempo impegnato, almeno ufficialmente, nella conduzione del suo negozio di abbigliamento.
Qualcuno, in questura, collega il nome di Romeo a quello di Nino Santapaola, arrestato pochi giorni fa, assieme a Salvatore Amato, sulla strada Siracusa-Lentini a bordo di un’auto carica d’armi (bombe a mano, pistole, due mitra). I due sarebbero  stati  fermati qualche tempo fa assieme, a Palermo, altra città testa di ponte nel traffico della droga e delle armi.
Ma altri episodi, in buona parte fatti conoscere solo adesso ai cronisti, vengono tirati fuori in queste ore dagli inquirenti per dimostrare di quali interessi Catania sia crocevia. Giovedì scorso all’aeroporto scendono due uomini provenienti da Milano. Stanno solo un giorno a Catania. Poche ore dopo il loro ritorno nella città lombarda uno, Pietro Romano, viene trovato ucciso a Bollate, dell’altro non si hanno più notizie, ma gli inquirenti, pur tacendo il nome, lo descrivono come uno degli esponenti più in vista di quella che fu la banda di René Vallanzasca.
Un filo diretto Catania-Milano venne fuori anche nell’autunno scorso, in seguito al sequestro di un carico di hashisc del valore di un miliardo. La merce, proveniente dal mercato ortofrutticolo catanese, viaggiava sotto un carico di verdura. Gli arrestati furono 5 e fra essi Alfio Ferino, personaggio molto in vista della mala cittadina.
Il controllo del traffico degli stupefacenti, del raket delle estorsioni (a Catania non c’è un commerciante che non paghi la tangente), del commercio di armi da utilizzare per rapine ed esecuzioni, si ottiene nella maggior parte dei casi a prezzo di guerre sanguinose. Nel giugno scorso poliziotti e carabinieri contarono centinaia di bossoli di fronte a un garage di contrada Cerza, alla periferia di Catania, dopo uno scontro a fuoco fra bande rivali conclusosi con un morto e numerosi feriti. Spesso però i cadaveri non si trovano neanche: è il caso di Matteo Ternullo e Salvatore Palermo, scomparsi da due mesi e quasi sicuramente vittime della cosiddetta «lupara bianca». Adesso sul piatto della bilancia ci sono i due morti di giovedì sera. Qualcuno ha prospettato la possibilità che il maresciallo Agosta stesse indagando su un traffico di droga per conto di qualche procura dell’Italia settentrionale. I carabinieri però smentiscono. Piangono la morte di uno dei loro uomini più preparati e cercano di venire a capo di questa ragnatela di delitti.

 

 

 

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Articolo del 17 marzo 2022

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