2 Gennaio 1999 Vittoria (RG). Strage di San Basilio. Uccisi Salvatore Ottone e Rosario Salerno. Uccisi per errore.
Rosario Salerno, 28 anni, e Salvatore Ottone, 27 anni, furono le vittime innocenti di quella che è ricordata come la strage di San Basilio.
All’imbrunire del 2 gennaio 1999 un commando di killers fece irruzione all’interno del bar della stazione di servizio Esso, all’ingresso della città di Vittoria (RG) , uccidendo 5 persone. Morirono crivellati di colpi Angelo Mirabella (in quel momento referente del clan della stidda di Vittoria), Rosario Nobile, e Claudio Motta, ritenuti affiliati al clan Dominante e i due giovani che in quel momento si trovavano casualmente nel bar. Si salvò solo il barista, che ebbe la prontezza di rannicchiarsi sotto il bancone. Dopo 14 anni di indagini, processi e pentiti, nel gennaio del 2013 la verità sulla strage: venne ordinata dai clan Piscopo ed Emmnauello di Gela, rivali della «Stidda» vittoriese, che intendevano così estendere il proprio predominio anche nella provincia di Ragusa.
Articolo da La Repubblica del 3 Gennaio 1999
‘Quei killer sparavano e non finivano mai’
VITTORIA – “Due di loro sono stati uccisi per sbaglio. Li conoscevo bene. Salvatore Ottone lavorava tutto il giorno al mercato dei fiori, Rosario Salerno in officina, col padre”. Parla Giuseppe Lorefice, figlio del titolare del bar di Vittoria in cui è avvenuta la strage. Per gli altri morti non garantisce, dice di averli conosciuti solo di vista. E’ appena uscito dal commissariato dove per tutta la sera c’è stato il viavai dei parenti delle vittime. E anche dei testimoni, che sono soltanto quattro. Uno, dopo aver parlato per qualche minuto, è stato ricoverato all’ ospedale sotto choc. Altri due che non hanno visto assolutamente nulla e che a malapena ammettono di aver sentito i colpi. Un quarto del quale la polizia è venuta a conoscenza in un secondo momento, e che comunque non ha aggiunto niente di nuovo. Per il resto, buio assoluto. Cinque morti e nessuno ha visto nulla. Gli investigatori arrivati al distributore di carburante pochi minuti dopo l’ agguato hanno trovato i cadaveri addossati in fondo alla parte del piccolo bar del distributore Esso lungo la statale 115, che porta verso Comiso, alla periferia del paese. Accanto a loro, in stato confusionale, Sebastiano Lorefice, 62 anni, gestore del bar. Ecco il suo primo racconto: “I ragazzi erano seduti al bancone, qualcuno leggeva il giornale, un altro beveva un caffè. Sono entrati in due, avevano il viso coperto da una calza, forse avevano anche un passamontagna. Hanno subito cominciato a sparare, non finivano mai. Può darsi che ciascuno di loro avesse più di una pistola. Mi sono subito buttato a terra dietro al bancone. Mi hanno lasciato vivo e mi sembra quasi un miracolo”.
Lorefice, che adesso è sotto protezione in ospedale ha raccontato altri particolari. Erano circa le sei e un quarto. Un’ auto, una Fiat Uno verde scuro, si è fermata proprio davanti all’ unico ingresso del locale, sotto un piccolo pergolato, bloccando di fatto l’ uscita. L’ uomo alla guida è rimasto dentro l’ auto, i due killer sono scesi: “Due ragazzi, almeno a giudicare dalla corporatura – ha aggiunto Lorefice – smilzi, esili. Avranno avuto meno di vent’ anni”. A una ventina di metri, vicino alle pompe di benzina, al riparo sotto le pensiline, c’ erano i due benzinai, Orlando Diani e Andrea Doria. Quando escono dal commissariato indossano ancora la tuta, le scarpe inzuppate di pioggia: “Abbiamo sentito solo i colpi di pistola”. “Invito tutti i cittadini che sanno o che hanno visto qualcosa a denunciare e a parlare”. E’ questo l’ appello lanciato dal sindaco di Vittoria, Francesco Aiello (Ds), dopo la strage. Il sindaco, che in passato ha ricevuto numerose minacce e vive sotto scorta, ha riunito immediatamente la giunta comunale per un esame delle iniziative da adottare. Aiello ha riferito di avere inutilmente sollecitato nei mesi scorsi un potenziamento delle forze dell’ ordine a Vittoria: “Adesso – ha concluso – speriamo che la mia richiesta venga esaudita. La città è stata colpita, e occorre una presenza forte dello Stato”. – (g.f.)
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 9 gennaio 1999
«Nessun perdono per le belve mafiose»
Cinquemila in piazza a Vittoria. I genitori di Turi e Rosario: «Non vendetta, ma risposte»
di Walter Rizzo
VITTORIA (RG) «Mio figlio… sì, Rosario, il mio Rosario, sono qui per lui, per gli altri…». Alfredo Salerno Si chiude davanti alle domande dei giornalisti, Si avvolge nel suo dolore, mentre gli occhi dei suoi compaesani lo sorreggono in questo calvario. Il piccolo bar di via Cavalieri di Vittorio Veneto ha la vetrata nuova. Non ci sono più i fori dei proiettili, gli schizzi di sangue. L’hanno cambiata lunedì pomeriggio degli operai che si muovevano silenziosi come fantasmi. La vetrata nuova non ha fatto sparire il ricordo di quelle cinque morti. Adesso è ricoperta da striscioni, fogli di carta attaccati alla meno peggio. È la prima stazione di questa via crucis civile. «Ci avete spezzato le ali, ma non la capacità di volare», lo hanno scritto i ragazzini della Don Milani di Vittoria.
Alfredo Salerno legge la scritta, pensa alle ali del suo Rosario, lo rivede appoggiato al bancone di quel bar, con l’espressione stupita di chi non sa cosa sia accaduto. Perché proprio a lui. Per quella birra bevuta con il suo amico Turi Ottone, mentre le belve avevano avviato il computer della loro missione di morte. Piange mentre vengono deposti i fiori dal sindaco di Vittoria, Ciccio Aiello e da Don Piero Gelmini. «Questo è stato un luogo di strazio, ma adesso è un luogo di martirio, perché qui sono morti degli innocenti». Già sono morti anche due ragazzi innocenti «come Cristo», dice qualcuno alle spalle dei famigliari che si stringono, si fanno piccoli piccoli davanti al «luogo del martirio». Ma la via Crucis riparte, facendo il percorso inverso dal Golgota verso il cuore di Vittoria. Sfiora lo stadio per il quel alcuni giorni prima di morie il tifoso Turi Ottone era andato a parlare con il sindaco. «Mi hanno chiesto di accelerare i lavori per le tribune in curva – ricorda Aiello – Turi non potrà vederla, ma quella tribuna porterà il suo nome».
Alfredo Salerno è in prima fila, stretto al braccio del sindaco, accanto gli sono i famigliari di Turi Ottone: il padre Gaetano, la mamma, Maria, la sorella, gli zii i cugini. «Non volevano venire, mi dicevano cosa cambierà? – racconta il sindaco – poi hanno capito che dovevano farlo. La madre di Ottone mi ha detto: verrò per le madri degli altri ragazzi, perché nessuno debba soffrire quello che soffriamo noi oggi». Già nessuno deve soffrire la pena della morte. Eppure nei giorni scorsi il padre di uno dei picciotti ammazzati nel bar aveva detto chiaro e tondo che la risposta alla strage dev’essere quella del taglione. Un mondo lontano da questa Vittoria. Due città che non si parlano e non si capiscono. «Non posso certo perdonare quelli che hanno ucciso mio figlio un ragazzo splendido, che lavorava, amava la musica che voleva vivere tranquillo – dice Alfredo Salerno – Sono delle belve umane, ma non chiedo vendetta». «Noi non siamo nessuno per punire o assolvere – dice Gaetano Ottone – a quelli, dico solo che per loro c’è la giustizia di Dio». Vendetta? «Una parola che non conosciamo – è la sorella di Turi Ottone a parlare – nel vocabolario della nostra famiglia non esiste. Siamo qui per Turi e Rosario e per la nostra città, per la nostra gente».
La via Crucis si snoda verso il centro. Sono migliaia i vittoriesi che hanno raccolto l’invito del sindaco e del Consiglio comunale. Una manifestazione silenziosa e pesante come una condanna definitiva per i «mammasantissima» della Stidda. Una risposta corale quella di Vittoria, che ha visto l’adesione di oltre cento sindaci, con in testa il presidente nazionale dell’Anci, Enzo Bianco e il sindaco di Palermo Leoluca Orlando. C’è il vescovo di Ragusa Angelo Rizzo e la Regione siciliana, con il presidente Angelo Capodicasa e l’assessore Giovanni Battaglia, ci sono i parlamentari regionali e nazionali, c’è Pietro Folena della Direzione dei Ds e il presidente della commissione giustizia Anna Finocchiaro. E poi ancora sindaci, presidenti di Provincia, impossibile fare un elenco. Ma ci sono soprattutto i cittadini e centinaia di ragazzi. La via Crucis di Vittoria diventa una panoramica di volti, di occhi. Diventa il ritratto di una città che si rialza per rispondere colpo su colpo. Per farlo chiede aiuto e lo fa prima di tutto rivolgendosi a sé stessa. «Lo dico ai ragazzi di Vittoria – dice Ciccio Aiello – aiutateci e aiutatevi, perché da soli non ce la facciamo e poi mi rivolgo ai commercianti e agli imprenditori: non bastano poliziotti e magistrati se non c’è la collaborazione della gente.
Qui c’è stato chi, come Salvatore Incardona, ha pagato con la vita il proprio rifiuto davanti al racket». Poi si rivolge al Governo e chiede atti concreti. «Aspetto D’Alema, ringrazio per la solidarietà, ma chiedo un aiuto concreto e diretto». Più duro don Gelmini che dice chiaro e tondo che in questa serata di gennaio a Vittoria doveva esserci almeno un rappresentante del Governo. Poi il piccolo prete lancia un appello alla piazza che ha di fronte. «Non mi sento cittadino onorario, ma cittadino di Vittoria. Per questo vi dico di volare. Volate nel cielo della vostra città come i gabbiani della libertà per gridare che Vittoria è in piedi, che Vittoria è libera».
Ha un simbolo questa Vittoria libera ed in piedi con la schiena dritta. Si chiama don Beniamino Sacco. È il prete che ha lanciato l’invito a denunciare i sicari. La Polizia lo ha messo sotto scorta dopo una serie di minacce considerate più che attendibili. «Cosa mando a dire a quelli che mi minacciano? Dico loro che gli voglio bene, che devono lasciare questa strada che porta dritti al cimitero. Sono un prete e voglio celebrare i loro matrimoni e non i loro funerali».
Articolo da La Repubblica del 12 Gennaio 1999
Quei ragazzi innocenti ammazzati al nostro posto…
di Francesco Viviano
VITTORIA – Quando ieri mattina all’alba hanno intuito che quelli che avevano davanti erano poliziotti e carabinieri, entrati nelle loro case per arrestarli, hanno tirato un sospiro di sollievo. Sono i due scampati alla strage del bar Esso, Giovanni Rimmaudo e Salvatore Di Mercurio, vivi per caso, perché per un banale contrattempo erano andati in ritardo all’ appuntamento con la morte. Al loro posto i killer uccisero due innocenti, scambiandoli per due appartenenti al boss emergente Angelo Mirabella, il principale obiettivo dei sicari. Le ansie, le paure, le motivazioni delle strage sono state raccolte “in diretta” dagli investigatori che alcuni giorni prima della mattanza avevano piazzato sulla “Lancia Thema” di Di Mercurio, una “cimice”. Sicuri di non essere ascoltati Rimmaudo e Di Mercurio, si scambiano le loro opinioni. Sono le 4,49 del tre gennaio, 10 ore dopo la strage. Hanno paura di essere uccisi anche loro e fermati dalla polizia perché la loro automobile è dello stesso tipo utilizzata dai sicari. Ecco le loro conversazioni intercettate: “Dobbiamo cambiare subito la macchina, ma non abbiamo niente per ora, come facciamo?” dice Di Mercurio al suo amico. “Ti rendi conto – risponde Rimmaudo – cosa hanno fatto? Bastardi, bastardi che sono. Come se li sono asciugati (ammazzati, ndr)? Ora voglio tutte le spiegazioni, mi devono dire tutto e subito perché per caso non ci hanno ammazzato. Angelo (Mirabella, uno dei cinque morti, ndr) se n’ è andato in questo spacchio (cavolo, ndr) di bar, io mi fermai per quella minchia di serranda di casa che s’era rotta. Se non era per questo anch’io sarei andato all’appuntamento”. E Di Mercurio aggiunge: “E io che mi sono salvato per merito tuo? Meno male perché aspettavo te. Ci siamo salvati per la serranda, perché aspettavo quella faccia di minchia (l’ operaio, ndr)”. I due sono sempre in macchina, cercano un rifugio ed un’altra automobile e continuano a parlare. Fanno riferimento alle due vittime innocenti, Salvatore Ottone e Rosario Salerno. Dicono anche che un altro, Emanuele Nobile, è morto per caso. “Ma che cazzo c’entravano quei tre? Cornuti di merda che sono – dice Di Mercurio – se volevano li potevano uccidere (Mirabella e Claudio Motta) dove volevano. Non capisco perché hanno fatto questa grande minchiata (la strage, ndr), ancora non l’ho capito, bastardi, bastardi che sono”. “C’è mia moglie che è bianca (cadaverica, ndr)”, risponde Rimmaudo. I due ritengono “sproporzionata” la punizione decisa dal clan Piscopo. “Posso capire se ci fossero stati altri morti a Vittoria – dice Di Mercurio – allora va bene. Ma una strage di queste, non ha senso. Una minchiata ammazzare quei cinque ragazzi. Angelo (Mirabella, ndr) si meritava 22 colpi? Ammazzato come i cani. Erano buttati uno sopra l’ altro, li hanno messi in fila. Ma quanti erano (i killer, ndr)? Uno, due. Questo non si sa ancora”. “Io sono andato al bar Esso dopo la sparatoria – continua Di Mercurio – e lì ho incontrato Romano. Ho visto i morti ammazzati: te l’ immagini, quindici colpi sparati a cinque persone in testa, erano messi tutti e cinque uno sopra l’ altro, vicini alla cassa, all’angolo, non gli hanno dato tempo nemmeno di fare un passo. Quei due ragazzi (Salerno e Ottone, ndr) erano per i fatti loro”. E Rimmaudo replica: “Forse (ai killer, ndr) gli sembrava che eravamo tutti là dentro. Di solito ci siamo tutti e sono andati dov’ era Angelo (Mirabella, ndr) e hanno fatto cadere tutti, chi c’ era c’era. Ma poi, figli di puttana…non hanno sbagliato un colpo…una precisione… E quando mi hanno detto che i morti erano cinque ho pensato a te”. I due poi cercano di comprendere da dove siano arrivati i killer: “Da lontano, sicuramente gelesi”, dice Di Mercurio “penso a loro”. “Non lo potevano fare, c’era l’accordo, dovevano rispettare i patti – continua Di Mercurio – questa strage non gli conveniva, tutto questo gran bordello… Ora può succedere di tutto e se avessero pensato a questo forse non l’ avrebbero fatto”. Gli scampati ricordano poi le “lamentele” dentro il clan sul comportamento, eccessivamente disinvolto, di Angelo Mirabella: “Avevano sempre in bocca Angelo, ogni cosa che succedeva nominavano Angelo – dice Di Mercurio – e ad Angelo glielo avevamo detto “stai attento perché quelli (i Piscopo, ndr) ce l’ hanno con te”. E Rimmaudo: “Ora cosa dobbiamo fare?” Di Mercurio racconta poi al suo amico un sogno “premonitore” fatto il giorno prima della strage: “Ho sognato che volevo comprarmi uno spider blindato..”. E Rimmaudo gli risponde: “Sì, lo spider blindato con la cappotta di plastica?”.
Articolo da La Repubblica del 12 gennaio 1999
Un pentito incastra i boss 17 arresti per la strage
VITTORIA (f.v.) – “Angelo Mirabella s’ era allargato troppo. Aveva fregato i Piscopo riscuotendo il pizzo che avevano imposto ad un imprenditore; gli aveva venduto anche una partita di eroina tagliata male e loro volevano indietro i soldi; poi era entrato in contrasto con i “gelesi”. Per questo i Piscopo hanno deciso la sua eliminazione”. A dare l’ input agli investigatori per decifrare la strage di Vittoria del due gennaio scorso dove furono uccisi tre “stiddari” e due innocenti, è stato un pentito dell’ ultimo ora. Un ex appartenente al clan mafioso dei D’ Agosta, ingaggiato qualche mese fa dal clan avverso dei cugini omonimi, Alessandro Piscopo, entrambi arrestati nel blitz di ieri e ritenuti i mandanti della mattanza. Con loro sono finiti in galera altri 15 appartenenti alla cosca mafiosa e tra questi anche Vincenzo Mirabella, fratello di Angelo, il principale bersaglio dei sicari che entrarono in azione dentro il “Bar Esso” di Vittoria. Il pentito, arrestato 3 giorni dopo la strage con altre 12 persone, non avrebbe avuto un ruolo specifico nella carneficina, però sapeva. Sapeva che i cugini Piscopo dovevano eliminare Angelo Mirabella che più volte aveva “sgarrato” e che tentava di guidare la cosca dopo l’ arresto del boss Carmelo Dominante. E quest’ ultimo, secondo gli investigatori, avrebbe dato dal carcere il suo assenso all’ uccisione di Mirabella “colpevole”, tra l’ altro, di avere cercato appoggi tra i mafiosi di Catania. Le dichiarazioni del neopentito sarebbero riscontrate dalle decine e decine di ore di intercettazioni telefoniche ed ambientali che gli investigatori di Vittoria e Ragusa hanno raccolto in questi mesi ascoltando le conversazioni degli arrestati di ieri. Il pentito, che era stato cooptato dal clan Piscopo per la sua abilità nell’ uso di armi ed esplosivi, ha indicato agli inquirenti anche il nome del “basista”, di colui cioè che avrebbe indicato ai killer i movimenti di Angelo Mirabella e dei suoi amici. Sarebbe Enzo Mangione (anche lui arrestato) che la sera della strage si era piazzato nei pressi del “Bar Esso” dando il via ai sicari quando Angelo Mirabella, Claudio Motta ed Emanuele Nobile, erano entrati nel locale. E sempre Mangione, secondo il pentito, avrebbe fatto da battistrada ai killer fuggiti a bordo di una “Lancia Thema” trovata dagli investigatori il giorno dopo la strage sulla strada provinciale in direzione di Gela. E “gelesi”, secondo il collaboratore, sarebbero i sicari dei quali non ha però saputo fornire i nomi e che non sono stati ancora individuati. Ma avrebbero le ore contate. Polizia e carabinieri, che hanno agito in tandem, sono sull loro tracce. Hanno alcune indicazioni che potrebbero portarli alla loro identificazione. Il pentito ha confermato che Salvatore Ottone e Rosario Salerno sono state due vittime “innocenti”, “al loro posto – ha detto- dovevano essere ammazzati Salvatore Di Mercurio e Giovanni Rimmaudo che avevano appuntamento al bar con Mirabella”. Lo scenario disegnato dal neopentito (in queste ore gli investigatori stanno tentando di convincere i suoi familiari ad allontanarsi da Vittoria) non solo ha contribuito ad individuare i mandanti ed i componenti del clan Piscopo, ma anche a ridisegnare la mappa delle famiglie di “stiddari” che tra Gela e Vittoria impongono la loro legge, taglieggiando commercianti ed imprenditori, spacciando stupefacenti, tentanto di occupare gli spazi ed il territorio una volta dominato dai clan di Cosa Nostra. E così la notte scorsa, sulla base di queste indicazioni e delle indagini in corso da mesi sui nuovi clan di stiddari, è scattato il blitz che ha portato in carcere 17 persone, ritenute molto “pericolose” e che avrebbero potuto spargere altro sangue. I primi ad essere finiti in manette i cugini omonimi Alessandro Piscopo, di 37 e 39 anni. Quest’ ultimo avrebbe assunto il ruolo di capo dopo l’ arresto del boss Carmelo Dominante, ed è stato arrestato all’ interno della sua masseria, a qualche chilometro da Vittoria. Una masseria che era stata trasformata in un vero e proprio rifugio e che per questo era chiamato “Fort Apache”. La posizione dei fermati verrà valutata entro 48 ore dal Gip al quale la Procura di Catania ha già chiesto la convalida degli arresti. Altri tre presunti mafiosi sono riusciti a sfuggire al blitz e sono ricercati in tutta Italia. Gli investigatori ritengono che si siano allontanati dalla Sicilia.
Articolo dal Corriere della Sera del 12 gennaio 1999
Strage di Vittoria, presi i mandanti
di Alfio Sciacca
Un pentito rivela: i due innocenti scambiati dai sicari per fedelissimi del boss. Gli assassini erano cinque. Il commando omicida fatto venire da Gela
In cella i cugini Piscopo, rivali del padrino ucciso con altre quattro persone. Una partita di droga e un’ estorsione pretesto per il massacro Strage di Vittoria, presi i mandanti Un pentito rivela: i due innocenti scambiati dai sicari per fedelissimi del boss Gli assassini erano cinque Il commando omicida fatto venire da Gela VITTORIA (Ragusa) – “U vidisti chi bottu… Chissi su malagenti… n’ ama moviri (L’ hai visto che botto, queste sono persone malvagie, ci dobbiamo muovere)”. Parlavano cosi’ gli uomini di Mirabella. Nei giorni successivi alla strage i loro telefonini erano bollenti di rabbia e voglia di vendetta. Parlavano e progettavano altre stragi ignari di essere tenuti sotto controllo. Questa volta la macchina delle intercettazioni ha funzionato alla perfezione e in appena nove giorni sono stati individuati i presunti mandanti della strage del 2 gennaio scorso. Si tratta dei cugini omonimi Alessandro Piscopo e del fratello di uno dei due Giovanni, ancora latitante. Sono stati fermati assieme al presunto basista, Enzo Mangione e ad altri quattordici affiliati ai due clan in lotta a Vittoria. Tra le persone sfuggite alla cattura anche Gaetano Dominante, figlio del boss detenuto Carmelo, che aveva cambiato aria gia’ all’ indomani della strage. Ancora senza nome, invece, gli esecutori materiali: sarebbero cinque sicari venuti da Gela. I nomi dei Piscopo erano sulla bocca di tutti sin dall’ avvio delle indagini. I pentiti avevano detto che solo loro avevano l’ interesse ad eliminare i Mirabella che non volevano come reggente del clan Dominante. “Fin dal primo momento – conferma il procuratore della Dda, Mario Busacca – abbiamo seguito la piu’ logica delle ipotesi investigative, ci mancavano solo i riscontri”. Riscontri che sono venuti “scuotendo l’ ambiente” con i dodici arresti eseguiti il 4 gennaio e dalle intercettazioni telefoniche. Ma la svolta e’ arrivata con le dichiarazioni di un esponente del clan Dominante che ha deciso di collaborare come da subito aveva fatto Giuseppe Bricciolini. Un pezzo da novanta della cosca che si sarebbe deciso a collaborare temendo il clima pesante che si respira a Vittoria. “In questa zona – affermano gli inquirenti – ci sono ormai dei cadaveri ambulanti che ora cominciano a scegliere il rischio minore”. Da tempo ormai a Vittoria si temeva il peggio. I Piscopo non volevano saperne del nuovo reggente, ma anche i Mirabella pensavano di togliere di mezzo i rivali. La strage era nell’ aria e i Piscopo sarebbero stati solo piu’ lesti. + bastato il pretesto dello scontro per una partita di droga e la mancata spartizione di una estorsione (in tutto 100 milioni di lire) per dare l’ ordine ai sicari. L’ obiettivo era Mirabella e i suoi uomini che si riunivano nel bar annesso al distributore Esso. I killer dovevano colpire nel mucchio, e non hanno esitato a sparare contro i due giovani estranei alle cosche. + stata una tragica fatalita’ : a quanto pare i sicari pensavano che quei due ragazzi fossero due fedelissimi di Mirabella come il fratello Vincenzo e Salvatore Di Mercurio che quel giorno non erano al bar e che invece sono stati arrestati ieri mattina. Pastori originari di Gela, i Piscopo sono ben noti alle forze dell’ ordine, piu’ volte sono finiti in carcere per omicidio ed estorsioni. Nel ‘ 90 due loro fratelli vennero uccisi in un’ altra strage a Scoglitti che fece quattro morti. Il loro regno e’ nelle campagne di Pozzo Ribaudo, una zona spesso inaccessibile anche alle forze dell’ ordine e per questo ribattezzata Fort Apache. Da anni tentano di mettere le mani sui ricchi affari di Vittoria in accordo con le cosche di Gela. L’ unico ostacolo era quel Mirabella che con disprezzo chiamavano “Angelo millelire”, perche’ quando era ragazzino qualunque cosa andava a comprare ne comprava sempre mille lire. Un ragazzo che non aveva la testa e il coraggio per diventare un capo.
Articolo da La Repubblica del 17 gennaio 1999
Strage di Vittoria, 8 arresti
di Francesco Viviano
GELA – Furono uomini di Cosa Nostra ad eseguire la strage di Vittoria del 2 gennaio scorso dove rimasero uccise cinque persone. E’ questa la conclusione degli investigatori della squadra mobile di Caltanissetta che avrebbe individuato gli esecutori materiali della mattanza nella quale furono assassinati anche due giovani che con la criminalità non avevano nulla a che fare. Due dei presunti killer ieri sono stati arrestati assieme ad altri 6 componenti del clan mafioso di Gela che farebbe capo al boss della Cupola Piddu Madonia. L’ indagine della Procura di Caltanissetta, affidata ai sostituti procuratori Asaro e Leopardi è collegata a quella dei colleghi di Catania, titolari dell’ inchiesta sulla strage di Vittoria. Dagli elementi investigativi raccolti dalla mobile nissena (intercettazioni ambientali e telefoniche, pedinamenti e dichiarazioni di alcuni pentiti) sarebbe emersa la responsabilità nella strage di alcuni degli arrestati, Crocifisso Smorta e Carmelo Billizzi, ritenuti esponenti di primo piano del clan mafioso di Gela guidato attualmente dai fratelli latitanti Alessandro e Daniele Emmanuello. Prima e dopo la carneficina all’ interno del “Bar Esso” gli inquirenti hanno ascoltato alcune telefonate dove si faceva riferimento ai cinque morti ammazzati di Vittoria. Gli interlocutori erano Crocifisso Smorta, Carmelo Billizzi e Vincenzo Mangione. Quest’ ultimo (arrestato a Vittoria 4 giorni dopo la strage) avrebbe svolto il ruolo di “basista” indicando ai killer venuti da Gela gli spostamenti delle vittime predestinate e cioè Angelo Mirabella, Claudio Motta ed Emanuele Nobile, che si erano riuniti all’ interno del Bar Esso di Vittoria dove casualmente erano presenti anche Rosario Salerno e Salvatore Ottone. Per non “sbagliare” i killer uccisero tutti e cinque. Nella conversazione Mangione avrebbe rassicurato Smorta sull’ esito della spedizione di morte: “Ok, tutto a posto”. Mentre in un’ altra telefonata Billizzi dice al suo interlocutore che difficilmente gli inquirenti sarebbero risaliti all’ identità dei killer. Non solo gli investigatori hanno accertato che il giorno dopo la strage alcuni esponenti della “stidda” di Gela chiedevano “conto e ragione” agli uomini d’ onore del paese (con i quali da tempo hanno instaurato una pax mafiosa dividendosi gli affari illeciti e le estorsioni) sugli autori della strage. Gli “stiddari” di Gela erano preoccupati perché i giornali avevano attribuito alla loro organizzazione la progettazione e l’ esecuzione della spedizione di morte chiedendo ed ottenendo una riunione “chiarificatrice” con gli esponenti di Cosa Nostra. La riunione, secondo gli inquirenti, si sarebbe svolta due giorni dopo in una località segreta tra Gela e Vittoria. L’ indagine ha anche rivelato che uno dei mandanti della strage sfuggito alla cattura sarebbe Giovanni Piscopo, fratello del capo della stidda di Vittoria arrestato alcuni giorni dopo il massacro con altre otto persone. Giovanni Piscopo si sarebbe rifugiato in Germania ed è stato segnalato alla polizia tedesca. Il blitz di ieri compiuto con la collaborazione della Dia e dei Carabinieri di Caltanissetta, è stato accelerato su disposizione del procuratore Giovanni Tinebra e del suo aggiunto Paolo Giordano, perché dalle intercettazioni telefoniche sugli indagati s’ era intuito che stavano per darsi alla latitanza.
Articolo da L’Unità del 7 Febbraio 1999
Strage di Vittoria preso il mandante
PALERMO. Giovanni Piscopo, ritenuto il mandante della strage di Vittoria nella quale il 2 gennaio scorso, furono uccise cinque persone, è stato arrestato la notte scorsa dalla polizia tedesca. Piscopo è stato catturato, su ordine della procura distrettualedi Catania, a Stalher mentre tentava di varcare il confine con l’Olanda insieme a Giuseppe D’Ambrosio, 31 anni, ricercato in Germania per traffico di stupefacenti. L’arresto è stato compiuto in seguito alle indagini condotte dalla squadra mobile di Caltanissetta insieme al servizio centrale operativo della Polizia e all’Interpool. Secondo gli inquirenti Piscopo si è avvalso per l’organizzazione materiale della strage di boss della cosca gelese. La strage è stata compiuta nel bar annesso ad una stazione di servizio.
Il ‘gruppo di fuoco è composto da tre elementi: due esecutori ed un autista. Quandosi scatena l’inferno cadono in cinque: tre – accerteranno le indagini – vittime designate, gli altri bersaglio casuale.
Obiettivo dei sicari è Angelo Mirabella, 32 anni, un emergente del clan Dominante-Carbonaro (lo «stato maggiore» è in galera),deciso a consolidare il proprio ruolo di capo. Una ascesa non condivisa dal vertice della cosca che – sempre secondo l’ipotesi investigativa – decide per la «pulizia interna».
Con Mirabella «devono» essere eliminati e quindi vengono assassinati suo cognato Claudio Motta, 21 anni, e il suo luogotenente, Rosario Nobile, 27. Uccisi pure Salvatore Ottone e Rosario Salerno, 28 e 27 anni, due esponenti della tifoseria della locale squadra di calcio, che pagano con la vita l’occasionale sosta nel bar. Vittoria, una solida economia agricola al punto di fregiarsi del titolo di capitale dell’«oroverde», reagisce con la parte sana della popolazione.
Articolo del 22 Febbraio 2008 da lasiciliaweb.it
Strage di Vittoria del ’99, arrestati 4 mafiosi
VITTORIA (RAGUSA) – La squadra mobile di Ragusa ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare per quattro persone indagate per la strage di Vittoria del 2 gennaio del 1999 in cui furono uccise cinque persone nell’ambito di una guerra di mafia tra Cosa nostra di Gela e la Stidda iblea. Sono il presunto boss gelese Alessandro Emmanuello, di 41 anni, Giovanni Avvento, di 48, Carmelo Massimo Billizzi, di 32, indagati in qualità di mandanti, e uno dei presunti esecutori materiali dell’agguato, Gian Luca Gammino, di 34.
Dei quattro indagati soltanto il primo è stato arrestato dalla polizia; agli altri tre il provvedimento restrittivo è stato notificato in carcere perchè detenuti per altri motivi.
L’ordine di custodia cautelare in carcere è stato emesso dal Gip di Catania, Laura Benanti, su richiesta del sostituto della Direzione distrettuale antimafia della procura etnea, Fabio Scavone. Tra i destinatari del provvedimento restrittivo c’era anche il fratello di Alessandro Emmanuello, Daniele, di 43 anni, ma il presunto boss gelese è stato ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia il 3 dicembre del 2007 Villarosa, in provincia di Enna, dove il latitante si nascondeva.
Per la strage di Vittoria, nota anche come la strage di San Basilio, sono stati già condannati all’ergastolo quattro imputati: i fratelli Giovanni e Alessandro Piscopo, che poi si sono ‘pentiti’, un loro cugino, omonimo di uno dei due, Alessandro Piscopo, e Vincenzo Magione. Un processo è invece ancora pendente davanti la corte d’Assise di Siracusa che sta giudicando la posizione di Carmelo La Rocca, accusato di essere stato l’autista del commando.
La strage, organizzata nell’ambito di contrasti per il controllo delle estorsioni e del traffico di droga nella zona, fu compiuta il 2 gennaio del 1999 nel bar annesso a una stazione di servizio in una delle strade di ingresso a Vittoria. Il ‘gruppo di fuoco’ era composto almeno tre elementi: due esecutori e un autista. Quando si scatenò l’inferno caddero in cinque. Secondo quanto emerse dalle indagini tre erano le vittime designate, gli altri due furono un bersaglio casuale.
Obiettivo principale dei sicari era Angelo Mirabella, 32 anni, un emergente del clan Dominante-Carbonaro, deciso a consolidare il proprio ruolo di capo, suo cognato Claudio Motta, 21 anni, e il suo luogotenente, Rosario Nobile, 27. Nell’agguato rimasero uccisi pure Salvatore Ottone e Rosario Salerno, 28 e 27 anni, due esponenti della tifoseria della locale squadra di calcio, che pagarono con la vita l’occasionale sosta nel bar, per essere cioè nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Articolo del 4 Novembre 2011 da ragusanews.com
Vittoria, strage di San Basilio, due ergastoli
Catania – Ergastolo per Giovanni Avvento e Alessandro Emmanuello e trenta anni di reclusione per i due collaboratori di giustizia Gianluca Gammino e Massimo Billizzi.
E’ il verdetto della Corte d’Assise d’appello di Catania per la strage del 2 gennaio ’99 a Vittoria, quando un commando sterminò cinque persone all’interno di un bar sulla Vittoria-Comiso.
La Corte ha condannato i quattro imputati anche al risarcimento delle parti civili costituite e precisamente la provincia regionale, il Comune di Vittoria e i parenti delle vittime innocenti.
Gli imputati sono stati ritenuti responsabili di concorso in omicidio plurimo per la strageall’interno del bar alla periferia di Vittoria.
Quella sera a cadere sotto i colpi dei sicari furono cinque persone anche se l’obiettivo principale della missione di morte era Angelo Mirabella, ritenuto dagli inquirenti il reggente del clan stiddaro Dominante.
Nella trappola mortale caddero anche due giovani occasionali avventori del bar, Salvatore Ottone e Rosario Salerno.
Articolo del 21 Gennaio 2013 da caltanissetta.blogsicilia.it
Strage di San Basilio a Vittoria: cinque arresti 14 anni dopo
Dopo 14 anni di indagini, la squadra mobile di Caltanissetta ha fatto piena luce sulla “strage di San Basilio” compiuta il 2 gennaio del 1999 nel bar di una stazione di servizio a Vittoria, in provincia di Ragusa. Nell’agguato morirono cinque persone: Angelo Mirabella (in quel momento referente del clan della Stidda di Vittoria), Rosario Nobile e Claudio Motta, ritenuti affiliati al clan Dominante e due giovani incolpevoli avventori del bar, Rosario Salerno e Salvatore Ottone.
Il Gip del Tribunale di Catania Laura Benanti, su richiesta della Dda, ha emesso, nell’ambito dell’operazione denominata “Victoria”, cinque misure cautelari in carcere nei confronti di Giuseppe Selvaggio, 41 anni di Mazzarino, Alfonso Scozzari, 57 anni di Vallelunga Pratameno, Claudio Calogero Cinardo 34 anni di Mazzarino, Orazio Buonprincipio , 44 anni di Riesi, e Salvatore Siciliano, 48 anni, di Mazzarino, questi ultimi attualmente detenuti rispettivamente a Caltanissetta e a Novara.
Secondo il collaboratore di giustizia Carmelo Massimo Billizzi, ex boss di Cosa nostra di Gela, l’ordine sarebbe stato impartito dal clan gelese Emmanuello che mirava ad allargare la sua egemonia anche nel ragusano. La sentenza di morte fu emessa dai clan Piscopo ed Emmanauello di Gela, rivali della Stidda vittoriese, facente capo a Carmelo Dominante. Le indagini si sono avvalse anche delle rivelazioni dei cugini Giovanni e Alessandro Piscopo di Vittoria. E’ emerso che Daniele Emmanuello, all’epoca ai vertici di Cosa nostra di Gela intendeva conquistare anche la ricca provincia di Ragusa per estendere il suo predominio. Per fare ciò Cosa nostra doveva eliminare Angelo Mirabella, reggente della Stidda di Vittoria. In quel periodo il clan di Gela, controllava numerose famiglie mafiose non solo nel nisseno ma anche nel ragusano. Fu Billizzi a rivolgersi al boss di Cosa nostra di Mazzarino Salvatore Siciliano, il quale mise a disposizione Selvaggio e Cinardo e non disponendo di altri uomini disse a Billizzi di rivolgersi alla Cupola di Riesi. A fornire le armi fu Alfonso Scozzari di Vallelunga, parente degli Emmanuello. A Billizzi furono consegnate una magnum 357 ed una pistola calibro 9, armi che poi effettivamente furono utilizzate per la cosiddetta strage di Vittoria.
Un anno fa, la Corte d’Assise d’Appello di Catania condannò all’ergastolo due presunti componenti del commando: Giovanni Avvento e Alessandro Emmanuello. Trent’anni di reclusione, invece, vennero inflitti a due collaboratori di giustizia Gianluca Gammino e Carmelo Massimo Billizzi, esecutori materiali della strage. In precedenza erano stati condannati all’ergastolo i fratelli Giovanni ed Alessandro Piscopo, ed il cugino Alessandro Piscopo, ritenuti i mandanti, ed Enzo Mangione, presunto basista.
Articolo del 21 Gennaio 2013 da corrierediragusa.it
Strage Vittoria, 5 arresti 14 anni dopo
di Giuseppe La Lota
Quattordici anni dopo la mattanza del 2 gennaio 1999, conosciuta come la strage di San Basilio dentro il bar Esso a Vittoria, spuntano nuovi clamorosi sviluppi. Altre 5 persone coinvolte nel tragico evento, chiamate in causa da collaboratori di giustizia, hanno ricevuto prima dell’alba di stamani ordinanze di custodia cautelare in carcere per concorso in omicidio volontario pluriaggravato e di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Gli arrestati sono tutti nisseni. Giuseppe Selvaggio, 42 anni di Mazzarino; Alfonso Scozzari, 57 anni, di Vallelunga; Claudio Calogero Cinardo, 34 anni di Mazzarino; Orazio Buonprincipio, 44 anni di Riesi; Salvatore Siciliano, 49 anni di Mazzarino.
La Squadra mobile di Caltanissetta, diretta dal vice questore Giovanni Giudice, in collaborazione con la Mobile di Novara, e del reparto Prevenzione crimine di Catania, ha eseguito le ordinanze cautelari emesse dal gip del Tribunale di Catania Claudia Benati, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catania, procuratore aggiunto Carmelo Zuccaro, sostituto procuratore Lucio Setola. I particolari saranno illustrati a Catania presso la sede della Dda in via XX Settembre.
Per la cronaca, all’imbrunire del 2 gennaio 1999 un commando di killers fece irruzione all’interno del bar della stazione di servizio Esso, all’ingresso della città venendo da Comiso, uccidendo 5 persone. Morirono crivellati di colpi Angelo Mirabella (in quel momento referente del clan della stidda di Vittoria), Rosario Nobile, e Claudio Motta, ritenuti affiliati al clan Dominante e due giovani poco più che ventenni che in quel momento si trovavano disgraziatamente nel bar: Rosario Salerno e Salvatore Ottone. Si salvo solo il barista, che ebbe la prontezza di rannicchiarsi sotto il bancone e di uscire solo quando le pistole cessarono di sputare piombo e i sicari sgommarono via per lasciare i cadaveri sopra un lago di sangue. Dopo 14 anni di indagini, processi e pentiti, sappiamo che la strage venne ordinata dai clan Piscopo ed Emmnauello di Gela, rivali della «Stidda» vittoriese, quest’ultima facente capo a Carmelo Dominante, all’inizio socio di Bruno, Claudio e Silvio Carbonaro, oggi tutti collaboratori di giustizia in località segrete.
Un anno fa la Corte d’Assise d’Appello di Catania aveva condannato all’ergastolo due presunti componenti del commando: Giovanni Avvento e Alessandro Emmanuello. Trent’anni di reclusione, invece, era stati inflitti per due collaboratori di giustizia Gianluca Gammino e Massimo Billizzi, esecutori materiali della strage insieme a Piscopo Giovanni classe ‘67.
In precedenza erano stati condannati all’ergastolo i fratelli Giovanni ed Alessandro Piscopo, ed il cugino Alessandro Piscopo, ritenuti i mandanti della strage, ed Enzo Mangione, presunto basista. A dare l’ordine di uccidere Mirabella sarebbe stato il boss gelese Alessandro Emmanuello.
Nuovi collaboratori di giustizia, fra i quali i cugini Piscopo, hanno deciso di rispondere alle precise domande della Dda e della Squadra Mobile di Caltanissetta, ed ecco scattare le 5 ordinanze di custodia cautelare in carcere per Selvaggio, Scozzari, Cinardo, Buonprincipio e Siciliano. Questi ultimi due hanno ricevuto l’ordinanza nei loro rispettivi carceri dove si trovano detenuti: Buonprincipio a Caltanissetta e Siciliano nel penitenziario di Novara. Gli altri 3, invece, sono stati svegliati e condotti in carcere dai poliziotti prima dell’alba di stamani.
Ad inchiodare questi 5 soggetti arrestati dopo 14 anni, le dichiarazioni del neo collaboratore Massimo Carmelo Billizzi, autoaccusatosi di essere stato oltre che mandante esecutore materiale del gruppo di fuoco. Tutti i soggetti coinvolti, sarebbero mandanti, esecutori e correi per avere fornito supporto logistico allo sterminio di Vittoria.
E’ emerso, ancora, come la strage sia stata pianificata ed attuata su ordine dell’allora boss gelese Daniele Emanuello, deciso ad acquisire l’egemonia sull’intera Sicilia sud-orientale. Emanuello voleva mettere le mani nella ricca provincia di Ragusa per entrare a pieno titolo nelle attività illecite proprie della mafia: racket estorsioni, droga. Per riuscire nell’intento «cosa nostra» gelese doveva eliminare Angelo Mirabella, reggente pro tempore della contrapposta consorteria della «Stidda» di Vittoria (in quel momento gruppo egemone sul territorio).
In particolare Billizzi, già luogotenente del boss latitante Daniele Emmanuello, appena decisosi a collaborare con la giustizia, ha illustrato nuovi e illuminanti particolari sulla partecipazione di altri soggetti che mai erano stati coinvolti come compartecipi nella strage.
Massimo Billizzi avrebbe reclutato i nuovi «picciotti» rivolgendosi al boss della famiglia di Mazzarino, Salvatore Siciliano, all’epoca latitante prima di essere catturato dalla Squadra Mobile di Caltanissetta nel 2003. A far parte del commando di fuoco, dunque, Buonprincipio di Riesi, Giuseppe Sevaggio e Claudio Cinardo, entrambi di Mazzarino come il capo famiglia Siciliano. Scozzari, invece, avrebbe procurato le armi che dovevano eliminare Angelo Mirabella.
Le dichiarazioni rese dal pentito Massimo Billizzi- assicurano gli inquirenti- hanno avuto riscontro positivo con quanto riferito dai cugini Alessandro e Giovanni Piscopo nel momento in cui decisero di collaborare con la giustizia dopo la strage. Con questi arresti, si chiude definitivamente il cerchio su quella che viene considerata la più brutta pagina della storia criminale di tutti i tempi a Vittoria?
Fonte: laspia.it
Articolo del 24 settembre 2016
Vittoria, “strage di San Basilio”: confermate le condanne
Riceviamo e pubblichiamo da parte dell’avvocato Giuseppe Nicosia
Ieri la V sezione della corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi di Bilizzi Carmelo e Gammino Gianluca, confermando la condanna a 12 anni ciascuno, emessa l’anno scorso dalla corte di Assise di Appello di Catania. Si conclude così definitivamente il terzo processo a carico dei responsabili della strage di Vittoria.
All’udienza eravamo presenti per le parti civili l’avv. Enrico Schembari per il Comune di Vittoria, l’avv. Daniele Drago per i parenti delle vittima Motta, e il sottoscritto in rappresentanza di 14 parti civili dei familiari di Ottone, Salerno e Nobile. Era importante, e su questo ho insistito nella difesa depositata con comparsa scritta conclusionale in Cassazione, che i concessi benefici della legge sui pentiti non vanificassero il senso della pena nei confronti di efferati assassini che erano gia stati condannati alla mite pena di 12 anni e volevano che tale condanna venisse ulteriormente ridotta a 7. Avrei ritenuto un vero insulto alle vittime questa ulteriore riduzione di pena e quindi considero positivo che la Cassazione abbia rigettato le loro richieste ed abbia confermato almeno la pena a 12 anni di carcere.
Queste ultime due condanne, ripeto troppo miti per due pluriomicida anche se collaboranti – e molto ci sarebbe da riflettere sull’eccesso di premialità di cui a volte godono per la legge sui pentiti – si aggiungono a quelle per ergastolo già comminate nei precedenti processi ai vari Piscopo, Mangione, La Rocca, Emanuello.
Fonte: radiortm.it
Articolo del 28 novembre 2019
La strage di San Basilio a Vittoria. Ergastolo confermato per Salvatore Siciliano
Sentenza definitiva a carico del boss di Mazzarino Salvatore Siciliano, per la strage di San Basilio. La Cassazione ha confermato, infatti, la condanna all’ergastolo per l’uomo ponendo fine ad una vicenda avvenuta a Vittoria il 2 gennaio 1999 nell’area del distributore di carburanti “Esso”. Siciliano era l’ultimo imputato in concorso nell’omicidio plurimo che aveva registrato la morte di cinque persone che si trovavano all’interno dell’attiguo, sulla strada per Comiso. Sia il procuratore che gli avvocati di parte civile presenti in aula hanno chiesto la conferma della condanna all’ergastolo per Siciliano, già passata nei primi due gradi di giudizio. Gli Ermellini hanno confermato l’ergastolo per concorso morale nel plurimo omicidio, comprese tutte le aggravanti del caso.
Quella sera, a finire sotto i colpi del gruppo di fuoco, furono il futuro reggente degli stiddari vittoriesi Angelo Mirabella, i suoi guardaspalle Rosario Nobile e Claudio Motta e due clienti del locale, Rosario Salerno e Salvatore Ottone.
Una vera e propria carneficina pensata con l’obiettivo di fare fuori, in maniera definitiva, l’emergente Mirabella, molto vicino all’altro boss di Vittoria, Carmelo Dominante. Stando alle dichiarazioni rese da Carmelo Billizzi, il riesino Orazio Buonprincipio avrebbe preso parte solo al primo tentativo non andato in porto. Giuseppe Selvaggio e Claudio Cinardo, invece, avrebbero partecipato alla strage su indicazione del boss mazzarinese Salvatore Siciliano. Sarebbe stato proprio il mammasantissima di Mazzarino ad indicare i due e a consigliarli allo stesso Billizzi, recatosi nella cittadina dell’entroterra nisseno per un consulto.