2 settembre 1980 Beirut (Libano). Graziella De Palo, 24 anni, e Italo Toni, 51 anni, giornalisti italiani, scompaiono.
È il 2 settembre del 1980, Graziella De Palo, 24 anni, e Italo Toni, 51 anni, due giornalisti italiani inviati in Libano per indagare sui traffici di armi da Beirut, scompaiono senza lasciare tracce. Dopo tutti questi anni, i loro corpi non sono stati ancora ritrovati. I giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo da dieci giorni si trovano in Libano per raccontarne la guerra civile, coacervo di contraddizioni politico-militari e terreno di scontro di più raggruppamenti (nonché laboratorio di quella che sarà, due anni dopo, l’invasione israeliana mossa da Ariel Sharon), ma soprattutto per indagare sui traffici d’armi e sugli intrighi internazionali che vedono anche la partecipazione dei servizi segreti italiani. Come in tutte le guerre anche in Libano il traffico di armi è piuttosto attivo. Graziella De Palo, 24 anni, indaga sui traffici di armi per il quotidiano Paese Sera e per la rivista l’Astrolabio, mentre Italo Toni, 51 anni, è un esperto di questioni mediorientali e per questo collabora con diverse testate, anche internazionali. Italo e Graziella sono ospiti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), formazione di estrazione marxista (guidata da George Habbash), che gli ha promesso di condurli a sud sulle colline dove si trova il castello di Beaufort, sulla linea dello scontro con l’esercito israeliano. I due hanno scoperto che proprio in Libano avvengono traffici internazionali d’armi in violazione degli embarghi sanciti dall’Onu: per loro è quindi una grande occasione unirsi a un gruppo di guerriglieri per raccontare proprio questo tipo di traffici. Il 2 settembre, dunque, dopo aver confermato le stanze d’albergo e avvertito l’ambasciata italiana, partono con alcuni membri del FPLP. Da questo momento le loro tracce scompaiono nel nulla. Della loro sorte non si saprà più niente e i loro parenti non sanno ancora se sono morti, e se sì come e per mano di chi.
Fonte: vivi.libera.it
Fonte: coscienzeinrete.net
Articolo del 23 giugno 2015
Graziella De Palo e Italo Toni, uccisi come Ilaria Alpi, indagavano sul traffico d’armi tra Italia e terroristi.
I giornalisti Graziella De Palo (Paese Sera e l’Astrolabio) e Italo Toni (i Diari), furono rapiti ed uccisi a Beirut il 2 settembre 1980 durante il conflitto libanese, un mese esatto dopo la strage alla stazione di Bologna. Ai più questi nomi diranno poco, a causa del silenzio imposto dal segreto di Stato voluto dall’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi, che provocò la censura sulla vicenda da parte di tutti i principali mass-media; le cause che hanno portato alla loro uccisione sono le stesse che hanno provocato la morte di tante vittime innocenti in quel tragico 1980.
L’omicidio di Graziella De Palo e Italo Toni vede inquietanti affinità con quello di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin che sarebbero avvenuti in Somalia quattordici anni dopo. Sebbene il segreto di Stato sia ufficialmente scaduto lo scorso 28 agosto 2014, la verità da parte delle Istituzioni non è ancora stata svelata. I familiari e l’opinione pubblica, nonostante gli impegni assunti da parte delle più alte cariche dello Stato, non hanno ancora avuto nessuna risposta.
Tema scottante del viaggio di Graziella e Italo, intrapreso con l’accordo ed il pieno appoggio dell’OLP, era trovare riscontri sulle inchieste relative al traffico di armi che dall’Italia era diretto ai Paesi verso i quali erano in vigore embarghi militari stabiliti dall’ONU. In particolare i due giornalisti erano interessati a documentare nel loro reportage il flusso di armi che dal Libano ritornava in Italia e alimentava il terrorismo domestico e quello internazionale di matrice arabo-palestinese. Le indagini dei due giornalisti proseguirono fino alla loro scomparsa a Beirut il 2 settembre 1980.
Graziella e Italo, ospiti dell’OLP, avevano alle spalle scottanti inchieste pubblicate in Italia prima del loro arrivo nel Paese dei cedri. Graziella De Palo, in particolare, aveva denunciato su Paese Sera e l’Astrolabio il traffico internazionale di armi italiano che avveniva in violazione agli embarghi internazionali. In Libano il capo centro del SISMI a Beirut, colonnello Stefano Giovannone, era stato individuato da Graziella in un suo articolo su Paese Sera come “l’agente commerciale in Libano, con il compito di organizzare il traffico di armi per il Medio Oriente”. Paradossalmente, come in una tragedia greca, Giovannone sarebbe stato poi incaricato delle ricerche dei due giornalisti. Graziella aveva descritto in altri articoli come l’industria bellica italiana (la quarta produttrice di armi al mondo), controllata, oggi come allora, dall’azionariato di Stato, lavorava anche su brevetti statunitensi. L’Italia si trovava nella scabrosa posizione di fare il lavoro sporco, vendendo per conto statunitense a tutti i cosiddetti “Stati canaglia”. E a trarne profitto, trattandosi di operazioni coperte, furono in tanti.
Giunti in Libano, il giorno precedente alla loro scomparsa, i due giornalisti, essendosi deteriorati i loro rapporti con la componente principale dell’OLP, Al Fatah, si recarono per la prima volta dal loro arrivo, evidentemente molto spaventati, all’Ambasciata d’Italia, chiedendo espressamente di essere cercati se non fossero rientrati nell’albergo di Beirut, il “Triumph” (di proprietà e sotto il controllo dell’OLP), entro tre giorni. Il giorno seguente, 2 settembre 1980, avevano appuntamento con uomini del Fronte Democratico di Liberazione della Palestina, di Nayef Hawatmeh, per visitare il fronte di guerra e i campi d’addestramento dei Fedayn, nel sud del Libano, presso il castello di Beaufort. Una testimone italiana, Piera Redaelli, presente sulla Jeep del FDLP che avrebbe dovuto passare in albergo a prendere i due giornalisti, dichiarò di non averli trovati; ciò indica che, a causa di una trappola, i due giornalisti erano già stati rapiti da un gruppo di uomini armati. Gli addetti dell’Ambasciata lasciarono passare i giorni senza darsi cura del loro rapimento, fintanto che i familiari di Graziella, non vedendoli rientrare in Italia entro il 15 settembre, data stabilita, denunciarono alle Autorità la loro scomparsa.
Iniziarono immediatamente i depistaggi da parte di alti esponenti dei servizi segreti militari. Personaggi, come il già nominato colonnello dei carabinieri Stefano Giovannone, in servizio a Beirut come Capo Centro del SISMI, ed il generale Giuseppe Santovito, direttore del Servizio Segreto militare, crearono ad arte una falsa “pista falangista”, che avrebbe visto come autori del rapimento i falangisti di Bechir Gemayel, in realtà stanziati nella parte opposta di Beirut, cioè ad Est. Dagli atti processuali risulta che la Farnesina sollevò dall’incarico l’ambasciatore D’Andrea, che per primo aveva comunicato la responsabilità di Al Fatah nel rapimento dei due giornalisti, trasferendolo d’ufficio in Danimarca.
Dopo alcuni anni la Magistratura aprì un procedimento penale nei confronti di George Abbash leader del FPLP, per duplice omicidio, mentre il generale Santovito ed il colonnello Giovannone del SISMI vennero incriminati per favoreggiamento nei reati di sequestro e omicidio. Nell’indagine si ipotizzò che fossero stati rapiti prima del loro appuntamento con il FDLP, da membri del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, guidata da George Habbash. Tutto però venne coperto dal segreto di Stato, invocato dal colonnello Giovannone, che, durante il procedimento, smise di rispondere al Pubblico Ministero Giancarlo Armati. Il segreto venne quindi apposto dall’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi. Il giudice istruttore Renato Squillante prosciolse Habbash per insufficienza di prove, mentre Giovannone e Santovito morirono per malattia, uno dopo l’altro, prima della conclusione del processo.
Come ben descritto dal giornalista e saggista Gian Paolo Pelizzaro:
“gli inquirenti avevano intuito, fin dalle prime battute dell’inchiesta, che la sorte dei due giornalisti spariti in Libano era intimamente connessa a questo intreccio di interessi non confessabili tra l’Italia e il terrorismo di matrice arabo-palestinese. Questo intrigo è passato alla storia come il «lodo Moro», ossia quell’accordo ultra segreto (tanto da dover essere protetto dall’istituto giuridico del segreto di Stato) voluto dall’allora ministro degli Esteri Aldo Moro per mettere al riparo il nostro Paese dalle rappresaglie e dai danni collaterali generati dal conflitto «asimmetrico» (o guerra «a bassa intensità») tra palestinesi e israeliani. Nella visione di Moro l’unica via d’uscita era quella di stringere un accordo con la dirigenza palestinese e concedere una serie di garanzie necessarie per garantire la sicurezza e la tutela degli interessi vitali dello Stato. Il «lodo» era protetto da un dispositivo di sicurezza che scattava ogni qual volta l’accordo veniva minacciato. Questo dispositivo, prevedeva varie misure operative, fra cui anche attività di deviazione e inganno nei confronti del governo e depistaggio nei confronti della magistratura. In estrema sintesi, a partire dalla fine dell’estate del 1972 fu in vigore un accordo tra governo italiano e organizzazioni terroristiche palestinesi finalizzato alla prevenzione e alla deterrenza di possibili atti terroristici nel nostro Paese. L’applicazione del «lodo Moro» da parte dei governi che si sono succeduti nel tempo, dal 1980 a oggi, ha avuto due effetti collaterali: da una parte ha impedito l’accertamento della verità e dall’altra ha creato le condizioni per una progressiva rimozione della vicenda di Graziella e Italo dalla memoria storica del nostro Paese”.
Graziella e Italo scoprirono dunque una verità inconfessabile nel momento e nel luogo sbagliato. Tornare vivi in Italia e pubblicare queste notizie avrebbe contribuito ad acuire gli scontri negli anni di piombo. L’accordo con l’OLP implicava appunto la tolleranza, da parte di alcuni apparati delle nostre istituzioni, dell’operato di organizzazioni terroristiche, come l’FPLP di George Habbash o il gruppo Separat di Carlos, lo sciacallo, e vedevano il Libano come un crocevia di scambio di armi che partivano dall’Italia verso tutti i regimi dittatoriali nel mondo. L’intera operazione di “scarico” dal ministero degli Esteri, istituzionalmente competente dell’incolumità degli italiani all’estero, ai Servizi Segreti, ebbe come regista il piduista Francesco Malfatti di Montetretto, segretario generale dello stesso ministero degli Esteri. Questo ha costituito un precedente per tutti i successivi rapimenti di italiani all’estero, generalmente liberati in seguito ad ingenti riscatti. Santovito e Giovannone in quanto militari senz’altro obbedirono a degli ordini superiori e dovettero depistare per salvare il “lodo” e quindi permettere all’Italia di salvarsi dal baratro.
Il 30 Settembre 2014 i familiari di Graziella sono stati ricevuti dal Presidente del COPASIR, senatore Giacomo Stucchi. Nei mesi successivi abbiamo avuto notizia di un incontro ufficioso tenutosi il 10 Novembre 2014 dall’ex-deputato Enzo Raisi con il Direttore del DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza), ambasciatore Giampiero Massolo. Sia il senatore Stucchi che l’ambasciatore Massolo ci hanno espresso il timore che il disvelamento di questo segreto di Stato che va a coprire i rapporti segreti con il terrorismo palestinese degli anni ’80, possa ripercuotersi negativamente sulla situazione odierna.
I due rappresentanti delle Istituzioni ci hanno fatto chiaramente capire che, con la minaccia del terrorismo dell’ISIS nei confronti dell’Occidente, ammettere un patto scellerato proprio con il terrorismo di allora, getterebbe grave discredito sulle Istituzioni italiane.
A nostro parere l’ammissione di questo doppio gioco nei confronti dei Paesi del Patto Atlantico, condotto dall’Italia tra gli anni ’70 e ’90 del secolo scorso, crea molto scompiglio tra chi dovrebbe fare chiarezza. Ciò potrebbe dimostrare che se trattativa ci fu negli anni ’70 con il terrorismo, è ragionevole pensare che lo Stato possa essere nuovamente sceso a compromessi con una trattativa tra Stato e mafia, logica conseguenza di un modo deviato e opportunistico di intendere la politica.
A questo proposito, il fratello di Graziella, Giancarlo De Palo, anche lui giornalista, ha scritto al Presidente del Consiglio Matteo Renzi un appello sul quotidiano web Libero Reporter e supportato da una petizione Avast, in cui non chiede “di rompere questo muro così ingiusto e prevaricatore nei confronti dei nostri diritti civili, ben consapevole del primato, in questo caso, della tutela della sicurezza nazionale” ma “l’immediato rimpatrio e restituzione di quel che resta di quei poveri corpi, affinché ci sia consentito di svolgere quel precetto di misericordia che consiste nel seppellire degnamente i propri defunti, e che c’è stato finora negato nonostante lo strapotere italiano sul piccolo Libano.”
Le medesime richieste sono state portate avanti, nello scorso mese di febbraio, all’atto dell’insediamento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in una lettera-appello a lui inviata, in cui domandiamo al Presidente “il fattivo impegno affinché la verità storica sulla sorte di Graziella ed Italo possa essere finalmente conosciuta da tutti. Non chiediamo la riapertura di indagini giudiziarie o di commissioni d’inchiesta, che si sono arenate di fronte al segreto di Stato, quanto almeno poter riavere i poveri resti”.
Nel ringraziare immensamente la Presidenza di Libera per ciò che ha fatto per mantenere viva la memoria dei nostri cari e fare memoria delle vittime innocenti di tutte le mafie, chiediamo agli organi di stampa di farsi partecipi della nostra battaglia, in nome della verità, della giustizia e della pacifica convivenza tra le culture e le religioni di tutti i popoli.
Nota stampa dei familiari di Graziella De Palo e Italo Toni
fonte: solangemanfredi.blogspot.it
Fonte: cosavostra.it
Articolo del 2 settembre 2017
Scomparsi. Italo Toni e Graziella De Palo. Cronistoria di un segreto italiano
di Francesco Trotta
Scomparsi. Italo Toni e Graziella De Palo. Forse ai più, soprattutto ai giovani, questi due nomi non dicono nulla. Ma furono, o meglio sono, due giornalisti italiani. E usiamo il tempo verbale presente perché risultano ancora scomparsi. Spariti nel nulla nel ormai lontano 2 settembre 1980.
E’ da quel giorno che non si ha più alcuna notizia ufficiale su di loro. E se dovessimo attenerci alle versioni ufficiali della storia, quella raccontata dalle Istituzioni, l’ultima informazione certa è quella che vuole Italo Toni e Graziella De Palo prigionieri ma vivi, in mano ai falangisti cristiani libanesi. Questo è quello che disse l’allora Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani alle famiglie dei due giornalisti scomparsi in Libano.
Era l’ottobre del 1980. Poi più nulla. Nulla che provenisse da uno Stato che avesse voluto veramente trovare Toni e De Palo o che almeno avesse inteso far luce su una vicenda che ancora attende giustizia. E una verità giudiziaria che accerti responsabilità e colpevoli. Perché se Italo Toni e Graziella De Palo oggi sono dei fantasmi, vuol dire che sono stati uccisi. Da chi? Nelle carte degli archivi istituzionali – alcuni documenti riguardano proprio la scomparsa dei due giornalisti – vige ancora il segreto di Stato! E poco hanno ottenuto, nel corso degli anni, i familiari di Toni e De Palo con le loro continue richieste di desecretazione di quelle carte.
Desaparecidos. Italo Toni, classe 1930, e Graziella De Palo, classe 1956 sono due giornalisti, collaborano con alcune testate nazionali e si occupano della questione mediorientale. Proprio Toni, infatti, era stato autore di uno scoop che aveva portato alla luce l’esistenza di campi di addestramento della guerriglia palestinese. Il contesto storico, per comprendere come è maturata la scomparsa dei giornalisti, è fondamentale. Il 1980 è uno degli anni chiave per la storia del Paese.
È proprio in agosto, un mese esatto prima del rapimento di Toni e De Palo, che la stazione di Bologna è stata dilaniata dal terrorismo stragista. La stazione di Bologna è devastata e sgorga sangue innocente il 2 agosto 1980. Ed è bene ricordare che prima di una sentenza assai vicina nel tempo, che provasse le responsabilità dei NAR – terroristi di estrema destra – l’indagine sulla strage fu a lungo depistata da pezzi di istituzioni, con in testa uomini dei Servizi vicini agli ambienti eversivi e iscritti alla massoneria. E proprio una falsa pista investigativa vedeva coinvolti i palestinesi in qualità di attentatori. Perché? Il contesto, come detto, è fondamentale.
Antefatto di quel maledetto 1980 era il perdurare ancora del cosiddetto “lodo Moro”, firmato (per alcuni, però, non è mai esistito) a metà degli anni Settanta dall’allora Ministro degli Esteri Aldo Moro, che prevedeva che non avvenissero attentati palestinesi in Italia.
Questo accordo, a cui parteciparono i nostri Servizi, era stato voluto per evitare che accadessero attentati da parte dell’ Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), tra cui l’Fplp (Fronte popolare di liberazione palestinese) di George Habbash, frangia estremista sostenuta dall’Urss e responsabile della raffica di attentati e dirottamenti che sconvolse l’Europa dal ’68 in poi. Ma per firmare una tale accordo, cosa offriva in cambio l’Italia? E chi ne era il garante?
La versione ufficiale del viaggio di Toni e De Palo in Libano è quella di documentare le condizioni di vita dei profughi palestinesi. Il viaggio in Libano dell’estate 1980, è organizzato e offerto dal capo della Delegazione palestinese a Roma, Nemr Hammad. Ma i giornalisti seguono anche una pista che porta ai traffici di armi in Medio Oriente (guarda caso, da lì a poco, sarebbe scoppiata l’inchiesta del Procuratore Carlo Palermo su armi e droga, che vedeva coinvolta mafiosi, trafficanti, politici, forze dell’ordine, iscritti alla massoneria, in particolare i Servizi segreti).
I Servizi Segreti sono coinvolti nella scomparsa di Toni e De Palo? Negli anni Ottanta scoppia il caso P2. Il repulisti governativo allontana dai Servizi gli ufficiali troppo compromessi. É il caso di Stefano Giovannone, “cavaliere di Malta, legato al Vaticano e ad Andreotti, depositario di molti segreti della repubblica. Giovannone era dal 1972 il rappresentante dei servizi segreti militari in Medio Oriente ed era stato artefice insieme a Miceli [Vito ndr., arrestato nel 1974 perché coinvolto nello scandalo Rosa dei Venti, assolto, il suo nome compare anche nell’inchiesta Gladio, iscritto alla P2, morì nel 1990] delle relazioni privilegiate del Sid con alcuni paesi arabi e dell’impunità che l’Italia ha assicurato ai terroristi libici e palestinesi che hanno commesso crimini sul nostro territorio”[G. De Lutiis, I Servizi Segreti in Italia].
Ed è proprio Giovannone, soprannominato il Lawrence d’Arabia italiano, l’ufficiale dei Servizi coinvolto nella scomparsa di Italo Toni e Graziella De Palo. Il colonnello, tra l’altro, fu inquisito per aver favorito il traffico di armi con l’Olp di Yasser Arafat, di cui era ottimo amico, ma la sua morte, sopraggiunta nel 1985, soffocò per sempre, a quanto pare, i barlumi di giustizia della magistratura italiana.
Di questi traffici illegali aveva parlato un terrorista pentito, Patrizio Peci, perché le armi che passavano per il Medio Oriente giungevano in Italia, a disposizione delle Brigate Rosse. Peci fece mettere a verbale: “…vi fu da parte dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina una fornitura di armi, esplosivi, plastico, bombe ananas, mitragliatrici pesanti e mitragliatrici tipo Sterling che per tre quarti era destinata alle Br e per un quarto alle eventuali operazioni dell’Olp sul territorio italiano…”. Quando l’Ucigos (l’ufficio operazioni speciali del ministero dell’Interno) arriva a Beirut per indagare sul traffico d’armi a favore delle Br, l’Olp sa già tutto. Sarebbe stato proprio Giovannone a informare i palestinesi che a Roma le cose stavano cambiando. Interrogato, Giovannone, risponde: “nego di aver rivelato informazioni segrete a chicchessia. E poi ho fatto solo il mio dovere, ho eseguito gli ordini”.
Chi tira in ballo Giovannone? Il generale Giuseppe Santovito, coinvolto anche lui nella Loggia massonica P2, e poi inquisito dal Procuratore Carlo Palermo nell’inchiesta Armi e Droga, morto nel 1984. Intanto a Beirut, il 2 settembre 1980 sono scomparsi Italo Toni e Graziella De Palo. Il giorno prima, i due giornalisti si erano recati all’ambasciata italiana, chiedendo di essere cercati, se non fossero rientrati entro tre giorni nell’hotel dove alloggiavano, il Triumph. Tutto questo non succede. E l’ambasciatore italiano in Palestina, Stefano D’Andrea, avverso a Giovannone, fu rimosso dal suo incarico e trasferito ad altra sede (Copenahgen).
Segreto di Stato. Prima di lasciare il suo incarico, il colpo di teatro di Giovannone (poi morto nel 1985) cade sulla vicenda. Chiede ed ottiene che sui documenti riservati dei Servizi segreti venga posto il segreto di stato.
Il nuovo presidente del Consiglio Spadolini acconsente. Ma non sarà il solo. A confermare i sigilli istituzionali sarebbero stati anche Bettino Craxi e Silvio Berlusconi. Cadono nel vuoto anche le recenti richieste di desecretazione dei documenti. E intanto, a distanza di più di tre decadi, il ricordo di Italo Toni e Graziella De Palo si affievolisce sempre più. Nessuna lapide in cimitero ancora è stata posta, un segno che possa servire da memoria. Come se Italo e Graziella non fossero mai esistiti.