20 Agosto 1991 Soverato (CZ). Ucciso Renato Lio, appuntato dei Carabinieri, in un posto di blocco.

Foto da: La Stampa del 21 Agosto 1991

Il 20 Agosto 1991 a Soverato, località “Russomanno”, Renato Lio, appuntato dei Carabinieri, restava ucciso in un posto di blocco, durante un servizio di perlustrazione.
Intorno alle ore 2,30 la pattuglia del Nucleo Radiomobile del Comando Compagnia Carabinieri, composta dagli Appuntati Renato Lio e Francesco Baita, procedeva al controllo di un’autovettura con a bordo tre persone che era giunta a velocità elevata. Mentre l’Appuntato Baita controllava via radio i documenti dei tre, l’Appuntato Lio perquisiva l’autovettura ma, nell’atto di chinarsi, per controllare la parte sottostante del sedile anteriore destro, veniva spinto dal guidatore, Massimiliano Sestito, che si impossessava di una pistola occultata sotto il medesimo sedile e a brucia pelo gli esplodeva contro tre colpi di pistola. Dopo aver sparato anche contro l’Appuntato Baita, che fortunatamente restava illeso, il Sestito risaliva in auto e fuggiva.
Gli altri due occupanti, i cugini Grattà, incensurati, si costituirono ai Carabinieri, dimostreranno l’estraneità per l’omicidio del militare, collaborando col magistrato inquirente.
Sestito restò latitante fino al 4 luglio del 1992, quando venne localizzato ed arrestato dai Carabinieri. Il processo di primo grado, celebrato in Corte d’Assise di Catanzaro, si concluse il 15 marzo del 1993 con la sentenza di condanna all’ergastolo che in appello, a dicembre, verrà ridotta a trent’anni.

 

 

 

Tratto dal libro Dimenticati – Vittime della ‘ndrangheta di Danilo Chirico e Alessio MagroCap. IX Il senso della divisa pag. 235

Una Lancia Delta Bianca con un carico compromettente. Tanto compromettente che per evitare i controlli si può anche decidere di uccidere. Anche un carabiniere, se è necessario. La stagione estiva del 1991 per la Calabria è maledetta. Uccidono il giudice Antonino Scopelliti a Campo Calabro, ammazzano l’appuntato dei carabinieri Renato Lio a Soverato.

Il trentacinquenne Lio è in servizio in provincia di Catanzaro dal 1987 e la notte del 20 agosto è sula statale 106, in una zona molto frequentata dai turisti. Sta facendo controlli di routine. Il posto di blocco è sistemato al bivio Russomanno. Vede una Lancia Delta  bianca targata Milano provenire dal centro di Soverato. L’intuito gli dice che c’è ualcosa che non va, fa segno con la paletta, ordina lo stop. A bordo ci sono tre persone. Lio li fa scendere, chiede i documenti. L’uuomo alla guida è inquieto, ma consegna la sua patente. Si chiama Masimiliano Sestito, deve ancora compiere vent’anni, viene dal Nord: è nato a Rho  ed è residente a Pero, in provincia di Milano. Gli altri sono due cugini di Gagliano, si chiamano Vito e Nicola Grattà, hanno ventidue e diciannove anni e tardano a consegnare la carta d’identità ai carabinieri. Intanto Lio, mentre il suo collega si avvicina all’auto per il controllo radio con la centrale per vedere se ci sono precedenti, fa segno di iniziare una perquisizione dell’auto. Una decisione che non piace affatto a Massimiliano Sestino, che spinge il carabiniere, si sposta verso il cassettino dell’auto, lo apre, prende la sua pistola calibro 7.65 e spara in rapida successione tre colpi contro l’appuntato. Lo colpisce al cuore e a un polmone. Lio muore all’istante.

[…]

Finalmente il processo trova il suo giudice e inizia a Catanzaro. Sestino confessa l’omicidio, la condanna della Corte d’Assise di Catanzaro all’ergastolo è il 15 marzo del 1993. In appello, a dicembre, verrà ridotta a trent’anni.

 

 

 

 

Articolo da La Stampa del 21 Agosto 1991
Il giovane boss spara al carabiniere 
di Diego Minuti
Fermato per un controllo, estrae la pistola. Il ventenne è ora ricercato in tutta la Calabria. Feroce assassinio ad un posto di blocco.

CATANZARO Un altro servitore dello Stato muore ammazzato in Calabria. Questa volta è un carabiniere, un appuntato in servizio nella compagnia di Soverato, Renato Lio, 35 anni. Ma questo potrebbe non restare un delitto impunito, come quasi sempre accade per gli omicidi eccellenti commessi in Calabria. L’assassino del militare ha probabilmente un volto ed un nome. I carabinieri lo hanno già identificato. Si tratta di Massimiliano Sestito, 20 anni ad ottobre, un voluminoso fascicolo a carico in cui sono raccolte denunce e segnalazioni per traffico di droga, di armi e reati contro la persona e il patrimonio. Per catturarlo è in atto, da ieri notte, in tutta la Calabria, una caccia all’uomo gigantesca nella quale i carabinieri hanno gettato tutto il peso ed il numero della loro forza operativa nella regione, così come tutta la rabbia per la morte incredibile del loro collega. Una fine assurda, quella dell’appuntato Lio, abbattuto a colpi di pistola in mezzo alla strada da un gruppo di giovani che aveva fermato, alle porte di Soverato, nel corso di un normale posto di blocco. Da alcune ore l’appuntato Lio e un suo collega si trovavano di pattuglia al bivio «Russomanno», il trafficato svincolo che collega la strada statale 106 jonica alla superstrada per Catanzaro, ai paesi dell’entroterra e alla viabilità interna di Soverato. Un bivio che, in questo periodo, viene attraversato da migliaia di automobili, ogni giorno, a tutte le ore. I carabinieri erano impegnati in controlli di routine quando hanno visto un’auto provenire da Soverato e imboccare la larga curva che poi porta verso una serie di paesini che ricadono nel comprensorio soveratese. L’alt e la domanda di rito ai tre giovani che sedevano nella Lancia Delta blu, targata Milano1: «documenti, prego». I tre sono scesi mentre Lio ha cominciato l’ispezione dell’auto. Pochi istanti dopo si scatena la furia omicida. Non si sa bene ancora perché il giovane (poi identificato per Sestito) ha infilato la mano sotto il sedile anteriore della Delta estraendone una pistola con la quale ha fatto fuoco, ripetutamente, contro Lio, sbilanciato da una spinta. L’appuntato, raggiunto al petto da almeno due pallottole, che gli hanno trapassato cuore e polmoni, è morto all’istante. II suo compagno ha avuto il tempo di tentare una reazione sparando a sua volta, ma senza colpire alcuno degli assassini che, prima di rimettersi a bordo della Delta e fuggire, hanno avuto anche la freddezza di impossessarsi della MI2, la mitraghetta di Lio. Nel giro di pochi minuti l’allarme è stato dato, ma per l’appuntato non c’era più nulla da fare. La battuta dei carabinieri ha dato già un risultato: il ritrovamento della Delta nelle campagne di Davoli, a circa venti chilometri dal luogo dell’agguato. L’automobile (con tanto di radiotelefono installato) è risultata intestata ad un fratello di Sestito, i cui genitori risiedono a Chiaravalle Centrale, sulla dorsale appenninica catanzarese. I carabinieri non si nascondono che stanno dando la caccia a dei disperati che, probabilmente, non si vorranno fermare davanti a niente e le cui azioni non sembrano rientrare negli schemi canonici della criminalità organizzata. Sestito, nonostante la giovane età, viene considerato un elemento in crescita nel panorama della criminalità del Soveratese, dove, pur avendo la residenza anagrafica a Pero, in provincia di Milano, tornava spessissimo e dove, peraltro, era stato anche arrestato tra l’89 e i primi mesi di quest’anno sia per droga che per spaccio di banconote false. Un giovane che stava cercando di ritagliarsi uno spazio ben preciso nella malavita locale e che forse ha pensato che, con l’uccisione di un carabiniere, potesse acquisire maggior prestigio tra i criminali. Ma è stato identificato e intorno a lui la terra già comincia a bruciare. Oggi pomeriggio a Rende, paese d’origine, si svolgeranno i funerali dell’appuntato che proprio ieri avrebbe dovuto cominciare le ferie e che era atteso a casa per un evento particolare: il compleanno di uno dei due figli. Addosso, i colleghi, gli hanno trovato un orologio: era il regalo per i dieci anni del primogenito.

 

 

 

Articolo del 6 Luglio 2010 da soveratonews.com
Satriano, Renato Lio cerimonia di intitolazione rotatoria al militare assassinato 19 anni fa

SATRIANO – “Rotatoria RENATO LIO 1956-1991 appuntato M.O.V.C.M. dell’arma dei carabinieri ad imperitura memoria dell’estremo sacrificio nell’adempimento del dovere”. E’ quanto si legge sull’insegna scoperta oggi alla presenza di autorità militari, civili e religiose davanti ai familiari di Renato Lio, nella marina di Satriano, al confine con Soverato, nella rotatoria che da adesso in poi porta il nome del militare caduto in una calda sera d’agosto di 19 anni fa, quando avvicinandosi ad un’auto per una perquisizione fu colpito a morte da uno degli occupanti il mezzo. Erano in tanti a ricordare come avviene ogni anno l’appuntato Lio, ma questa volta l’evento ha assunto un significato particolare, perché come hanno riconosciuto tutti coloro che sono intervenuti dal Sindaco di Satriano Michele Drosi all’ex deputato del collegio Soverato-Satriano, Giuseppe Soriero, dal prefetto Giuseppina Di Rose al comandante provinciale dell’arma dei carabinieri, colonnello Claudio d’Angelo, dal vescovo Antonio Ciliberti alla presidente della provincia Wanda Ferro, intitolare la via al militare caduto nell’adempimento del suo dovere, rappresenta non solo un atto dovuto nei confronti della vittima ma anche un segnale importante per l’affermazione della legalità nel nostro territorio. Alla manifestazione hanno partecipato molti rappresentanti delle istituzioni e diversi sindaci, fra cui il primo cittadino di Soverato, Raffaele Mancini che con la sua amministrazione ogni anno si unisce insieme a quella di Satriano alla cerimonia di ricordo del militare caduto. Il sindaco di Satriano, Michele Drosi ha sottolineato l’importanza dell’evento dall’alto contenuto simbolico per l’affermazione  della legalità del nostro territorio. I familiari di Renato Lio, la moglie Anna, e i figli Alfonso e Salvatore hanno ringraziato l’arma dei carabinieri e coloro che sono stati vicini a loro in questi anni e hanno sostenuto con forza l’idea di suggellare con l’intitolazione della rotatoria, il sacrificio dell’appuntato dei carabinieri. f.g.

 

 

 

Articolo del 18 Agosto 2011 da  mnews.it/
In memoria dell’ Appuntato Renato LIO, nel XX°anniversario della sua morte.
di Cosimo Sframeli
Appuntato Renato Lio, Capo equipaggio del Nucleo Radiomobile Comando Compagnia Carabinieri di Soverato (CZ) Rende (CS) 27/10/1957 – Soverato (CZ) 20/08/1991

Reggio Calabria 18 agosto 2011. Il 20 agosto 1991, intorno alle ore 02:30, a Soverato, località “Russomanno”, durante un servizio di perlustrazione, la pattuglia del Nucleo Radiomobile del Comando Compagnia Carabinieri di Soverato, composta dagli Appuntati Renato Lio e Francesco Baita, procedeva al controllo di un’autovettura con a bordo tre persone che era giunta a velocità elevata. Le stesse venivano addossate ad un muro di contenimento posto, ai margini della strada, per essere perquisite. L’Appuntato Baita, “via radio”, controllava i documenti del pericoloso pregiudicato Massimiliano Sestito e proseguiva con l’identificazione degli altri. L’Appuntato Lio perquisiva l’autovettura e quando si chinò per controllare la parte sottostante del sedile anteriore destro, Sestito si voltava repentinamente e, dopo aver spinto il graduato, si impossessava di una pistola occultata sotto il medesimo sedile. L’Appuntato Lio, perciò, con determinazione, affrontava il Sestito, con cui ingaggiava una furiosa quanto mai drammatica colluttazione. A brucia pelo, il malvivente gli esplodeva contro tre colpi di pistola.

Nonostante le gravi ferite inferte, Lio continuò a fronteggiarlo, sino a quando, stremato, si accasciò per terra.

Intanto, Sestito apriva il fuoco contro l’Appuntato Baita che, nel frattempo, si era posizionato al centro della strada per rispondere con l’arma in dotazione. Il Sestito, finite le munizioni, si impossessava della pistola dell’Appuntato Lio, steso per terra, e riprendeva, a sparare contro l’Appuntato Baita che rispondeva al fuoco. Il malfattore, incalzando, raggiungeva l’autoradio, si impadroniva di una pistola mitragliatrice e, risalito sulla propria macchina, insieme agli altri due suoi amici, ripartiva a velocità elevata, in retromarcia, dirigendosi al vicino bivio per immettersi sulla Strada Statale. Intanto, Lio, soccorso da Baita, giungeva cadavere all’Ospedale di Soverato.
Una massiccia caccia all’uomo, paesi presi d’assedio, per stringere il cerchio sull’assassino del graduato dell’Arma. Intanto, i due complici, i cugini Grattà, incensurati, si costituivano ai Carabinieri che li arrestavano. Dimostreranno l’estraneità per l’omicidio del militare, collaborando col magistrato inquirente. In seguito, venivano pure recuperate le armi sottratte dal Sestito e la pistola, una calibro 7.65, usata dallo stesso per uccidere Lio.

L’omicidio di Renato Lio, Appuntato dei Carabinieri, ucciso nel corso di un predisposto servizio di controllo del territorio, rappresentava l’ennesimo tributo di vite pagato dall’Arma nella lotta alla criminalità organizzata sul fronte calabrese.

Alfredo di 11 anni, stringeva tra le mani una foto del padre e raccontava gli avvenimenti che lo avevano avuto per innocente testimone. Parlava della serata precedente alla tragedia, trascorsa in pizzeria dalla sua famiglia insieme a quella del collega del padre, Francesco Baita. Il piccolo aveva gli occhioni azzurri pieni di lacrime. Si stringeva al fratellino, Salvatore di 9 anni, compiuti nel giorno della morte del padre. Aveva saputo che papà era stato sparato ed i medici non poterono fare nulla. La sorte fu beffarda, Renato Lio perse la vita nell’ultimo giorno di servizio prima di andare in ferie.
Aveva lasciato il suo paese, Castiglione, a diciotto anni, arruolandosi nei carabinieri. Terminati gli studi, dopo aver intrapreso l’attività di imbianchino e collaborato il padre nella gestione di un panificio a Quattromiglia di Rende, aveva scelto la divisa dell’Arma. Era orgoglioso del suo lavoro. Nessuno mai ricordava di averlo sentito lamentarsi per la scelta fatta. Toccò alla moglie, Anna De Luca, di accompagnare il feretro nell’ultimo viaggio verso Castiglione dove fu celebrato il funerale, alla presenza del Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Generale Antonio Viesti.

Il 2 maggio 1992, Alfredo e Salvatore Lio, nella Chiesa Maria Ausiliatrice di Soverato, ricevevano per la prima volta il sacramento della Comunione.

Salvatore, durante la cerimonia religiosa, declamò una preghiera da lui scritta: “Mio caro e buon Gesù, oggi è un giorno di festa per tutti ma soprattutto per noi bambini. E’ il giorno della nostra prima comunione, ed è in questo giorno così importante che voglio rivolgerti la mia preghiera. In questi anni di catechismo ho imparato a conoscerti meglio, da quando sei nato in una mangiatoia, a quando sei morto in croce per noi, ed io è alla tua croce che mi rivolgo col mio cuoricino. Oggi i miei compagni hanno tutti i loro genitori vicini, io e mio fratello abbiamo solo la mamma, perciò una cosa ti chiedo e so che tu me la darai. Io so che il mio papà oggi è lo stesso vicino a me, e che attraverso te saremo uniti per sempre. Io prego Signore Gesù che nel mio cuore non esistano pensieri di rabbia ma di perdono, come tu hai saputo perdonare i tuoi nemici in croce, e che farai qualcosa per le persone che oggi fanno del male a tutta la gente buona e onesta come il mio papà. Gesù apri il loro cuore, fa che si consegnino alla giustizia per pagare il loro debito alla società, ma soprattutto per chiedere perdono a Dio nostro padre. Signore reca conforto nel cuore della mamma e sostienici con la tua misericordia così potremo di nuovo essere una famiglia serena. Lio Salvatore”.
Fu visto il 15 settembre, fra il Passo del San Bernardino e il Monte Ceneri, ma ancora una volta il giovanissimo Massimiliano Sestito riuscì a sottrarsi alla cattura.  Si trovava a bordo di una autovettura targata Catanzaro. Con lui altre due persone fra cui una ragazza. Erano armati. Il ricercato, sentendosi braccato in Svizzera, stava tentando di ritornare in Italia. Infatti, viaggiava lungo la N. 2, autostrada svizzera, in direzione di Chiasso. Dopo un anno di latitanza, il 04 luglio del 1992, venne localizzato ed arrestato a Belluno dai Carabinieri. Il processo di primo grado, celebrato in Corte d’Assise di Catanzaro, si concluse con la con la sentenza di condanna all’ergastolo.

L’Appuntato dei Carabinieri Renato Lio fu decorato di Medaglia d’Oro al Valor Civile con la seguente motivazione:

“Capo equipaggio di una pattuglia del Nucleo Radiomobile, mentre si apprestava, insieme ad altro graduato, al controllo degli occupanti di una autovettura, veniva improvvisamente raggiunto da numerosi colpi d’arma da fuoco. Benché gravemente ferito, ingaggiava col malvivente una violenta colluttazione da cui desisteva quando, ormai privo di forze, si accasciava al suolo. Splendido esempio di altissimo senso del dovere spinto sino all’estremo sacrificio. Soverato (CZ), 20 agosto 1991”.

Luogotenente Cosimo Sframeli

 

 

 

Articolo del 22 Settembre 2013 da mammasantissima.it  §
‘Ndrangheta, arrestato Sestito. Ecco la storia di Renato Lio, il carabiniere ucciso
di Danilo Chirico

La polizia ha arrestato Massimiliano Sestito, 42enne pregiudicato. L’ha trovato in spiaggia, a prendere il sole, a Palinuro, in provincia di Salerno.
Era latitante dal 9 agosto scorso, colpito da un ordine di carcerazione dalla procura di Milano: non aveva rispettato la semilibertà.

Sestito, pluripregiudicato per omicidio, associazione a delinquere e traffico di droga, è considerato organico alla cosca Iozzo-Chiefari-Procopio attiva nel soveratese.

Nel suo curriculum criminale anche l’omicidio di un carabiniere, Renato Lio.

Ecco la storia di quell’omicidio, come l’abbiamo scritta nel libro “Dimenticati“.

“Una Lancia Delta bianca con un carico compromettente. Tanto compromettente che per evitare i controlli si può anche decidere di uccidere. Anche un carabiniere, se è necessario. La stagione estiva del 1991 per la Calabria è maledetta. Uccidono il giudice Antonino Scopelliti a Campo Calabro, ammazzano l’appuntato dei carabinieri Renato Lio a Soverato.
Il trentacinquenne Lio è in servizio in provincia di Catanzaro dal 1987 e la notte del 20 agosto è sulla statale 106, in una zona molto frequentata dai turisti. Sta facendo controlli di routine. Il posto di blocco è sistemato al bivio Russomanno. Vede una Lancia Delta bianca targata Milano provenire dal centro di Soverato. L’intuito gli dice che c’è qualcosa che non va, fa segno con la paletta, ordina lo stop. A bordo ci sono tre persone. Lio li fa scendere, chiede i documenti. L’uomo alla guida è inquieto, ma consegna la sua patente. Si chiama Massimiliano Sestito, deve ancora compiere vent’anni, viene dal Nord: è nato a Rho ed è residente a Pero, in provincia di Milano. Gli altri sono due cugini di Gagliato, si chiamano Vito e Nicola Grattà, hanno ventidue e diciannove anni e tardano a consegnare la carta d’identità ai carabinieri. Intanto Lio, mentre il suo collega si avvicina all’auto per il controllo radio con la centrale per vedere se ci sono dei precedenti, fa segno di iniziare una perquisizione dell’auto. Una decisione che non piace affatto a Massimiliano Sestito, che spinge il carabiniere, si sposta verso il cassettino dell’auto, lo apre, prende la sua pistola calibro 7.65 e spara in rapida successione tre colpi contro l’appuntato. Lo colpisce al cuore e a un polmone. Lio muore all’istante. Sestito non è soddisfatto, s’impossessa della pistola e della mitraglietta del sottufficiale, spara contro l’altro carabiniere, salta in macchina con i due Grattà e scappa a tutta velocità. L’altro carabiniere riesce a evitare i colpi, spara e colpisce una gomma. Dopo pochi chilometri, nella zona di Davoli, i banditi sono costretti ad abbandonare l’auto, che infatti viene subito trovata e sottoposta agli accertamenti. Intanto è scattato l’allarme e i carabinieri battono a tappeto tutta la zona del Soveratese e le principali strade della Calabria. Si scopre che Massimiliano Sestito è un pregiudicato di importante spessore criminale, che è una vecchia conoscenza dei carabinieri i quali l’hanno già arrestato due volte per traffico di droga e detenzione di banconote false ed è ricercato in Svizzera per una rapina. Emerge anche che la macchina è di proprietà di suo fratello Elvis, di poco più grande, ventun anni, anche lui residente a Pero.

Il vescovo di Cosenza, monsignor Antonio Trabalzini, celebra i funerali del sottufficiale a Castiglione Cosentino, dove il carabiniere ha una moglie, Anna De Luca, e due figli di nove e dieci anni. Partecipano commosse migliaia di persone.
Le indagini continuano spedite. Le ricerche disposte dal magistrato Mariano Lombardi sono serrate e non sono concentrate, naturalmente, solo in Calabria. Così, poche ore dopo l’omicidio i carabinieri forzano una porta blindata e fanno irruzione in una casa di Treviglio, nel bergamasco. È un covo di Massimiliano Sestito, acquistato da pochi mesi. Nel box c’è una Lancia Delta integrale bianca identica (anche nel numero di targa disegnato sul cartone) a quella trovata a Davoli. Sestito non c’è, ma non è stato un blitz inutile quello dei carabinieri. Dal doppio fondo di un armadio viene fuori un arsenale spaventoso: ci sono quattro pistole calibro 9 (con cinquecento proiettili), un fucile Winchester a pompa (con duecento cartucce), una mitragliatrice Uzi dotata di silenziatore (con duecento pallottole), venti coltelli e un blocchetto di assegni (uno dei quali già staccato per dieci milioni di lire). Viene perquisita nelle stesse ore anche una villa a Osio Sopra, sempre nel bergamasco, acquistata da una ventina di giorni da Sestito per duecento milioni. Non trovano nulla.

Intanto i carabinieri finalmente identificano le persone che erano a bordo della macchina. Identificano i cugini Grattà. Gli investigatori stringono il cerchio sul piccolo paese di Gagliato, che è il paese di origine di un nonno di Sestito. I Grattà sono incensurati, ma dopo una prima serie di controlli in paese risultano irreperibili: la conferma che nascondono qualcosa. Poche ore dopo, i cugini si costituiscono per chiarire la loro posizione. Vito e Nicola Grattà ammettono senza troppe resistenze di essere stati presenti al momento dell’omicidio, ma respingono l’accusa di essere dei complici di Sestito. Spiegano che non sapevano della pistola e giurano che l’azione omicida li ha colti di sorpresa e impauriti.
Continuano intanto le ricerche di Sestito. E come in tutti i noir c’è anche una telefonata anonima che ne segnala la presenza in Calabria, nella zona delle Serre. Le ricerche non vanno a buon fine. La telefonata, però, è attendibile, perché in un ristorante della zona i militari trovano la madre di Sestito, Vittoria Battaglia, di quarantaquattro anni.
Intanto nel 1992, ad aprile, il gip del tribunale di Milano rinvia a giudizio Sestito, ancora latitante, e dispone con decreto l’archiviazione nei confronti dei cugini Grattà, accusati di concorso in omicidio. Per il giudice sono stati semplici spettatori, colpevoli solo di essere stati a bordo di quella Lancia Delta. Il processo è fissato per il 28 ottobre e vede la costituzione di parte civile di Anna De Luca, la moglie del sottufficiale dei carabinieri.

A luglio finisce la latitanza di Massimiliano Sestito. I carabinieri lo trovano a Puos D’Alpago, in provincia di Belluno. Nell’irruzione i militari trovano anche armi, munizioni e numerosi documenti importanti. Insieme a lui, i carabinieri arrestano la madre con l’accusa di concorso in detenzione illegale di armi, munizioni e sostanze stupefacenti e il fratello minorenne. Ma è tutta la famiglia a finire nei guai. Passa appena un giorno e finiscono in manette anche il padre Antonio e l’altro fratello, Elvis. I carabinieri li trovano a Pero: sono accusati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga e detenzione illegale di armi e munizioni. Anche per loro, la perquisizione rivela la presenza di una rivoltella 357 Magnum e di numerose munizioni.
Gli investigatori ritengono che la famiglia di Antonio Sestito, tranviere dell’atm di Milano, abbia organizzato un traffico di eroina con diramazioni anche in Veneto. Un processo parallelo. Quello per l’omicidio di Lio, invece, già fissato per il 28 ottobre, ha un rinvio: il 26 ottobre, appena due giorni prima del via, a Catanzaro si scopre che non ci sono giudici: «La situazione del nostro ufficio», spiega il presidente del tribunale, Giuseppe Caparello, «è drammatica. I giudici effettivamente in servizio sono sei su un organico di quindici». E nonostante i sacrifici non si riesce a stare dietro a tutti i processi. Il caso Lio si sovrappone con quello di un altro funzionario dello Stato assassinato in Calabria. Dice Caparello: «In questa situazione già grave dobbiamo garantire la prosecuzione di un processo importante come quello per l’assassinio del sovrintendete Aversa e della moglie». Finalmente il processo trova il suo giudice e inizia a Catanzaro. Sestito confessa l’omicidio, la condanna della Corte d’Assise di Catanzaro all’ergastolo è del 15 marzo del 1993. In appello, a dicembre, verrà ridotta a trent’anni”.

 

 

 

 

 

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