22 Aprile 1990 Taranto. Angelo Carbotti, 25 anni, ucciso perchè scambiato per un boss, a cui somigliava.

Foto da  beatilotofagi.blogspot.it

A Taranto il 22 aprile del 1990 è stato ucciso Angelo Carbotti, 25 anni, in attesa di un lavoro stabile. Il killer non conosceva la sua vittima, il boss di una banda rivale, e così ha sbagliato bersaglio. Ha ucciso a colpi di pistola un innocente, che non aveva avuto mai a che fare con la malavita, e che aveva soccorso due persone coinvolte in un incidente stradale.
Angelo è stato ammazzato alle 11,30 a pochi metri dal pronto soccorso dell’ospedale civile Santissima Annunziata, dove aveva trasportato una giovane donna e suo fratello, un boss del luogo, vittime di un incidente avvenuto alla periferia della città. Dopo averli affidati alle cure dei medici, Angelo è risalito sulla sua auto per liberare il passaggio del pronto soccorso. In quel momento è spuntato il killer. Volto scoperto, in pugno una pistola calibro 7,65, l’assassino ha prima allontanato alcune donne che sostavano dinanzi al pronto soccorso sparando ai loro piedi due colpi. Poi si è avvicinato ad Angelo e ha fatto fuoco a bruciapelo: cinque proiettili hanno raggiunto Il giovane che è morto in pochi istanti. (La Stampa)

 

 

 

Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 23 aprile 1990
Ucciso in ospedale per errore

TARANTO. Un giovane, Angelo Carbotti, di 25 anni, è stato ucciso ieri mattina con alcuni colpi di pistola mentre si trovava nei pressi del pronto soccorso dell’ospedale «Santissima Annunziata» a Taranto. Il giovane – che non ha precedenti penali – stava accompagnando a medicarsi la fidanzata, rimasta ferita in un incidente stradale. Poco lontano, da un’altra zona dell’ospedale, nello stesso momento stava partendo un corteo funebre per Francesco Fanelli, 28 anni, pregiudicato e legato al gruppo dei fratelli Modeo, ucciso alla periferia di Taranto sabato scorso. Non è ancora stato accertato quanti fossero i killer, ma sembra che si siano nascosti tra la folla del funerale. Gli investigatori non escludono che gli assassini abbiano sbagliato bersaglio. Insieme ad Angelo Carbotti si trovava in quel momento anche il fratello di Sara Ricciardi, la fidanzata della vittima, che ha numerosi precedenti penali. Quello di ieri è il quindicesimo omicidio nel   tarantino dall’inizio dell’anno.

 

 

 

Articolo da La Stampa del 24 Aprile 1990
Somiglia al boss, ucciso in ospedale
di Tonio Attino
Taranto, il giovane incensurato vittima della guerra tra bande che ha già fatto 7 morti  – Aveva soccorso donna del clan rivale

TARANTO. Il killer non conosceva la sua vittima designata, il boss di una banda rivale, e così ha sbagliato bersaglio. Ha ucciso a colpi di pistola un operaio che aveva aiutato due persone coinvolte in un incidente stradale: Angelo Carbotti, 25 anni, in attesa di un’occupazione stabile. Non aveva nessun precedente penale, niente a che vedere con la malavita. E’ stato ammazzato domenica mattina alle 11,30 a pochi metri dal pronto soccorso dell’ospedale civile Santissima Annunziata, dove aveva trasportato la ventenne Sara Ricciardi e suo fratello Filippo un boss del luogo, vittime di un incidente avvenuto alla periferia della città. Dopo averli affidati alle cure dei medici, Angelo Carbotti è risalito nella sua Alfasud per liberare il passaggio del pronto soccorso. In quel momento è spuntato il killer. Volto scoperto, in pugno una pistola calibro 7,65, l’assassino ha prima allontanato alcune donne che sostavano dinanzi al pronto soccorso sparando ai loro piedi due colpi. Poi si è avvicinato all’operaio e ha fatto fuoco a bruciapelo: cinque proiettili hanno raggiunto Carbotti. Il giovane è morto in pochi istanti. Il primo a soccorrerlo, vanamente, è stato il sottufficiale in servizio al posto fisso di polizia dell’ospedale. Nessuna traccia dell’assassino, ma neppure di testimoni oculari. Pur essendo avvenuto l’omicidio sotto gli occhi di numerose persone, la Squadra Mobile, che conduce le indagini, ha raccolto soltanto poche e molto scarne dichiarazioni: la gente ha paura. Ma come ha fatto il killer a far perdere le sue tracce? Secondo quanto si sa finora, sarebbe fuggito- a piedi, mescolandosi probabilmente alla folla presente in ospedale per il funerale di Francesco Fanelli, un pregiudicato assassinato sabato. Questa versione ha trovato subito una conferma poiché la pistola e un caricatore sono stati ritrovati dagli agenti di polizia in un cestino di rifiuti proprio a pochi metri dall’obitorio. La chiave del delitto è nella guerra cruenta in atto tra due clan rivali: il primo è capeggiato da Antonio Modeo, soprannominato «il messicano», un pericoloso latitante; l’altro è guidato dai suoi fratellastri Claudio, Gianfranco e Riccardo (questi ultimi due sono stati scovati e arrestati il tre aprile dai carabinieri in una casabunker risultata zeppa di cunicoli e passaggi segreti a Montescaglioso in provincia di Matera). Da quasi due anni tra i Modeo è in atto un conflitto per aggiudicarsi il controllo delle attività illecite che ha causato già una quarantina di morti. Ultimo episodio, l’omicidio di Francesco Fanelli, l’uomo era giudi¬ cato assai vicino ai fratelli Gianfranco, Claudio e Riccardo Modeo. La risposta era già nell’aria. La vittima avrebbe dovuto essere essere proprio Filippo Ricciardi, boss notoriamente legato al clan avversario. E la sua presenza in ospedale, a una cinquantina di metri da una folla di nemici, era l’occasione d’oro da non perdere. Così il killer, abbandonato l’obitorio sgusciando tra la folla ha raggiunto il pronto soccorso. Ma poiché non conosceva personalmente Ricciardi ha sbagliato bersaglio: ha fatto fuoco contro Angelo Carbotti. Figlio di un netturbino, Carbotti è la terza vittima incolpevole della battaglia tra i clans. Il trenta gennaio dell’88, ir. pieno centro cittadino, venne ucciso Giulio Capilli, 28 anni, colpito da una pallottola destinata a un pregiudicato. Il venti ottobre dello scorso anno morì un ragazzo di 14 anni, Domenico Calviello, ammazzato a Stattc, borgata «regno» del «messicano», mentre si trovava nelle vicinanze della macelleria di proprietà del padre. 11 bersaglio doveva essere il fratello. Ma in verità che si sia trattato di un errore nessuno è disposto a giurarlo. Più accreditata è l’ipotesi della vendetta trasversale. Solo quest’anno, gli omicidi sono stati quindici e almeno sette riconducibili alla guerra tra bande e rivali.

 

 

 

Fonte: vivi.libera.it

Angelo Carbotti – 22 aprile 1990 – Taranto (TA)
Angelo stava costruendo il suo futuro. Un gesto di umanità gli costò la vita, in una città che in quegli anni stava subendo la violenza cieca di una guerra tra clan per il controllo del territorio.

Angelo Carbotti vive a Taranto ed è un ragazzo come tanti, un po’ timido ma con tanti sogni e progetti da realizzare. È altro, magro, occhi e capelli bruni e un grande sorriso che gli riempie il volto. Si dà da fare per mantenersi da solo, per non gravare economicamente sulla sua famiglia accetta ogni lavoro, in attesa di trovarne uno stabile che gli permetta di realizzare i suoi sogni.
Ha 25 anni Angelo e trascorre le sue giornate tra il lavoro di operaio che attualmente svolge e l’affetto della famiglia e degli amici; ama stare in compagnia e non appena finito il turno di lavoro gli piace trascorrere le serate assieme ai suoi amici, in quella Taranto tanto bella ma troppo martoriata dai clan mafiosi che si spartiscono il controllo del territorio. Sì perché dagli inizi del 1989 imperversa in città una guerra tra due clan rivali, una guerra senza esclusione di colpi, una guerra bestiale che farà anche vittime innocenti.

Il 22 aprile del 1990

È il 22 aprile del 1990, una domenica mattina di primavera in cui il sole si riflette sui due mari che dividono la città. Angelo è finalmente libero dopo un’intera settimana di lavoro, è felice di poter andare in centro per passeggiare con i suoi amici ed è assorto nei suoi pensieri quando si imbatte in un incidente stradale avvenuto in periferia. Senza pensarci due volte si ferma per soccorre due persone rimaste coinvolte. Si tratta di una giovane donna e di suo fratello, Sara e Filippo Ricciardi, quest’ultimo uno dei boss del luogo. Angelo non li conosce, non sa chi sono, ma li porta al Pronto Soccorso dell’ospedale civile Santissima Annunziata di Taranto e dopo averli affidati alle cure dei medici, risale sulla sua auto, una Alfasud, per liberare il passaggio del Pronto Soccorso e tornare alla sua passeggiata domenicale. Ma proprio in quel momento spunta un killer, a volto scoperto, con in pugno una pistola calibro 7,65, che prima spara due colpi ai piedi di alcune donne che sostano dinanzi al Pronto Soccorso per allontanarle e poi si avvicina ad Angelo e fa fuoco a bruciapelo. Cinque i colpi esplosi e cinque i proiettili che lo raggiungono senza lasciargli scampo. Morirà in pochi istanti, alle 11.30 di una calda mattina di primavera, davanti al consueto via vai del Pronto Soccorso, ignaro di aver prestato aiuto alle persone sbagliate. Angelo, infatti, è stato scambiato per un affiliato al clan De Vitis che doveva essere ucciso per vendicare l’omicidio di Francesco Fanelli, avvenuto il sabato.
Angelo, ragazzo di appena 25 anni, è così la terza vittima innocente di quella guerra cruenta che imperversa in città per aggiudicarsi il controllo del territorio e la spartizione dei proventi delle attività illecite.
La Squadra Mobile si occupò delle indagini sulla sua morte, ma nonostante il Pronto Soccorso fosse pieno di gente, raccolse poche dichiarazioni. Nessuno testimoniò su quanto era accaduto. L’omicida riuscì a fuggire mescolandosi sulla folla e liberandosi dell’arma, ritrovata insieme al caricatore vicino all’obitorio.

Memoria viva

Il nome di Angelo è ricordato insieme alle oltre 1000 vittime innocenti delle mafie che ogni anno in occasione del 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riecheggiano in tanti luoghi. Per noi Angelo ha un vero e proprio diritto al ricordo, un diritto che restituisce “dignità” a ogni nome che ricordiamo, che rappresenta la promessa ad Angelo che non dimenticheremo la sua storia, i suoi progetti di vita, portando con noi i suoi sogni e rendendoli vitale pungolo del nostro impegno quotidiano.

 

 

 

 

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