22 Luglio 1970 Gioia Tauro (RC). Strage Direttissimo Palermo-Torino Freccia del Sud. Sei morti, di cui cinque donne, e settantadue feriti, molti dei quali con gravi conseguenze invalidanti.

Foto da  it.wikipedia.org

Con strage di Gioia Tauro si indica comunemente la conseguenza del procurato deragliamento al treno direttissimo Palermo-Torino (detto treno del Sole) del 22 luglio del 1970, avvenuto a poche centinaia di metri dalla stazione di Gioia Tauro.
Il disastro provocò la morte di sei persone – che si stavano recando a Lourdes – e il ferimento di altre 70 circa. Nella prima fase delle indagini, si ritenne che il fatto fosse stato dovuto al cedimento strutturale di un carrello del treno; più tardi, alla negligenza del personale che era alla sua guida. Solo molti anni dopo sentenze definitive accerteranno che si era invece trattato di un attentato dinamitardo, compiuto collocando esplosivo sui binari ferroviari e accettando «il rischio del deragliamento e delle sue conseguenze mortali». Accerteranno anche che il fatto era stato organizzato nell’ambito dei moti verificatisi a Reggio Calabria a causa della designazione di Catanzaro a capoluogo della Regione, e nel corso dei quali elementi della criminalità organizzata collegati a frange dell’estremismo di destra avevano ideato e organizzato azioni dirette a colpire le vie di comunicazione e gli elettrodotti realizzando oltre quaranta attentati a tralicci, rotaie e stazioni ferroviarie. Due di questi interessarono anche la linea ferroviaria Gioia Tauro-Villa San Giovanni, appena qualche mese dopo la strage sulla Freccia del Sud. Anche per ragioni strettamente procedurali o per la morte di alcuni imputati, i processi celebrati in relazione all’attentato del 22 luglio 1970 non hanno condotto alla condanna degli esecutori materiali e dei presunti mandanti.
I nomi delle vittime: Rita Cacicia, 35 anni da Bagheria (Palermo), Adriana Vassallo, 49 anni da Agrigento, Letizia Palumbo, 48 anni da Casteltermini (Agrigento), Nicolina Mazzocchio, 70 anni anche lei di Casteltermini, Rosa Fazzari, 68 anni da Catania, Andrea Cangemini, 40 anni da Palermo.
Con una direttiva del 22 aprile 2014, tutti i fascicoli relativi a questa strage non sono più coperti dal segreto di Stato e sono perciò liberamente consultabili da tutti”. (Wikipedia/memoria.san.beniculturali.it)

 

 

Foto da: memoria.san.beniculturali.it

Nota Vittime da memoria.san.beniculturali.it :

Andrea Gangemi (1910 – 1970)
Nato a Napoli il 7 aprile 1910. Funzionario di banca.
Laureato in Matematica, prestò servizio dal 1930 al 1970 al Banco di Sicilia, divenendone co-direttore centrale; fu presidente della Sepi spa di Palermo e revisore ufficiale dei conti. Insignito dalla Marina militare di due croci al merito di guerra. Insignito dell’onorificenza di Cavaliere Omri, il 2 giugno 1970.

Adriana Maria Vassallo (1948 – 1970)
Nata ad Agrigento il 5 maggio 1948. Insegnante.

Letizia Concetta Palumbo (1922 – 1970)
Nata a Casteltermini (AG) il 10 aprile 1922. Sarta.

Nicoletta Mazzocchio (1900 – 1970)
Nata a Casteltermini (AG) il 30 dicembre 1900. Casalinga.

Rita Cacicia (1932 – 1970)
Nata a Bagheria (PA) il 14 settembre 1932. Insegnante presso istituto per sordomuti di Palermo.

Rosa Fassari (1903 – 1970)
Nata a Catania il 6 marzo 1903. Casalinga.

 

 

 

 

Articolo di La Stampa del 23 Luglio 1970
Il Palermo-Torino deraglia Recuperati finora otto morti
di Gianfranco Franci
Disastro sul direttissimo, presso Reggio Calabria 
Oltre 100 i feriti, molti in gravissime, condizioni – Chiesto un aereo per trasportare un torinese a casa – Mentre il treno viaggiava a 90 chilometri orari, otto vetture sono uscite dai binari e due si sono rovesciate sulla massicciata – Sconosciute per ora le cause della sciagura, nella regione dove da sette giorni si ripetono disordini e barricate  

Gioia Tauro, 22 luglio. Un direttissimo proveniente da Palermo e diretto a Torino ha deragliato oggi pomeriggio alle 17,08 alla stazione ferroviaria di Gioia Tauro, ad una sessantina di chilometri da Reggio Calabria. I morti accertati finora sono otto, ma si tratta di un bilancio provvisorio destinato purtroppo a salire. In una delle due vetture rovesciate sui binari vi sono ancora delle salme che vigili del fuoco stanno cercando di estrarre servendosi della fiamma ossidrica. I feriti sono oltre cento di cui una decina in condizioni disperate.

È impossibile dire se il disastro sia imputabile ad un atto dì sabotaggio compiuto dai « rivoltosi » di Reggio o a motivi tecnici: le cause non sono state ancora accertate. C’è da dire, tuttavia, che alcuni momenti prima della sciagura era passato senza incidenti sullo stesso binario un altro convoglio, fermatosi alla stazione di Gioia Tauro per dare la precedenza al direttissimo.

L’incidente, come abbiamo detto, è avvenuto alle 17,08. Il « Treno del sole », partito mezz’ora prima da Villa S. Giovanni con un ritardo di oltre 40 minuti per le difficoltà incontrate nelle operazioni di traghetto, era giunto a Gioia Tauro, una cittadina di 16 mila abitanti in provincia di Reggio. Aveva appena imboccato gli scambi ad una velocità di 80-90 chilometri orari allorché il conduttore ha udito un forte colpo sotto i carrelli.
Ha azionato la «rapida».

Il proprietario di un bar che si trova di fronte alla stazione ferroviaria ha detto: «Ho sentito come un boato. Mi sono affacciato sulla porta ed ho visto sprigionarsi dalla ferrovia delle fiammate. Sono subito corso a vedere che cosa era successo».
«Sembrava il terremoto», ha raccontato un ferroviere.

Il locomotore con altre otto vetture, l’ultima delle quali una carrozza-letto, si sono sganciati dal resto del convoglio composto complessivamente da diciassette vagoni, andando a fermarsi ad un centinaio di metri dalla stazione ferroviaria.

La scena che si è presentata ai primi accorsi sul luogo della sciagura era paurosa. Due vetture, una carrozza-cuccette di seconda classe nella quale si trovava una comitiva di una cinquantina di pellegrini diretti a Lourdes, era rovesciata di traverso sui binari; a cinquanta metri di distanza un’altra vettura di prima classe, dopo aver solcato profondamente la massicciata ferroviaria, era coricata anch’essa e s’era fermata contro i piloni di un cavalcavia.

Le altre vetture del convoglio sganciatesi si sono fermate ad un centinaio di metri. Sono uscite dal binario, hanno scavato profondamente la massicciata, ma per fortuna si sono soltanto piegate su un fianco. Le più gravi conseguenze si sono avute perciò nelle due vetture rovesciate. I soccorritori hanno raccontato di persone che cercavano disperatamente di uscire dai finestrini. Altri gemevano per le ferite riportate. Una donna chiusa nella toilette si rifiutava di uscire. Non era ferita, gridava soltanto nel terrore: « Le bombe, le bombe »

Un meccanico che ha la sua bottega vicino alla stazione ferroviaria, con la fiamma ossidrica tentava di estrarre coloro che erano rimasti prigionieri nel groviglio delle lamiere all’interno di una delle due carrozze rovesciate. Ha detto che la sua attenzione era stata attratta dai lamenti che provenivano da un certo punto della carrozza. Quando è riuscito a creare uno squarcio sufficiente, era però ormai troppo tardi. Una donna anziana, vestita di nero, era già morta.

Immediatamente accorrevano alla stazione di Gioia Tauro mezzi dei vigili del fuoco da tutte le località vicine. Le autoambulanze sono venute da Palmi, da Polistena, da Reggio Calabria e da tutti i centri dei dintorni. I feriti sono stati trasportati nei vari ospedali più vicini. Le salme delle otto persone finora estratte sono state benedette dal parroco di Gioia Tauro don Giuseppe Larufia e dal delegato vescovile di Oppido mons. Rosario Formica. Il capo stazione Teodoro Mazzù non sa ancora spiegarsi le cause del disastro. Egli ha detto che tutti i segnali funzionavano regolarmente e che il treno aveva via libera.

A seguito del grave incidente dì Gioia Tauro, il ministro dei Trasporti, sen. Viglianesi, ha immediatamente incaricato il sottosegretario on. Vincelli di recarsi sul luogo a rappresentarlo. È stato subito predisposto dalla direzione generale F.S. l’invio del vicedirettore generale ingegner Bordoni sul luogo del sinistro, ed è stata nominata una commissione di inchiesta a livello di alti funzionari della Direzione generale, che si sono già recati sul posto.

All’ospedale di Taurianova sono stati trasportati una quindicina di feriti, tra i quali alcuni piemontesi. Per il quarantaduenne Rosario d’Agostino, ferito al braccio destro, nato e residente a Torino, via Susa 13, la prefettura di Reggio ha chiesto un aereo al centro di soccorso aereo di Martina Franca per poterlo far rientrare nella sua città.

Tra gli altri ricoverati a Taurianova sono Maria d’Agostino, 42 anni, di Alessandria, ferita alla mano sinistra, e Francesco Ferrarlo, 66 anni, di Chivasso, ferito alla testa.

All’ospedale di Palmi sono ricoverati, tra gli altri, Vincenzina Caccamo, 63 anni, residente a Chieri (Torino), che ha riportato l’amputazione della mano destra; Laura Russino, 5 anni, residente a Chieri (Torino), ferita ad una gamba; Angelo Surto, abitante a Torino in via Mosca.

 

 

Articolo da l’Unità del 24 Luglio 1970
Sconvoltente bilancio del disastro in Calabria
Sette i morti accertati ma forse ci sono altre cinque salme tra le lamioere contorte dei vagoni – Tutte siciliane, le vittime – Alcuni degli oltre cento feriti ancora in gravissime condizioni – Prudenza degli inquirenti sulle cause del disastro: si sa quale vettura (e persino quale carrello) ha dato il via al deragliamento ma non il perché.

Gioia Tauro 23.
Salito ancora il numero delle vittime della terrificante e per più versi oscura sciagura ferroviaria che ad una sessantina di chilometri da Reggio ha sconvolto ieri pomeriggio quattro vagoni del treno del sole partito da Palermo e diretto a Torino.

È l’angoscioso interrogativo di queste ore reso inquietante dalle incognite di una vettura che ha sinora resistito agli assalti della fiamma ossidrica delle squadre di soccorso, dal fatto che si rivelino fondati i timori circa la sorte di una bambina e infine dalle condizioni di alcuni dei feriti più gravi.

Ufficialmente, il bilancio della tragedia è fermo a sette morti. Di sei passeggeri si conoscono le generalità, sono tutti siciliani e, tranne uno, tutte donne: Rita Cacicia, 35 anni da Bagheria (Palermo), Adriana Vassallo, 49 anni da Agrigento, Letizia Palumbo, 48 anni da Casteltermini (Agrigento), Nicolina Mazzocchio, 70 anni anche lei di Casteltermini, Rosa Fazzari, 68 anni da Catania, Andrea Cangemini, 40 anni da Palermo. I funerali delle sei persone si sono svolti questo pomeriggio.

Il corpo straziato di un settimo viaggiatore è ancora prigioniero delle lamiere contorte di un vagone non è stato ancora identificato anche perché i vigili del fuoco non sono riusciti a raggiungerlo. Il vagone si è infatti accartocciato dentro un altro carro e ambedue sono rovesciati su un fianco praticamente inattaccabili. Solo quando le due vetture saranno state sollevate e aperte allora si protrà avere un bilancio preciso del disastro. Tra l’altro la ispezione alle vetture ancora non controllate consentirà di sciogliere i dubbi sulla sorte dei quattro passeggeri di cui secondo una notizia non confermata ma neppure smentita dalle Ferrovie, un ferito avrebbe visto i corpi esamini dentro una carrozza rovesciata, e sulla sorte di una bambina che secondo le testimonianze di tre viaggiatori rimasti illesi si sarebbe trovata al momento del deragliamento nell’ultimo scompartimento della carrozza numero 9, una di quelle appunto coinvolte nella sciagura.
Nessuno – è vero – ha sino a questo momento avvertito polizia e carabinieri della scomparsa della bimba ma non si può escludere che tra le persone ferite e ricoverate negli ospedali si trovino appunto i suoi genitori.

E il bilancio dei passeggeri feriti è assai grave non soltanto per il loro numero (oltre cento) ma anche per le condizioni di molti di essi. I più gravi – trentatre – sono ricoverati negli ospedali di Palmi e di Taurianova. Uno di essi è in condizioni assai preoccupanti per le gravi fratture riportate, altri tre per le forti emorraggie ed il trauma delle amputazioni. Ad una donna di Modica […] è stato necessario tagliare una mano ridotta in spaventose condizioni, a suo marito […] i medici hanno dovuto amputare l’avambraccio destro. Una ragazza – […], 14 anni da Palermo – ha perduto l’intero braccio destro.

Il bilancio del disastro sarebbe stato assai più grave – ammettono i tecnici delle Ferrovie – se il treno del sole avesse ieri trasportato il suo normale carico di passeggeri «molte persone invece – ha dichiarato all’Ansa un funzionario delle FF SS – avevano preferito rimandare la partenza a causa dello stato di tensione esistente a Reggio». Generalmente sul Palermo Torino viaggiano milleduecento passeggeri, ieri ce ne erano sì e no la metà.

Oltre che le operazioni di sgombero (solo dopo mezzogiorno è stato possibile riattivare il traffico su un solo binario naturalmente) l’eccezionale caldo che costringe le squadre di soccorso a darsi il cambio ogni ora, crea delle difficoltà anche alle commissioni d’inchiesta sulle cause del disastro, l’una della magistratura, l’altra del ministero dei  Trasporti.

Il sostituto procuratori di Palmi ha interrogato per molte ore la notte scorsa i due macchinisti e il capotreno del convoglio. Sull’esito dei colloqui non è trapelato alcuna notizia. Qualcosa si è appreso invece sulle linee di tendenza delle indagini del Ministero. L’ipotesi che si fa strada è che l’incidente possa essere stato provocato all’altezza degli scambi di Gioia Tauro dall’improvvisa uscita dai binari del carrello di destra della quinta vettura. Siamo però sempre agli effetti non alle cause.

Che cosa ha fatto deviare il carrello ammesso che proprio di questo si tratti? Si parla di un difetto meccanico ma si resta ancora nel vago. Quel che è certo è che la velocità del treno era inferiore a quella consentita dalla linea. Risulta dalle apparecchiatuire di registrazione. Daltra parte la tratta su cui è avvenuto il deragliamento era stata sottoposta anche recentemente a controlli che non avevano fatto registrare – conferma il Ministero dei Trasporti – alcuna irregolarità.

Non può quindi essere ancora fugato il terribile sospetto che il disastro possa essere in qualche modo una conseguenza dei disordini di Reggio, che possa essere stata provocata insomma da criminali sabotatori. È sintomatica la prudenza con cui tutti gli inquirenti respingono un’ipotesi del genere. Daltra parte il ritrovamento della potente carica di tritolo su un’altra tratta ferroviaria calabrese, la Villa S. Giovanni Cannatello (ne riferiamo qui accanto) suggerisce molta cautela nell’accreditare troppo frettolosamente l’ipotesi (relativamente tranquillante) di un “difetto tecnico”. m.f.

 

 

 

Attentato affidato dalla destra eversiva alla manovalanza della ’ndrangheta.
Articolo da L’Unità del 3 Novembre 1972
UN ATTENTATO FASCISTA PROVOCÒ  IL DERAGLIAMENTO A GIOIA TAURO
Nella sciagura del 22 luglio 1970 morirono 6 passeggeri del « treno del sole» e 139 rimasero feriti – L’atto doloso, che appare l’ipotesi più fondata e probabile, è da mettere in relazione con la «strategia della tensione » alimentata a Reggio Calabria

Le conclusioni della commissione inquirente delle Ferrovie dello Stato hanno confermato che la sciagura avvenuta il 22 luglio 1970 nei pressi della stazione di Gioia Tauro, quando il «treno del sole», carico di emigranti, deragliò, provocando la morte di 6 e il ferimento di 139 passeggeri, fu causata, probabilmente, da un attentato.

Le parti più significative del documento redatto dalla commissione — attualmente in possesso del magistrato di Palmi, dottor Scopelliti — sono state pubblicate ieri dal quotidiano Paese Sera. Esse dicono testualmente (pag. 84):
1) che non esiste alcun elemento concreto, né alcun indizio che induca a far sospettare che la causa dello svio delle 13 vetture del treno possa essere stata una deficienza imputabile alle attrezzature della stazione e scambi), al materiale rotabile o all’armamento;
2) che non sussistono responsabilità a carico del personale ferroviario di stazione, di macchina, di scorta e della linea;
3) che fra le ipotesi esaminate la più congrua è quella che fa risalire la causa dell’incidente a un fatto anomalo o doloso, connesso con i disordini che, all’epoca, turbarono la città e la provincia di Reggio Calabria.

A queste conclusioni — di cui è superfluo sottolineare l’estrema gravità — sono giunti, dopo avere raccolto elementi, esperite indagini, compiuto analisi di laboratorio, i funzionari inquirenti delle FS Attilio Gasbarri (servizio trazione), Alberto Allegra (servizio lavori), Domenico Muzioli (impianti elettrici), Filippo Cesari (servizio movimento), che le hanno firmate in data 31 luglio 1971, cioè quasi un anno e mezzo fa.

Anche la perizia giudiziaria (che da un anno è stata consegnata alla magistratura) — a quanto si sa — è pervenuta agli stessi risultati.

Come mai, dunque, si è proceduto, e si continua a procedere, con tanta lentezza? Perché l’inchiesta giudiziaria non si conclude? Perché il P.M. Scopelliti, finora, ha chiesto soltanto l’incriminazione di quattro ferrovieri (che l’azienda ha invece mantenuto in servizio) per motivi che sembrano estranei alla sciagura del 22 luglio 1970?

Sono, questi, interrogativi inquietanti. Nel luglio del 1970, a Reggio Calabria e nella provincia imperversavano «rivoltosi» fascisti e del «boia chi molla», disposti a tutto pur di fomentare e tenere acceso un clima di caos e di terrore e di alimentare la cosiddetta «strategia della tensione», nel contesto della quale — come ha recentemente confermato la notte fra il 21 e il 22 ottobre, punteggiata dagli attentati contro i treni dei lavoratori diretti a Reggio Calabria per la manifestazione conclusiva della Conferenza nazionale sul Mezzogiorno promossa dai sindacati — i sabotaggi criminali e indiscriminati sono «insostituibili».

Ebbene: per coprire gli attentatori ed i loro mandanti qualcuno vorrebbe insabbiare l’inchiesta, nascondere la verità? Si tratta di un’ipotesi molto grave (che potrebbe essere fugata, appunto, rendendo note le conclusioni dell’inchiesta giudiziaria), ma che, pure, non viene esclusa. La precipitazione  con cui, dopo la sciagura del «treno del sole», autorevoli personaggi vollero categoricamente negare che si trattasse di un attentato, infatti, non è mai stata facilmente spiegabile. Giova ricordare, in proposito, che, per esempio, il generale dei carabinieri Sottiletti parlò di « carrello impazzito». Il questore di Reggio Calabria, Santillo, affermò: «si hanno buoni motivi per potere escludere che a Gioia Tauro vi sia stato un attentato e per ritenere invece che il deragliamento è avvenuto per cause tecniche». Ed analoghe dichiarazioni resero il prefetto De Rossi e l’allora vicecapo della polizia, Elvio Catenacci, indiziato di reato nei giorni scorsi dalla magistratura milanese per avere occultato un documento importante, impedendo così che le indagini sulla strage di piazza Fontana del dicembre 1969 si indirizzassero lungo la «pista nera » e portassero al gruppo eversivo fascista di Freda e Ventura.

A Reggio Calabria, intanto, continua l’inchiesta volta ad individuare gli organizzatori e gli autori materiali degli attentati ai treni avvenuti nella notte fra il 21 e il 22 ottobre: sono state effettuate altre perquisizioni, è stata controllata la posizione di diverse persone. E’ stata confermata da ambienti ufficiali la notizia che la «notte delle bombe» fu preceduta da riunioni di dirigenti dell’organizzazione «boia chi molla» a Gallico e a Sbarre, da contatti fra costoro e organizzazioni nazionali dell’estrema destra e da incontri fra gli esecutori materiali del piano criminoso.
Gli attentati in città e sulla linea ferroviaria sarebbero stati effettuati da due «commandos», che conoscevano bene gli orari dei treni speciali ed erano in contatto l’uno con l’altro a mezzo radio.

 

 

 

Articolo da L’Unità del 4 Novembre 1972
LA PROCURA HA CONFERMATO CHE IL TRENO DERAGLIÒ A GIOIA TAURO PER UN ATTENTATO
di Franco Martelli
Il giudice incaricato di espletare l’istruttoria formale trasmetterà oggi o domani al PM gli atti del processo – Nessuna spiegazione per il grave ritardo subito dalle indagini – Quattro ferrovieri vennero indiziati di reato nonostante che le perizie avessero escluso responsabilità del personale – Nei giorni precedenti cariche esplosive dei « boia chi molla » erano state rinvenute sui binari nelle immediate vicinanze.

PALMI,  3. –
« Attentato »: questa è l’ipotesi, l’unica possibile, che anche la Procura della Repubblica di Palmi fornisce per spiegare il deragliamento del «treno del sole» avvenuto, a 300 metri dalla stazione ferroviaria di Gioia Tauro, il 22 luglio del 1970 e che causò la morte di 6 persone e il ferimento di altre 139.

Così, le due inchieste ordinate subito dopo il deragliamento, quella condotta dalle Ferrovie (delle cui conclusioni abbiamo dato notizia ieri) e quella della Procura della Repubblica, concordano nell’escludere qualsiasi responsabilità del personale e qualsiasi altra «anomalia» riguardante il materiale viaggiante o fisso.

L’ipotesi «più congrua»  (come afferma l’inchiesta delle Ferrovie), «più valida» (come scrivono ì periti d’ufficio della Procura) resta, dunque, l’attentato: unica «anomalia» possìbile e tale da causare il deragliamento.

A questa «ipotesi» le due inchieste giungono tenendo conto – di una serie di circostanze verificatesi prima e dopo il deragliamento: i disordini di quei giorni a Reggio; le molte cariche inesplose ritrovate sui binari, anche nei pressi di Gioia Tauro; la minaccia continua, da parte dei «boia chi molla», di interrompere il traffico con e per la Sicilia, al fine di richiamare — come dicevano — l’attenzione del paese sulla «rivolta» reggina; l’attentato sui binari a Taureana, a pochi chilometri da Gioia, successivamente al deragliamento del «treno del sole» e che fece saltare 70 centimetri di binario.

La clamorosa conclusione dell’inchiesta della Procura ci è stata comunicata, stamane, dal giudice incaricato di espletare l’istruttoria formale, dottor Gambadoro, che abbiamo incontrato nel suo ufficio, qui a Palmi. Sia l’inchiesta della Procura, che quella delle Ferrovie risultano portate a conclusione il 31 luglio del 1971 cioè più di un anno fa. Da quella data sono rimaste arenate tra l’ufficio del PM e quello del giudice istruttore e, fino a tre giorni fa, non erano ancora state depositate in cancelleria per la conoscenza delle parti, costituendo, cosi, segreto istruttorio.

«Trasmetterò oggi stesso o domani tutto il processo al PM per le sue conclusioni», ci dice il giudice Gambadoro, il quale, però, si rifiuta di dare una qualsiasi spiegazione del grave ritardo registratosi nell’istruttoria. «Le conclusioni delle due inchieste sono queste — aggiunge, entrando nella sostanza del problema — e io non posso che limitarmi ad accettarle. Vedremo se il PM riterrà necessario un supplemento di inchiesta ».

Il PM, procuratore-capo dottor Sposato, dice di non conoscere il processo, perché nuovo dell’ufficio. Fu, infatti, il sostituto procuratore Scopelliti, reggino, da qualche tempo trasferito a Catanzaro, a indiziare, l’11 settembre 1971, anche sulla base di un’altra inchiesta condotta per conto suo dalla Polfer, quattro ferrovieri di «concorso in disastro ferroviario», avendo costoro trasmesso al compartimento di Reggio, anziché per posta, per telegramma, una notizia riguardante la fine del rallentamento nel pressi della stazione di Gioia Tauro. I quattro ferrovieri, ognuno per il posto di responsabilità ricoperto, in sostanza, trasmisero più celermente del dovuto (lo fecero anche tenendo conto che la posta non sarebbe mai arrivata a Reggio in quel periodo), la notizia riguardante la ultimazione di lavori di manutenzione della ferrovia, cioè la fine di un pericolo.

Sembrava, in definitiva, questa decisione del PM, un appiglio qualsiasi per far cessare le continue e inquietanti supposizioni che venivano avanzate, già nell’immediatezza del deragliamento, sulle responsabilità dei fascisti reggini della zona per questo disastro che aveva colpito duramente famiglie di emigrati che, con quel treno, dovevano raggiungere il nord. E l’inchiesta, come è possibile constatare ormai sempre più chiaramente, è stata condotta avendo presente «la preoccupazione» che il deragliamento apparisse come una grave macchia sulla «rivolta » eversiva di Reggio.

Ad escludere affrettatamente e categoricamente che si potesse trattare di attentato furono anche il questore, il prefetto ed altre autorità locali e centrali, fra cui — come è noto — l’allora vicecapo della polizia Elvio Catenacci.

La constatazione sulla lentezza dell’inchiesta diventava ancora più grave se si pensa che oggi, a distanza di più di due anni, è estremamente difficile, se non impossibile, colmare tutte le lacune che l’inchiesta stessa presenta. Ad esempio, non sono state operate delle perizie chimico-balistiche né sui binari, né all’interno delle vetture deragliate. Ci si è limitati alla constatazione che non era stata ritrovata alcuna traccia di miccia, né di esplosivo che potesse far pensare ad un attentato dinamitardo. Ma anche se l’attentato non fosse stato dinamitardo (molti testimoni dicono, però, di aver udito un boato, ed anche stamane, parlando con alcuni che quel pomeriggio — il deragliamento avvenne dopo poco le 17 — si trovavano nei pressi , questa circostanza ci è stata riconfermata), resta l’ipotesi che possano essere stati allentati i bulloni.

Queste considerazioni diventano ancora più inquietanti se si pensa che, appena due settimane fa, sulla stessa linea ferrata, ancora a pochi chilometri da Gioia Tauro, è stata nuovamente tentata una strage con cariche di esplosivi posti sul binari. L’obiettivo erano i treni che portavano migliaia di lavoratori a Reggio. Anche questa inchiesta si è avviata lentamente: «Faremo il nostro dovere fino in fondo», ci ha detto, al riguardo, il procuratore-capo di Palmi, dottor Sposato.

 

 

 

Articolo di La Stampa del 10 Novembre 1972
Come i periti hanno potuto stabilire che a Gioia Tauro ci fu un attentato
Ci furono 6 morti e un centinaio di feriti il 22 luglio 1970 
L’ipotesi più attendibile è quella che “fa risalire la causa dell’incidente ferroviario ad un fatto anomalo o doloso, connesso con i disordini che turbarono Reggio Calabria in quei giorni” (era il periodo della “rivolta”) – Notevoli analogie con altri attentati compiuti in Sicilia e Calabria nei mesi successivi

Roma, 9 novembre. Dopo oltre due anni si sta faticosamente scoprendo la verità sulla sciagura ferroviaria avvenuta a Gioia Tauro il 22 luglio 1970, durante i disordini di Reggio Calabria fomentati dai fascisti. Nel disastro morirono sei persone, un centinaio rimasero ferite. Soltanto pochi giorni fa si sono conosciute le conclusioni della commissione di inchiesta, la cui relazione fu consegnata al pubblico ministero di Palmi, Scopelliti, il 31 luglio dell’anno scorso. Nelle conclusioni i periti affermano che «fra le ipotesi esaminate la più congrua è quella che fa risalire la causa dell’incidente ad un fatto anomalo o doloso, connesso con i disordini che turbarono la città di Reggio in quei giorni».

La perizia è contenuta in 84 pagine dattiloscritte e si divide in sei parti: il fatto, le constatazioni, gli esami, le risultanze, la meccanica dello «svio» (del deragliamento cioè del direttissimo Palermo – Torino), le considerazioni su tutto il materiale raccolto e le conclusioni. Stralci della relazione sono stati oggi pubblicati dal quotidiano romano Paese Sera e da essi si ricava che la sciagura di Gioia Tauro faceva probabilmente parte di un piano criminoso che, nelle intenzioni degli ideatori, avrebbe dovuto provocare almeno altri tre disastri.

Notevoli analogie furono infatti notate successivamente negli attentati compiuti in quel periodo in Calabria ed in Sicilia: il 22 settembre 1970, tra Gioia Tauro e Palmi, dove di notte una esplosione distrusse un breve tratto di binario; il 27 settembre, sulla linea Messina – Catania, dove una carica deformò il binario su cui passarono prodigiosamente indenni ben nove treni; il 10 ottobre nei pressi di Rosarno dove saltò in aria mezzo metro di strada ferrata. I periti annotano che «in tutti e tre i casi non vennero rinvenuti residui di micce o di altri segni di esplosione e nel secondo caso lo scoppio, per guanto avvertito, fu attribuito a un pneumatico di qualche veicolo in transito».

Ogni punto prescelto, al pari di quello della sciagura di Gioia Tauro, era inoltre ben nascosto e facilmente accessibile dalla strada. Dice l’inchiesta: «Alla luce delle constatazioni fatte per gli altri atti dolosi, dove le tracce non vennero cancellate o alterate dallo svio dei veicoli, la rotaia a monte (prima del deragliamento) subito dopo la travata metallica, nell’ipotesi dell’esplosione di una carica, si sarebbe trovata in queste condizioni: alcune traversine con i relativi attacchi distrutte, un tratto di suolo asportato, una buca nella massicciata, della profondità di cinquanta centimetri e lunga oltre due metri.

Dopo aver esaminato i motivi tecnici che portano ad escludere lo slineamento del binario per effetto termico o per un cedimento laterale della massicciata che avrebbe causato il progressivo allargamento del binario, la relazione afferma che «le prime tracce del disastro appaiono sul ponticello al chilometro 349-847, sovrastante la linea della ferrovia Calabro-Lucana. Queste tracce sono costituite da: segni ai bordini sulle lamiere del ponte; piegatura, deformazione e, in un caso, distacco delle lamiere poste al centro; allargamento delle due rotaie del binario entro cui sicuramente hanno marciato parecchi carrelli dei veicoli ».

Il deragliamento avvenne dopo il passaggio della quinta carrozza. Evidentemente la manomissione di quelle strutture permise il passaggio di parte del convoglio. A questo proposito c’è nella relazione una frase rivelatrice, che dà la misura delle intenzioni degli attentatori (e che a provocare i danni ai binari non sia stata una delle vetture precedenti alla sesta, alla settima e all’ottava risultate parzialmente o totalmente deragliate). Le vetture precedenti «hanno avuto una marcia tranquilla, dato che sono riuscite a superare la zona dello scambio numero 18-B senza gravi conseguenze, mentre se una di esse fosse stata fuori del binario già a valle del ponticello e in posizione di travolgere i picchetti, certamente avrebbe subito conseguenze disastrose nella zona dello scambio».

 

 

 

Articolo da L’Unità del 14 luglio 1973
Gioia Tauro: usarono tritolo
Il deragliamento (sei morti) altro anello della pista nera

II tentativo di nascondere la verità – L’interruzione delle comunicazioni tra la Sicilia e il resto del paese primo obiettivo dei «boia chi molla» di Reggio Calabria – Trovare i colpevoli del gesto criminoso.

GIOIA TAURO 13
Nuovi, gravissimi elementi emergono nell’inchiesta sul deragliamenlo della « Freccia del Sud » avvenuto a Gloia Tauro il 22 luglio del ’70 che causò la morte  di sei persone e il ferimento grave di altre 56 (quel tragico pomeriggio — erano le 17,10 — il treno che congiunge Palermo a Torino viaggiava con il consueto carico di emigranti che dalla Sicilia e dalla Calabria raggiungono il Piemonte). I periti guidiziari, infatti, hanno accertato in via definitiva non soltanto che il  deragliamento è stato causato da un sabotaggio (e non per responsabilita del personale, come si era lasciato credere in un primo tempo) ma hanno stabilito anche che il sabotaggio ha un nome piu preciso, piu grave, più allarmante: attentato. Una carica di tritolo e stata posta sotto il binario ed e scoppiata poco prima che il treno sopraggiungesse. «La sua esplosione — dicono i periti — asportò una fetta della scuola interna della rotaia e subì una deformazione verso il basso: tre traverse vennero ridotte in frantumi; i relativi organi di attacco (piastre, caviglie, rondelle, piastrine) avulsi dalla loro sede, deformati, spezzati, si formò una buca nella massicciata.

Il tutto — proseguono i periti — costituiva un grave difetto del binario tale da pregiudicare la regolare viabilità… non appena il locomotore del treno PT (la Freccia del Sud) giunse in corrispondenza del punto difettoso ebbe un sobbalzo, il macchinista ha detto al riguardo che ebbe la sensazione che il binario fosse mancato sotto il locomotore. Quindi il deragliamento e il capovolgimento di 13 vetture dalla sesta in poi.

Al quesito posto dal Pubblico Ministero ai periti sul perché, stando così le cose, non vennero riscontrate tracce di annerimento o di bruciatura, che l’esplosione avrebbe dovuto causare, la risposta degli esperti è che esami di questo tipo vennero fatti, non lo stesso giorno dell’incidente, come sarebbe stato giusto, ma «dopo qualche tempo».

I periti, tuttavia, stabiliscono anche un parallelo tra la esplosione di Gioia Tauro e altre tre esplosioni verificatesi nei giorni precedenti a Taureana ed Eranova (due localita nei pressi di Gioia Tauro, sempre sulla tratta ferroviaria S. Eufemia-Reggio Calabria) ed a Cannizzaro, in provincia di Messina.

Altri dubbi, altri interrogativi, espressi dallo stesso Pubblico Ministero dr. Sposato, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palmi, vengono quindi fugati dai periti i quali, rispondendo in 23 cartelle dattiloscritte a ben 22 quesiti posti dal magistrato in seguito ad un esame delle prime perizie, ribadiscono quanto da loro già affermato appunto nella perizia depositata presso l’ufficio del Giudice istruttore dello stesso tribunale un anno fa e indicano fin nei minimi particolari come si e verificato l’attentato, fugando, da una parte ogni perplessità su resposabilità di altro tipo e, dall’altra, come si e visto a proposito degli esami balistici sul binario danneggiato, aprendo significativi squarci sul modo come le indagini sono state condotte nell’immediatezza dell’attentato, ma anche nel loro prosieguo.

Il primo elemento che balza drammaticamente evidente a questo punto e che, sin dal primo momento, si è voluta, ad ogni costo, nascondere la verità. Si e, infatti, messa da parte l’ipotesi piu verosimile: l’attentato. E ciò malgrado a Reggio il tritolo esplodesse ogni notte, malgrado i binari fossero talmente presi di mira dalla teppaglia fascista che cariche, come si è visto, venivano continuamente fatte esplodere o rinvenute inesplose lungo la linea nei pressi di Reggio Calabria (nel tribunale di Palmi ci sono 14 procedimenti «contro ignoti» per danneggiamenti alla ferrovia riferentisi a quel periodo) e malgrado infine, quello della interruzione delle comunicazioni tra la Sicilia ed il Continente costituisse un obiettivo dichiarato dei «boia chi molla» perché, in questo modo, essi avrebbero voluto attirare «l’attenzione su di loro».

Le indagini, in sostanza, sono iniziate a rilento e sono andate nella direzione sbagliata arrivando all’incriminazione di 4 ferrovieri per una semplice disattenzione burocratica. Nel frattempo !e ferrovie, che erano giunte sostanzialmente alla conclusione cui ora sono definitivamente pervenuti i periti giudiziari, tenevano nascosti i risultati della loro inchiesta.

Da un anno, inoltre, le perizie indicano la pista dell’attentato, ma in questa direzione nulla è stato finora fatto.
Per riannodarsi ai giomi successive all’attentato c’è da ricordare che proprio il questore del tempo Santillo, il prefetto di Reggio, accorsi subito sul luogo dell’incidente, dichiararono per prima cosa che non poteva trattarsi di attentati».

In seguito, per diversi mesi sulle indagini ha pesato la paura e il ricatto della «rivolta» reggina e del tritolo che ha continuato ad esplodere sino agli attentati ai treni dell’ottobre scorso.

C’è da chiedersi ora, dopo la definitiva e inequivocabile indicazione fornita dai periti, come proseguiranno le indagini e se si riuscirà a trovare i colpevoli di un così orrendo crimine, uno dei più orrendi della torbida trama nera che ha operato in questi anni nel paese e che ha avuto proprio in Calabria uno dei punti di riferimento nelle centrali eversive.

 

 

 

 

Fonte: omarminniti.wordpress.com

Alle 17,10 circa, del 22 luglio 1970, il direttissimo Palermo-Torino (la Freccia del Sud) deragliava a circa settecentocinquanta metri dalla stazione di Gioia Tauro. Viaggiava alla velocità di cento chilometri orari circa. Il macchinista, dopo aver avvertito un sobbalzo della locomotiva, azionava il meccanismo di frenata rapida. Dopo cinquecento metri il treno si spezzava: la sesta carrozza del lungo convoglio, composto di diciassette vagoni, usciva dai binari e trascinava con sé le altre. I passeggeri trasportati erano circa duecento. I vigili del fuoco di Palmi, Cittanova e Reggio Calabria, aiutati dai reparti della celere e dai carabinieri, erano costretti a tagliare le lamiere per estrarre i corpi dei passeggeri. Alla fine si conteranno sei morti, di cui cinque donne, e settantadue feriti, molti dei quali con gravi conseguenze invalidanti.  […] […]

Da otto giorni era in corso la rivolta di Reggio Calabria, scoppiata il 14 luglio alla notizia che sarebbe stata Catanzaro la sede dell’appena eletta assemblea regionale.

LA TESI DEL DISASTRO FERROVIARIO

Il questore di Reggio Calabria, Emilio Santillo, subito accorso sul luogo, individuò, senza incertezze, nello sbullonamento del carrello n. 2 della nona vettura la causa del deragliamento. Un mese dopo l’evento, i marescialli Guido De Claris e Giuseppe Ciliberti, del commissariato di polizia presso la direzione compartimentale delle ferrovie dello Stato, in un rapporto del 28 agosto 1970 al procuratore della repubblica di Palmi, asserirono che era da “escludere che il disastro ferroviario abbia avuto origine dolosa”. Nessuno dei presenti, in attesa alla stazione di Gioia Tauro o a bordo del treno, personale viaggiante compreso, testimoniò, infatti, di aver udito alcun boato. Tale interpretazione venne ribadita in un secondo rapporto del 9 settembre 1971 in cui si sostenne che “se non vi fu detonazione non poté esservi attentato dinamitardo”, non ponendosi minimamente il fatto che l’esplosione di un ordigno, in grado di tranciare una rotaia, poteva benissimo essere avvenuta prima del passaggio del treno.

In questo nuovo atto la causa della tragedia venne individuata nella condotta del personale ferroviario che aveva “illegittimamente” disposto la cessazione del rallentamento a 60 chilometri orari per tutti i treni percorrenti il binario pari della tratta Palmi-Goia Tauro, interessati da giugno da lavori di livellamento e allineamento delle rotaie. Una posizione in palese contrasto con le conclusioni del collegio peritale, nominato dal sostituto procuratore della repubblica di Palmi, Paolo Scopelliti, che, depositando la propria relazione il 7 luglio 1971, escluse errori risalenti al personale di guida, alla disposizione degli scambi all’ingresso della stazione o a difetti del materiale rotabile. Il collegio riscontrò invece un’avaria su una rotaia che presentava la parziale asportazione della suola interna per circa 180 centimetri, ipotizzando un’origine dolosa. Si sostenne, in conclusione, che lo scoppio di un ordigno rappresentava la causa più probabile del deragliamento, rilevando forti analogie con altri tre attentati avvenuti successivamente, il 22 e il 27 settembre, sulla linea Rosario-Gioia Tauro-Villa San Giovanni, ed il 10 ottobre sul tratto Catania-Messina, in cui non erano stati rinvenuti pezzi di miccia ed evidenti segni di esplosione.

Sulla base del rapporto di polizia, la procura della repubblica di Palmi decise comunque di promuovere un procedimento penale, per disastro colposo e omicidio colposo plurimo, nei confronti di quattro dipendenti delle ferrovie dello Stato. Il 30 maggio 1974 il giudice istruttore sentenziò il non doversi procedere nei confronti degli imputati per non aver commesso il fatto, chiudendo ogni indagine. L’ipotesi dell’attentato dinamitardo come causa del disastro venne confinata “nel limbo delle congetture”, non meritevole della riapertura del caso.

Una conclusione sorprendente. Il fallimento dell’ipotesi del disastro colposo, per altro, smentita a sua volta da una commissione d’inchiesta delle ferrovie dello Stato, avrebbe, infatti, dovuto quantomeno portare al proseguimento delle investigazioni.

ESECUTORI E MANDANTI

La verità emerse solo ventitré anni dopo, quando nell’ambito di una maxi inchiesta sulla criminalità organizzata in Calabria, denominata “Olimpia 1”, il pentito Giacomo Lauro, in un interrogatorio, il 16 giugno 1993, davanti al sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Vincenzo Macrì, confessò di essere venuto a conoscenza nel 1979, in carcere, che era stato Vito Silverini, un neofascista dichiarato, a mettere la bomba che fece deragliare il treno di Gioia Tauro. Vito Silverini gli confidò che l’attentato fu eseguito su mandato del “Comitato d’azione per Reggio capoluogo” e di aver ricevuto, in cambio del “lavoro” svolto, una somma di denaro. Raccontò di aver portato la bomba insieme a Vincenzo Caracciolo sulla moto Ape di quest’ultimo e di aver personalmente confezionato l’ordigno, composto da esplosivo da cava in candelotti, con miccia a lenta combustione. Si erano poi nascosti nei pressi del luogo per assistere alla scena.

Giacomo Lauro, in un interrogatorio dell’11 novembre del 1994, alla fine confessò anche le proprie responsabilità. Disse di essere stato lui stesso a consegnare l’esplosivo a Vito Silverini, Giovanni Moro e Vincenzo Caracciolo, dietro il compenso di alcuni milioni di lire provenienti dal “Comitato d’azione per Reggio capoluogo”. La testimonianza Di Giacomo Lauro trovò conferma in quella di Carmine Dominici, un esponente di punta, fra il 1967 ed il 1976, della struttura illegale di Avanguardia nazionale a Reggio Calabria. Dominici era anche stato uno degli uomini di fiducia del marchese Felice Genoese Zerbi, proprietario di numerose terre, ma soprattutto il dirigente massimo di An. Successivamente passato ad attività di malavita comune, dopo essere stato condannato ad una lunga pena detentiva, aveva deciso di collaborare con la magistratura. Il 30 novembre 1993 confermò le parole di Giacomo Lauro. Si era trovato nella stessa cella, la numero 10 del carcere di Reggio Calabria, e raccolto, a sua volta, le confidenze di Vito Silverini.

Giacomo Lauro indicò negli ambienti di Avanguardia nazionale e del “Comitato d’azione per Reggio capoluogo” gli ispiratori della strage. Accusò Renato Marino, Carmine Dominici, Vito Silverini, Vincenzo Caracciolo e Giovanni Moro, di essere stati “il braccio armato che metteva le bombe e faceva azioni di guerriglia” per conto del “Comitato”, diretto da Ciccio Franco, consigliere comunale missino e sindacalista Cisnal dei ferrovieri, divenuto rapidamente la figura più rappresentativa della rivolta, Renato Meduri, il professor Angelo Calafiore, Paolo Romeo, all’epoca in Avanguardia nazionale poi eletto deputato nel Psdi, Benito Sembianza e Felice Genoese Zerbi. Tra i finanziatori indicò il “commendatore Mauro”, “quello del caffè”, e l’imprenditore “Amedeo Matacena”, “quello dei traghetti”. “Davano i soldi” – testimoniò – “per le azioni criminali, per la ricerca delle armi e dell’esplosivo”. Il numero degli attentati fu impressionante, da non trovare precedenti nell’Italia del dopoguerra. Agli atti del Ministero degli interni, tra il 20 luglio 1970 e il 21 ottobre 1972, risultarono alla fine 44 gravi episodi dinamitardi, di cui ben 24 a tralicci, rotaie e stazioni ferroviarie.

LA RIVOLTA DI REGGIO CALABRIA

La rivolta di Reggio Calabria durò due lunghissimi anni, con cinque morti, dieci mutilati o invalidi permanenti, cinquecento feriti tra le forze dell’ordine e mille tra la popolazione civile. Furono innalzate barricate, effettuati blocchi stradali, svaligiate le armerie, occupata più volte la stazione ferroviaria, l’aeroporto, il palazzo delle poste, assaltata la prefettura e la questura. Alla fine i denunciati furono 1231 per oltre duemila reati commessi. La collera esplose in una delle città tra le più povere d’Italia, nel momento in cui il governo decise di attribuire il capoluogo di regione a Catanzaro.

La scintilla fu accesa il 12 luglio, quando i cinque consiglieri della Democrazia cristiana, eletti nella provincia reggina, unitamente al socialdemocratico, si rifiutarono di riconoscere come valida la convocazione dell’assemblea regionale. Il sindaco Piero Battaglia, insieme alla giunta comunale e alla Dc, si era già, dal canto suo, schierato dal 4 luglio. In un comizio disse che Reggio avrebbe chiesto la sospensione delle riunioni del consiglio a Catanzaro. Il 14 iniziarono i primi blocchi del traffico ferroviario e, verso sera, le barricate. Nel quadro di una drammatica situazione socio-economica e di forte declino della città, la battaglia per Reggio capoluogo convogliò in un solo istante i disagi, le frustrazioni ed i malcontenti di una popolazione allo stremo, in cui ancora dodicimila persone erano costrette a vivere nelle casupole costruite dopo il terremoto del 1908. La ‘ndrangheta e la destra eversiva vi giocarono un ruolo di primo piano, egemonizzando largamente gli scontri di piazza. Avanguardia nazionale ed il Fronte nazionale, in particolare, cercarono di sfruttare la rivolta di Reggio ai fini dei propri piani golpisti. In questo quadro: la disponibilità da parte di An in Calabria di grossi quantitativi di armi e di esplosivi, nonché la predisposizione delle liste degli esponenti di sinistra e dei sindacalisti da colpire.

LA ‘NDRANGHETA E LA NOTTE DI “TORA-TORA”

In questo contesto va anche collocata l’ascesa, nei primi anni ’70, all’interno della ‘ndrangheta calabrese, della famiglia dei De Stefano, che strinse un patto con l’eversione di destra, ambienti dei servizi segreti, la massoneria deviata e i grandi trafficanti internazionali di armi e droga. Questa alleanza consentì al “casato” di affrontare e vincere la cosiddetta “prima guerra di mafia”, di liberarsi di alcune vecchie figure carismatiche ed assumere una posizione egemonica. “Giorgio De Stefano” – testimoniò sempre Giacomo Lauro – “diceva che era ora che si cambiassero le istituzioni e che bisognava aiutare la destra eversiva in quanto i comunisti ed i socialisti erano contro la ’ndrangheta”. In un summit a Montalto, ai piedi dell’Aspromonte, nell’ottobre del 1969, venne anche sottoscritta un’alleanza tra diverse cosche. Da qui la venuta, a più riprese, in Calabria di Junio Valerio Borghese, Stefano Delle Chiaie e Pierluigi Concutelli, ma soprattutto la messa a disposizione di centinaia di uomini armati per la notte dell’Immacolata, l’8 dicembre 1970, quando in diverse parti d’Italia scattò il piano golpista di Borghese, poi passato alla storia come la notte di “Tora-Tora”, dal nome in codice dato all’operazione. E se in Piemonte, Lombardia, Veneto e Toscana, massiccia fu la mobilitazione dei neofascisti, la mafia in Sicilia e la ‘ndrangheta in Calabria appoggiarono i piani del “Principe nero”. Il contrordine, come noto, giunse all’improvviso, a colpo di Stato iniziato. Le ragioni rimasero sempre avvolte nel mistero.

I PROCESSI

Nel luglio 1995, per concorso nella strage di Gioia Tauro, furono indagati dalla procura distrettuale di Reggio Calabria, l’armatore Amedeo Matacena, Angelo Calafiore, ex-consigliere provinciale di Reggio Calabria per il Msi- Destra nazionale, l’On. Fortunato Aloi ed il senatore Renato Meduri, entrambi di Alleanza nazionale. I parlamentari di An si difesero sostenendo, fra l’altro, che a Gioia Tauro non era avvenuta alcuna strage, ma solo un incidente ferroviario “dovuto all’obsolescenza degli impianti”, “una sciagura che sconcertò tutti”. Agli inquirenti riservarono parole molto dure.“Un teorema” – dissero –“fatto da magistrati di sinistra”. Furono prosciolti tutti in istruttoria.

L’inchiesta comunque finalmente stabilì la natura dolosa del deragliamento, provocato dallo scoppio di un ordigno esplosivo. Un dato definitivamente acquisito. I presunti autori materiali della strage erano nel frattempo tutti deceduti per cause naturali. Il 19 aprile 1996, per aver fornito l’esplosivo agli attentatori, fu rinviato a giudizio per strage il solo Giacomo Lauro, affiliato alla ‘ndrangheta dal 1960 al 1992, ora pentito. La Corte di assise di Palmi lo assolse, il 27 febbraio 2001, per mancanza di dolo. La Corte di assise di appello di Reggio Calabria, il 17 marzo 2003, confermò il verdetto, nonostante il procuratore generale avesse avanzato una richiesta di condanna a 24 anni di carcere.

Dopo l’accoglimento da parte della Corte di cassazione del ricorso della procura generale, la Corte di assise di appello di Reggio Calabria, nel gennaio 2006, chiuse definitivamente la vicenda giudiziaria. Stabilì che il reato di Giacomo Lauro fu di concorso anomalo in omicidio plurimo, ormai estinto per prescrizione.

 

 

 

 

Fonte stopndrangheta.it 
Una direttiva firmata dal presidente del Consiglio Renzi renderà possibile visionare le carte classificate come “riservatissime” sui fatti di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna, rapido 904. E, forse, capire meglio come andarono le cose. Per l’attentato alla Freccia del Sud, che il 22 luglio 1970 nei pressi della stazione di Gioia Tauro causò sei morti, è stato condannato il pentito di ‘ndrangheta Giacomo Ubaldo Lauro, autoaccusatosi di aver fornito l’esplosivo in un contesto, quello dei moti di Reggio Calabria, che ha visto la ‘ndrangheta al servizio della strategia della tensione e della destra eversiva.

 

 

Tolto il segreto sulla strage di Gioia Tauro
di Michele Albanese – Il Quotidiano della Calabria (23/04/2014)

GIOIA TAURO (RC) – C’è anche il deragliamento della Freccia del Sud avvenuto nei pressi della Stazione di Gioia Tauro tra i fatti oscuri accaduti in Italia negli ultimi 40 anni che il governo ha deciso di declassare. La direttiva firmata ieri dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, insieme al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla sicurezza della Repubblica Marco Minniti e al Direttore del Dis, Giampiero Massolo, dispone la declassificazione degli atti relativi ai fatti di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna, rapido 904.

Adesso sarà possibile visionare le carte classificate come “riservatissime” e capire meglio come andarono le cose. I documenti verranno versati secondo un criterio cronologico (dal più antico ai tempi più recenti), superando l’ostacolo posto dal limite minimo dei 40 anni previsti dalla legge (fatto che vale per tutte le amministrazioni) prima di poter destinare una unità archivistica all’Archivio Centrale.

Il deragliamento avvenne alle 17.10 del 22 luglio 1970.
Il treno proveniente da Villa S. Giovanni dopo aver traghettato alle 14:35, stava entrando in stazione a circa 100 km/h quando il macchinista Giovanni Billardi e l’aiuto macchinista Antonio Romeo avvertirono un forte sobbalzo della locomotiva . A quel punto azionarono il freno rapido di emergenza. Il convoglio prese a rallentare comprimendosi mentre i respingenti delle carrozze assorbivano la decelerazione. La frenata avvenne regolarmente per le prime cinque carrozze, finché le sollecitazioni meccaniche spinsero uno dei carrelli della sesta carrozza fuori dalla sede dei binari. Le carrozze successive sviarono anch’esse nel corso dei 500 metri di frenata; durante la brusca decelerazione alcuni ganci di trazione si spezzarono e il convoglio si divise in tre tronconi.

Poi l”arrivo dei soccorsi composti dai vigili del fuoco di Palmi, Cittanova e Reggio Calabria, dagli uomini della Celere e dei Carabinieri la locomotiva e le prime cinque carrozze erano ferme sul binario a soli 30 metri dalla stazione Il treno trasportava circa 200 persone, tra cui un gruppo di 50 pellegrini diretti a Lourdes. Il bilancio finale della tragedia fu di 6 morti e più di settanta feriti, di cui molti in gravissime condizioni. Tutti i deceduti si trovavano tra la nona e l’undicesima carrozza.

Il misterioso sobbalzo era avvenuto nel breve tratto tra il cavalcavia delle Ferrovie Calabro Lucane e il gruppo di scambi all’ingresso in stazione di Gioia Tauro, a 750 metri dall’ingresso delle piattaforme di stazione. Il capotreno di allora Francesco Nazza confermò che fino a quel momento la marcia procedeva regolarmente, fatto supportato anche dalla testimonianza di due dei tre uomini in servizio a bordo che avevano percorso tutto il convoglio.

Subito dopo l’evento, il capostazione Teodoro Mazzù precisò di aver udito “un botto tremendo” e visto “una colonna di fumo che si è subito innalzata alta dal convoglio deragliato. Una scena apocalittica. Il caos più completo. I passeggeri si buttavano giù dalle vetture, cercavano spasmodicamente di afferrare i loro cari, avevano il viso annerito dal fumo e le carni straziate dalle lamiere.

Nonostante dalla ferrovia risultassero mancanti 1,8 metri di binario e nei mesi precedenti si fossero verificati attentati con dinamiche simili, inizialmente si parlò di un guasto meccanico o un errore umano. Il questore Santillo identificò le cause del deragliamento con «lo sbullonamento del carrello n°2 del corpo della nona vettura». Vi furono anche ipotesi riguardanti la pista dell’attentato, che però vennero ignorate in parte per fini politici: Santillo in un’intervista “a caldo” per il Corriere della Sera arrivò a chiedere «Per carità, non diffamiamo la Calabria!».

Ciò nonostante, l’ipotesi dell’attentato venne avanzata e sostenuta dalla maggior parte della stampa nazionale: il giornalista Mario Righetti del Corriere della Sera, specialista in tecnica ferroviaria, sostenne questa tesi dopo soli tre giorni, presto supportato anche da altre testate. Su L’Avanti addirittura si arrivò a citare il presunto rinvenimento di altro esplosivo, il 7 agosto.

Le indagini preliminari svolte dai marescialli Guido De Claris e Giuseppe Ciliberti quali membri del commissariato di Pubblica Sicurezza della direzione compartimentale delle Ferrovie dello Stato di Reggio Calabria stabilirono in un rapporto del 28 agosto che il fatto era dovuto a questioni tecniche, e considerarono anche la possibilità di responsabilità colpose per il personale in servizio allo scalo cittadino.

Ma il 16 giugno del 1993 due pentiti della ‘ndrangheta tra cui Giacomo Ubaldo Lauro davanti al Sostituto Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia di allora Vincenzo Macrì nell’ambito della maxi inchiesta Olimpia 1, dichiarò che nel 1970 in Calabria si erano formate alleanze strategiche tra criminalità organizzata, eversione nera e altri esponenti di diversi movimenti estremisti. Lauro dichiarò di avere avuto rapporti con Vito Silverini, un fascista esaltato vicino ai vertici del Comitato d’Azione che in quel periodo stava infiammando i moti di Reggio, nonostante fosse analfabeta. Lauro aveva assunto Silverini (noto come “Ciccio il biondo”) come operaio tra il 1969 e il 1970 e lo aveva reincontrato in carcere dopo essere stato arrestato per un furto alla Cassa di Risparmio di Reggio. Silverini non era nuovo all’esperienza carceraria, avendo già scontato alcuni mesi per violenze legate all’insurrezione cittadina. Nel carcere reggino Silverini e Lauro avevano condiviso la cella numero 10.

Silverini aveva confessato a Lauro di possedere una somma presso la Banca Nazionale del Lavoro pagatagli dal Comitato proprio per la bomba messa sulla tratta Bagnara – Gioia Tauro, che aveva causato il deragliamento del treno. Silverini aveva portato una carica di dinamite da miniera sul luogo insieme a Giovanni Moro e Vincenzo Caracciolo, nascondendola sull’Ape Piaggio di quest’ultimo, e l’aveva posizionata con un innesco a miccia a lenta combustione. Silverini si vantò con Lauro di essere sul posto sia al momento dell’esplosione («mi disse che l’attentato era avvenuto in ore diurne e cioè nel pomeriggio, tra le 16 o le 18, e questo aveva consentito a lui e a Caracciolo di osservare senza difficoltà dall’alto la scena») che all’arrivo del questore Santillo, e di aver assistito alle prime fasi dell’inchiesta sul campo: inoltre affermò di aver provocato con quella bomba la distruzione di 70 metri di ferrovia, fatto questo non corrispondente al vero. Lauro in seguito ripeté la sua deposizione a Milano, al giudice istruttore Guido Salvini che stava indagando sull’attività eversiva di Avanguardia Nazionale. Giacomo Ubaldo Lauro in un interrogatorio dell’11 novembre 1994 confessò di aver avuto parte nella vicenda, e di essere stato lui stesso a consegnare l’esplosivo a Silverini, Moro e Caracciolo. In cambio aveva ricevuto alcuni milioni di lire, provenienti dal Comitato d’azione per Reggio capoluogo.

 

 

 

Fonte:  fanpage.it/
Articolo del 29 marzo 2017
La strage di Gioia Tauro e i segreti d’Italia scoperti da cinque giovani anarchici
Un attentato dinamitardo, una rivolta che infuoca un’intera regione e cinque giovani che hanno scoperto segreti che possono “far tremare l’Italia”, morti in un misterioso incidente stradale. Questa la storia della Strage di Gioia Tauro.

Mercoledì, 22 luglio 1970. Sul direttissimo Freccia del Sud, Palermo -Torino, il treno del Sole che collega le due anime della penisola, ci sono circa 200 persone. Lavoratori pendolari che tornano su dopo un soggiorno in famiglia, un gruppo di pellegrini diretto a Lourdes, viaggiatori occasionali, tutti sono stipati in quei vagoni roventi del sole di luglio. Il viaggio è interminabile e con quei sobbalzi continui non si riesce neanche a dormire. Poi il treno subisce un sussulto più forte degli altri, molto più forte. Qualcosa non va. Il macchinista aziona il meccanismo di frenata di emergenza e si lancia dal locomotore. Le prime sei carrozze del treno – che correva a 100 chilometri orari – si arrestano schiacciandosi. La sesta deraglia, tirandosi dietro tutte le altre 12, il treno si spezza in due, due carrozze si rovesciano sulla massicciata. Alle 17 e 10, il Treno del Sole finisce il suo viaggio a Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, con 6 morti e 77 feriti.

Ore 17:08

Nelle case circostanti si sente la terra tremare, alcuni credono che sia il terremoto. Da lontano, guardando verso la stazione si vedono fiammate rosse alzarsi dalle carrozze. Dentro, c’è un cimitero di corpi straziati. I vigili del fuoco tentano di estrarli con la fiamma ossidrica, la scena è quella di un disastro. Si pensa subito a una disgrazia, un errore umano o una fatale avaria. Quella, però, è una città che dista pochi chilometri da Reggio Calabria, dove da sette giorni i cittadini insorgono contro la decisione di fare di Catanzaro e non Reggio il capoluogo di regione. Una scelta combattuta dalla popolazione che aveva fatto di Reggio un campo di battaglia, con barricate che chiudevano l’accesso alle strade, presidi e episodi di guerriglia urbana. Il 15 luglio ci scappa anche il morto: è Bruno Labate, iscritto alla CGL, muore sotto una carica dalla polizia. Al suo funerale la folla insorge di nuovo davanti alla Questura assaltano il palazzo, la quinta sezione della Mobile viene data alle fiamme. Il sindaco Battaglia e il gruppo della DC, che inizialmente avevano sostenuto e animato l’insurrezione, se ne dissociano e nasce il Comitato d’azione per Reggio Capoluogo, guidato da tre missini, Natino Aloi, Renato Meduri e Ciccio Franco, consigliere comunale in quota MSI e sindacalista Cisnal dei ferrovieri, che conia il claim ‘Boia chi molla’.

‘Gli anarchici della baracca’

In uno scenario simile, dopo i fatti di piazza Fontana, l’ipotesi che il deragliamento del treno del Sole fosse frutto di un’operazione di deliberato sabotaggio da parte dei rivoltosi di Reggio. Lo pensano i magistrati della Procura; lo sospettano i reggini che hanno alzato le barricate; i giovani anarchici, paladini della controinformazione, i cosiddetti Capelloni, tentano di scoprirlo. Tuttavia la parola ‘attentato’ non viene pronunciata in nessuna sede, neanche in quella di indagine della Polfer. Il capostazione e tre ferrovieri vengono indagati e subito viene archiviata la loro posizione. Anche se la perizia dei tecnici considera anche l’attentato dinamitardo, l’inchiesta si chiude. Solo quella della polizia, però. C’è un gruppo di attivisti reggini, noto come ‘Gli anarchici della baracca’, dal posto pittoresco e fatiscente in cui, studiavano e discutevano e abitavano, che riguardo alla strage guarda più lontano della polizia. Gianni Aricò, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso e Annalise Borth, peraltro testimoni a favore di Pietro Valpreda nell’inchiesta su piazza Fontana, hanno osservato da vicino la rivolta di Reggio documentando, con le macchine fotografiche, la presenza nelle barricate di neofascisti di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale.

“Abbiamo scoperto cose che faranno tremare l’Italia”

Nella baracca avevano raccolto del materiale sul disastro della Freccia del Sud, documenti delicati che era il caso di mostrare a un amico avvocato, Edoardo Di Giovanni, autore della controinchiesta sull’attentato di Milano. Li aspettava a Roma, dove i ragazzi erano diretti nella loro Mini minor carica di fascicoli, il 26 settembre del 1970, dove, sull’autostrada tra Ferentino e Frosinone, a 58 chilometri da Roma, si schiantano contro un camion parcheggiato sul ciglio della strada, coi fari spenti. I magistrati di Frosinone concludono che si è trattato di una disgrazia, eppure lo stato in cui viene ritrovata la Mini minor fa pensare alla presenza di un terzo veicolo. Un mezzo che potrebbe aver speronato l’auto dei ragazzi spingendola contro il rimorchio.

Il Golpe borghese

Pochi mesi dopo l’incidente e mentre in Reggio Calabria si combatte una vera e propria guerra civile, a Roma il principe nero Junio Valerio Borghese, sotto l’egida Fronte Nazionale marcia su Roma tentando il colpo di Stato. Secondo i piani dell’ex colonnello della X Mas, il golpe avrebbe portato all’assedio del Ministero dell’Interno, del Ministero della Difesa e delle sedi RAI. Il piano prevedeva anche la deportazione degli oppositori, il rapimento del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e l’assassinio del capo della polizia Angelo Vicari. Il colpo di Stato viene annullato dallo stesso Boghese, per motivi mai chiariti.

‘Una disgrazia’

“Abbiamo scoperto cose che faranno tremare l’Italia”, aveva confidato Gianni Aricò alla madre pochi giorni prima di morire e pochi mesi prima del Golpe Borhese. “È meglio che non faccia partire tuo figlio”, aveva detto un amico poliziotto al padre di Lo Celso, la sera prima della partenza. Impossibile non pensare che i ragazzi fossero in possesso di notizie riservate e delicatissime e che molto di quello che sapevano era custodito nel bagagliaio della Mini minor blu, che dopo l’incidente fu trovata completamente svuotata del carico di documenti. L’inchiesta viene ugualmente archiviata nel 1971, così come nello stesso periodo, grazie a un compromesso, viene deposta ogni rivendicazione dagli insorti di Reggio. Il presidente del consiglio Emillio Colombo annuncia in parlamento che l’università e il capoluogo resteranno a Cosenza e Catanzaro, ma in cambio Reggio diventerà il primo polo siderurgico, con un investimento di 10mila posti di lavoro. La polizia e l’esercito entrano in città per sgomberare le barricate. I moti, insanguinati da 28 attentati dinamitardi, hanno fatto decine di morti, centinaia di feriti.

La verità

Nel 1993 nell’ambito di una maxi inchiesta “Olimpia 1” sulla ‘Ndrangheta calabrese, il pentito Giacomo Lauro, dichiarò davanti al sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Vincenzo Macrì, di aver saputo nel 1979, in carcere, che era stato il neofascista Vito Silverini, a piazzare la bomba di Gioia Tauro su mandato del Comitato d’azione Reggio Capoluogo. Dichiarazioni confermate davanti al giudice istruttore Guido Salvini, che indaga anche sui fatti di piazza Fontana e suffragate dalla testimonianza di Carmine Dominici, neofascista di Avanguardia nazionale calabrese, ex faccendiere del marchese Felice Genoese Zerbi, dirigente di An. La rivolta calabrese, secondo le dichiarazioni del pentito, sarebbe stata armata dalla ‘Ndrangheta, che forniva il materiale esplodente e finanziata da facoltosi esponenti di Destra. Come ipotizzavano i cinque anarchici calabresi dietro la rivolta per Reggio Capoluogo c’era la longa manus della destra eversiva che, dalla capitale, controllava tutto. Nel luglio 1995 vengono indagati per concorso in strage l’armatore Amedeo Matacena senior, Angelo Calafiore, ex-consigliere provinciale missino di Reggio, Fortunato Aloi e Renato Meduri. Tutti vengono prosciolti.

L’epilogo

Lauro rivela che quello di Gioia Tauro sarebbe stato un attentato e che il materiale lo avrebbe procurato lui. La carica di esplosivo era stata sistemata sui binari, era esplosa prima del passaggio del convoglio, formando un fosso profondo diversi metri e causandone il deragliamento. Dominici aggiunse che nell’ambiente della malavita calabrese, della morte dei quattro ragazzi su parlava come di un omicidio. Dopo quarantasette anni i nomi di chi commissionò la strage restano ignoti. Fu uno dei tanti funesti episodio che hanno caratterizzato il periodo storico della strategia della tensione. Quanto alla tragica morte di quei quattro brillanti ventenni una sola cosa è certa: il camion parcheggiato era di proprietà di un’azienda del ‘principe nero’, Junio Valerio Borghese.

Le vittime della Strage di Gioia Tauro

Rita Cacicia

Rosa Fassari

Andrea Gangemi

Nicoletta Mazzocchio

Letizia Concetta Palumbo

Adriana Maria Vassallo

 

 

 

 

Diario Civile – Gioia Tauro: una strage dimenticata

Sono i giorni della contestazione e della violenza politica. Reggio Calabria rivendica il diritto di essere capoluogo di regione, con ogni mezzo, a ogni costo. E la destra, saldamente radicata in città, soffia sul fuoco della protesta.

Una ribellione estrema, durata a lungo, nel corso della quale accadono fatti gravi. Come il 22 luglio 1970, quando la “Freccia del Sud”, il treno da Palermo a Torino, all’altezza della stazione di Gioia Tauro deraglia spezzandosi in più punti. L’impatto provoca sei vittime e settantasette feriti.

Una tragedia che Rai Cultura ricorda nella puntata di “Diario Civile” dal titolo “Gioia Tauro: una strage dimenticata”, di Keti Riccardi, con un’introduzione del Procuratore Nazionale Antimafia, Franco Roberti.

Il caso, considerato disastro colposo, sembra definitivamente archiviato. Viene riaperto molti anni dopo grazie alle dichiarazioni di un pentito nell’ambito di una indagine sulla ‘ndrangheta calabrese che squarcia il velo di bugie, omissioni e depistaggi sul deragliamento del “Treno del Sole”.

Quello strano incidente ferroviario, avvenuto durante la rivolta di Reggio Calabria, in un territorio di mafie potenti e pervasive, è un atto doloso, riconducibile agli ambienti dell’estrema destra eversiva. Un disastro voluto, causato da una bomba posizionata sui binari della ferrovia.

Dice il magistrato Guido Salvini “Reggio Calabria e la Calabria erano un terreno fertile per l’eversione di destra e sono state una sorta di laboratorio di prova di azioni eversive che sono avvenute anche in altre parti d’Italia a cominciare ovviamente da p.zza Fontana”.

E aggiunge: “Per questo episodio, per Gioia Tauro è dunque disvelata, sia pur dopo trent’anni, la verità. Una verità che giunge tardiva, per la tardività delle notizie, e la deviazione delle indagini”.

L’attentato di Gioia Tauro entra così tristemente a far parte della lunga lista di stragi e depistaggi che caratterizzano gli anni della strategia della tensione e costellano di lutti la storia d’Italia.

Conclude Tonino Perna, docente di Sociologia economica all’Università di Messina: “Una piccola storia locale si aggancia alla storia nazionale, perché serve una Reggio nera da contrapporre a una Milano rossa, serve una Reggio in guerra con morti e feriti per dire che ci vuole l’uomo forte che risolve il problema di un paese ingovernabile”.

 

 

 

Dal libro: Dead Silent  Life Stories of Girls and Women Killed by the Italian Mafias, 1878-2018 di Robin Pickering Iazzi University of Wisconsin-Milwaukee, rpi2@uwm.edu

 

 

 

 

Fonte:  occhionotizie.it
Articolo del 22 luglio 2019
Il 22 luglio del 1970 si ricorda la strage di Gioia Tauro, un deragliamento del Freccia Sud Palermo – Torino
di Antonio Bassano
La strage di Gioia Tauro venne causata dal deragliamento del treno direttissimo Palermo-Torino (detto treno del Sole) del 22 luglio del 1970

La strage di Gioia Tauro venne causata dal deragliamento del treno direttissimo Palermo – Torino (detto treno del Sole) del 22 luglio del 1970, avvenuto a poche centinaia di metri dalla stazione di Gioia Tauro. La sentenza della corte di Assise di Palmi n 3/96 del 27/2/2001 individua come responsabili tre esponenti di Avanguardia Nazionale: Vito Silverini, Vincenzo Caracciolo e Giuseppe Scarcella. Tuttavia, le cause non vennero mai accertate.

22 luglio 1970: Strage di Gioia Tauro

La strage di Gioia Tauro venne causata dal deragliamento del treno Freccia Sud direttissimo Palermo – Torino, verso le ore 17:00 del 22 luglio 1970, a poche centinaia di metri dalla stazione di Gioia Tauro (RC). Questo incidente causò il deragliamento di numerose vetture del treno sopracitato. Il disastro provocò la morte di sei persone – che si stavano recando a Lourdes – e il ferimento di altre 70 (circa).

Le indagini

Nella prima fase delle indagini, si ritenne che il fatto fosse stato dovuto al cedimento strutturale di un carrello del treno; più tardi, alla negligenza del personale che era alla sua guida. Solo molti anni dopo le sentenze attribuirono il dramma a un attentato dinamitardo, compiuto collocando esplosivo sui binari ferroviari e accettando «il rischio del deragliamento e delle sue conseguenze mortali».

Sentenzieranno su una presunta combine tra elementi della criminalità organizzata e frange dell’estremismo di destra che – a detta degli atti – avevano ideato e organizzato azioni dirette a colpire le vie di comunicazione e gli elettrodotti realizzando oltre quaranta attentati a tralicci, rotaie e stazioni ferroviarie.

Due di questi interessarono anche la linea ferroviaria Gioia Tauro – Villa San Giovanni, appena qualche mese dopo la strage sulla Freccia del Sud. Anche per ragioni strettamente procedurali o per la morte di alcuni imputati, i processi celebrati in relazione all’attentato del 22 luglio 1970 non hanno condotto alla condanna degli esecutori materiali e dei presunti mandanti.

La prima istruttoria del 1974

Il 30 maggio 1974 il giudice istruttore scagionò i dipendenti delle Ferrovie dello Stato precedentemente accusati per errori nel servizio con la decisione di “non luogo a procedere” per “non aver commesso il fatto”. L’inchiesta si chiuse lasciando l’attentato dinamitardo come semplice ipotesi, per quanto la più probabile. Ipotesi “destinata a restare nel limbo delle congetture“, in quanto «non è agevole ritenere, alla luce dell’umana esperienza, che la detonazione prodotta dalla carica esplosa sul binario nel pomeriggio del 20 luglio 1970 in prossimità della stazione ferroviaria di Gioia Tauro».

Questa sentenza suscitò scalpore all’epoca poiché di fatto ammetteva la possibile esecuzione di un attentato ma non stabiliva l’apertura di un fascicolo a carico di ignoti per capire chi ne fosse responsabile. L’anno precedente un volantino datato 17 maggio 1973 era stato recapitato alla procura di Salerno da parte del circolo anarchico “Bielli”, in cui si denunciava un tentativo di occultamento delle responsabilità dei gruppi missini e fascisti nella strage, tentativo operato dalle stesse forze dell’ordine.

Nello stesso si sosteneva anche che l’incidente in cui persero la vita i cosiddetti “anarchici della Baracca” e la sparizione dei loro documenti fossero ricollegabili alla strage, sulla quale i cinque ragazzi avevano indagato. La Corte di Assise di Palmi nel 2001 stabilì che le indagini iniziali furono palesemente insufficienti, tanto che «all’origine non si percepì neppure la natura dolosa di quello che venne, infatti, considerato come un disastro colposo».

La riapertura nel 1993

A partire dal 16 giugno 1993 due pentiti della ‘Ndrangheta cominciarono a deporre le proprie testimonianze di fronte al Sostituto Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia Vincenzo Macrì nell’ambito della maxi inchiesta Olimpia 1, volta a far emergere la rete di rapporti tra politica e criminalità organizzata in Calabria. Stando alle loro affermazioni, nel 1970 in Calabria si erano formate alleanze strategiche tra criminalità organizzata, eversione nera e altri esponenti di diversi movimenti estremisti. Uno dei due era Giacomo Ubaldo Lauro che sarebbe divenuto un testimone chiave nella vicenda dell’attentato di Gioia Tauro.

La testimonianza di Lauro

Lauro dichiarò il 16 giugno 1993 di avere avuto rapporti con Vito Silverini, un fascista esaltato vicino ai vertici del Comitato d’Azione che in quel periodo stava infiammando i moti di Reggio, nonostante fosse analfabeta. Lauro aveva assunto Silverini (noto come “Ciccio il biondo”) come operaio tra il 1969 e il 1970 e lo aveva reincontrato in carcere dopo essere stato arrestato per un furto alla Cassa di Risparmio di Reggio. Silverini non era nuovo all’esperienza carceraria, avendo già scontato alcuni mesi per violenze legate all’insurrezione cittadina. Nel carcere reggino Silverini e Lauro avevano condiviso la stessa cella. Silverini aveva confessato a Lauro di possedere una somma presso la Banca Nazionale del Lavoro pagatagli dal Comitato proprio per la bomba messa sulla tratta Bagnara – Gioia Tauro, che aveva causato il deragliamento del treno.

Lauro in seguito ripeté la sua deposizione a Milano, al giudice istruttore Guido Salvini che stava indagando sull’attività eversiva di Avanguardia Nazionale. Giacomo Ubaldo Lauro in un interrogatorio dell’11 novembre 1994 confessò di aver avuto parte nella vicenda, e di essere stato lui stesso a consegnare l’esplosivo a Silverini, Moro e Caracciolo. In cambio aveva ricevuto alcuni milioni di lire, provenienti dal Comitato d’azione per Reggio capoluogo.

La testimonianza di Lauro venne confermata il 30 novembre 1993 da un altro pentito, Carmine Dominici, esponente di punta di Avanguardia Nazionale a Reggio Calabria fra il 1967 ed il 1976. Dominici era anche stato uno degli uomini di fiducia del marchese Felice Genoese Zerbi, proprietario di numerose terre, ma soprattutto dirigente di Avanguardia Nazionale. L’istruttoria iniziata nel luglio 1995 si concluse con il proscioglimento di tutti i finanziatori e i mandati politici accusati.

Processo

In seguito alle deposizioni dei pentiti la Corte d’Assise di Palmi nel febbraio 2001 emise una sentenza di condanna per gli esecutori della strage, compiuta con esplosivo. Vito Silverini, Vincenzo Caracciolo e Giuseppe Scarcella, imputati riconosciuti colpevoli erano però tutti e tre già deceduti. Vennero aperte nuove inchieste sui presunti mandanti.

All’atto della chiusura del processo per la strage, nel gennaio 2006, l’unica condanna emessa nei confronti di uno dei coinvolti ancora vivente fu quella di “concorso anomalo in omicidio plurimo” a carico di Lauro: reato estinto per prescrizione.

 

 

Video RAI : Blu notte

raiplay.it/video
Blu notte Caso Gioia Tauro
47 min
Per quasi trent’anni il disastro ferroviario di Gioia Tauro (6 vittime e più di 50 feriti), avvenuto il 22 luglio 1970 in Calabria, è stato considerato un incidente. L’anno passato, per la prima volta, nel Giorno della memoria in ricordo delle vittime del terrorismo e delle stragi, il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha inserito la strage di Gioia Tauro nella tragica lista degli episodi eversivi, riconducendola alla “strategia della tensione” a cui parteciparono anche forze mafiose. A questo episodio è anche legata la misteriosa morte di cinque ragazzi anarchici che avevano raccolto un dossier di controinformazione sul disastro.

 

 

 

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51 anni fa la strage di Gioia Tauro: tutte le tragedie dimenticate in Calabria
di Arcangelo Badolati

 

 

 

 

 

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