22 luglio 1990 Melfi (PZ). Antonio Cezza, 26 anni, brigadiere dei Carabinieri, ucciso nel tentativo di sedare una rissa.
Antonio Cezza brigadiere rimase ferito alla testa nel tentativo di sedare una rissa anche se non si trovava in servizio. Si trovava a Melfi (PZ), nei pressi della villa comunale quando intervenne per evitare che la situazione degenerasse alla presenza di un pregiudicato armato di fucile la sera del 17 luglio 1990. Antonio Cezza morì, a soli 26 anni, a seguito delle ferite riportate nell’ospedale di Potenza. Ha ottenuto la medaglia d’argento al valor militare alla memoria.
Fonte: vivi.libera.it
Fonte: cursisalento.it
Cursi, 15/02/1964 – Potenza, 22/07/1990
Il Brigadiere Antonio Cezza, il 17 luglio del 1990 venne gravemente ferito alla testa a Melfi, nei pressi della villa Comunale, da un pregiudicato armato di fucile.
Morì cinque giorni dopo all’ospedale San Carlo di Potenza, all’età di 26 anni.
Medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione:
Sottufficiale addetto a nucleo operativo e radiomobile di Compagnia, appreso che in giardini pubblici della sede era in atto una grave rissa, sebbene libero dal servizio e in abiti civili interveniva prontamente insieme ad altri militari. Intercettato noto pregiudicato armato di fucile e in atteggiamento minaccioso lo affrontava con grande sprezzo del pericolo precedendo i commilitoni. Veniva ferito mortalmente dalla proditoria e ravvicinata azione di fuoco da parte del malvivente a cui aveva intimato la resa. Fulgido esempio di elette virtù militari, altissimo senso del dovere e di generoso altruismo spinti fino al supremo sacrificio.
A Trani gli è stata intitolata una piazza, una scuola elementare e una caserma. A Tricase una strada e a Melfi una stele commemorativa.
Il 24 ottobre 2015, nel 25° anniversario della morte, con una Cerimonia solenne, il Comune di Cursi ha intitolato al Brigadiere Antonio Cezza un parco della cittadina e posato una stele in pietra leccese dedicata all’Arma dei Carabinieri.
Fonte: vivi.libera.it
Articolo del 21 luglio 2019
Antonio Cezza, storia di un ragazzo per bene
di don Marcello Cozzi
Erano i mesi a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta. Nel vulture-melfese, zona a nord della Basilicata, le cosche si facevano guerra fra di loro, ma non faceva notizia, perché i clan Delli Gatti e Petrilli non avevano nomi altisonanti come se fossero stati Riina o Bagarella. Eppure estorcevano, seminavano terrore, si uccidevano. Uccidevano.
Lo stabilimento della Fiat si insedierà tra il 1991 e il 1992 in questo fazzoletto di terra lucana che si incunea tra la Campania e la Puglia, amplificando inevitabilmente gli appetiti criminali delle cosche campane, ma anche quelle calabresi e un po’ meno i pugliesi. I lucani non volevano essere da meno a nessuno, e a nessuno che proveniva da fuori potevano permettere di venire in Basilicata a imporre il proprio marchio di fabbrica criminale. E così ogni occasione era buona per far capire chi erano, chi comandava, a chi bisognava dar conto.
La sera del 18 luglio 1990, verso le 21, una telefonata ai Carabinieri di Melfi segnala una rissa nella Villa comunale. Nella pattuglia che per prima arriva sul posto c’è un Brigadiere pugliese, originario di Cursi, paesino in provincia di Lecce; si chiama Antonio Cezza, è giovanissimo, ha 26 anni. Appena arriva sul posto si trova dinanzi a Domenico D’Alfonso, affiliato a un clan locale, che stringe fra le mani un fucile calibro 16.
Antonio non fa neanche in tempo ad intimargli di consegnargli il fucile che viene raggiunto da una scarica di pallini che lo colpiscono in pieno volto. Nel conflitto a fuoco che segue con i carabinieri D’Alfonso resterà ferito, Cezza invece verrà trasportato all’ospedale di Potenza dove morirà dopo cinque giorni di agonia.
Antonio verrà riconosciuto come vittima del dovere ma non della mafia, forse perché il killer non era affiliato a Cosa Nostra, neanche alla ‘Ndrangheta, o forse perché la Basilicata non è la Sicilia e neanche la Calabria. Ma poco conta: per noi è vittima innocente di una guerra che anche in Basilicata ha fatto martiri. In silenzio.
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Articolo del 22 luglio 2020