22 maggio 1956 Campofiorito (PA). Assassinato Vincenzo Leto, contadino e militante politico.
Vincenzo Leto – 22 maggio 1956 – Campofiorito (PA)
da “Osservatorio per la Legalità e la Sicurezza”
53 anni, ex consigliere comunale di Campofiorito (PA), già presidente della locale cooperativa agricola, militante comunista. Passa la serata ad ascolatre i comizi del sindaco uscente capolista della DC alle imminenti elezioni municipali, della baronessa Maria Antonietta Lasagna e del candidato di sinistra che si alternano nella piazza gremita del paese.
Alle 11:00 si allontana per rincasare, in contrada Conte Ranieri, nei pressi della stazione ferroviaria: a 800 metri dall’abitazione, dove lo aspettano la moglie e i 2 figli, i sicari aprono il fuoco da dietro un muretto. Raggiunto da 2 colpi di lupara alle gambe, si accascia. Gli assassini gli sparano altre 2 fucilate al viso.
Le modalità fanno escludere la rapina: gli troveranno in tasca 40.000 lire frutto della vendita di un carico di fave. Esclusa la vendetta personale.
Fratello del segretario di Sezione, un artigiano capolista del PCI alle amministrative, in una zona dove i grandi proprietari e i mafiosi hanno impedito la distribuzione delle terre ai contadini poveri, è ucciso con le stesse forme efferate usate 9 mesi prima con Salvatore Carnevale e Giuseppe Spagnolo. Il delitto rimarrà impunito.
Fonte: Io Non Dimentico 2 – Vittime di Cosa Nostra
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 24 maggio 1956
Ucciso a tradimento come Carnevale un contadino comunista a Campofiorito
di Aldo Costa
Si tratta di Vincenzo Leto, fratello del segretario della sezione, valoroso combattente per la riforma agraria – La posizione della baronessa Lasagna, capolista della DC, venuta la sera in paese con la sua corte di mafiosi.
CAMPOFIORITO (Palermo) 23. — Anche in questa campagna elettorale, come lo scorso anno, il sangue di un contadino, militante democratico è stato versato nelle terre del feudo.
Con quattro colpi di fucile è stato ucciso questa notte, a Campofiorito, il compagno Vincenzo Leto, di 54 anni, attivista comunista, ex consigliere comunale, ex presidente della locale cooperativa agricola, fratello del segretario della sezione del PCI che è anche capo della lista delle sinistre.
Il cadavere è stato rinvenuto questa mattina alle ore 8.30 a 800 metri dalla sua abitazione, in contrada Conte Ranieri, distante quasi tre chilometri dall’abitato, nei pressi della stazione ferroviaria. Giaceva bocconi tra i cespugli che fiancheggiano la strada.
Gli assassini hanno usato fucili calibro 16 a proiettili a “lupara”: grossi pallettoni di piombo, buoni per uccidere i lupi. Raggiunto da due fucilate al petto, Vincenzo Leto è caduto a terra agonizzante. Gli assassini lo hanno finito sparandogli altri due colpi al viso a bruciapelo.
È stato ucciso allo stesso modo del compagno Carnevale a Sciara e del compagno Spagnolo a Cattolica Eraclea. È una tecnica che rivela inconfondibilmente la mano dei sicari della mafia.
Vincenzo Leto lavorava come dipendente nell’azienda del cavaliere Dara. Era un uomo che tutti rispettavano e il suo comportamento, per unanime ammissione, non gli aveva creato alcuna inimicizia. Tornato da Palermo, dove si era recato per vendere un carico di fave, Leto si era fermato nel pomeriggio di ieri a Campofiorito. Si era intrattenuto in piazza con compagni ed amici per ascoltare prima un comizio della baronessa Maria Antonietta Lasagna, sindaco uscente e capolista della DC, e poi uno del compagno socialista Sparacio.
Alle 22.30 era ancora in paese. Con lui, a quell’ora, parlò il brigadiere dei carabinieri. Lasciò Campofiorito dopo le 23 per raggiungere la contrada Conte Ranieri dove lo aspettavano la moglie e i due figli. Gli assassini lo attendevano al varco. Era già in vista della sua casa quando fu ucciso.
Quali i moventi del nuovo delitto consumato, come quello di Carnevale, alla vigilia di una consultatone elettorale? A Campofiorito escludono la vendetta personale: Vincenzo Leto non aveva nemici e se ne avesse avuti non sarebbe stato così ingenuo da andarsene in giro di notte, solo e senza armi. Il delitto invece si inquadra nella lotta elettorale dura e serrata che a Campofiorito è essenzialmente lotta per la terra.
In questo principale centro del Corleonese di duemila anime, teatro ed epicentro delle lotte per la terra, le forze popolari che nelle elezioni regionali del ’55 ottennero una maggioranza assoluta hanno la certezza di conquistare il 27 maggio il Comune, che essi hanno amministrato fino al ’52 strappandolo alla DC e alla baronessa Lasagna.
In questi ultimi 4 anni lo ha governato la baronessa all’insegna della più strenua difesa dei suoi interessi di proprietaria terriera.
Le voci che corrono sulla baronessa Lasagna ne fanno una donna senza scrupoli. Rimasta vedova due volte si è circondata di una corte di mafiosi. Tre suoi amministratori sono morti di morte violenta nell’immediato dopoguerra: ha resistito a quel posto per dieci anni e vi resiste tuttora certo Governale da Corleone.
In quattro anni di amministrazione la baronessa Lasagna è riuscita ad eludere l’applicazione della legge di riforma agraria e avvalendosi di larghe e potenti amicizie è riuscita ad evitare che le sue terre fossero scorporate.
Perdere il Comune significa la fine di questo privilegio. E ieri sera la baronessa ha lasciato la sua casa di Palermo ed è corsa a Campofiorito per rispondere a un volantino distribuito dalla lista di sinistra in cui si denunciava che non erano stati assegnati 85 ettari di sua proprietà scorporati già da tempo, né altri 45 appartenenti a una sua nipote e pure scorporati fin dal 1953.
La baronessa Lasagna è arrivata a Campofiorito al volante della sua Fiat 1900. Era con lei, a bordo di una 1100, l’amministratore Governale, altro individuo conosciuto negli ambienti mafiosi di Corleone. Ha parlato dal palazzo municipale con tono duro, particolarmente aggressivo, tentando di respingere le accuse, cercando di giustificare il suo operato. I mafiosi in prima linea battevano le mani.
Poi la baronessa è ripartita. Poche ore dopo Vincenzo Leto è stato ucciso.
Questa mattina una guardia municipale ha detto di avere visto «facce forestiere sospette» tra la folla del comizio. Tale circostanza è stata confermata dal brigadiere dei carabinieri all’on. Michele Sala.
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 26 maggio 1956
La D.C. non osa difendere dal sospetto la baronessa capolista a Campofiorito
di Aldo Costa
Con l’assassinio di Vincenzo Leto, si è voluto colpire una famiglia di militanti, nota per la sua fedeltà al P.C.I. – Non regge l’ipotesi di una vendetta personale – Le indagini dei C.C.
CAMPOFIORITO. 25 — Il più fitto riserbo circonda le indagini che i carabinieri conducono sulla barbara uccisione del compagno Vincenzo Leto. Ieri il sostituto procuratore della Repubblica, recatosi a Campofiorito, ha proceduto ad un sommario interrogatorio dei familiari. Non si hanno notizie né di altri interrogatori, né tanto meno di fermi. appare evidente che le autorità inquirenti brancolano nel buio affrettandosi – secondo quanto pubblica oggi il Giornale di Sicilia – a orientarsi verso la vendetta personale.
E ciò, aggiunge il quotidiano governativo, «in relazione all’attività svolta dall’ucciso quale campiere del cav. Dara e forse anche per rivalità di mestiere e essendo molti coloro che speravano di soppiantare il Leto in quell’incarico di fiducia».
Non sappiamo se si tratta di una illazione del Giornale di Sicilia o di un suggerimento piovuto dall’alto. Nell’un caso o nell’altro le affermazioni trovano piena smentita nei fatti. L’attività svolta dal compagno Leto non ebbe mai a suscitare malcontento o rivalità di sorta, lo hanno dichiarato i familiari, lo hanno confermato quanti a Campofiorito conoscevano o avevano rapporti di affari o di amicizia col nostro compagno.
Ma quel che più conta, lo ha dichiarato lo stesso cav. Gabriele Dara, in maniera chiara ed esplicita.
Ma là dove il Giornale di Sicilia rivela chi sono i suoi ispiratori, è quando afferma che «l’ipotesi del movente politico si appalesa inconsistente in quanto l’iscrizione di Vincenzo Leto al PCI si sarebbe limitata ad un breve periodo e risalirebbe a molti anni addietro» e sottolinea che l’attenzione degli investigatori «si è rivolta all’esame dei precedenti del Leto, affatto chiari essendo stato egli parecchio tempo addietro accusato di alcuni reati dai quali però era stato prosciolto».
Il compagno Vincenzo Leto, ed è notorio a Campofiorito, militava nelle file del nostro Partito, di cui era un fervente e coraggioso attivista, come del resto lo sono stati e lo sono tuttora i suoi fratelli Antonino, segretario della sezione, Giovanni e Giuseppe.
Per quel che riguarda i precedenti, il compagno Leto ebbe a subire due procedimenti, l’uno nel 1926 e l’altro nel 1932 dai quali venne assolto. Non si riesce a capire quindi cosa le autorità vogliano ricavare da un’indagine su avvenimenti vecchi di 24 anni, quando il compagno Leto ha mantenuto una condotta esemplare di onesto e probo cittadino riscuotendo stima unanime a Campofiorito, come ha ammesso lo stesso brigadiere dei carabinieri.
Sarebbe da accertare piuttosto — e non risulta che sia stato fatto — come giunsero a Campofiorito la sera del delitto i due sconosciuti che si avvicinarono al compagno Leto e lo fissarono a lungo, quasi ad imprimersene bene la fisionomia.
Quel giorno, come è noto, la baronessa Maria Antonietta Lasagna tenne a Campofiorito il suo primo ed ultimo comizio della campagna elettorale. Toccata sul vivo dalle documentate accuse contenute nel manifesto lanciato dalla lista di sinistra, la nobildonna lascia la sua casa di Palermo e si precipita a Campofiorito al volante della sua Alfa Romeo 1900.
Seguiva la grossa auto nera una 1100. Con la baronessa era il suo amministratore, il ben noto Nino Governale, un suo zio e tre o quattro individui di Corleone.
Come giunsero quella stessa sera a Campofiorito i due sconosciuti che l’opinione pubblica ormai identifica nei sicari che stroncarono vigliaccamente la vita di Vincenzo Leto? In macchina? In corriera? A piedi senza essere visti da nessuno?
Molti sono i punti oscuri della vicenda, ma chiaro è lo sfondo in cui essa è nata e chiari i moventi che hanno ispirato il delitto attraverso cui, come ieri a Sciara uccidendo Salvatore Carnevale si è cercato di puntellare il cadente edificio del privilegio e dello strapotere, di sbarrare la strada al progresso e all’avanzata dei lavoratori.
Ed è da segnalare infine il silenzio dell’organo ufficiale della DC che non ha ritenuto spendere una sola riga di piombo a difesa della baronessa Maria Antonietta Lasagna, che pure a Campofiorito è a capo della lista dello scudo crociato.