22 ottobre 1971 Marsala (TP). Rapite Antonella Valenti, 11 anni, Virginia e Ninfa Marchese, nove e sette anni. Ritrovati i loro corpi, processato il reo confesso, ma la verità sul motivo di questi efferati delitti non è mai venuto alla luce.
Il 22 ottobre del 1971 tre bambine spariscono a Marsala. Si tratta di Antonella Valenti, undici anni, Virginia e Ninfa Marchese, nove e sette anni. Con la denuncia della loro scomparsa si apre uno dei casi di cronaca nera più inquietanti della storia del dopoguerra, conosciuto anche come “il caso del mostro di Marsala”. Il giudice Cesare Terranova emette il mandato d’arresto per Michele Vinci, zio di Antonella, che durante l’interrogatorio confessa di aver rapito le bambine per stuprare una di loro e di aver gettato Ninfa e Virginia in una cava all’interno di un terreno di proprietà di Giuseppe Guarrato, dove effettivamente verranno ritrovate il 9 novembre. Durante il processo, tuttavia, emergono parecchi dubbi sulle dichiarazioni fatte da Vinci, e si profila la possibilità che abbia avuto uno o più complici. Antonella sarebbe stata rapita e uccisa perché suo padre, Leonardo Valenti, aveva fatto uno sgarro a Cosa nostra. Lo stesso Paolo Borsellino riaprirà le indagini nel 1989, archiviate per mancanza di prove.
Fonte: vivi.libera.it
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 23 ottobre 1971
Tre bambine scomparse
Ore di ansia in tutta la città
Le piccole avevano accompagnato a scuola una loro cuginetta – Non sono più tornate a casa da oltre 36 ore – Affannose ricerche della polizia.
Marsala (Trapani) 22. Tre bambine, Antonella Valenti di nove anni e le sorelline Gina e Ninfa Marchese rispettivamente di nove e sette anni sono scomparse dal primo pomeriggio di ieri dalle loro abitazioni. Le piccole che abitavano nella palazzina “F” delle case popolari di via Circonvallazione avevano accompagnato una loro cuginetta fino alle scuole elementari di piazza Caprera da dove sarebbero dovute tornare a casa.
L’allarme è stato dato a sera dai familiari che preoccupati per la lunga assenza delle bambine dopo una ricerca presso i parenti hanno informato il commissariato di pubblica sicurezza.
Alle ricerche partecipano polizia, carabinieri, vigili urbani e numerosi volenterosi.
Fino al primo pomeriggio dopo quasi venti ore di affannose ricerche non si era ancora avuta notizia delle tre piccole. Ninfa Marchese indossa uno scamiciato rosa, è alta circa un metro e venti, è esile e ha i capelli castani tagliati corti; la sorellina Gina ha un vestitino con strisce bianche, è piuttosto robusta di corporatura; Antonella Valenti è vestita di rosso, è alta sul metro e venticinque centimetri e ha capelli biondi corti e ricci.
I genitori di Antonella Valente, Leonardo di 35 anni e Maria di 30 sono emigrati in Germania dove lavorano a Baden, per cui la bambina vive con i nonni insieme con altre tre sorelle e un fratello. Invece Gina e Ninfa Marchese (i genitori sono Paolo, di 33 anni, falegname bottaio, e Laurina Patti) hanno due sorelle e un fratello.
Nuove battute sono state organizzate dalle forze di polizia vi prendono parte anche decine di volenterosi fra cui molti amici e parenti dei Valente e dei Marchese. In complesso si tratta di non meno di duecento persone che stanno percorrendo palmo a palmo la vasta periferia a nord di Marsala dove peraltro si trovao parecchi luoghi isolati e molte cave di tufo abbandonate da tempo.
Alle battute partecipano anche cani poliziotto fatti giungere nella mattinata dal centro cinofilo di Villagrazia di Carini.
La notizia si è sparsa in un baleno a Marsala destando viva apprensione.
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 24 ottobre 1971
Alla ricerca delle tre bambine scomparse si è mobilitata tutta la città di Marsala
di Aldo Liparoti
Nella generosa gara di solidarietà la dura realtà di un paese d’emigranti.
Mancano oramai da tre giorni – I genitori della maggiore accorrono da Baden – Nessuna traccia valida – Si fruga dal mare all’entro-terra – Il dolore dei parenti – Le ricerche cominciate con quindici ore di ritardo – Su 85 mila abitanti ben 20 mila lavorano all’estero.
Marsala (Trapani), 23. Nessuno sa dire che cosa sia loro accaduto. È questa l’unica straziante costatazione sulla scomparsa delle tre bambine di Marsala, uscite dalla loro abitazione alle 14 di giovedì per non farvi ritorno. Antonella Valenti e Ninfa Marchese – entrambe di otto anni — e la sorellina di quest’ultima, Virginia, di appena 6 anni non hanno lasciato traccia. Le tre amichette (che abitano nello stesso lotto di case popolari alla circonvallazione della cittadina) erano uscite da casa dopo pranzo, prima di mettersi a studiare, per accompagnare alla vicina scuola elementare Pestalozzi la sorellina della piccola Valenti, Liliana. Solo una coetanea, Giuseppina Lombardo le ha incontrate («Non ho visto nulla di strano però» ha poi detto) di ritorno da scuola. Volatilizzate in tre in pieno giorno in una zona trafficatissima. Sono questi i pochi assurdi elementi su cui incessantemente si lavora, battendo palmo a palmo tutti i dintorni di Marsala e ormai l’intera provincia di Trapani; ogni anfratto ogni macchia di cespugli, tutti i pozzi, le grandi cave di tufo e adesso anche il tratto di mare sulla costa dove sfociano — creando vorticose correnti — numerosi canali. Tutto dovunque è frugato con minuzia e trepidazione. Una imponente mobilitazione anche e soprattutto cittadina di volontari di centinaia di studenti che stamani, come già ieri, si sono presentati in Comune per aiutare le 40 squadre di ricerca formate da poliziotti, carabinieri, civili, dai cani del centro cinofilo di Villagrazia vicino Palermo. Tutti insieme in una straordinaria prova di solidarietà, lottando contro il tempo per non arrivare troppo tardi, mentre elicotteri scrutano dall’alto il territorio. Niente c’è da impazzire.
Nelle abitazioni delle due famiglie sconvolte regna una disperazione silenziosa e profonda. Non ci si può capacitare di quanto sta accadendo. Paolo Marchese — un povero disoccupato di 33 anni che non sa più come far crescere i suoi bambini e che manda a scuola Ninfa e Virginia con inauditi sacrifici — è inebetito. Si stringe vicino la moglie Caterina (in avanzata gravidanza) e gli altri suoi tre figlioletti «Non uscivano mai di casa, dove sono? Perché non tornano?» E con il viso fra le mani non ha il coraggio di resistere agli sguardi disperati di chi gli sta accanto, piange.
Sono intanto attesi da un momento all’altro i genitori di Antonella Valenti, da qualche anno andati in cerca di lavoro a Baden in Germania, dove vivono con il figlio maggiore. Altri quattro loro bambini, tra cui la piccola scomparsa, sono rimasti a Marsala con i nonni materni annientati ora dal dolore e dal peso di una responsabilità che li opprime. I Valenti saranno sicuramente ricevuti stasera dal procuratore della Repubblica di Marsala dott. Terranova che si è incaricato della direzione e del coordinamento delle ricerche.
Le ipotesi sulla sorte delle piccine sono tante, troppe, ma nessuna è avvalorata dal benché minimo indizio e in effetti non resta che dare sfogo alla fantasia. Si è concordi nel ritenere assolutamente da scartare (e persino ridicolo pensarlo) la strada del sequestro per estorsione. Che cosa si può chiedere a povera gente che per tirare a stento la giornata è dovuta persino emigrare? E così pure quella della vendetta. I Marchese e i Valenti sono conosciuti come «gente buona» e nessuno ha mai covato rancore nei loro confronti. Un maniaco? Dei vagabondi? O forse una atroce disgrazia? Tutto è possibile.
Così in questo buio pesto non rimane che cercare senza rassegnarsi un solo istante, come tutta Marsala sta facendo. Un impeto di generosità ha portato i cittadini a raccogliersi attorno l’altoparlante da cui un uomo invocava alla mobilitazione, a recarsi in Comune dove è stato distribuito del materiale per le ricerche mentre la giunta di sinistra metteva a disposizione il corpo dei vigili urbani e tutto quanto potesse occorrere. Una grande prova di coscienza sociale e di solidarietà in una città dove la tragedia di due famiglie è diventata quella di tutti.
Non è una generosità generica, ognuno si riconosce nei Valenti. Espulsi dalla loro terra alla ricerca davvero di un tozzo di pane, sono stati costretti lontani da quella bambina che non sanno più dove sia finita, perché non sia più tornata nella sua povera abitazione di periferia. I Valenti sono il simbolo di quasi ventimila emigrati in un decennio. Per lo meno la metà di costoro hanno lasciato quaggiù, da dove dicono che sia partita «l’unificazione» dell’Italia, bambini, vecchi genitori e mogli. Ventimila e Marsala conta 85 mila abitanti.
Di questa ansia, di questo dolore di tutti si è fatta interprete l’amministrazione unitaria di sinistra, che proprio domani doveva festeggiare con una grande manifestazione popolare la vittoria di due anni fa, quando il Comune venne conquistato dai partiti popolari. La festa non ci sarà più. Ci sarà quando le piccine ritorneranno a casa. Per ora tutti pensano a rimboccarsi le maniche facendosi coraggio.
Stasera il consiglio comunale è riunito in permanenza nel tentativo di predisporre qualsiasi provvedimento che possa servire a trovare Antonella, Ninfa e Virginia.
Il compagno on. Giuseppe Pellegrino, vicesindaco della città, ha riferito al consiglio sull’andamento delle ricerche e ha tra l’altro dichiarato «Le indagini sono partite certamente con un ritardo eccessivo, che senza dubbio ha compromesso il buon esito potenziale della ricerca stessa. Da quando è stato dato l’allarme alla polizia, alle ore 17 della sera di ieri l’altro a quando la macchina dello Stato ha cominciato a funzionare a pieno regime sono trascorse almeno quindici ore assolutamente preziose, durante le quali porti, aeroporti, strade, stazioni ferroviarie, sono rimaste sguarnite di quella vigilanza assidua che doveva fare riferimento alla scomparsa delle tre bambine. Stamane invece le indagini sono scattate in forma massiccia con quello spiegamento che avremmo preteso di vedere in azione fino dalla primissima sera di giovedì scorso».
«Se così fosse stato — ha detto ancora Pellegrino – forse oggi avremmo indizi consistenti, potremmo indirizzare il xxxx investigativo su una pista precisa»
Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 27 ottobre 1971
Rapite giovedì scorso a Marsala
Seviziata e bruciata una delle tre bimbe
di Antonio Ravidà
Aveva nove anni – È stata strangolata e data alle fiamme – Il cadavere è stato trovato ieri – Orrore ed esecrazione ovunque Centinaia di agenti, carabinieri e civili battono le campagne Angoscia per la sorte delle altre due.
Marsala, 26 ottobre. Un altro atto della tragedia delle tre bambine rapite a Marsala nel primo pomeriggio di giovedì s’è compiuto questa mattina qualche minuto prima di mezzogiorno. In aperta campagna, a sei chilometri dalla città, in una scuola rurale abbandonata da tempo un uomo ha trovato il cadavere di Antonella Valenti, di nove anni. Era stata seviziata e quindi strangolata e soffocata, poi legata con un intero rotolo di carta adesiva marrone. L’assassino aveva anche dato fuoco al corpicino che, infatti, presenta ustioni di primo e secondo grado alle gambe, ha i capelli quasi tutti bruciati e l’orecchio sinistro carbonizzato.
L’omicida è sicuramente un bruto, perché il primo sommario esame della salma — l’autopsia è stata seguita dal prof. Ideale del Carpio direttore dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Palermo e dal dr. Salvatore Bellafiore – ha consentito di stabilire che la bimba ha subito violenza carnale. La atroce vicenda continua con la caccia al bruto la cui follia criminale può aver già «sacrificato» pure Ninfa e Gina Marchese, le sorelline di sette e nove anni. «Non spero più di trovare le mie due bambine» urla piangendo Paolo Marchese.
La scoperta del corpicino di Antonella — quasi certamente il decesso è avvenuto l’altro ieri, domenica — è stata fatta da un manovale di 42 anni, G. P.. Era lì di passaggio in auto con un amico, V. G. di 38 anni, e s’erano fermati sulla strada provinciale Marsala-Santi Filippo e Giacomo, per chiedere notizie sul tragitto ad un contadino. Il P. è stato messo sull’avviso da un forte odore di bruciato che veniva dal locale abbandonato. «Sono entrato in una stanza – ha raccontato agli inquirenti giunti immediatamente sul posto – e quando ho visto cosa c’era a terra sono fuggito per dar l’allarme». L’avvertimento è stato dato dai due uomini a una vicina stazione dei Carabinieri.
Paolo Marchese, il papà di Ninfa e Gina, è arrivato tra i primi. È accorso stravolto, con il cuore in tumulto. Il cadaverino era già stato liberato dalla carta autoadesiva. Ha compreso subito che non era una delle sue figliole. Ma sono stati ugualmente attimi tremendi. Ad un tratto è sbiancato in volto e si è accasciato a terra, svenuto. Leonardo Valenti, il padre di Antonella, invece è stato fatto allontanare. Di peso alcuni tra i presenti hanno sollevato la «850» con cui si era fatto accompagnare da un parente e l’hanno materialmente girata verso Marsala. In quel momento, su una barella, il corpicino di Antonella veniva trasportato verso l’ambulanza che s’è diretta quindi all’obitorio del camposanto principale di Marsala. Maria Valenti, la mamma, non è stata fatta neppure uscire di casa.
Dopo il rinvenimento, militari, vigili urbani e volontari civili hanno cominciato una vastissima battuta in tutta la zona di contrada «Giardinello» dove è stata trovata Antonella. I carabinieri hanno fatto confluire nella zona altri cani poliziotti guidati dagli istruttori richiamati d’urgenza dai centri cinofili di Palermo e Trapani. Trenta pattuglie automontate hanno preso a percorrere a palmo a palmo le campagne, mentre centinaia di altri uomini hanno frugato cespugli, caverne, ogni dove.
In contrada «Fontanelle», poco dopo, i cani poliziotto si sono diretti sicuri e veloci verso una pista che hanno seguito nervosissimi. Fiutati i resti di Antonella, fatto per tre volte il giro della scuola rurale abbandonata, hanno puntato verso i campi. Superato un agrumeto, sono passati ben presto in un vigneto ormai spoglio dopo la vendemmia. Qui hanno avuto solo un attimo d’esitazione, ma si sono subito ripresi puntando verso un sentiero al termine del quale i militari e gli altri animali si sono trovati in un «baglio» con alcune case di contadini. Qui, i cani si sono spinti in un cortile interno avventandosi contro una «500» blu tipo «L», con la targa Trapani.
I militari hanno chiamato i commilitoni che si trovavano nei pressi, servendosi dei fischietti. Quindi hanno urlalo di uscire fuori agli abitanti. Dalla casa più vicina, quella davanti alla quale era la «500» è venuto il contadino F. L. di 33 anni. L’uomo ha spalancalo gli occhi. «Lei stia fermo, non si muova», gli ha intimato un carabiniere. Neppure qualche minuto appresso sono sopraggiunti gli altri del foltissimo gruppo postosi sulle piste dei cani. C’era pure il procuratore della Repubblica Cesare Terranova che ha interrogato seduta stante l’uomo. È stata perquisita la «500» ma dentro non è stato trovato nulla di sospetto: un pacchetto di sigarette «nazionali» e alcuni acuminati coltellini di quelli che s’usano per tagliare i rami degli aranci.
Il sospettato
L. s’è detto stupito, ma è apparso fin dall’inizio tranquillo. Ha compreso ben presto che si trattava delle bambine. «Io non c’entro», ha detto sorridendo, ma con la faccia bianca come un cencio, «come potete pensare che possa essere stato io? ho due creature». E l’uomo si è stretto a sé i due bambini, di due e sei anni. I carabinieri poco dopo, su ordine del procuratore Terranova, hanno sequestrato dalla sua abitazione (la moglie di Luminari, A. C., oggi era a Trapani dove una sua sorella doveva subire un’operazione) una ventina di abitini da bambino.
Mezz’ora dopo, prelevato dal suo distributore di benzina «Total» lungo la statale 115 poco distante da Mazara del Vallo, è arrivato nel «baglio» H. H. il tedesco di ventotto anni che giovedì nel primo pomeriggio avrebbe visto l’ormai famosa «500» blu tipo «L» targata Trapani, guidata da un giovane e con sopra due o tre bambine che si disperavano e urlavano «Lasciaci, lasciaci». È stato disposto un confronto «all’americana», ma l’esito — atteso con ansia — s’è rivelato insoddisfacente. «Non potrei riconoscere quel giovane — ha detto l’H. — perché riuscii a intravederlo solo di profilo». Ma pure di fianco, tra due militari vestiti dimessamente, il L. non è stato riconosciuto.
Per il momento, perciò, la posizione del contadino rimane in sospeso. Non si è ancora compreso bene se egli sia stato «fermato» ufficialmente, qualcuno parla anche di suo trasferimento nel carcere giudiziario di Marsala, ma più probabilmente il procuratore Terranova preferirà tenerlo a sua disposizione in attesa degli altri accertamenti.
In casa dei Marchese, non si sa che pensare. Laburina, la mamma di Ninfa e Gina, è in uno stato pietoso. Al settimo mese di gravidanza, nel pomeriggio la povera giovane ha avuto una nuova crisi, la più acuta da giovedì pomeriggio ad oggi, tanto che è stato necessario chiamare il ginecologo che l’ha presa in cura.
Lutto in città
L’avvocato Gaspare Sammaritano, il sindaco socialista di Marsala ha proclamato per domani il lutto cittadino. Ha predisposto nel pomeriggio una delibera di giunta con cui vengono assunti quali dipendenti comunali Leonardo Valenti e Paolo Marchese; I funerali di Antonella saranno a spese del comune. «Quanto è accaduto — ha dichiarato il sindaco Sammaritano — e un atto di accusa contro tutti, contro questa società della corruzione, del disordine c della licenza: contro una terra ingrata che non riesce a dar lavoro ai propri figli».
Le ricerche sono proseguite nella serata. C’è incombente la quasi certezza che pure Ninfa e Gina siano state uccise. Ma perché e stata trovata soltanto Antonella? È questo per adesso l’interrogativo che lascia incerti, sorpresi. Può essere stato il bruto, l’uomo che tempo fa l’avrebbe infastidita per strada, vicino alla scuola elementare? Si può pensare a molte cose, a tutto. Anche che il maniaco, rinchiuse chissà dove le sorelline Marchese, segregandole, si sia poi appartato con Antonella, uccidendola al termine d’un folle rito.
È quasi certo che il corpo di Antonella sia stato condotto questa notte nella scuola rurale i cui locali ieri erano stati visitati da una pattuglia impegnata nel rastrellamento. Le compagne di scuola di Antonella e le sue insegnanti hanno deposto fasci di fiori nel punto in cui è avvenuto il macabro rinvenimento
Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 10 novembre 1971
Trovati i cadaveri delle sorelline presente il mostro, terrorizzato.
Stanotte in una profonda cava di tufo.
di Antonio Ravidà
Le scene in un’atmosfera allucinante, mentre la zona di Marsala era flagellata dal ghibli proveniente dall’Africa che sollevava una nebbia di sabbia – Alla luce delle fotoelettriche militari, vigili del fuoco e carabinieri si sono calati per 30 metri nella voragine e hanno subito trovato i cadaverini decomposti – Michele Vinci, lo zio assassino e seviziatore di Antonella, tremava, temendo forse che qualcuno si scagliasse contro di lui.
Per timore d’un linciaggio, l’assassino trasferito a Messina
Marsala, mercoledì sera. Le hanno trovate: anche le sorelline Virginia e Ninfa Marchese sono morte. Le hanno trovate in una cava di tufo, strette l’una all’altra, trenta metri sotterra, dove le aveva gettate il mostro ancora vive.
Le hanno trovate e la loro scoperta ci riempie di freddo orrore. Sui loro corpi di vittime innocenti, l’ombra di Michele Vinci l’assassino: si è sbarazzato di Virginia e Ninfa per seviziare Antonella, sua nipote, che poi ha strangolato.
La scoperta dei due cadaveri è avvenuta stamane alle 4, ma la spaventosa realtà era già emersa ieri sera, quando il mostro, stretto dagli implacabili interrogatori, smentito clamorosamente nel suo alibi, è crollato ed ha confessato il crimine, uno tra i più sconvolgenti che siano avvenuti nel nostro Paese in questi ultimi anni.
È stato lo stesso Vinci a indicare il luogo in cui aveva scaraventato le due sorelline, di 9 e 7 anni, il giorno stesso in cui le aveva rapite assieme alla nipote. Vigili del fuoco e carabinieri si sono calati per 30 metri, servendosi di una scaletta di corda a pioli, nell’oscura cava di tufo. I cadaveri delle piccole Marchese, imprigionate in una buca colma d’acqua e ormai in avanzato stato di decomposizione, sono stati portati in superficie dal pompiere G. F., sotto la luce abbagliante delle cellule fotoelettriche e dei fari degli automezzi, militari contenuti numerosi sul posto.
Sono stati momenti che è difficile, ora, descrivere. L’atmosfera era allucinante. Soffiava impetuoso il ghibli, il vento del Sahara che si porta dietro nubi di sabbia. L’oscurità tutt’intorno era profondissima. Sembrava una scena irreale, costruita apposta per un film. Era invece l’epilogo di una tragica vicenda di morte. Circondato da carabinieri e agenti. Michele Vinci, il trentenne omicida, ha assistito impietrito alla scena del macabro rinvenimento: quando i corpicini di Virginia e Ninfa sono stati riportati alla luce, l’uomo è stato scosso da fremiti nervosi e ha preso a tremare guardandosi attorno, forse temendo che qualcuno dei presenti si scagliasse contro di lui. Poi ha pianto, proteggendosi il volto con le mani.
Su di lui, gli occhi di centinaia di persone, che volgevano di tanto in tanto lo sguardo verso la cava di tufo, quell’orribile fredda tomba che per quasi venti giorni ha occultato i cadaveri delle bambine.
I corpicini disfatti sono stati composti dapprima in una tinozza presa da un vicino cascinale, poi sono stati adagiati su un’autolettiga, che si è diretta verso la camera mortuaria dell’ospedale a «San Biagio» a Marsala. Il dottor Salvatore Bellaflore. perito-settore della città, compirà il primo esame necroscopico, che sarà perfezionato dal prof. Ideale Del Carpio, direttore dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Palermo (lo stesso che esaminò la salma di Antonella).
II Vinci, subito dopo il ritrovamento delle sorelline Marchese, è stato allontanato da Marsala, sotto scorta armata, per timore di un linciaggio. L’assassino è stato trasferito a Messina su una «gazzella» dei carabinieri e rinchiuso nel carcere in una cella di isolamento.
Il mostro è crollato nella serata di ieri. Era davvero a portata di mano, a Marsala, come aveva assicurato il dottor Terranova, ed era nella «cerchia degli indiziati» fin dal primo avvio dell’inchiesta. Per costringerlo a confessare quando ormai tutto deponeva irrimediabilmente contro di lui, ci sono voluti però una ventina di drammatici confronti e un martellante interrogatorio di otto ore, a faccia a faccia con il magistrato.
Alla fine, esausto, sconvolto dal turbinio delle contestazioni, con i nervi a pezzi, ha ammesso tutto. Ha pianto sommessamente, poi con singhiozzi fragorosi.
Il confronto forse decisivo, o comunque quello che l’ha messo alle corde, è stato con Ida e Giuseppina Valenti, di tredici e undici anni, sorelline di Antonella, dunque ugualmente sue nipoti. Decisivo perché è venuto fuori che da tempo lui aveva posato gli occhi sulla piccola Antonella. Di lui Antonella aveva parlato con Ida, confidandole che era stata molestata.
«Non può esser stato Michele, vi sbagliate», aveva urlato disperata la moglie A. I., 28 anni (sorella della mamma di Antonella) sposata a lui da tre anni. La donna aveva accompagnato il marito a Palazzo di Giustizia nel pomeriggio, tornando più tardi con gli abiti di ricambio, quando aveva compreso che il marito sarebbe rimasto a lungo negli uffici.
Michele Vinci era in tuta, la tuta della cartotecnica «San Giovanni» dove lavora quale fattorino dal gennaio 1970 (da lì sicuramente deve essere uscito il nastro di carta adesiva con cui era stata legata la povera Antonella nella scuola rurale dove venne ritrovata).
Ma per uno strano gioco del destino, è stata proprio la moglie, con una sua dichiarazione, a inchiodare il Vinci. È stata lei stessa a smentire il marito, negando che giovedì 21 ottobre alle 14 egli fosse rincasato per mangiare. «Non venne», ha detto la moglie. «Ero a casa», ha detto il marito. Il contrasto tra le due dichiarazioni ha tolto ogni dubbio: venuto meno un così fragile alibi, il resto è stato facile, quasi automatico.
«Si, sono stato io», ha ammesso alla fine il carnefice delle tre bambine. E dalla sua bocca è uscito un fiume di parole: ha raccontato frammenti di verità tra menzogne puerili e fantastiche: prima ha ammesso, poi ritrattato, quindi di nuovo confessato.
«Perché l’hai fatto? Perché?» ha incalzato il magistrato.
«Non so. Non lo so davvero. Poco prima avevo bevuto una “Coca cola” in cui avevo diluito un medicinale e non ho più capito nulla».
Il racconto, alla fine, è venuto fuori. Giovedì 21, dunque, Michele Vinci giunge in via Circonvallazione; è probabile che li attenda il passaggio di Antonella, che deve accompagnare alla scuola elementare di piazza Caprera la sorellina Liliana, di sei anni.
Non è alla guida di una «500» blu, come ha detto due giorni dopo H. H. (il benzinaio tedesco di Mazara del Vallo la cui testimonianza è andata via via perdendo consistenza), ma sulla «500» bianca della ditta «San Giovanni», i cui proprietari, fratelli Nania, si fidano di lui ciecamente.
Ma con Antonella, che intanto ha già lasciato a scuola Liliana, sono anche le due Marchese. Un brutale desiderio lo spinge oltre ogni limite, irrefrenabile e inumano, tanto da non consentirgli di rinviare il rapimento della nipotina da cui era attratto.
Si accosta alle bimbe e le invita sull’auto. «Accettarono volentieri, ridevano — ha spiegato —. Io mi diressi verso la campagna».
A questo punto il racconto si fa cupo, venato di innumerevoli particolari che il procuratore Terranova forse non rivelerà mai, «per evitare la morbosità».
«In contrada Amabilina — ha continuato il Vinci —, venti minuti dopo, mi fermai e rapidamente mi disfeci delle sorelline Marchese, gettandole nella cava di tufo, poi con Antonella mi diressi nella scuola rurale».
«Le bendai gli occhi, ha detto, perché mi atterriva il suo sguardo». «Alle 15, ha proseguilo, ero nuovamente in fabbrica e, di sera, tornai da Antonella. Mi sembrò morta, allora le gettai addosso della benzina, e le diedi fuoco. Poi sono fuggito». Ha aggiunto un altro particolare: prima di gettare nel pozzo Ninfa e Virginia, Osservò le due sorelline che, con Antonella, raccoglievano fiori in un prato.
Da parte loro, gli inquirenti sono certi che tenne prigioniera la piccola per diverso tempo, tanto è vero che a casa alla moglie diceva di doversi trattenere a mangiare in fabbrica: ma alla «San Giovanni», da dove si assentava all’ora dei pasti, sosteneva di andare a fare colazione in casa.
Il particolare sta a confermare, quasi senza possibilità di dubbio, che il Vinci tenne Antonella con sé più di un giorno. «Ma non sappiamo ancora dove, dobbiamo accertarlo», dice a questo proposito il Procuratore della Repubblica.
«Sul conto di Vinci — ha affermato stamane il dottor Terranova — avevamo avuto sospetti fin dal principio, ma purtroppo non disponevamo degli elementi idonei a fargli le domande giuste. E rimanemmo disorientati dal fatto che in casa sua ospitava Ida Valenti e non la aveva mai molestata».
Il procuratore, visibilmente stanco, ha poi dichiarato: «Io e le forze dell’ordine che mi hanno validamente affiancato in ogni momento dell’indagine, siamo pienamente soddisfatti di avere risolto il caso delle tre bambine cosi orrendamente assassinate. Abbiamo liberato Marsala da un incubo e restituito alle famiglie quella tranquillità che tutti pensavano di aver perduto». «Ma resta — ha concluso — la amarezza dell’irreparabile perdita delle tre innocenti creature».
L’avv. Forti, uno dei due difensori d’ufficio, nominati dal procuratore della Repubblica, ha detto: «Chiederò di essere esonerato dall’incarico perché, come uomo e come cittadino, mi trovo in grave disagio morale di fronte a un individuo che mi ripugna. Ma se la mia istanza non dovesse essere accolta, adempirò con scrupolo e coscienza professionale al mio dovere di avvocato».
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 12 agosto 1973
Per il giudice Michele Vinci non ha detto tutta la verità sulla fine delle tre bimbe
Sorprendenti conclusioni nella sentenza istruttoria per l’orrendo delitto di Marsala
Dopo aver confessato Io zio di Antonella non ha rivelato ancora i veri motivi del crimine – Da qui il magistrato adombra la possibilità che l’uomo voglia nascondere o proteggere eventuali mandanti o complici – Una lettera alia moglie: «Non sono stato io… ho voluto salvare la famiglia…» – Le perizie psichiatriche tutte concordi: è sano di mente – Un disperato tentativo di difesa?
PALERMO, 11. Conclusa l’istruttoria sulla terribile morte delle tre bimbe di Marsala (Antonella Valenti di 9 anni, e le sorelline Ninfa e Virginia Marchese rispettivamente di 7 e 5 anni) la Corte di Assise di Trapani dovrà rispondere ad una agghiacciante serie di interrogativi. Sulla base della decisione dei periti e delle risultanze dell’istruttoria condotta dal giudice Libertino Alberto Russo si è stabilito che Michele Vinci, il «mostro» di Marsala che ha confessato di essere stato l’autore del triplice feroce delitto, non è né pazzo, né un maniaco sessuale. Sulla base di questi elementi che vengono a collegarsi ad altri particolari venuti fuori nel corso dell’inchiesta giudiziaria, il magistrato ha creduto di poter concludere che Michele Vinci è stato l’esecutore di un piano diabolico accuratamente preparato per eliminare le bimbe. II giallo di Marsala si ingarbuglia in una tesi – quella sostenuta dal giudice istruttore che lascia presumere che Vinci sia depositario di un terribile segreto. Il magistrato non esclude addirittura in questo quadro che egli possa essere stato e continui ad essere il capro espiatorio di una orribile trama di stampo mafioso. Fermo restando quindi che egli ha ucciso le tre bambine il movente sarebbe spostato dal giudice istruttore al limite della costrizione, ad un misterioso ordine che Michele Vinci avrebbe ricevuto. Come e da chi non è detto.
Ma ripercorriamo le drammatiche tappe che portarono alla scoperta dell’assassino, dopo la esemplare inchiesta condotta dal giudice Terranova, che a suo tempo era procuratore della Repubblica di Marsala. II corpo di Antonella Valenti (nipote di Michele Vinci) fu trovato (cinque giorni dopo il rapimento delle tre bimbe avvenuto il 21 ottobre del 1971) tra le mura di una scuola in costruzione. Le mani della bimba erano legate, il viso completamente avvolto da nastro adesivo. II corpo della bimba era inoltre parzialmente bruciato. II delitto sconvolse non solo la città di Marsala ma tutto quanto il paese. Agenti di polizia, carabinieri e gruppi di volontari cominciarono a cercare Ninfa e Virginia Marchese. II giudice Terranova ad un certo punto delle indagini capì che particolare attenzione bisognava prestare verso Michele Vinci. Molti indizi si appuntavano contro di lui, ma l’uomo fu lasciato in libertà, in attesa che la sicurezza di una prova o di una confessione Io inchiodasse alle sue tremende responsabilità.
Fu nella notte tra il 9 ed il 10 novembre che Michele Vinci, interrogato dal giudice Terranova come indiziato di reato, crollò e indicò pure il posto in cui aveva abbandonato e dove vennero ritrovate Virginia e Ninfa: dentro un pozzo profondo 25 metri, dove erano state lasciate morire di terrore e di inedia. Da allora in poi Michele Vinci viene sottoposto ad una serie di accertamenti medico-psichiatrici: vaga da un carcere all’altro. Le sue dichiarazioni sono sempre contraddittorie, ma una cosa appare evidente ai periti: l’uomo quando ha ucciso era capace di intendere e di volere. Ciò però non basta: sempre secondo i periti Vinci non ha ucciso sotto la spinta di impulsi sessuali pedofiliaci, causati cioè da impulsi verso i bambini. Nel corso dell’istruttoria fu interrogato diverse volte e tra innumerevoli contraddizioni e reticenze nell’ultimo colloquio che ebbe con il magistrato a Roma in presenza di psichiatri, tornò alla sua originaria versione dei fatti.
Disse cioè di aver gettato subito le sorelline Marchese nel pozzo mentre la perizia medico-legale aveva accertato che le due bambine erano morte fra il 6 e 8 novembre, oltre 15 giorni dopo il rapimento. Continuò a protestarsi unico e vero responsabile dell’agghiacciante vicenda e ripete di avere portato la nipotina Antonella nel posto dove il corpicino della bimba fu ritrovato.
Nuova perizia psichiatrica ad Aversa, altro interrogatorio al quale Vinci si presenta trascinato a braccia dagli infermieri. Non è in buone condizioni psichiche, seppur forse solo momentaneamente. Ma per i periti egli «Simula» per sottrarsi all’esame. Che cosa nasconde – se qualcosa c’è – Michele Vinci? A quest’interrogativo, effettivamente irrisolto quanto quello del preciso movente dell’orrenda fine delle tre bimbe, il giudice istruttore fornisce una risposta solo apparentemente chiarificatrice appigliandosi ad una lettera che dal carcere, appena pochi giorni dopo l’arresto, il Vinci aveva mandato alla moglie. Una lettera confusa, misteriosa se non delirante, in cui si accennava alla sua volontà di «non dire la verità» per «salvare» la famiglia: a presunti mandanti del delitto («anche se non conosco le persone che hanno voluto tutto questo»); ad ancor più misteriosi individui a cui lui stesso, Vinci, avrebbe consegnato le bambine senza torcer loro un capello.
Benché da questa lettera emergesse soprattutto la evidente (e alla fine anche dichiarata) volontà di metter nero su bianco una ritrattazione di tutti gli elementi – anche i più pacifici e riscontrati – contenuti nella confessione del Vinci al procuratore Terranova, di essa ora il giudice istruttore ha capovolto il senso, attribuendogli forse proprio quello più conveniente ad una tesi che – è significativo ricordarlo proprio ora – neppure i difensori del Vinci avevano sin qui neppure minimamente accennato o previsto. A meno che non intervenga un appello alla inattesa sentenza istruttoria, nel prossimo inverno sarà la Corte d’Assise (probabilmente quella di Trapani, in trasferta nella stessa Marsala) a dover sciogliere i sempre più inquietanti interrogativi di questo «giallo» sempre più ingarbugliato
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 1 febbraio 1974
LE SORELLINE NON SONO MORTE NEL POZZO
ALTRE PERIZIE GETTANO NUOVA LUCE SULLA TRAGEDIA DI MARSALA
Ninfa e Virginia Marchese erano già state uccise quando l’assassino o un suo complice occultò i loro corpi in fondo alla cava.
Forse furono soffocate con un cuscino – Antonella non subì violenze – Si attendono altre rivelazioni di Michele Vinci.
MARSALA, 31. Ancora un colpo di scena nelle nuove indagini sulla terribile tragedia di Marsala. La inchiesta riaperta dopo la precisa accusa di Michele Vinci («rapii Antonella per conto del mio principale, Nania») e dopo l’arresto, quindi, del secondo uomo porta alla luce particolari di grande importanza che modificano la primitiva versione e avvalorano le nuove accuse.
Ieri la polizia scientifica aveva accertato che la misteriosa donna, vestita di nero, ritratta in un filmino sequestrato in casa del prof. Franco Nania era Maria Valenti, madre di Antonella, cognata del Vinci. Questo mentre sia il Nania in carcere, sia i Valenti, nei tanti interrogatori, hanno sempre sostenuto di non conoscersi, di non aver mai avuto rapporti.
Oggi è stato scritto un altro capitolo della inquietante vicenda. Sono state depositate le nuove perizie su «come e quando» furono uccise le tre bambine: sconvolgenti e clamorose sono le conclusioni cui sono arrivati, a due anni di distanza, i due periti – Del Carpio e Bellafiore – che hanno riesaminato i verbali, le relazioni, le necroscopie di allora.
Ninfa e Virginia Marchese, le due sorelline rapite perché compagne di giochi dell’Antonella, non sono state uccise nel pozzo maledetto di Contrada Amabilina dove sono state trovate morte una ventina di giorni dopo la loro scomparsa, la notte della prima confessione del Vinci. In quel pozzo del Fondo Quarrato vi sono state portate – e non gettate – già morte, forse in due giorni diversi. Antonella Valenti, l’altra bambina rapita dal Vinci perché – questa è la sua accusa – glielo aveva ordinato il prof. Nania, non è stata violentata.
Le verità
Queste in sintesi le verità accertate dai due periti incaricati nel mese di dicembre, dal giudice istruttore Troise di fornire una più logica spiegazione alla luce anche delle nuove rivelazioni. Si tratta infatti di conclusioni che gettano una nuova luce su tutta la storia rimasta fino ad ora meno spiegabile. Se le bimbe erano state gettate vive nel fosso, perché nessuno aveva udito le loro grida? E perché l’assassino avrebbe corso un rischio così tremendo?
In 46 pagine i periti rispondono ai tanti «perché» sollevati dai giudici e dagli avvocati. Le due bambine Marchese non sono state buttate quindi dentro la cava perché – spiegano i periti – sui loro corpicini non sono state riscontrate lesioni, né fratture, né lussazioni. Le due bambine non sono morte nella cava. «Si deve ritenere impossibile – affermano Del Carpio e Bellafiore – che le due bambine siano vissute dieci o quindici giorni nella cava prive di cibi o bevande. Non sono state inoltre trovate tracce organiche di sopravvivenza».
La morte risale per Virginia, la più piccola, a 4-5 giorni prima del ritrovamento e per Ninfa a 2-3 giorni.
I periti spiegano anche come le due bambine sono state uccise. Esclusa la morte per asfissia da anidride carbonica – nella cava non c’erano vegetali secchi che andando in fermentazione potevano sviluppare gas – i periti cosi concludono: «Si può confermare che la morte fu dovuta a fenomeni asfittici, e – per la mancanza di qualsiasi segno di violenta (impiccamento, strangolamento, strozzamento) – si potrebbe pensare ad un soffocamento praticato con mezzi soffici». Forse un soffocamento provocato con qualche cuscino.
Il mistero
Per quanto riguarda Antonella Valenti hanno accertato che non le è mai stata fatta violenza. Gli «arrossamenti» notati dai periti all’atto dell’autopsia forse erano dovuti a ossidazione del sangue o a irritazione.
Così l’istruttoria sulla «seconda verità» sta subendo una clamorosa svolta. Una settimana fa c’è stato il confronto Vinci-Nania. Nei prossimi giorni si tornerà ad interrogare il professor Nania.
Forse la tragedia di Marsala avrà finalmente una spiegazione logica e inconfutabile. Dipende molto ancora da Vinci che custodisce da due anni e che non ha completamente rivelato tutti i misteri e i retroscena del suo gesto con la sua confessione a metà resa drammaticamente davanti ai giudici della corte di Assise di Trapani.
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 6 luglio 1975
Con Vinci si giudica uno soltanto degli assassini di Marsala
Ad ogni passo dell’indagine la certezza della esistenza di complici, ma non il loro nome – Chi nascose le bimbe nella cava e perché furono rapite restano i grandi interrogativi insoluti.
TRAPANI, 5. Processo Vinci: tra tre giorni la sentenza alla Corte di Assise di Trapani. Quattro anni di indagini, due istruttorie, due dibattimenti e ancora non si conosce tutta la verità sulla tragedia di Marsala, protagoniste innocenti Antonella Valenti, Ninfa e Virginia Marchese, tre bambine di periferia. Quando, il principale imputato, Michele Vinci è ad un passo da un sicuro ergastolo – questa la richiesta del PM Giangiacomo Ciaccio Montalto a conclusione di una lunga, drammatica requisitoria – nessuno sa ancora perché le tre bimbe sono state sequestrate e poi assassinate. Un delitto orrendo che non trova, dopo quattro anni e un lungo processo, il movente. Questa la prima denuncia che ha fatto lo stesso rappresentante della pubblica accusa nel chiedere l’ergastolo per Vinci, certamente responsabile del sequestro delle tre bambine, del loro assassinio anche, ma non dell’occultamento dei loro corpicini. Tutte operazioni che, secondo il PM, Vinci ha compiuto con i complici, forse con il misterioso mandante la cui figura in due anni e mezzo di processo è stata evocata una sola volta in aula per poi riuscirne di nuovo, in fretta ed in silenzio.
Il processo numero due, sin dalla sua prima fase, ha cercato di chiudere il cerchio attorno soltanto a Michele Vinci. Tutti i tentativi di andare oltre sono stati inutili. La Corte di Assise ha respinto con un ritmo frenetico le cento e più richieste della pubblica accusa, senza motivazione, dicendo soltanto che non erano pertinenti ai fini di giustizia. Ma questo dibattimento ha messo in luce tutti gli inquietanti interrogativi del primo processo e non li ha risolti.
«Io credo che ancora oggi Michele Vinci non ha detto tutta la verità» – ha affermato il PM Montalto che ha cercato in questi tre mesi di far parlare il fattorino. «Ho fatto tutto quanto era in mio potere per superare il silenzio di Vinci. Il PM non deve accontentarsi di un colpevole. Ci sono elementi a favore di Vinci, bisogna metterli in luce», ha detto ai giudici della Corte il dottor Montalto. I silenzi, i pianti di Vinci nei momenti più decisivi del dibattimento sono state le sue risposte. Silenzi sui complici, sui moventi, sul ruolo che hanno potuto svolgere i familiari di Antonella.
«In due mesi – ha aggiunto il PM – ho avanzato tante richieste perché si sondasse quella verità alternativa che esiste. La Corte avrebbe dovuto non seguire il PM ma precederlo. Così come aveva indicato nella sua ordinanza istruttoria il giudice Russo». Si tratta di quella ordinanza che per la prima volta parla di un piano diabolico dietro Vinci, di un mandarne, di altri complici senza volto, delle misteriose morti di testimoni chiave che sono precipitati nei pozzi o sono caduti dai terrazzi.
Nel ricostruire la vicenda di Marsala il PM ha fatto nuove rivelazioni, Antonella, alcuni giorni prima del sequestro, era stata adescata da uno sconosciuto. Lo stesso giorno in cui Vinci ha rapito le tre bimbe qualcun altro, di mattina, doveva compiere un sequestro di persona. Nella contrada Amaollina dove furono trovate morte in fondo al pozzo Ninfa e Virginia sono state trovate tracce di presenza femminili, quel giorno la figlia di Giuseppe Guarrato, il coimputato di Vinci per il quale è stata chiesta l’assoluzione per Insufficienza di prove, non è andata in fabbrica a lavorare. Ma ha un alibi su come ha passato la giornata. La rivelazione più sconvolgente è questa: giù in fondo alla cava Ninfa e Virginia sono state trovate una sull’altra. Ninfa, la più grande, secondo le perizie, morta per prima, è stata trovata sopra Virginia che è morta per ultima. Secondo il PM ciò avvalora la tesi del professore Ideale Del Carpio che oltre a dimostrare che Antonella non è stata violentata ha affermato: Ninfa e Virginia non morirono per fame, non vennero gettate nel pozzo, non riportarono fratture, furono uccise, precisamente soffocate con un cuscino, fuori e poi portate in fondo alla cava e posate l’una sull’altra. Se le bambine fossero state gettate vive e non avessero riportato fratture né escoriazioni avrebbero potuto risalire: c’era infatti la scala che riportava in superficie.
«Io ritengo che Michele Vinci non agì da solo. Non agì per un suo movente, o almeno non agì per un movente che noi conosciamo. Quindi ci sono altri insieme a Vinci», è la conclusione della pubblica accusa che però ha chiesto lo stesso l’ergastolo perché è certa la partecipazione di Vinci al rapimento, e poi il concorso in triplice omicidio. «Non ci sono atti di libidine, non c’è violenza. Michele Vinci non è un anomalo sessuale» – ha detto ancora il PM. Crolla così tutta la costruzione del mostro di Marsala, mentre restano gli interrogativi sui motivi che hanno portato alla morte le tre bambine. Anche se Vinci va all’ergastolo il processo di Marsala resta aperto. C’è l’altra verità da scoprire. t. r.
Telefono giallo – Il delitto delle bambine di Marsala – RaiPlay
Puntata del 30 dicembre 1988
Il 22 ottobre del 1971 tre bambine spariscono a Marsala. Si tratta di Antonella Valenti, undici anni, Virginia e Ninfa Marchese, nove e sette anni. Con la denuncia della loro scomparsa si apre uno dei casi di cronaca nera più inquietanti della storia del dopoguerra, conosciuto anche come “il caso del mostro di Marsala”. Il giudice Cesare Terranova emette il mandato d’arresto per Michele Vinci, zio di Antonella, che durante l’interrogatorio confessa di aver rapito le bambine per stuprare una di loro e di aver gettato Ninfa e Virginia in una cava all’interno di un terreno di proprietà di Giuseppe Guarrato, dove effettivamente verranno ritrovate il 9 novembre. Durante il processo, tuttavia, emergono parecchi dubbi sulle dichiarazioni fatte da Vinci, e si profila la possibilità che abbia avuto uno o più complici. Nel 1978 Michele Vinci viene riconosciuto unico colpevole del triplice omicidio e condannato a 29 anni di reclusione. Nel 1988, dal carcere dove è recluso, Vinci accetta di farsi intervistare da “Telefono giallo”, confermando la versione contenuta nel suo diario scritto in carcere: Antonella sarebbe stata rapita e uccisa perché suo padre, Leonardo Valenti, aveva fatto uno sgarro a Cosa nostra. Michele Vinci, scontata la sua pena, è ora di nuovo libero, ma se la verità processuale dice che è lui il “mostro di Marsala”, a 45 anni di distanza è sulla verità storica che rimangono invece aperti molti interrogativi.
Fonte: tp24.it
Articolo del 21 ottobre 2019
Marsala, 48 anni fa la tragedia delle tre bambine Antonella, Ninfa e Virginia
Oggi 21 ottobre 2019 è il 48° anniversario della tragica scomparsa delle tre bambine marsalesi: Antonella Valenti di 9 anni e delle sue cuginette Ninfa e Virginia Marchese, di sette e cinque anni. Uscite di casa per accompagnare a scuola la sorella di Antonella, Liliana, e mai più tornate. Uno dei fatti più bui della storia della città che sconvolse l’intera Italia.
Per giorni, infatti, si continuò a cercare le tre bambine, ma solo per caso, dopo cinque giorni, nei pressi di una scuola abbandonata in contrada Rakalia verrà trovato il corpo di Antonella. Le indagini degli inquirenti, che hanno trovato un nastro adesivo vicino al corpo della bambina portano alla fabbrica che produce quel nastro e dove lavora lo zio di Antonella, Michele Vinci. Altre testimonianze stringono il cerchio nei suoi confronti e una volta arrestato – il mandato di cattura fu emesso da Cesare Terranova – confessa di aver rapito le bambine e di avere gettato le più piccole in un pozzo, dove effettivamente verranno ritrovate.
Nel corso del processo a Michele Vinci emersero tanti dubbi, sia sulle dichiarazione che sulla stessa ricostruzione, allo si pensò ad uno o più complici, forse anche una donna, ma non sono mai stati identificati senza il supporto di prove reali. Il processo in primo grado si chiuse con la condanna all’ergastolo per Vinci, poi a 29 anni. La verità processuale disse che fu lui il colpevole, nonostante i dubbi, le ritrattazioni – mai credute – e il misterioso coinvolgimento di alcuni mandanti legati alla criminalità organizzata e altri misteri e strane coincidenze. Qui di seguito un nostro articolo di qualche anno fa che ricostruisce l’intera vicenda:
Ai più giovani il nome di Michele Vinci non dirà nulla, a chi ha già qualche capello grigio, invece, ricorderà subito il “Mostro di Marsala”, il responsabile del triplice omicidio della nipote Antonella Valenti di 9 anni e delle sue cuginette Ninfa e Virginia Marchese, di sette e cinque anni. La scomparsa delle tre bambine avvenuta il 21 ottobre del 1971 fu uno dei fatti di cronaca nera che sconvolsero l’Italia intera.
La storia – Quel giorno le bambine uscirono di casa per accompagnare a scuola Liliana, la sorella di Antonella. Da allora non fecero più ritorno. Vito Impiccichè, il nonno di Antonella, non vedendola rientrare lanciò l’allarme e iniziò così una ricerca che coinvolse oltre agli uomini delle forze dell’ordine, anche tantissimi cittadini che per giorni passarono al setaccio tutto il territorio e le campagne marsalesi.
I testimoni – A qualche giorno della scomparsa c’è un primo testimone, un benzinaio di origine tedesca, Hans Hoffman, riferisce agli inquirenti di aver visto un uomo su una Fiat 500 blu con a bordo delle bambine che gesticolavano e sbattevano le mani nel finestrino dell’auto come per chiedere aiuto. Nel frattempo il caso venne affidato al giudice Cesare Terranova, già istruttore del processo ai corleonesi a Bari e in seguito, nel 1979, ucciso in un agguato mafioso a Palermo. Dopo qualche giorno si presenta davanti al giudice Terranova, Giuseppe Li Mandri, dicendo di essere lui l’automobilista della 500 blu, e che a bordo c’era il figlio che faceva i capricci perché non voleva andare a trovare un parente in ospedale. Questa è una prima stranezza sul caso: chiamata a testimoniare la moglie di Li Mandri ha detto che non c’era nessun parente in ospedale.
Antonella Valenti – Il 26 ottobre, per caso, nei pressi di una scuola abbandonata in c.da Rakalia, il signor Ignazio Passalacqua trova il corpo della piccola Antonella Valenti. La bambina ha subito violenza ma in seguito l’autopsia escluderà quella carnale. Accanto al corpo c’è del nastro adesivo prodotto dalla ditta San Giovanni di Marsala. I genitori di Antonella, Leonardo e Maria che si trovano in Germania per lavoro, rientrano subito a Marsala.
Le indagini – Il nastro adesivo trovato vicino al corpo conduce le indagini verso quella fabbrica, dove lavora Michele Vinci, lo zio di Antonella. Sono almeno tre gli indizi che portano i giudici a stringere il cerchio su di lui. Il primo: ha una Fiat 500 blu sulla quale c’erano state delle testimonianze; lavora dove viene prodotto il nastro utilizzato per soffocare la bambina; l’ultimo indizio arriva dalle dichiarazioni della moglie che ha detto agli inquirenti che il marito il giorno della sparizione delle bambine non era rientrato a casa per il pranzo come solitamente faceva.
L’arresto di Michele Vinci – Il giudice Terranova emette il mandato di arresto per Vinci. Lo interroga e messo alle strette confessa di aver rapito le bambine per appartarsi con una di loro, con la nipote Antonella, e di aver gettato Ninfa e Virginia in una cava profonda circa una ventina di metri che si trovava all’interno di un terreno di proprietà di Giuseppe Guarrato, dove effettivamente verranno ritrovate il 9 di novembre.
Il processo – Sulle dichiarazioni e la ricostruzione fatta da Vinci ci sono molti dubbi. Si profila concretamente la possibilità che abbia avuto uno o più complici. Viene indagato Guarrato, il proprietario dell’appezzamento di terreno dove sono state trovate le sorelle Marchese, ma non ci sono prove che confermino le ipotesi investigative e Guarrato viene prosciolto.
L’accusa nei confronti di Franco Nania – Michele Vinci prima si autoaccusa, poi ritratta le sue ammissioni, dicendo di non aver fatto nulla alle bambine e lancia l’accusa di essere il mandante del rapimento a Franco Nania, professore di elettrotecnica a Pantelleria e direttore della cartotecnica San Giovanni dove Vinci lavorava. Vinci racconta di essere stato minacciato dal professore se non avesse preso Antonella. Nania viene arrestato e rinviato a giudizio, accusato di concorso in sequestro e triplice omicidio. I magistrati non trovano nulla che possa confermare la pesante accusa mossa da Vinci e Nania viene prosciolto da ogni accusa.
Morti misteriose – Hanno suscitato parecchie perplessità le morti di alcuni dei personaggi entrati nella vicenda del “Mostro di Marsala” anche solo come testimoni. Il primo fu Giuseppe Li Mandri, l’uomo della 500 blu con il bambino a bordo. E’ morto misteriosamente cadendo da un tetto. Ignazio Guarrato, parente di Giuseppe, titolare del fondo dove sono state ritrovati i corpi di Ninfa e Virginia, aveva la sua abitazione in contrada Amabilina da dove poteva vedere il luogo dove sono state gettate. E’ morto precipitando in un pozzo in una zona che conosceva molto bene poco prima della sua testimonianza. Ed infine poco prima della condanna, Vinci rivela di aver scritto una lettera a padre Fedele, sacerdote della Chiesa addolorata di Marsala confessandogli tutto: il religioso muore a causa di un malore, la lettera viene cercata in casa del prete ma non viene trovata. Il corpo del religioso viene riesumato e l’autopsia conferma la morte naturale.
Nuova versione di Vinci e condanna prima all’ergastolo e poi a 29 anni – Con il nuovo processo, nel maggio del 1975, Vinci viene condannato all’ergastolo, restano dei dubbi perché con ogni probabilità l’uomo non ha agito da solo, forse ad aiutarlo è stata una donna, la stessa a cui appartiene una ciocca di capelli rimasta appiccicata al nastro adesivo che ha soffocato Antonella.
Quando, nel dicembre del 1976 si apre il processo d’Appello è spuntato anche un diario che Vinci ha scritto in carcere e che gli è stato sequestrato. Contiene una nuova versione: Antonella è stata rapita ed uccisa perché suo padre, Leonardo Valenti, ha fatto uno sgarro a Cosa nostra, rifiutandosi di partecipare al commando che avrebbe dovuto sequestrare il deputato democristiano Salvatore Grillo. Nel 1978 Michele Vinci viene riconosciuto unico colpevole del triplice omicidio e condannato a 29 anni di reclusione. Nel 1988 dal carcere dove è recluso Vinci accetta di farsi intervistare dal programma Telefono Giallo di Corrado Augias confermando questa ultima versione trovata sul diario. Dicendo di aver rapito le bambine ma di non averle uccise. Il giudice Paolo Borsellino, all’epoca a Marsala, riapre il caso, ma non essendoci prove a sostegno delle ultime rivelazioni di Vinci, viene chiuso definitivamente. Michele Vinci nel 2002 dopo aver scontato la sua pena è uscito dal carcere, adesso vive libero in provincia di Viterbo.
La verità processuale dice che è Michele Vinci il “Mostro di Marsala”, confermando una storia di degrado all’interno del nucleo familiare, nonostante le tante dichiarazioni e le successive ritrattazioni dello stesso Vinci mettano insieme mandanti e trame misteriose legate alla criminalità organizzata, come sfondo sulla fine di quelle tre giovani vite. Sulla verità storica, invece, i dubbi, tanti, a 45 anni di distanza dalla strage di Marsala, rimangono.