23 Dicembre 1946 Baucina (PA). Muore Nicolò Azoti, segretario della Camera del Lavoro, dopo due giorni di agonia. Il 21 gli avevano sparato 5 colpi di pistola alle spalle.

Foto da: La Sicilia del 17 Dicembre 2006

Nicolò Azoti fu uno dei primi sindacalisti della Cgil a cadere sotto il piombo mafioso nel secondo dopoguerra;  difficili anni  in cui la sua attenzione fu attratta dalle misere condizioni dei contadini, che cominciò ad organizzare, battendosi per la riforma agraria. Divenne, quindi, segretario della Camera del lavoro, fondò l’ufficio di collocamento e progettò la costituzione di una cooperativa agricola. Fu inevitabile, quindi, lo scontro con gli agrari e i gabellotti mafiosi, specie dopo che si mise in testa di far applicare la nuova legge sulla divisione dei prodotti agricoli a 60 e 40 (60% al contadino, 40% al padrone). Prima le lusinghe: «Lascia perdere tutto – gli disse un giorno un gabellotto – e ti daremo la terra e il frumento che vuoi!». Poi le minacce: «Tu ci stai rovinando, ma te la faremo pagare cara!». E gliela fecero pagare la sera del 21 dicembre 1946, con 5 colpi di pistola sparatigli alle spalle. Azoti fece i nomi dei suoi assassini sia alla moglie, che ai carabinieri che lo interrogarono, ma la giustizia “ingiusta” del tempo non riuscì nemmeno celebrare un normale processo. L’inchiesta per la sua morte fu archiviata in istruttoria, dopo che il gabellotto, indicato come mandante dell’omicidio, ebbe tutto il tempo di costruirsi un falso alibi. (Tratto da Articolo : La Sicilia del 17 Dicembre 2006)

 

 

Articolo da: La Sicilia del 17 Dicembre 2006
Pagata col sangue la sfida ai gabelloti
Nel dopoguerra da segretario della Camera del lavoro. stava per fondare una cooperativa agricola.

Nicolò Azoti fu uno dei primi sindacalisti della Cgil a cadere sotto il piombo mafioso nel secondo dopoguerra. Era nato a Ciminna il 13 settembre 1909, da Melchiorre e da Orsola Lo Dolce.
Ad otto anni, però, si trasferì con tutta la famiglia nella vicina Baucina, dove mise radici. Fin da piccolo mostrò spiccate doti musicali, tanto che il maestro Francesco Genovese lo inserì nel corpo bandistico di Baucina. Mostrò interesse anche per il canto, lo sport e la caccia, ma il mestiere che gli dava da vivere fu quello di ebanista. Partecipò alla seconda guerra mondiale e alla colonizzazione dell’Africa. Nel 1939 sposò Domenica «Mimì» Mauro, da cui ebbe due figli.
Nei difficili anni del dopoguerra, la sua attenzione fu attratta dalle misere condizioni dei contadini, che cominciò ad organizzare nella Cgil, battendosi per la riforma agraria. Divenne, quindi, segretario della Camera del lavoro, fondò l’ufficio di collocamento e progettò la costituzione di una cooperativa agricola.
Fu inevitabile, quindi, lo scontro con gli agrari e i gabelloti mafiosi, specie dopo che si mise in testa di far applicare la nuova legge sulla divisione dei prodotti agricoli a 60 e 40 (60% al contadino, 40% al padrone). Prima le lusinghe: «Lascia perdere tutto – gli disse un giorno un gabelloto – e ti daremo la terra e il frumento che vuoi!». Poi le minacce: «Tu ci stai rovinando, ma te la faremo pagare cara!». E gliela fecero pagare la sera del 21 dicembre 1946, con 5 colpi di pistola sparatigli alle spalle. Azoti fece i nomi dei suoi assassini sia alla moglie, che ai carabinieri che lo interrogarono, ma la giustizia “ingiusta” del tempo non riuscì nemmeno celebrare un normale processo. L’inchiesta per la sua morte fu archiviata in istruttoria, dopo che il gabelloto, indicato come mandante dell’omicidio, ebbe tutto il tempo di costruirsi un falso alibi.
Nel secondo dopoguerra, gli atti terroristici contro il movimento contadino e i suoi dirigenti cominciarono il 16 settembre del 1944, con l’attentato a Girolamo Li Causi, segretario regionale del Pci, durante un comizio a Villalba, il “feudo” di don Calò Vizzini. Proseguirono nel ’45 e nel ’46, con gli assalti alle Camere del lavoro, le intimidazioni e i pestaggi dei suoi dirigenti e con i primi omicidi. Prima di Azoti, infatti, erano già caduti Nunzio Passafiume a Trabia, Agostino D’Alessandro a Ficarazzi, Giuseppe Scalia a Cattolica Eraclea, Giuseppe Puntarello a Ventimiglia Sicula, Gaetano Guarino a Favara, Pino Camilleri a Naro, Giovanni e Girolamo Scaccia ad Alia, Giuseppe Biondo a S. Ninfa, Andrea Raja a Casteldaccia e Paolo Farno a Comitini.
Ma non sarebbe finita lì. Sotto il piombo della mafia, negli anni successivi, sarebbero caduti altri sindacalisti come Accursio Miraglia a Sciacca, Epifanio Li Puma a Petralia, Placido Rizzotto a Corleone, Calogero Cangelosi a Camporeale, Salvatore Carnevale a Sciara. Si arrivò alla cifra-record di circa 50 caduti per mano mafiosa. «Fu una vera e propria guerriglia contro i lavoratori, nel cui corso caddero a decine non solo gli attivisti e i dirigenti sindacali, ma quegli elementi che, in qualche modo, solidarizzavano con la lotta popolare contro il feudo», scrisse la Cgil siciliana nel famoso documento presentato alla prima Commissione antimafia nell’ottobre 1963. «Nelle sue lotte – si legge ancora nel documento – la Cgil si è trovata sempre circondata dalla solidarietà di tutti i siciliani, ma non ha trovato mai, purtroppo, un efficace sostegno da parte delle autorità dello Stato (…)”

 

 

Ad Alta Voce
Il riscatto della memoria in terra di mafia

di Antonina Azoti
Edito da Cart’Armata

Fotocopertina e recensione da: archiviostampa.it

Nicolò Azoti aveva 37 anni quando venne ucciso dalla mafia. Era un giovane sindacalista che si batteva a favore della riforma agricola in Sicilia. Sua figlia, Antonina, aveva solo 4 anni. Dopo mezzo secolo quella bambina ha deciso di riaprire quella ferita, per non rendere vano il sacrificio di suo padre. Così è nato Ad alta voce – Il riscatto della memoria in terra di mafia, una memoria autobiografica pubblicata dal giornale di strada “Terre di Mezzo” nella collana “I diari di Terre/Archivio di Pieve”. L’opera, che ha vinto il premio come miglior diario al concorso dell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve S.Stefano.[…]
“Ci sono motivi profondi che risalgono a molto tempo fa, nella decisione di scrivere questo libro, maturati nel lungo silenzio che mi stava intorno e in cui io stessa, forse, mi sono autoemarginata. Al tredicesimo anniversario della strage di Capaci, ho partecipato alla catena umana in memoria del giudice Falcone: c’erano migliaia di persone che protestavano per la mafia ed ho visto una società improvvisamente matura, uscita dall’immobilità. Forse proprio questa partecipazione ha fatto in modo che anch’io aprissi agli altri il mio dolore. C’era una pedana da dove poter parlare per ricordare Falcone. Mio marito voleva trattenermi, ma io invece salii e dissi ad alta voce: ‘Anch’io ho qualcosa da dire, ascoltatemi. La mafia uccide da più di 50 anni. Ha ucciso un giovane di 37 anni, un sindacalista che si batteva per la riforma agraria. Si chiamava Nicolò Azoti: io sono sua figlia, e non l’ho conosciuto’. Ho scritto anche per i miei familiari e per saldare i conti con i periodi del buio e della luce che hanno segnato la mia vita. La volontà di scrivere è stata come una luce che apriva uno squarcio verso il riscatto della memoria di mio padre, dandogli la giustizia che non ha mai avuto. E’ nata anche ‘Non solo Portella’, associazione che ricorda i sindacalisti uccisi dalla mafia. Nel 1946, nel giro di poche settimane, in Sicilia la mafia uccise 39 sindacalisti. Soltanto ad anni distanza i loro nomi sono stati riconosciuti nell’elenco dello Stato dei morti di mafia. I mandanti di quegli omicidi non sono stati perseguiti, i mandanti nemmeno quando sono stati individuati. Oggi riesco a guardare una foto di mio padre perchè ho fatto qualcosa per lui – conclude Antonina Azoti – La gente mi diceva: ‘Se tuo padre si fosse fatto i fatti suoi, non sarebbe successo’. Da bambina coltivavo il suo ricordo, insieme ad un poco di risentimento, per le parole di queste persone che facevano passare la sua morte come un destino evitabile. Quando poi sono stata in grado di documentarmi e ho capito che era stato tra i protagonisti del movimento contadino per la liberazione dalla mafia, ho capito che era morto perchè aveva abbracciato una causa. La mafia esisteva ed esiste: in Sicilia la magistratura è molto attiva ma sappiamo che la mafia è infiltrata ovunque. C’è omertà, ma almeno di mafia si può parlare liberamente: se c’è unione tra i cittadini qualcosa si può fare, in termini di presa di coscienza”.

 

 

 

Antonella Azoti per Antimafia Special | 28 agosto 2012

La mafia è vincibile nella misura in cui lo Stato vuole fare sul serio.
Antonella Azoti ci parla di suo padre Nicola, sindacalista amico dei contadini nella Sicilia degli anni ’40. Nicola fu ammazzato e fece i nomi dei suoi assassini prima di morire dopo due giorni di agonia. Ma questo non servì a fargli avere giustizia.

 

 

Articolo del 13 Settembre 2014 da  cittanuove-corleone.net   
Antonella Azoti: l’intervento per l’intitolazione di una villa di Palermo a Nicolò Azoti

“La partecipazione  così  numerosa, oggi,  di rappresentanti  Istituzionali,  Associazioni,  amici,  parenti, conoscenti,  è  per  me  una  grande  manifestazione  d’affetto, ma  è  innanzitutto  la testimonianza  della  condivisione  di  questo  momento,  che, voluto  dal  Comune  di  Palermo,   conferma a  Nicolò  Azoti, il diritto alla Memoria,  per decenni  negatagli  dall’ignoramento  e dal  silenzio  (come  è  avvenuto  per  la  quasi  totalità dei  sindacalisti  uccisi). Un  silenzio  conseguente  alla  mancanza  di  Giustizia  per  un  omicidio,  NO,  46  omicidi  che recavano firme con nomi e cognomi.
Tanti  sono   i  dirigenti  sindacali  della  CGIL  decapitata  dei suoi  uomini  più  tenaci,  impegnati  nell’attuazione dei Decreti “Gullo” che,  rovesciando  la  prospettiva  storica  immutata  ed  immutabile  nei  secoli,  davano  dignità e  libertà  ai  servi  della  gleba  assegnando  le  terre  a  chi le coltivava.
Erano  segretari  delle  C.d.L.,   dirigenti  della  Federterra,  uccisi  negli  anni  40  in quella  che  la Storia  considera  la   “Guerra  di  Liberazione” combattuta  in  Sicilia per  l’affrancamento  dalla  schiavitù  dall’ arretratezza,  cui  il  sistema feudale la  inchiodava.
Una  strage,  frutto  di  accordi  nefandi  tra  mafia  e  politica  che,  indissolubilmente  legate  da  sostegni,  intrecci,  compromessi  e  calcolate   alleanze,  barattavano  servigi  con  coperture   e  impunità  totali.
E  noi,   tutti  noi,   che non  abbiamo  avuto  diritto  ad una  sola  sentenza  di  colpevolezza  emessa  dai  tribunali,  abbiamo fatto  nostra  la sentenza emessa dalla  Storia  che,  per  suo  conto  ha  indagato,  ricercato  provato  la  Verità.
Lo  hanno  fatto  valenti  storici, studiosi come  Umberto  Santino,  Francesco  Renda,  Carlo  Marino,  Nicola  Tranfaglia,  Rosario Mangiameli,  Salvatore Lupo… per citare quelli che io conosco e ho letto.   Storici  del  territorio  come  Giuseppe  Oddo  e  Dino  Paternostro  il  quale,  in  collaborazione  con  P. L. Basile,  presenterà al Senato, proprio  nei  prossimi   giorni  una  ricerca   sui  sindacalisti  uccisi.
E  lo fa  Giuseppe  Casarrubea,  dedito   da  anni  alla ricerca di documenti, negli archivi di Roma, Budapest, Washington che, copiosi provano il coinvolgimento mafia – politica – SS. segreti italiani,  inglesi,  americani nella  strage di  Portella della Ginestra che, alla strage dei sindacalisti è  strettamente  legata.
Il  verdetto  emesso  dalla  Storia  è  unanime e  stabilisce  inequivocabilmente  da che  parte  sta  la  Giustizia , la  Ragione  e il Diritto  e  da  che  parte  il  torto;  da  che  parte  la  Verità  e   da  che  parte  la  menzogna,  da  che  parte  il  carnefice  e  da  che parte  la  Vittima  che,  nella  congerie  che  seguiva  agli  omicidi,  veniva spesso   alla  mafia omologata.
Una  Verità  che  deve  essere  conosciuta  e  riconosciuta,  accettata,  elaborata, condivisa  sicché  la  Storia  diventi  Memoria  collettiva, Coscienza  collettiva.
E’  questo  lo  Spirito,  il Valore   il  Sapore  che oggi  questa  iniziativa  assume  ed  esprime:  il risultato  di  un  impegno, ma anche coinvolgimento emotivo che va dalla proposta  alla  realizzazione,  passando  per  una procedura  che  le  norme  prevedono.  Tutte tappe seguite  dal  Dr. Michelangelo  Salamone  che    ringrazio di  cuore.
E  oggi,  13 settembre  2014  siamo  qui  in  tanti,  col  sindaco  della  nostra  città   che  mi  ha  dato  la  possibilità,  unica  nella  mia  vita,  di  vivere,   in   maniera  così  solenne un compleanno di  mio  padre.  . Compleanni, i suoi e i miei, che non ci è stato  dato  festeggiare  insieme.
Un grazie  particolare  al  Prof.  Mario Di Liberto che, nel suo ruolo di esperto  di  Toponomastica  cittadina,  ha dato  un  contributo  qualificato  ed   insostituibile  all’iniziativa.
Grazie  al  Centro  Pio  La  Torre  –  all’ANPI  –  a  Libera  –  all’Ist.  Gramsci – N. Cipolla – Dr. Lino Buscemi , a Rino Cascio e Amelia Crisantino, a Lucio Cavazzoni,  ai  familiari  delle  vittime  –  e  a  quelli  che  io  considero  i  miei compagni di viaggio e fratelli  di  sangue,  (quello versato dai nostri cari) sono  i familiari di  Epifanio  Li Puma,  di Placido Rizzotto,   sono Giuseppe  Casarrubea,  Nico  Miraglia,  qui presenti.   Grazie alla  delegazione  del  Comune  di Baucina,  ai  miei  parenti, agli amici, alle colleghe.
Un più  che ringraziamento ai compagni  della CGIL  e dello SPI, la  nostra  grande  famiglia  e  a  Enzo  Campo  neoSegr.  Prov.le  della  Camera  del Lavoro, subentrato a Maurizio Calà solo da pochi giorni che, con  slancio  emotivo  e  sostegno  concreto,  ha  partecipato  alla  realizzazione  di  questa  iniziativa .  Grazie a  Enza, Angela, a Gianni  La Greca, consigliere  prezioso  ed  esperto  collaboratore.
Un  pensiero  di  solidarietà  voglio  rivolgere  a  Don  Luigi  Ciotti,  che  da  un ventennio cerca  di  scuotere le nostre coscienze ricordandoci con forza, che Memoria è  Impegno,  è  Corresponsabilità,  è  Vivere, nella  pratica  quotidiana,  quei  Principi,  quei  Valori,  quelle  Idee  per   le  quali  Pio  La  Torre, Rocco Chinnici,  Gaetano Costa, Cesare Terranova, i Sindacalisti, Borsellino, Falcone  e tutti  gli  altri……  hanno  sacrificato  la  propria  vita.
Nessuno  ci  potrà  mai  restituire  i  nostri  cari,  ma  la  Memoria  così  intesa  e  vissuta,   di  certo  darebbe  senso  alla  nostra  vita  e  un  senso anche alla loro morte e, chissà,  magari una seconda vita fuori dal tempo!
Ma  Luigi  sostiene  anche  che  la  Memoria  ha  inizio  dal  doveroso  ricordo  di  nomi  e  cognomi.  E’  nato  per  questo  il  21  Marzo,  Giornata  Nazionale  della  Memoria,  nel  corso  della  quale,  come  grani  di  un  rosario,  900  nomi  vengono  scanditi,  senza  soluzione  di  continuità,  affinché  entrino  nelle  coscienze  di  tutti.
E  da  oggi,  chi  passerà  da qui,  imbattendosi  in  questo  cippo,  leggerà  un  nome  e  delle  date;  calcolerà  forse la giovane età  della  vittima e  magari  gli  dedicherà  un  pensiero  di  riconoscenza,  che  sarà  per  Nicolò  Azoti,  per  la  figlia  per  la  famiglia,  un abbraccio  consolatorio  di  gratitudine  e  di  solidarietà,  nello  spirito  della  Condivisione.  A  dimostrazione  che,  nel  recupero  e  nella  Cultura  della  Memoria,  anche  la  Toponomastica  assolve  un  compito  molto  importante. ”

Antonella Azoti

 

 

 

Fonte: palermotoday.it
Articolo del 22 dicembre 2017
“Quei 5 colpi di pistola nella villetta di via Savonarola”: Azoti e il coraggio della memoria

Piantato un albero di ulivo davanti al cippo che ricorda il sindacalista ucciso 71 anni fa: “Nella Sicilia del dopoguerra veniva decapitato chi organizzava i lavoratori per la conquista dei diritti”

Un albero di ulivo è stato piantato ieri dalla Cgil Palermo e dal dipartimento Legalità Cgil Palermo, davanti al cippo che ricorda Nicolò Azoti, il segretario della Camera del Lavoro di Baucina ucciso il 21 dicembre di 71 anni fa, nella villetta a lui intestata in via Savonarola. Azoti fu vittima di un agguato mortale (5 colpi di pistola alle spalle), e l’inchiesta per il suo omicidio venne archiviata in istruttoria. La sua “colpa”? Provare ad applicare le disposizioni fissate dai decreti Gullo che, attraverso l’abolizione del latifondo e il superamento delle condizioni di povertà dei contadini, tentavano di rimettere in discussione il sottosviluppo del Mezzogiorno.

Azoti puntava su due obiettivi: far sì che il 60% della produzione ottenuta dalle coltivazioni restasse ai contadini e distribuire i terreni incolti o malcoltivati ai contadini, organizzati all’interno di cooperative agricole. Al sindacalista venne proposto di “lasciar perdere” in cambio di vantaggi personali, poi, dopo il rifiuto, alle minacce seguì l’agguato.

La storia di Azoti somiglia a quella dei tanti sindacalisti uccisi nel dopoguerra: aveva organizzato i braccianti e fondato una cooperativa. Ma nella Sicilia del 1946 creare una cooperativa era come una dichiarazione di guerra. Dopo l’agguato Azoti imase in vita ancora due giorni, il tempo di parlare con la moglie e i carabinieri. Ma il gabellato denunciato sparì, era andato a preparare alibi e testimoni. E – come detto – il caso cadde nel silenzio.

“Ricordare la nostra storia, ricomporre la memoria di tutti i figli della resistenza del popolo siciliano è il nutrimento essenziale, la linfa vitale, per tutte le iniziative che la Cgil porta avanti e che hanno al centro il lavoro come valore – ha dichiarato il segretario generale della Cgil Palermo Enzo Campo – Sono tanti i dirigenti sindacali uccisi, molti dei quali poco noti, che ancora dobbiamo ricordare. Alcuni, come Antonella Azoti, hanno lanciato un urlo per chiedere il riconoscimento della storia del proprio padre, ucciso dalla mafia, altri non l’hanno voluto fare non accettando una realtà così dolorosa, altri sono venuti ai funerali per la prima volta in pubblico dopo decenni di oblio con i vestiti della festa. Noi proveremo a ricordare tutti”.

Alla cerimonia sono intervenuti la figlia Antonella Azoti lo Spi Cgil, l’associazione Libera, il centro Pio la Torre, l’Anpi, l’istituto Gramsci, il centro di documentazione Peppino Impastato la cooperativa Placido Rizzotto, il movimento per la casa 11 luglio, i nipoti di Placido Rizzotto e Giuseppe Puntarello, altri due dirigenti sindacali vittime della mafia.

“Antonella Azoti è stata una testimone importante, perché si è battuta per far sì che la memoria di suo padre venisse riconosciuta – ha detto il responsabile del dipartimento legalità della Cgil Palermo Dino Paternostro, ricordando i dirigenti e capi lega di quell’antimafia sociale formata dal movimento dei lavoratori e dei contadini -. Sono stati tantissimi i caduti, sull’onda di una lunga strage al rallentatore, che ha avuto come denominatore comune l’attacco al movimento dei lavoratori, decapitando chi organizzava i lavoratori per la conquista dei diritti”.

“Un rosario infinito di morti che ha costretto nel lutto tantissime famiglie” – ha aggiunto Antonella Azoti – Molti sono rimasti nel silenzio per difendere il loro caro. Un silenzio che ha condannato anche me per 46 anni, e che un giorno davanti all’albero Falcone ho voluto spezzare. Non era solo la mia storia che volevo venisse ricordata. Mio padre, così come gli altri, sono stati uccisi per una causa comune, per il movimento dei contadini. Siamo tutti figli loro”.

 

 

 

Fonte: vivi.libera.it
Articolo del 22 dicembre 2018

Nicolò Azoti

Nel giorno del suo 72^ anniversario pubblichiamo una biografia di Nicolò Azoti, scritta da sua figlia Antonina a cui rinnoviamo il nostro affetto.
Dedichiamo il nostro impegno per costruire quotidianamente una memoria viva a Nicolò e a tutti i sindacalisti che si sono battuti per i diritti dei lavoratori ponendosi in contrasto con le mafie e per questo uccisi senza pietà.

Nicolò Azoti nacque a Ciminna (PA) il 13 settembre del 1909, da Melchiorre e Orsola Lo Dolce ed era quarto di sette figli.

Nel 1917, quando la sorella maggiore Ninetta fu chiamata a svolgere la professione di ostetrica a Baucina, tutta la famiglia si trasferi’ nel vicino paese, mettendo radici nella nuova residenza.

Nel 1918 il padre morì e Nicolò era un bambino di soli nove anni. Nonostante la giovanissima età, era già in grado di eseguire brani da solista ed il maestro della banda musicale di Baucina, Antonino Genovese, doveva tenerlo alto sulle sue braccia perchè Nicolò raccogliesse gli applausi del pubblico incredulo.

Si dedicò con passione al suo lavoro di ebanista, attività che gli permetteva di vivere e di esprimere la sua creatività.

Era un uomo eclettico e ricco di interessi: musica, lirica, sport, caccia, lavoro e amici riempivano la sua vita.

Partecipò alla seconda guerra mondiale e alla guerra d’Africa.

Nel 1939 sposò Antonina Mauro, da cui ebbe due figli: Pinuccio e Antonina. Fu proprio in quegli anni, in quei difficili anni ’40 che il suo impegno si concentrò sulle condizioni di vita dei contadini, miseri, affamati, sottomessi, costretti a lavorare fino a 14/16 ore al giorno per una pagnotta o un piatto di minestra, mai sufficiente a saziare la fame. Per loro voleva condizioni migliori e leggi giuste che riconoscessero e garantissero lavoro, diritti e dignità fino ad allora calpestati.

Divenne Segretario della Camera del Lavoro di Baucina, fondò l’Ufficio di Collocamento, e costituì la cooperativa agricola S.Marco che in virtù di una legge nazionale, i Decreti emanati dal Ministro per l’Agricoltura Fausto Gullo, il 19 ottobre 1944, ebbe assegnati 180 Ha di terra dei feudo Traversa. Una vittoria per i contadini, e l’inizio del tanto auspicato riscatto! Ma un’insidia pericolosa ed un affronto imperdonabile per il sistema e gli equilibri da secoli consolidati, a garanzia degli agrari e della mafia del feudo che ricorsero alla violenza a mano armata. E come era successo e sarebbe accaduto ancora per altri dirigenti sindacali, Nicolò venne colpito a morte la notte del 21 dicembre del 1946, mentre dalla Camera del Lavoro faceva ritorno a casa, in compagnia di due amici. Aveva 37 anni, la moglie 31, Pinuccio 6, Antonina 4 anni.

 

 

 

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antimafiaduemila.com
Articolo del 26 gennaio 2020

A Palermo una strada per ricordare l’eroico sindacalista Nicolò Azoti
di Pietro Scaglione

 

mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 23 ottobre 2020

Nicolò Azoti ucciso anche dal silenzio
di Valentina Nicole Savino
con la collaborazione di Antonina Azoti

 

 

 

 

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