23 Febbraio 1982 San Giorgio a Cremano (NA). Ucciso Antonio Salzano, Maresciallo dei Carabinieri

Foto da L’Unità del 24 febbraio 1982

Antonio Salzano
Maresciallo dei Carabinieri, ucciso in casa sua la notte del 23 febbraio 1982 a San Giorgio a Cremano.
La moglie racconta che i killer hanno bussato alla porta e sparato a raffica con due pistole, colpendolo al petto, al collo, allo stomaco ed alla tempia sinistra con una rivoltella 38 special. Subito dopo si sono dileguati in automobile.
Dodici ore prima Salzano si trova nel Palazzo di Giustizia, quando nelle camere di sicurezza è ucciso il boss Antonio Giaccio, detto “Scialò” ed è ferito Gennaro Liccardi, capo della “Nuova Famiglia” di Forcella, entrambi ritenuti anti-cutoliani.
Una telefonata anonima al quotidiano Il Mattino cerca di gettare fango sul Maresciallo, incolpandolo di aver fornito le armi ai detenuti. Qualche tempo dopo Michele Montagna, affiliato dei cutoliani, dichiara di aver ucciso e ferito Giaccio e Liccardi, scagionando definitivamente Antonio Salzano.
Dal Sito della Fondazione Pol.i.s.

 

 

 

Articolo del 23 Febbraio 2012 da dallapartedellevittime.blogspot.com 
UCCISO DALLA CAMORRA FIN DENTRO CASA SUA. LA STORIA DEL MARESCIALLO DEI CARABINIERI ANTONIO SALZANO
di Raffaele Sardo
Quello del maresciallo dei CC Antonio Salzano, è uno dei delitti più efferati della camorra, perché ucciso a casa sua, all’una di notte, davanti alla sua famiglia. L’omicidio il 23 febbraio del 1982.

La storia che segue, è tratta dal mio libroAl di là della notte“, ed. Tullio Pironti

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Quando suona il citofono sobbalzano dal letto sia Antonio che Maria Rosaria. È da poco passata l’una di notte. «Chi sarà mai a quest’ora?», chiede la moglie. Antonio Salzano, invece, che è un maresciallo dei carabinieri, non si meraviglia che qualcuno a quell’ora possa bussare alla sua porta. Era già capitato. Antonio si avvia in pigiama verso il citofono. «Chi è?», chiede. Dall’altro capo del citofono risponde una persona che probabilmente il maresciallo conosce. Così apre la serratura del cancello automatico di una anonima palazzina del Parco Azzurro, in via Lauzieres, n. 20, a San Giorgio a Cremano. Poi apre anche il portoncino per far entrare la persona che ha citofonato. La moglie, ancora nel letto, sente la porta aprirsi e, subito dopo, cinque colpi di pistola. Tutti in rapida successione. Sono colpi di una 38 special. Il maresciallo dei carabinieri Antonio Salzano viene colpito allo stomaco, al petto, al collo. Quando è già a terra, l’ultimo colpo è alla tempia. Lo finiscono senza pietà. L’assassino esce di corsa e si infila in una macchina dove lo stanno aspettando dei complici. Una sgommata di ruote e via di corsa. Per le strade strette di San Giorgio a Cremano. Muore così a quarantatré anni, nella notte del 23 febbraio 1982, il maresciallo dei carabinieri Antonio Salzano, originario di Afragola.

«Antonio, Antonio, cos’è successo? Antonio…». La moglie del maresciallo, Maria Rosaria Langella, quarant’anni, si alza dal letto e comincia a gridare terrorizzata dagli spari. Pensa già al peggio. Arriva vicino alla porta e trova il marito a terra col viso e il petto insanguinato. Maria Rosaria urla, chiede aiuto. Corrono i due figlioletti che stanno dormendo nella loro stanzetta. Hanno sentito il rumore, gli spari, il trambusto e le grida della mamma. Bruno e Cristiano, undici e sei anni, arrivano in pigiama a piedi nudi vicino all’ingresso, visibilmente spaventati. Vedono la mamma che piange e urla vicino al corpo del padre insanguinato. Gli occhi stralunati. Tutti e due impauriti. Vedono il sangue sul volto del papà. Restano muti a osservare il corpo senza vita del padre. Maria Rosaria si accorge della presenza dei figli. «Tornate a letto. Tornate a letto. A papà ci penso io. Adesso lo porto in ospedale». Poi chiama un suo amico avvocato, arriva qualche conoscente. Cercano di soccorrere il maresciallo. Ma Antonio Salzano è già privo di vita. Arrivano i carabinieri del 113. Chiamano il giudice di turno. Arrivano anche i superiori del maresciallo scuri in volto e preoccupati per l’escalation di violenza che sta colpendo la Campania e Napoli in particolare dove dall’inizio del 1982 sono già cinquantanove i morti ammazzati. Più di uno al giorno. A riavvolgere il nastro del film della giornata, ci sono quattro morti da registrare. Due a Ottaviano (Antonio Visone e Ciro Menzione), il maresciallo Salzano a San Giorgio a Cremano e un detenuto, Antonio Giaccio, detto «Scialò», ammazzato nelle camere di sicurezza del palazzo di Giustizia di Napoli. Ad ucciderlo con una rivoltella è stato un altro detenuto, Michele Montagna, che ha ferito anche uno dei capi camorra più noti, Gennaro Licciardi, detto «’a scigna». Vendetta di bande rivali. Da alcuni anni si fronteggiano il cartello camorristico della «Nuova Famiglia» (Bardellino, Alfieri, Nuvoletta, Zaza, Giuliano e altri), e la «Nuova Camorra Organizzata » di Raffaele Cutolo. Scenario di questo scontro l’intero territorio campano. In palio c’è il controllo del mercato delle sigarette di contrabbando, ma anche la torta appetitosa degli appalti del dopo terremoto e il controllo del mercato della droga.

Qualcuno cerca di mettere l’uccisione del maresciallo Salzano proprio in relazione con quanto è successo poche ore prima nelle camere di sicurezza a Napoli. Alle 2,30 di notte giunge una telefonata anonima al quotidiano «Il Mattino»: «…il maresciallo Salzano, che ha fornito le armi ai detenuti». Si sentono nitide solo queste parole nella telefonata. Niente di più. Si cerca di buttare fango sul carabiniere che era addetto al «Nucleo traduzioni e scorta detenuti», facendo balenare l’ipotesi che le armi con le quali era stato ucciso Antonio Giaccio e ferito Gennaro Licciardi, in qualche modo sarebbero state fatte passare dal maresciallo Salzano. Giaccio e Licciardi erano appartenenti alla «Nuova Famiglia». Michele Montagna un cutoliano. In realtà nella camera di sicurezza furono trovati anche quattro coltelli che servirono a ferire Licciardi gravemente e, presumibilmente, furono anche altri a partecipare alla spedizione punitiva nei confronti di Licciardi e Giaccio. Quel giorno Michele Montagna arrivò vestito con vari strati di indumenti. Molto probabilmente aveva nascosto le armi addosso.

Un articolo pubblicato dal quotidiano «l’Unità» il 24 febbraio 1982 descrive il “mercato” delle armi a Poggioreale e di come era facile farle passare: «…una pistola costa due milioni. Un coltello a serramanico dalle cento alle duecentomila lire. I soldi per comprare le armi entrano insieme alla biancheria pulita, ai pacchi viveri che i parenti dei circa 1.500 detenuti portano durante le ore di visita. […] Anche i processi diventano occasione per far correre di mano in mano coltelli e “altro”. A quelli più importanti, oltre ai parenti, sono presenti anche i “cumparielli” che si avvicinano a baciare i boss attraverso le gabbie. È in questi momenti che spesso passano i soldi. Controlli? È difficile. La legge, dentro Poggioreale, la fanno loro, i detenuti più potenti. Le guardie giurate spesso hanno paura. Tre loro colleghi in poco più di un anno sono già morti». Michele Montagna affermò di avere ucciso e ferito da solo Giaccio e Licciardi. E sotto il verbale sottoscritto davanti agli inquirenti, scrisse: «Montagna Michele, inviato da Dio per uccidere satana».

Il ministro di Grazia e Giustizia Clelio Darida, nel rispondere ad una interrogazione parlamentare di Falco Accame, l’11 ottobre del 1982, escluse che il maresciallo Salzano fosse coinvolto nel passaggio delle armi a Poggioreale per permettere la vendetta dei cutoliani.

Intanto la vita di Rosaria e dei suoi due figli, Bruno e Cristiano, è andata avanti senza il marito e senza il padre. Col dolore sopportato nel silenzio del tempo che scorre inesorabile. Solo un gesto non si è mai affievolito: quello di portare un fiore ogni giorno sulla sua tomba.

 

 

 

Foto da: pagina Facebool Per Non Dimenticarli

 

 

Fonte:  archiviolastampa.it
Articolo del 23 Febbraio 1982
Maresciallo assassinato per «vendetta» dalla nuova camorra
Il delitto è stato rivendicato: «Abbiamo ucciso il carabiniere perché aveva dato le armi all’uomo che ieri in tribunale ha ammazzato il rivale di Cutolo»

NAPOLI — Un maresciallo dei carabinieri, Antonio Salzano, di 52 anni, è stato ucciso questa notte da due killer nell’ingresso del suo alloggio in via De Lauzeries, a San Giorgio a Cremano, nella cintura di Napoli. Il delitto è stato con ogni probabilità compiuto dalla camorra ed è in relazione con la sparatoria avvenuta ieri nel tribunale del capoluogo campano nel corso della quale è stato ucciso un boss rivale di Cutolo e altre due persone sono rimaste ferite.

L’assassinio del maresciallo è avvenuto poco prima delle due. I killer hanno suonato il campanello dell’abitazione del carabiniere. Antonio Solzano, sposato, padre di due figli, è andato ad aprire la porta, ma prima ancora che potesse rendersi conto di quanto stava succedendo, è stato colpito mortalmente da alcuni proiettili di pistola. L’allarme è stato dato dai familiari della vittima. Sonò stati istituiti posti di blocco.

Un paio d’ore dopo il delitto, al centralino del quotidiano napoletano «Il Mattino» è giunta una telefonata. Uno sconosciuto ha detto: «Il maresciallo è stato ucciso perché ha fornito le armi per la sparatoria nel tribunale».

Antonio Salzano era addetto al reparto «traduzione», cioè all’accompagnamento ed alla scorta dei detenuti. Non è però ancora stato accertato se il maresciallo aveva avuto davvero l’incarico di controllare il responsabile della sparatoria di ieri nelle camere di sicurezza del palazzo di giustizia.

Michele Montagna, l’uomo che ha aperto il fuoco contro i rivali di Cutolo, è già stato interrogato, ma ha fornito agli inquirenti solo risposte ironiche. Al magistrato che gli chiedeva da chi aveva avuto la pistola e il coltello con i quali ha ucciso Antonio Ciaccio e ferito Gennaro Licciardi e Gennaro Limatola, l’assassino ha detto: «Me li ha dati in sogno il Padreterno».

La magistratura ha aperto un’inchiesta per accertare come mai due bande camorristiche rivali (in guerra tra di loro e che hanno già compiuto più di cinquanta delitti dall’inizio dell’anno) sono state messe insieme nelle camere di sicurezza del tribunale.

 

 

Fonte: archiviolastampa.it 
Articolo del 24 febbraio 1982
Maresciallo dei carabinieri ucciso La nuova camorra; «Siamo stati noi»
di Liliana Madeo
Una telefonata anonima: «Ha armato il killer di Palazzo di Giustizia»
Due sicari hanno assassinato il sottufficiale in piena notte nell’anticamera del suo alloggio – Antonio Salzano, 52 anni, era addetto al servizio dì sorveglianza dei detenuti

NAPOLI — «Il maresciallo Salzano ha dato le armi per la sparatoria in tribunale. Per questo l’abbiamo ucciso»: la voce anonima detta il suo messaggio al centralinista del giornale II Mattino e subito la comunicazione s’interrompe. Sono da poco passate le due di notte. Appena un’ora prima, raggiunto da cinque colpi di pistola, il maresciallo dei carabinieri Antonio Salzano è stato assassinato nell’anticamera della sua casa. Nessun testimone all’omicidio, solo una frammentaria e disperata ricostruzione dei momenti che l’hanno preceduto, fatta dalla moglie e dai due figli sorpresi dalla tragedia nel sonno.

La famiglia a quell’ora dormiva. L’appartamento, tre stanze in affitto, è al secondo piano di un popolare edificio nel quartiere «Parco azzurro» alla periferia di San Giorgio a Cremano, un grosso centro della fascia napoletana. Il maresciallo, 52 anni, è addetto nel capoluogo ai servizi di scorta dei detenuti. Nei giorni precedenti aveva accompagnato proprio Raffaele Cutolo alle udienze del processo che si sta celebrando nei confronti del boss e della sua banda. Quando hanno suonato al citofono. Salzano ha risposto, quindi ha aperto il portone. Due uomini sono saliti fino all’appartamento. Il dialogo è stato molto breve. Da una 38 Special sono partiti i colpi. Il sottufficiale è caduto a terra in pigiama. L’arma è quella che di solito usano i «giustizieri campani», i killers anti-cutoliani.

L’infamante denuncia anonima suggerisce una pista per le indagini. Gli assassini sarebbero gli uomini della «Nuova famiglia». Avrebbero agito per punire colui che avrebbe armato gli uomini di Cutolo, i quali due giorni fa all’interno del tribunale avevano aggredito gli avversari uccidendone uno e ferendone due. Il maresciallo, perché ricattato, o per denaro, avrebbe, secondo gli assassini, fatto avere le armi usate per il regolamento di conti, sei coltelli e una pistola, facendole entrare a Castelcapuano o non esercitando i controlli dovuti. Per ricevere il compenso, o per una spiegazione con i complici, avrebbe aperto in piena notte la porta della sua casa senza alcun sospetto, cadendo invece in un tranello.

La versione del messaggio anonimo è stata accolta con amarezza e indignazione dai colleghi della vittima e dagli inquirenti. Il maresciallo Salzano viene indicato come persona onesta, al di sopra di ogni sospetto. Ma c’è anche chi assicura di averlo visto al volante di un’auto di grossa cilindrata. Circola pure la voce, non confermata ufficialmente, che egli fosse proprietario di una villa al mare, che insomma le sue disponibilità finanziarie fossero superiori a quelle legittime. Difficile per ora — a poche ore dall’omicidio, nella ridda delle voci, delle smentite, delle difese d’ufficio e delle Insinuazioni — controllare queste notizie.

Davanti al 58° morto ucciso dalla camorra dal principio dell’anno, lo smarrimento nella citta è profondo, le connessioni sono d’obbligo. Meno di una settimana fa Pupetta Maresca ha pubblicamente lanciato la sua sfida contro Raffaele Cutolo. A metà settimana è stato arrestato un gesuita, don Ernesto Santucci, coinvolto in una faida fra bande. Due giorni fa nei sotterranei di Castelcapuano cutoliani e avversari si sono fronteggiati a colpi di pistola e di coltello: tutti personaggi pericolosi, con storie alle spalle che hanno dell’Incredibile.

Uno dei killer, Michele Montagna, per aiutare un altro affiliato della «nuova camorra» qualche anno fa si fece sostituire da lui, mentre si trovavano a Poggioreale: gli diede i propri documenti e cosi l’altro fu tradotto al suo posto nella pretura di Frattamaggiore per una causa di poco conto e tentò di fuggire. Ma cadde da una finestra e si fratturò una gamba. Andò in ospedale e un commando fece irruzione In corsia per liberarlo: nella sparatoria rimase uccisa una donna che assisteva il marito.

Uno dei feriti a Castelcapuano, raggiunto da 16 pugnalate e due colpi di pistola, è una figura di spicco del clan Giuliano: Gennaro Licciardi è sospettato di aver partecipato a un attentato con tritolo contro il castello di Cutolo a Ottaviano, il 30 maggio 1981, uno «sgarro» che da allora attendeva di essere lavato. Del 2 giugno è la prima reazione della «nuova camorra organizzata»: quel giorno, ma per errore, per uno scambio di persona, fu ammazzato il fratello di Gennaro, Antonio Licciardi. La risposta della «nuova famiglia», a sua volta, non si fece attendere: il 5 giugno, fra la folla di porta Capuana, un uomo di Cutolo fu ucciso e altri due rimasero feriti, oltre a tre passanti tra cui un bambino di otto anni.

 

 

 

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