23 Luglio 1991 Prima strage di Racalmuto (AG). Ahmed Bizguirne, ambulante di 26 anni, vittima innocente di una guerra di mafia.
Ajmed Bizguirne, 26 anni, immigrato da Casablanca (Marocco), viveva in Sicilia, ad Aragona e per vivere faceva il venditore ambulante di tappeti. La sera del 23 luglio 1991 si trovava a Racalmuto (Agrigento), dove, nella piazza affollata del paese, sperava di fare qualche buon affare; sarà invece uno delle quattro vittime della strage che un commando mafioso, composto da sei killler, compie tra la folla in cerca di un riparo.
Tratto dal libro Senza Storia di Alfonso Bugea e Elio di Bella
Ajmed Bizguirne aveva attraversato il mare, come tanti, per sfuggire un destino di disperazione e di miseria nella sua Casablanca (Marocco), dove aveva studiato, ma senza trovare un lavoro. Così per la sua famiglia era diventato solo un’altra bocca da sfamare. Aveva passato il Canale di Sicilia per riparare sotto i tetti di un paese che credeva tranquillo: Racalmuto, il paese della ragione.
Ajmed Bizguirne, ventisei anni, la testa incorniciata da folti capelli ricci, era un tipo molto socievole. Questo carattere, così estroverso, lo aveva aiutato ad imparare presto la lingua italiana: non molto, per la verità. Ma aveva cominciato a capire e ad esprimere qualche incerta frase in italiano. Quanto bastava comunque per riuscire a vendere qualche tappeto. Abitava ad Aragona, quel giorno a Racalmuto aveva trovato anche il suo concittadino Moustafà Rammouva e altri giovani del nord Africa in cerca di fortuna.
La sera del 23 luglio del 1991 la piazza del paese era piena di gente. C’erano anche molte famiglie di emigrati tornate dai parenti per le vacanze estive dopo essere state costrette a lasciare il paese per la crisi provocata dalla chiusura delle miniere di salgemma.
C’era in piazza Umberto un’animazione, comunque, piacevole e spensierata. Un buon auspicio per qualche affare, pensava Ajmed che quel giorno era riuscito a piazzare la bancarella proprio davanti alla Matrice. Il posto più frequentato. Solo che quella sera c’erano un paio di giovani che a Racalmuto non erano venuti per fare lo “struscio”.
Le campane della Chiesa avevano appena suonato le dieci di sera. In piazza c’era il pienone, i tavolini davanti ai bar al completo, sulle scale della Matrice gruppi di ragazzi e qualche coppietta riempivano i gradini. La tragedia arrivò come un improvviso temporale estivo. In un baleno le strade piene di gente divennero vuote e silenziose. Due killer della mafia, pistole in pugno, raggiunsero la Matrice. Avevano un obiettivo preciso, si chiamava Luigi Cino. L’uomo stava seduto davanti al circolo del Mutuo Soccorso, non immaginava certo che nascosti tra la folla c’erano due sicari, con le calibro nove, pronte a fare fuoco contro di lui. Da quando una spietata guerra di mafia era iniziata in provincia di Agrigento neppure a Racalmuto si poteva stare tranquilli. Meno di tutti nel paese di Sciascia poteva stare tranquillo il sessantenne Luigi Cino, amico di Alfonso Alfano Burruano, in odore di mafia, anzi secondo certe indagini era lui il capomafia di Racalmuto e per questo ucciso il 26 gennaio del 1991 davanti la sua casa, in contrada Cometi. Pochi giorni dopo Luigi Cino avrebbe preso il suo posto ed era così diventato il nuovo bersaglio della cosca emergente. Dall’inizio dell’anno si contavano una quarantina di morti ammazzati. La vecchia pax era oramai un ricordo, nessuno poteva stare tranquillo. Neppure nell’affollata Racalmuto.
I sicari attraversarono la piazza della Matrice, incrociarono gli sguardi di decine di ragazzi in vacanza, quella dei soci del circolo del Mutuo Soccorso e dei marocchini dinanzi alle grate della Chiesa Madre. Avevano preparato ogni gesto, ogni momento. Centrarono Luigi Cino con una serie ripetuta di colpi, la vittima cadde davanti il portale di ferro della Chiesa Madre. I killer non avevano ancora finito la loro missione. C’era dell’altro sangue da versare, quello di Salvatore Gagliardo, camionista. Fuggì vedendo l’amico Cino stramazzare a terra. Di corsa scese le scale che portano in piazza Castello. I killer, però, avevano osservato i suoi movimenti. Lo seguirono colpendolo con determinazione, ma poca precisione e i proiettili colpirono e ferirono Mustafà Rammouva (il marocchino amico di Ajmed), insieme al racalmutese Lillo Marino, di 58 anni. Il commando spara ancora, stavolta contro un altro camionista del paese, Diego Di Gati, di 37 anni. Compiuta la missione di morte i killer si dileguarono infilandosi in una stradina dove pronto ad attenderli c’era un complice. Al loro arrivo l’auto sgommerà verso la statale 640. In piazza la gente è nel panico per quella mattanza. Cerca un riparo, fugge, si guarda intorno allibita. Si scopre che c’è un altro corpo vicino ai gradini della chiesa, dietro una delle bancarelle dei vu’comprà. Sopra un larga macchia di sangue c’è Ajmed Bizquirne. I riccioli neri sono diventati rosso scarlatto. Un proiettile vagante lo ha fulminato alla testa portandosi dietro le speranze del giovane studente di Casablanca con in tasca neppure i soldi per il funerale.
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Per la prima strage di Racalmuto sono stati condannati: Alfredo Sole, Giuseppe Grassonelli, Orazio Paolello, Giuseppe Mallia e Antonio Gueli.
Articolo di La Stampa del 24 Luglio 1991
Strage sulla piazza di Racalmuto, 4 morti
di Antonio Ravidà
A tarda sera un killer solitario ha fatto fuoco in mezzo alla folla. Colpiti anche due passanti – Riesplode in provincia di Agrigento la guerra tra bande criminali
AGRIGENTO. Strage di mafia a Racalmuto, il paese di Sciascia, con due vittime innocenti. Quasi una sanguinosa smentita al ministro dell’Interno Enzo Scotti che da Barcellona aveva sostenuto che i dati sull’escalation criminale diramati dall’Istat sono esagerati. Il bilancio è di quattro morti e due feriti: le vittime sono Salvatore Gagliardo, 31 anni pregiudicato; Luigi Cino, 61 anni, schedato come mafioso; Diego Di Gati, 37 anni, incensurato, autotrasportatore; e un cittadino marocchino Hamed By Zguirne, 26 anni, di Casablanca. I feriti sono Calogero Marino, di 58 anni ed un altro marocchino del quale non si conosce ancora l’identità. L’agguato è avvenuto nella centrale piazza Umberto I, in prossimità della chiesa madre poco dopo le 22 mentre numerose persone passeggiavano. Secondo i primi accertamenti dei carabinieri, a sparare sarebbe stato un solo sicario che impugnava due pistole e che è poi fuggito a piedi. E’ stato visto poco dopo salire a bordo di una «Fiat Uno» condotta da un complice. Secondo i militari dell’ Arma l’obiettivo del sicario era Luigi Cino. Il mafioso stava passeggiando insieme con altre persone quando il killer gli si è avvicinato e, estratte le due pistole, pare due calibro nove, ha cominciato a sparare. Secondo alcune testimonianze raccolte dai carabinieri, Luigi Cino è riuscito ad estrarre una pistola ed ha a sua volta sparato contro il sicario ma pare senza colpirlo. Non è improbabile, secondo gli investigatori, che Luigi Cino, nel rispondere al fuoco, abbia colpito qualcuno dei passanti. Le indagini degli inquirenti si orientano sulla lotta tra le bande criminali per il controllo delle attività illegali (droga e prostituzione) e per aggiudicarsi gli appalti pubblici. Con questi quattro morti salgono a 44 gli omicidi in provincia di Agrigento dall’inizio dell’anno. Racalmuto è stato portato alla ribalta da Leonardo Sciascia, che in quel paese era nato e dove si rifugiava quando doveva scrivere qualche romanzo ambientato in terra siciliana: è un centro fondato probabilmente dagli arabi su un sito già esistente nell’antichità. A Racalmuto Sciascia ambientò proprio il suo primo romanzo: «Le parrocchie di Racalmuto» che è stato recentemente ristampato da Adelphi. In quanto a Scotti, che ieri si trovava a Barcellona dove ha concluso la sua breve visita nel quadro della collaborazione tra Italia e Spagna nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, ha detto, senza mezze parole che «l’allarmismo è ingiustificato». E poi ne ha spiegato le ragioni: la media giornaliera degli omicidi nelle quattro regioni a rischio (3,77 nei primi sei mesi dell’anno contro il 3,27 del ’90 e il 2,98 dell’89) o delle rapine (70,21 nei primi sei mesi dell’anno contro il 57,97 dello scorso anno e il 49,48 dell’89), non si discosta da quelle registrate in altre nazioni.
La diversità italiana – ha spiegato il ministro Scotti – sta nel «rapporto perverso tra crimine, economia e politica». Un’analisi condivisa da Domenico Sica, l’alto commissario per la lotta alla mafia, che con il capo della polizia Vincenzo Parisi, il comandante generale dell’Arma dei carabinieri Antonio Viesti, il capo dell’antidroga Pietro Soggiu hanno affiancato Scotti nei colloqui spagnoli. Sica avverte che mentre i governi europei aspettano il ’93 per la libera circolazione, la criminalità organizzata ha da tempo superato le frontiere.
Articolo del 25 luglio 1991 da ricerca.repubblica.it
TUTTI HANNO VISTO IL KILLER, NESSUNO SA
di Attilio Bolzoni
RACALMUTO – Un paese intero ha visto in faccia l’assassino. Un paese intero ha incrociato i suoi occhi freddi mentre correva con la pistola in mano, mentre sparava alla disperata, mentre uccideva quattro uomini. Ma nessuno sa, nessuno ricorda, nessuno parla. Eppure il sicario era lì, era ad un passo dal circolo del mutuo soccorso, era solo a due metri dalla chiesa madre, era proprio tra la folla che passeggiava nella piazza del castello. Ma i testimoni, i cento, i mille testimoni di un massacro raccontano che “tutto sembrava solo un gioco da ragazzi, anzi sembrava proprio una masculiata”. Una masculiata, i fuochi artificiali, i botti e i mortaretti come per la festa della Madonna del Monte, la patrona di Racalmuto, la terra di Leonardo Sciascia. Quello che qualcuno ha ribattezzato in onore dello scrittore “il paese della ragione”, da ieri notte è diventato il paese dell’omertà. Un killer invisibile ha regolato i conti con vecchi mafiosi e ha portato qui droga e paura. Un massacro sul corso che dalla Madrice porta al castello, alle dieci di una calda sera siciliana quando tutto il paese si riversa nei caffè per rinfrescarsi con una granita di limone, quando gli ambulanti espongono la loro merce sulle bancarelle, quando sulla piazza si va avanti e indietro fino a mezzanotte parlando di tutto e di niente. Ed è in questo momento che sbuca da qualche parte l’assassino. Che punta verso la chiesa, che avanza verso le sue vittime. Tre uomini, tre uomini in piedi che parlottano tra loro. C’è Luigi Cino, c’è Salvatore Gagliardo, c’è anche Diego Digati. Il primo è uno “inteso”, cioè uno di quelli che in paese conta, che fa parte alla larga di una “famiglia”, che ha contatti di un certo peso con un paio di capimafia della provincia. Gli altri due sono amici da tanto tempo, compagni di lavoro, camionisti, incensurati ma anche loro “rispettati”. Ma tra quei tre il bersaglio sembra comunque lui, Luigi Cino, cinquanta anni appena fatti, conosciuto da sempre come “Spaghettino” perché era alto alto e magro magro proprio come uno spaghetto. Il sicario ce l’ha già nel mirino quando intorno si accorgono che sta accadendo qualcosa. Comincia la “masculiata”, il gioco di fuoco, comincia una sparatoria che durerà almeno tre lunghissimi minuti. #’ Il rischio di uccidere qualche passante’ Spara il sicario, risponde al fuoco Diego Digati con un revolever calibro 38, spara ancora l’ assassino. Uno, due, tre…sedici volte spara il killer. Sedici pallottole partite da due “automatiche” calibro 9. “Una pistola la stringeva in una mano e la seconda pistola nell’ altra…”, ricorda a fatica uno di quei testimoni trascinati nella notte in caserma dai carabinieri. Un agguato finito in scontro a fuoco, con due carabinieri usciti di corsa da una rosticceria che cominciano anche loro a sparare. “In aria però”, precisa un ufficiale, “c’era il rischio di uccidere qualche passante…”. Cade per primo l'”uomo di rispetto” Luigi Cino. Il killer insegue poi gli altri due e li finisce sulla piazza. Un colpo uccide anche un marocchino di Casablanca, Ahmed Bizguirne, un ragazzo di venticinque anni, uno di quei “vù cumprà” che si guadagnava da vivere vendendo orologi e cianfrusaglie per le strade di Racalmuto. Ucciso per sbaglio, ucciso nel mucchio da un sicario che sparava come un pazzo inferocito. Il padre di Ahmed s’è salvato gettandosi sotto un’ automobile ferma, un altro marocchino è fuggito trascinando una gamba ferita. Un’altra pallottola vagante. Come quella che ha colpito Lillo, Lillo Marino, il matto del paese, un pover’uomo sempre ubriaco che si trovava ieri sera tra la chiesa madre e il circolo del mutuo soccorso. Il segno di un proiettile sul polpaccio sinistro e negli occhi il terrore. Lillo “il matto” è l’unico che parla a Racalmuto. E dice: “Era uno, uno solo il killer, sparava, sparava, sparava… e io sono scappato…”. Gli investigatori stanno cercando di capire se c’era anche un complice. Ma qui anche la scoperta di questo particolare diventa un’impresa: chi parla è un uomo morto. Nelle mani di chi indaga, per ora, c’è solo l’auto usata dal killer o dai killer: una Uno bianca ritrovata bruciata ieri nei pressi della strada “veloce” Porto Empedocle-Caltanissetta. Nessuno di voi ha visto il sicario? Al circolo del mutuo soccorso alzano le spalle e continuano a leggere il giornale senza fare una grinza. Tra i soci del circolo “presenti ai pagamenti” c’era fino a questa notte anche “Spaghettino”. Che tipo era? Stessa scena di prima: ancora un’alzata di spalle, ancora occhi fissi sulle pagine sportive dei fogli locali. Quelli del circolo fanno intendere che non hanno voglia di parlare se non del socio onorario più illustre, Giuseppe Garibaldi, sì proprio lui, l’eroe dei due Mondi. Cento metri più avanti un altro circolo, quello dell’Unione, il circolo di Leonardo Sciascia. A mezzogiorno seduti sui divani di pelle e accanto al pianoforte ci sono tutti. C’è il medico, c’è l’ avvocato, c’è il maestro. Un paese senza giustizia E tutti raccontano che Racalmuto è un paese senza giustizia, un paese dove si annunciano “cose gravi assai”. E Sciascia che avrebbe detto oggi se fosse ancora tra voi? Cosa avrebbe detto di questo massacro tra la gente? Risponde l’ avvocato: “Niente, Leonardo non avrebbe detto nulla, avrebbe soltanto ascoltato i nostri discorsi, lui era uno che assorbiva, assorbiva, assorbiva e magari dopo qualche mese avrebbe scritto qualcosa…”. La paura fa calare il silenzio su Racalmuto, una paura che ha nomi e cognomi che qui nessuno osa nemmeno sussurrare. Gente nuova che ha fretta di comandare, giovani mafiosi che mese dopo mese si stanno sbarazzando della vecchia guardia. Di uomini come “Spaghettino”, di boss come Alfonso Alfano Burruano, il capo della cosca del paese ucciso all’ inizio dell’ anno nella sua tenuta di contrada Comete. O come un’ altra mezza dozzina di vecchi mafiosi fatti fuori. A Racalmuto c’ è una guerra di mafia, una guerra locale che è in qualche modo legata alle “instabilità” che si registrano dentro Cosa Nostra agrigentina. Sette morti ammazzati nel paese di Leonardo Sciascia in questo 1991, un’ altra quarantina di omicidi negli altri comuni dell’ agrigentino. Una mattanza a Racalmuto, a Favara, a Canicattì, a Porto Empedocle. E’ la “campagna d’ estate” della mafia, quella che precede la “campagna d’ autunno” annunciata dal ministro degli Interni, la controffensiva ai clan promessa da Scotti. Qui, nel centro della Sicilia, c’ è una situazione esplosiva che nessuno riesce ormai più a controllare. Un’ escalation che ha spinto Maurizio Calvi, vicepresidente della commissione antimafia, a chiedere in una lettera inviata al presidente Chiaromonte, “una immediata visita della commissione nella cittadina dell’ agrigentino”. Il massacro di Racalmuto si dice legato a misteriosi traffici sull’ asse Sicilia-Germania, traffici di eroina, traffici non voluti da quella mafia rurale che ha “regolato” per anni ogni attività nelle province interne. Clan armati uno contro l’ altro, che sono padroni del territorio, che impongono le loro leggi. E qui c’ è uno Stato che non riesce a fronteggiarli, che non riesce a fermarli, che non riesce nemmeno a disegnare l’ identikit dell’ assassino, il sicario invisibile che ha ucciso tra la folla.
Questa storia è inserita anche nel libro: I ragazzi di Regalpetra di Gaetano Savatteri – Editore: MELAMPO, ristampa 2016