24 giugno 1996 Strage di Casabona (KR). Resta ucciso Nicola Melfi, 18 anni, che lavorava nel cantiere dell’eccidio.

Nicola Melfi, operaio edile di 18 anni, viene ucciso nella Strage di Casabona, località in provincia di Crotone, nel cantiere in cui lavorava, durante l’agguato mortale a Domenico Alessio, imprenditore edile, capo della cosca più importante del paese.
L’unica colpa di Nicola Melfi, famiglia di emigrati da poco rientrati in paese (lui era nato a Wolfsburg, in Germania), era solo quella di lavorare con l’impresa del boss e di trovarsi testimone del massacro. Era il suo primo giorno di lavoro.

 

 

 

Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 25 giugno 1996
Il boss fa scattare la trappola mortale
di Diego Minuti
Crotone, il capocosca e i suoi uomini sono stati colpiti all’interno di un cantiere edile
Strage in Calabria nella guerra fra clan: 4 le vittime

CROTONE

Una trappola di quelle che non lasciano scampo, con gli assassini a tagliare l’unica via di fuga e le vittime a correre impazzite, a sbattere contro scivolosi terrapieni d’argilla, a cercare d’arrampicarsi su pareti d’acciaio.

Alla fine il bilancio è tremendo, quattro morti, un ferito, una sesta persona che forse se l’è cavata solo con il terrore nelle vene per il fatto di non essere stato ritenuto nemmeno meritevole di un colpo di fucile. Casabona, 3500 abitanti, è uno dei paesini della Calabria più marginale, dove si vive senza grandi ricchezze, ma senza nemmeno grandi paure, a meno che le cosche non decidano di scontrarsi per conquistare poche fette di benessere.

Come possono essere gli appalti, anche piccoli, ma che sanno subito monetizzare il potere dell’intimidazione. Mattanza: per gli investigatori si è trattato di questo. Ma non solo perché, sul terreno, sono rimaste quattro vittime – il presunto capocosca Domenico Alessio, 37 anni, il fratello Francesco, di 32, Francesco De Leo, di 20, Nicola Melfi, diciott’anni appena, al suo primo giorno di lavoro – quanto per il modo in cui è stato portato a termine questo agguato, tra i più efferati della storia della ‘ndrangheta non reggina.

Mattanza perché le vittime sono state, scientificamente, fatte entrare nella «camera della morte» (il cantiere) e solo allora il «rais» ha dato il segnale per fare ciò che andava fatto. I primi colpi di fucile caricato a pallettoni sono stati esplosi intorno alle 7,30 nel cantiere dove l’impresa di Domenico Alessio stava realizzando uno stabile. I lavori erano all’inizio. Dopo la gettata delle fondamenta, si stava ora tirando su i pilastri e, ai lati, armando i «ferri», prima di fare le gettate di cemento.

Il cantiere si trova sulla strada, a pochi metri da un gruppo di palazzine popolari. Ma questo non ha aiutato le vittime, intrappolate nel cantiere, per le cui fondamenta gli scavi erano andati giù, di parecchi metri. Così da creare quasi un’immensa buca dalla quale, una volta entrati, per uscire non resta che una strada. E su questo gli assassini hanno giocato le loro carte. Si sono presentati forse in quattro, armati di fucile; c’è chi dice (ma chi gli ha messo in bocca questo particolare, se non la paura?) che avevano sul volto dei passamontagna e che non li si poteva riconoscere certamente. Come i protagonisti di qualche film sull’estrema frontiera americana, armi in pugno, hanno messo sulla punta dei loro fucili i bersagli ed hanno cominciato a sparare.

I primi colpi sono stati tirati verso il basso, per bloccare, con le gambe dilaniate, i fuggitivi. Poi, lentamente, con i fratelli Alessio, con De Leo, con il povero Melfi a terra, gli altri colpi, quelli decisivi. Le teste delle quattro vittime sono esplose. Come cocomeri, dice uno degli investigatori, che sta bene attento a dove mettere i piedi, nel percorrere l’interno del cantiere per misurare la distanza tra un bossolo calibro 12 ed un altro.

I killer hanno continuato a sparare anche contro gli altri due operai del cantiere. A. I., 17 anni, se l’è cavata con una ferita di striscio, che comunque brucia meno che la paura. Un suo collega, P. P., 29 anni, è uscito illeso e forse nemmeno lui ci crede. Gli assassini se ne sono andati, tranquillamente, certo sicuri che nessuno avrebbe messo loro il bastone tra le ruote. E così è stato, tanto che a scoprire la strage è stata una pattuglia di carabinieri che, dovendo prelevare un detenuto, si è trovata a passare davanti al cantiere per caso.

Ed ora nella zona di Ciro torna il terrore, torna il ricordo di quando le cosche si affrontavano a viso aperto incuranti di chi poteva essere coinvolto. Come il povero Nicola Melfi, bravo ragazzo, al primo giorno di lavoro, finito con la testa quasi spiccata dal busto accanto ad un sacco di cemento che s’era appena caricato sulle spalle per poche migliaia di lire al giorno.

 

 

 

Fonte:  ricerca.repubblica.it
Articolo del 25 giugno 1996
STRAGE DI MAFIA NEL CANTIERE DEL BOSS
di Pantaleone Sergi

CASABONA – Sul cemento, nell’implacabile sole di mezzogiorno, c’è ancora il sangue. È il segno della mattanza, tra cui si muovono carabinieri con guanti da ostetrici che raccolgono cartucce e proiettili imbrattati e poi danno una mano ai becchini. Quattro cadaveri, sfigurati, le bare pronte, le facce di tanti curiosi che guardano l’orrore della carneficina in quella camera della morte dalle alte pareti di argilla, dove erano state gettate le fondamenta di una palazzina. Una trappola in uno sperduto paesino del Crotonese.

Obiettivo il capocosca locale, Domenico Alessio, 37 anni, un rampante costruttore che nella zona non aveva rivali: tutti i lavori erano affidati a lui, o ad un’altra società, l’impresa Siciliani, intestata sempre a lui e alla moglie. Per ucciderlo il commando ha sparato in modo da non lasciare testimoni: sono morti così il fratello Francesco, di 42 anni, Francesco De Leo, 20 anni, sottoposto a misura di prevenzione, e un diciottenne, Nicola Melfi, famiglia di emigrati da poco rientrati in paese (lui era nato a Wolfsburg, in Germania), la cui unica colpa, a quanto pare, era solo quella di lavorare con l’ impresa del boss e di trovarsi testimone del massacro.

Le fucilerie sono entrate in azione poco prima delle otto, quando è stato aperto il cantiere situato alla periferia del paese, sulla strada per Zinga (scenari da western dove Renato Castellani nel 1960 girò il film “Il brigante”). Venti colpi, fucili a pompa, traiettoria bassa per colpire le vittime alle gambe e poi finirle da distanza ravvicinata. Con il classico colpo di grazia dagli esiti devastanti. Eppure in due sono riusciti a sfuggire alla fucilazione. Quasi invisibile sull’angolo di destra, guardando dall’entrata del commando, tra le due pareti d’argilla c’è un varco. E da lì sono scappati P. P., 29 anni, vita da emigrante, e un diciottenne che era stato ferito alle gambe, A. I., il quale solo da due mesi è rientrato dalla Germania, dove vive la famiglia.

La strage di Casabona non sembra però trovare autori. I due scampati sono stati interrogati dal magistrato, il sostituto Vincenzo Montemurro. Che hanno visto, che hanno detto? «Sono indagini difficili», afferma il questore di Crotone Raffaele Gallucci, «la cosca Alessio potrebbe avere invaso territori altrui provocando così la feroce reazione». E il comandante provinciale del carabinieri, colonnello Alfredo Salvi, sottolinea che, a quanto si sa, il clan era “isolato” nel contesto criminale del Crotonese.

Sembra un paese messicano, Casabona, un paese di silenzi. In quanto a criminalità è il più tranquillo dei 27 comuni della provincia assicurano gli investigatori. Ma è una tranquillità, secondo il vigile urbano Glauco Mirarchi, che può essere frutto di sottovalutazioni. Ha subito tre attentati il vigile-pittore, l’ultimo una bomba fatta esplodere sotto una finestra di casa sua. Tutti dicono, infatti, che qui non succede mai niente e poi si viene a sapere che solo qualche giorno fa davanti alla chiesa, presente molta gente hanno preso a botte, spappolandogli il fegato, il sagrestano Michele Tucci che adesso è in fin di vita.

E andando a ritroso nel tempo qualcuno ricorda un attentato di pochi mesi fa alla motopala del Comune e gli “ultimi” omicidi, quelli di Antonio Carvello e dei fratelli Leonardo e Francesco Aprigliano, gente dei clan, avvenuti in verità uno a sei mesi dall’altro tra l’89 e il ’90. Anche per questo clima le indagini sono difficili e gli investigatori sono costretti, per trovare uno straccio di movente, a riprendere in mano vecchi fascicoli di episodi apparentemente minori che avevavno come protagonisti “Mimmo” Alessio o qualcuno dei suoi.

Ma una strage così genera allarme. «Viviamo in una realtà terribile», afferma il sindaco pidiessino Francesco Baffi. Casabona, che all’anagrafe conta 3800 abitanti, negli ultimissimi anni si è svuotata ancora. In 500 sono partiti. «Bloccata una edificazione selvaggia anche se di necessità, e quindi fermi i cantieri, il lavoro è scomparso e con il lavoro è scomparso lo Stato. Come amministrazione possiamo fare poco o nulla per questi nostri giovani… ».
I quali rischiano di diventare gregari dei clan, o vittime, come Nicola Melfi, della barbarie mafiosa.

 

 

 

Fonte: adnkronos.com
Articolo del 9 dicembre 1996
CALABRIA: STRAGE DI CASABONA, NOVE ARRESTI
Crotone, 9 dic. (Adnkronos) – Nell’ambito dell’inchiesta sulla strage di Casabona, i Carabinieri hanno eseguito stamattina nove ordinanze di custodia cautelare in carcere in Calabria, a Reggio Emilia, Roma e Varese.

La strage, che costò la vita ai fratelli Domenico e Francesco Alessio, di 37 e 32 anni, a Francesco De Leo, di 20 e a Nicola Melfi di 18, fu compiuta il 24 giugno scorso da un commando, armato di fucili calibro 12 a canne mozze, nel cantiere edile dove i quattro lavoravano a Casabona, in provincia di Crotone. Secondo quanto reso noto dagli inquirenti la strage di Casabona fu una vera e propria esecuzione mafiosa ad opera della ‘ndrina dei Carvello, famiglia spodestata dagli Alessio nel controllo degli affari risalente all’ottobre scorso dei fratelli Pasquale e Arturo Panza di 24 e 19 anni, sarebbe stata una vendetta della ‘ndrina dei Carvello.

 

 

 

Fonte: .ilcrotonese.it
Articolo del 24 ottobre 2003
Casabona, una strage senza colpevoli
di Damiano Lacaria
Sette assoluzioni e una sola condanna: la corte d’assise d’appello conferma la sentenza emessa in primo grado nel processo per la strage di Casabona, quattro persone ammazzate all’interno di un cantiere edile in un terribile agguato di mafia nel giugno del 1996.

Assolti, dunque, Domenico Aprigliano, di 68 anni; Francesco Carvello, di 35; Francesco Carvello, di 43 (omonimo dell’altro Francesco); Mario Carvello, di 40; Pasquale Mauro di 44; Domenico Misiano di 28; Ugo Misiano di 44.

Sette assoluzioni e una sola condanna: la corte d’assise d’appello conferma la sentenza emessa in primo grado nel processo per la strage di Casabona, quattro persone ammazzate all’interno di un cantiere edile in un terribile agguato di mafia nel giugno del 1996.
Assolti, dunque, Domenico Aprigliano, di 68 anni; Francesco Carvello, di 35; Francesco Carvello, di 43 (omonimo dell’altro Francesco); Mario Carvello, di 40; Pasquale Mauro di 44; Domenico Misiano di 28; Ugo Misiano di 44. Una condanna a 16 anni di reclusione, invece, è stata inflitta ad Antonio Comito; all’ex pentito, che all’inizio della sua collaborazione aveva ammesso di aver preso parte alla strage, i giudici d’appello hanno fatto uno sconto di pena: in primo grado Comito era stato condannato a 21 anni di reclusione.

Gli imputati in origine erano nove, ma nel corso del processo la posizione del 53enne Salvatore Carvello è stata stralciata su richiesta del difensore di fiducia Luigi Ciambrone: i periti, infatti, hanno dimostrato che l’uomo è un grave depresso reattivo e non può assistere alle udienze. In primo grado, comunque, Salvatore Carvello era stato assolto.