24 Maggio 2005 Siderno (RC): Assassinato il giovane commerciante Gianluca Congiusta

Foto da: liberainformazione.org

Gianluca Congiusta, un sacrificio che resta
Aveva sconfitto un male che sembrava incurabile. È stato ucciso dalla ‘ndrangheta. Gianluca Congiusta era nato a Siderno nella Locride il 19 dicembre del 1973. Una famiglia normale quella di papà Mario e mamma Donatella, gente onesta e perbene che da generazioni si occupa di commercio. Frequenta con ottimi risultati l’Istituto tecnico per il turismo. Durante l’ultimo anno delle scuole superiori viene colpito da una grave malattia: linfoma non hodgkin, un tumore. Aveva solo 17 anni. Combatte la sua battaglia e la vince. Le cure a Bologna durano un anno, poi Gianluca rientra a Siderno e recupera l’anno scolastico perso. Si diploma e fa uno stage a Roma presso un importante operatore turistico. Non conclude invece gli studi universitari (s’era iscritto in Economia e commercio) perché decide di dedicarsi al lavoro. Gestisce infatti alcuni negozi di telefonia a Siderno. Un mestiere difficile, quello del commerciante. Gianluca viene ucciso a Siderno il 24 maggio 2005. Dopo tre anni, il 7 marzo 2008, si è aperto in Corte d’Assise a Locri il processo contro la cosca Costa di Siderno, con la costituzione di parte civile, tra gli altri, della Regione Calabria, della Provincia di Reggio Calabria, dell’Associazione dei Comuni della Locride, di Confindustria Calabria. Per i giudici di primo grado il colpevole è Tommaso Costa.
La famiglia di Gianluca ha scelto di ribellarsi al dolore. Il sacrificio di Gianluca non è stato inutile. Prima il padre Mario poi la sorella Roberta sono diventati pungolo costante della società civile calabrese. Sul sito www.gianlucacongiusta.org sono contenute notizie sul processo e sui principali fatti di ‘ndrangheta della Locride. Soprattutto è presente l’elenco – sempre aggiornatissimo – dei morti ammazzati della Locride. A Gianluca Congiusta è dedicato il libro di Paola Bottero Ius Sanguinis.
Fonte: Stopn’drangheta.it

 

 

 

 

 

 

La guerra di Mario. Solo questa sera staremo in silenzio. Lo facciamo in omaggio verso Gianluca e tutte le vittime della mafia. Sappia però chi di competenza che da domani la nostra voce si alzerà nuovamente forte, per chiedere giustizia. Diventerà ogni giorno più assordante, fino a che quella giustizia che ci è dovuta non sarà ottenuta. Il film-documentario, realizzato dal giovane regista della Locride Vincenzo Caricari, ripercorre i tre anni di lotta di un padre a cui è stato ucciso un figlio nel maggio del 2005 nella Locride. Da allora la sua famiglia, e in particolare il padre, hanno iniziato una lotta finalizzata allottenimento di giustizia e di verità, ma non circoscrivendola al solo caso del figlio, ma a tutti i casi di omicidi irrisolti e, in generale, a tutti i casi di ndrangheta, di mafiosità e di illegalità. Attraverso la sua esperienza e il suo percorso, inevitabilmente viene fuori una terra, la Calabria intera, la calabresità, le sue contraddizioni, risorse, e lineluttabilità dei suoi mali. Ma anche la speranza e la voglia di riscatto che esce fuori da ogni personaggio. Nel corso dellanno 2006, visto lassordante silenzio relativo alle indagini sullomicidio di Gianluca e su tutti gli altri 32 omicidi nella sola Locride, comincia in silenzio e senza clamori la guerra di Mario

 

 

 

Articolo del 10 aprile 2013 da ilquotidianoweb.it
Delitto Congiusta, ergastolo confermato in Appello
Fu Costa a ucciderlo. Condanna anche a Curciarello
Il giovane Gianluca fu ucciso nel 2005. Dopo otto anni viene pronunciata la sentenza di secondo grado che ribadisce la colpevolezza del boss per l’omicidio e lo assolve dal reato minore di danneggiamento. Ridotta la pena per il secondo imputato: 15 anni

REGGIO CALABRIA – Per l’omicidio di Gianluca Congiusta è stata confermata la condanna all’ergastolo inflitta a Tommaso Costa. La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, presidente Bruno Finocchiaro e Gabriella Cappello a latere, dopo oltre 7 ore di camera di consiglio, ha confermato la pena dell’ergastolo inflitta in primo grado a Costa. La Corte ha assolto Costa dai reati di tentata danneggiamento aggravato. Pena rideterminata in 15 anni, dai 25 inflitti in primo grado, per Giuseppe Curciarello, assolto dalla Corte dai reati di tentata estorsione e in materia di armi.

La Corte d’Assise d’Appello, presidente Bruno Finocchiaro e Gabriella Cappello a latere, si è ritirata in tarda mattinata in camera di consiglio. I difensori di Costa e Curciarello, rispettivamente gli avvocati Maria Candida Tripodi e Leone Fonte, hanno chiesto invece l’assoluzione per i loro assistiti. Durante l’udienza sia Costa che Curciarello hanno chiesto e ottenuto di fare spontanee dichiarazioni. Entrambi si sono detti innocenti dei reati che gli vengono contestati.

Gianluca Congiusta fu assassinato a Siderno in un agguato di ‘ndrangheta il 24 maggio del 2005. A distanza di cinque anni dal delitto, nel dicembre del 2010, fu condannato alla pena dell’ergastolo il boss Tommaso Costa, accusato di essere stato il mandante e l’esecutore dell’omicidio. Congiusta fu ucciso, secondo la ricostruzione giudiziaria, perchè tentò di sventare una estorsione ai danni del suocero, Antonio Scarfò. «Gianluca Congiusta – era scritto nelle motivazioni della sentenza di primo grado – sapeva tutto quello che succedeva alla famiglia Scarfò, la sua intermediazione nell’atto estorsivo perpetrato da Tommaso Costa e Giuseppe Curciarello lo ha portato alla morte».

 

 

Articolo del 6 Marzo 2014 da ilquotidianoweb.it
Omicidio Congiusta, Cassazione rinvia sentenza di condanna in Appello: processo da rifare
La Suprema Corte ha deciso di rinviare in secondo grado la sentenza di condanna per Tommaso Costa, accusato di avere ucciso Gianluca Congiusta. Ci vorranno 90 giorni per conoscere le motivazioni di questa decisione
di Pasquale Violi

REGGIO CALABRIA – Omicidio Congiusta, si dovrà rifare un nuovo processo d’appello. La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna a carico di Tommaso Costa per il delitto di Gianluca Congiusta, l’imprenditore di Siderno ucciso il 24 maggio del 2005. I giudici della Suprema Corte hanno disposto che gli atti relativi all’omicidio siano nuovamente discussi davanti alla Corte d’Appello di Reggio Calabria (LEGGI LA SENTENZA DI CONDANNA).
Restano definitive per Tommaso Costa e Giuseppe Curciarello le condanne per associazione mafiosa e i reati legati al traffico di droga, condanne che sono state quantificate in 15 anni di reclusione. Per conoscere i punti che non hanno convinto la Corte di Cassazione a confermare l’ergastolo per Tommaso Costa si dovranno attendere le motivazioni che dovrebbero essere depositate entro 90 giorni.
Congiusta fu assassinato a Siderno in un agguato di ‘ndrangheta il 24 maggio del 2005. A distanza di cinque anni dal delitto, nel dicembre del 2010, fu condannato alla pena dell’ergastolo il boss Tommaso Costa, accusato di essere stato il mandante e l’esecutore dell’omicidio. Congiusta fu ucciso, secondo la ricostruzione giudiziaria, perchè tentò di sventare una estorsione ai danni del suocero, Antonio Scarfò.
«Gianluca Congiusta – era scritto nelle motivazioni della sentenza di primo grado – sapeva tutto quello che succedeva alla famiglia Scarfò, la sua intermediazione nell’atto estorsivo perpetrato da Tommaso Costa e Giuseppe Curciarello lo ha portato alla morte».
Nel corso del processo di secondo grado, l’accusa depositò nuovi atti, compreso le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Costa, che fornivano uno spaccato della criminalità organizzata nella zona di Siderno, Locri e Gioiosa Jonica.

 

 

Articolo del 7 Luglio 2014 da  corrieredellacalabria.it
Riparte il processo d’appello per l’omicidio Congiusta
di Alessia Candito
Sul banco dei testimoni il commissario di Siderno Rocco Romeo e l’ispettore Vincenzo Cortale

È il commissario di Siderno Rocco Romeo il primo dei testimoni chiamati ad apportare nuovi elementi istruttori al processo d’appello bis per l’omicidio Congiusta, il procedimento che l’anno scorso aveva identificato nel boss Tommaso Costa il mandante dell’omicidio del giovane imprenditore sidernese, ma che la Cassazione ha rinviato all’esame di una nuova Corte d’assise d’appello. Incalzato dalle domande del procuratore generale Francesco Scuderi, il commissario – impegnato fin dalle prime fasi nelle indagini sull’omicidio – ha ripercorso le prime attività investigative, a partire dalle possibili piste alternative battute dagli agenti per identificare l’ambiente in cui fosse maturato l’omicidio. Per oltre un anno – ha raccontato il funzionario – l’amante del giovane imprenditore e la sua famiglia sono stati tenuti sotto stretta osservazione, le loro conversazioni analizzate con cura, le loro frequentazioni passate a pettine fitto. «Abbiamo battuto la pista sentimentale per oltre un anno – ha affermato Romeo – ma non è emerso nulla; anche per l’usura i riscontri sono stati tutti negativi. Una volta che che i carabinieri di Soverato ci hanno comunicato le risultanze investigative emerse in seguito all’intercettazione della corrispondenza di Tommaso Costa, gli atti infatti sono stati trasmetti alla Direzione distrettuale antimafia». A riferire su questo fronte d’indagine avrebbe dovuto essere l’ispettore Vincenzo Cortale, ma alle domande del pg, si limitato a rispondere laconicamente che non sono emersi dettagli relativi ad attività di usura, senza sapere o poter aggiungere nulla di più. Un atteggiamento che ha provocato la reazione del pg Scuderi, che ha chiesto e ottenuto la trasmissione della sua deposizione al questore perché valuti eventuali provvedimenti disciplinari. Quelle di Romeo e Cortale, non saranno però le uniche testimonianze destinate ad arricchire la nuova istruttoria. Il prossimo 17 settembre a sfilare sul banco dei testimoni saranno l’ex vice dirigente del commissariato di Siderno, Francesco Giordano, l’ispettore Vincenzo Verduci, e il pentito Vincenzo Curato. Sarà dunque solo al termine delle nuove testimonianze che la Corte d’assise d’appello sarà chiamata a emettere un giudizio definitivo sull’omicidio del giovane imprenditore sidernese. Nel marzo scorso, i giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria avevano identificato in Tommaso Costa il mandante dell’omicidio di Gianluca Congiusta, vittima innocente della strategia con cui il boss puntava a strappare ai rivali Commisso l’egemonia criminale, conquistata negli anni sanguinosi della faida di Siderno. Una guerra che aveva visto la famiglia Costa perdere uomini, territorio e ricchezze, ma non soccombere, e ripresentarsi anni dopo con il volto e la mente di Tommaso Costa, determinato a tessere una rete di alleanze con i clan emergenti, destinata a mettere in difficoltà la consorteria rivale dei Commisso. Una strategia segreta, e che tale doveva restare, fino a quando il nuovo cartello non fosse stato pronto allo scontro. Per questo la determinazione di Gianluca a rivelare il contenuto della lettera estorsiva, inviata dai clan dell’emergente cartello al suocero, andava fermata. Per questo Gianluca doveva essere eliminato. I Commisso non potevano e non dovevano capire cosa Costa stesse architettando, ma soprattutto nessuno, nel regime di terrore imposto dall’emergente boss, doveva permettersi di trasgredire al suo volere. Per questo, la sera del 24 maggio del 2005 Gianluca Congiusta è stato ucciso con un unico, devastante, colpo di pistola alla testa. Questa la tesi della Dda di Reggio Calabria che ha convinto tanto i giudici di primo come di secondo grado, ma che non ha superato lo scoglio della Cassazione.

 

 

8 Luglio 2014 Fonte: gianlucacongiusta.org
«Pista passionale senza prove»
Rocco Romeo ha ripercorso tutta l’attività investigativa sull’omicidio

CALABRIA –
«Abbiamo espletato tutti gli accertamenti sul possibile movente passionale e su altre piste senza però approdare a nulla».

E’ quanto ieri ha detto il vice Questore Rocco Romeo che a Reggio Calabria è stato sentito nell’ambito del processo d’appello per l’omicidio di Gianluca Congiusta. Romeo, che da dirigente del commissariato di Siderno nel 2005 seguì in prima persona le indagini, ha risposto alle domande del Procuratore Generale Scuderi e dell’avvocato della difesa Sandro Furfaro.

Il dirigente della Polizia di Stato ha riferito di avere messo in atto tutti gli accertamenti possibili per poter verificare se gli indizi sulle ipotesi del delitto passionale o dell’omicidio legato al mondo dell’usura potessero avere riscontri sulla morte del giovane imprenditore Gianluca Congiusta, ma, come ribadito da Romeo, nessuna di queste piste investigative approdò a prove concrete.
In aula anche l’ispettore Curtale, uno dei primi ad interessarsi del caso Congiusta per conto del commissariato di Siderno.

Il poliziotto, vago e mai preciso, non è apparso lucido nel riferire degli accertamenti da lui effettuati. Il dibattimento d’appello bis per l’omicidio di Gianluca Congiusta, dove l’unico imputato è Tommaso Costa, è ufficialmente ripartito con la testimonianza dei funzionari della Polizia di Stato che all’epoca delle indagini avevano verbalizzato le informative sul delittodel giovane imprenditore sidernese.

Il prossimo 17 settembre si torna in aula con il collaboratore di giustizia Vincenzo Curato che poche settimane fa aveva riferito ai magistrati della Distrettuale antimafia di una possibile reticenza del pentito Giuseppe Costa nel raccontare di essere a conoscenza di un delitto compiuto dal fratello Tommaso.
p.v.
Fonte: Il quotidiano

 

 

 

Articolo del 3 novembre 2014 da  liberainformazione.org
Delitto Congiusta, processo torna in Appello. Il padre del giovane imprenditore: “Per colpa della politica rischio di non avere giustizia”

di no.fe.

Una lettera indirizzata al ministro della Giustizia, Andrea Orlando e la tessera elettorale riconsegnata alle istituzioni. Dopo il rinvio in Appello del processo per il delitto di Gianluca Congiusta,  ucciso a Siderno il 24 maggio 2005,  il padre del giovane imprenditore calabrese, sceglie la strada di un  “estremo gesto”.  Si tratta di una “civile protesta – scrive Mario Congiusta nella lettera – per la scarsa considerazione che la politica e le istituzioni hanno nei confronti dei cittadini che chiedono che vengano colmati vuoti legislativi di particolare importanza per la giustizia e per l’incolumità delle persone”. Accusato del delitto, Tommaso Costa,  già  condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Locri, pena confermata dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria. La seconda sezione della Cassazione, nonostante l’articolata requisitoria del Procuratore Generale, invece,  ha annullato questa sentenza,  con rinvio  ad una diversa sezione della Corte d’Assise d’Appello, per la parte che riguarda proprio il delitto di Gianluca. Mario Congiusta, fra proteste, scioperi della fame e manifestazioni di piazza, non ha mai smesso di chiedere verità e giustizia. E anche  questa volta ha scelto di far sentire la sua voce, rivolgendosi in particolare alle istituzioni e al mondo della politica.

La storia di Gianluca Congiusta. Trentadue anni, gestore di alcuni negozi di telefonia mobile, Gianluca Congiusta fu ucciso la sera del 24 maggio 2005, mentre rientrava a casa dal lavoro. L’imprenditore, estraneo agli ambienti della criminalità organizzata, venne assassinato con due colpi di fucile mentre si trovava alla guida della sua macchina in una zona periferica della città. Un omicidio apparentemente incomprensibile. La svolta nelle indagini si concretizza il 9 gennaio del 2007 quando Tommaso Costa, 48 anni riceve in carcere un’ordinanza di custodia cautelare con l’accusa di essere il mandante e l’esecutore materiale, in concorso con altre persone non ancora identificate, dell’omicidio di Gianluca Congiusta. Tommaso Costa era stato catturato solo poche settimane prima, mentre si stava freneticamente “impegnando” nel tentativo di rialzare le quotazioni del clan, ritagliandosi nuovi spazi di influenza. Uno scenario criminale complesso e pericoloso fa da sfondo al delitto del giovane imprenditore. “L’omicidio di Gianluca Congiusta – si legge nelle motivazioni della sentenza di primo grado – è stato deciso, organizzato ed eseguito da Costa Tommaso, ed è un delitto tipicamente mafioso non solo per le sue modalità esecutive ma anche e soprattutto per il concorso di pre-elementi (punitivo, estorsivo e strategico), funzionali alla riaffermazione del potere criminale del risorto sodalizio Costa, potere che non poteva prescindere dal manifestarsi e imporsi nei confronti di chi operava economicamente proprio nelle immediate vicinanze delle case dei Costa”. Un impianto accusatorio confermato in secondo grado ma che la Cassazione, invece, ha rinviato per un successivo pronunciamento della Corte.

Le corrispondenze in carcere e una “norma fragile”.Un vuoto normativo, secondo Mario Congiusta, sbarra la strada al cammino della giustizia sul delitto del figlio. Fra le prove a sostengo dell’accusa anche una lettera, “intercettata” in carcere, che non può essere utilizzata a processo per le norme sulla privacy. Nel testo, alcuni riferimenti al possibile movente del delitto. Qui il tallone d’Achille formale che potrebbe aver convinto la Cassazione al rinvio dell’imputato per le accuse relative al delitto Congiusta. “In assenza di una specifica previsione normativa, l’intercettazione della corrispondenza epistolare è illegittima e processualmente inutilizzabile – scrive Mario Congiusta nella lettera al Ministro Orlando.  E’ facilmente comprensibile che, se il vuoto normativo non viene tempestivamente eliminato, il crimine organizzato continuerà ad avere a sua disposizione un mezzo di comunicazione, semplice ma efficace e, soprattutto, assolutamente inviolabile dagli organi inquirenti, che consentirà, ad esempio, anche ai “boss” detenuti, di continuare ad impartire ordini e direttive agli affiliati”. “Non posso sapere come finirà il processo che mi riguarda – conclude Congiusta – ma di un fatto sono certo, che a distanza di quasi dieci anni, corro il rischio di non avere quella giustizia che mi è dovuta per colpa grave di chi è preposto, e pagato, a legiferare e colmare vuoti segnalati”.

 

 

 

 

Gianluca Congiusta – Il Quotidiano del Sud del 4 maggio 2016 – Pagine della memoria

 

 

 

Fonte: ildispaccio.it
Articolo del 25 ottobre 2017
Ecco perchè fu ucciso Gianluca Congiusta
di Angela Panzera

“La Corte ritiene che il compendio indiziario in atti a carico dell’imputato costituisca idoneo corredo probatorio a supporto dell’affermazione di colpevolezza per l’omicidio di Gianluca Congiusta. Alla presenza di un’imponente causale connotata dal requisito della specificità ed univocità si affiancano infatti una serie di indizi gravi, precisi e concordanti che inquadrano l’accaduto, senza possibilità di chiavi di lettura alternative, nella catena di fatti delittuosi consumati nella zona durante il periodo di latitanza dell’imputato e che trova ragione nella volontà di riaffermare la presenza della cosca sul territorio, di consumare il disegno estorsivo nei confronti dello Scarfò e di punire Gianluca Congiusta per il grave ed inaudito “sgarbo” commesso nei confronti del Costa mettendone in grave pericolo il progetto criminale ed esponendolo a ritorsioni della fazione rivale”. Per la Corte d’Assise d’Appello reggina non ci sono dubbi: il boss sidernese Tommaso Costa ha ordinato l’omicidio di Gianluca Congiusta. Depositate le motivazioni con cui i giudici di secondo grado hanno inflitto l’ergastolo all’imputato riconosciuto colpevole, anche all’esito dell’ Appello bis, dell’omicidio del giovane imprenditore sidernese avvenuto il 24 maggio del 2005. Secondo l’accusa, rappresentata dai pg Antonio De Bernardo e Domenico Galletta, e adesso anche secondo i giudici di Piazza Castello, Congiusta sarebbe morto per essere venuto a conoscenza, attraverso una missiva intimidatoria, di un tentativo di estorsione perpetrato da Costa ai danni del suocero Antonio Scarfò. Un’estorsione di cui però nessuno doveva sapere, nessuno; soprattutto la ‘ndrina rivale dei Commisso. Sempre secondo l’impianto accusatorio, Congiusta venne a conoscenza delle mire espansionistiche del Costa, proprio dalla bocca della famiglia della sua fidanzata Katia. Costa a breve sarebbe uscito dal carcere (dove si trovava già recluso per altri fatti ndr), e quindi avrebbe dovuto “riacquisire” credibilità mafiosa a Siderno e dintorni, senza però che la cosca, quella veramente potente facente capo alla famiglia Commisso, venisse prematuramente a conoscenza dei suoi progetti criminali poiché altrimenti l’avrebbe pagata cara, così come già successo nella sanguinosa faida degli anni ’90 in cui la cosca Costa non ebbe di certo la meglio. Una volta appreso che questa lettera circolava, Costa appena uscito dal carcere avrebbe ucciso Congiusta “reo” di averne appreso il contenuto.

Dopo la condanna all’ergastolo in primo e secondo grado la Cassazione ha annullato, con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Assise d’Appello, la condanna per l’accusa di omicidio a carico di Costa. Al termine del processo bis per i giudici l’imputato è da ritenere l’assassino del giovane. La Cassazione aveva rimesso tutto in discussione poiché era necessario, attraverso un nuovo processo d’Appello, espletare alcune ipotesi investigative già analizzate sia dagli agenti del commissariato di Siderno, che all’epoca si occuparono del caso, che durante il processo di primo grado celebrato dinnanzi la Corte d’Assise di Locri. In particolare occorreva togliere qualsiasi dubbio in riferimento a una possibile causale “passionale” all’origine del delitto e anche ad una eventuale causale dettata da un, non meglio precisato, giro di usura in cui la vittima poteva essere coinvolto. Tutto ciò perché erano stati rinvenuti alcuni assegni nella sua disponibilità. Entrambe le piste sono state nuovamente “battute” durante il processo d’Appello bis e adesso la Corte, presieduta da Roberto Lucisano con a latere Marialuisa Crucitti, spiega come, in particolare, il presunto giro di usura, non solo non esiste, ma non è di certo una causale dell’omicidio del giovane imprenditore.

“Può serenamente affermarsi come nessun elemento emerso nel corso della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale- è scritto nelle motivazioni- abbia consentito di accreditare in modo minimamente apprezzabile alcuna delle causali alternative inizialmente adombrate con riferimento all’omicidio di Gianluca Congiusta. Alla luce del rilievo mosso dalla Corte di Cassazione si è ritenuto di procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sottoponendo ad esame numerosi testimoni: esponenti delle forze di polizia interessati alle attività di indagine, firmatari e giratari degli assegni trovati nella disponibilità della vittima e soggetti potenzialmente a conoscenza di circostanze legate ai profili segnalati. Orbene, le deposizioni rese nel corso dell’istruzione hanno evidenziato come la vittima, gestore di due centri Tim autorizzati in una zona caratterizzata da dinamiche socio-economiche notoriamente assai problematiche e al contempo noto ( per convergente giudizio dai soggetti esaminati) per la sua disponibilità umana e la sua giovialità, consentisse ai titolari di esercizi commerciali e a molti clienti abituali di acquistare la merce utilizzando il sistema del rilascio di assegni a garanzia o postdatati con il saldo del dovuto ad una fase successiva nella quale stanzialmente i primi avessero ottenuto gli introiti della rivendita della merce ed i secondi avessero avuto l’accreditamento dei compensi mensili a titolo di stipendio o pensione.

Nessuno dei soggetti ha neppure lontanamente adombrato la possibilità che dietro tale sistema di rapporti commerciali si nascondesse un meccanismo di natura usuraria, escludendo recisamente che il Congiusta pretendesse l’erogazione di interessi per il pagamento differito dalla merce ed, anzi, sottolineando come si trattasse di un trattamento di favore che consentiva tanto agli interlocutori commerciali quanto ai privati, in un territorio che non brilla per ampiezza di risorse economiche di ottenere indubitabili vantaggi. E d’altra parte, ci vuole poco a comprendere che se la disponibilità di Gianluca era in buona parte dovuta ad una naturale propensione verso gli altri, tale atteggiamento al contempo gli permetteva di proseguire con profitto l’attività commerciale svolta, dovendone accettare gli inevitabili margini di rischio connessi alla localizzazione territoriale e a rapporti spesso fondati su reciproca fiducia fra le parti. Peraltro, è altresì emerso come ad escludere con fermezza qualsiasi ipotesi di ricorso ad un sistema occulto di prestiti da parte di Congiusta sia stato anche un soggetto che in passato risulta essere stato vittima di usura da parte di organizzazione criminale operante nel territorio della Locride, collaborando con la giustizia nell’individuazione dei responsabili, e che certo non avrebbe avuto remore a riferire in merito ad analoghe prassi soprattutto dopo il decesso del presunto autore di tali condotte illecite. (…) in definitiva tutti gli elementi raccolti concorrono a concludere che, come non di rado avviene, la cosiddetta pista usuraria sia stata solo un’ipotesi di lavoro iniziale, conseguente alle difficoltà nell’espletamento di indagini per l’uccisione, con tipiche modalità mafiose di soggetto ritenuto fino ad allora dalle medesime forze di polizia un giovane imprenditore commerciale di successo estraneo ad ambienti criminali, ma che le verifiche condotte successive abbiano consentito di fare emergere la totale infondatezza di tale possibile causale, di cui va dunque esclusa la perdurante incidenza ai fini delle valutazioni da operare nel presente procedimento”.

 

 

Fonte:  quotidianodelsud.it
Articolo del 20 aprile 2018
Annullata la condanna all’ergastolo per il boss Costa.
Non fu lui ad uccidere Congiusta. Dure reazioni.

SIDERNO (REGGIO CALABRIA) – La Cassazione ha assolto in via definitiva Tommaso Costa per l’omicidio del giovane imprenditore Gianluca Congiusta, annullando così la condanna all’ergastolo per il boss di Siderno, come da ultima sentenza della Corte d’Assise d’Appello dopo il rinvio della stessa Corte Suprema, del giugno del 2017. La pronuncia definitiva della Cassazione risale alla tarda serata di ieri. Costa “assolto per non avere commesso il fatto”.

Si chiude così la vicenda giudiziaria legata all’omicidio del giovane sidernese, noto commerciante del settore della comunicazione, ucciso la sera del 24 maggio del 2005 a Siderno, nella Locride.

A distanza di quasi tredici anni, l’omicidio del giovane Congiusta non ha un colpevole. Ai giudici ermellini non è bastato il materiale raccolto dagli investigatori, le motivazioni delle precedenti sentenze che mandavano al carcere a vita il boss Tommaso Costa. Delusione nei familiari di Gianluca Congiusta, che in questi anni hanno lottato ininterrottamente per avere giustizia.

Sul suo profilo social, una delle sorelle di Gianluca, così commenta la decisione della Cassazione: ”Oggi il dubbio che essere onesti sia inutile diventa certezza. Oggi Luca lo hanno ucciso per la seconda volta, oggi niente ha più senso…oggi siamo morti tutti! La speranza è morta… e muore con lei tutto ciò in cui credevo e per cui abbiamo smesso di vivere, lottando per 12 anni ininterrottamente”.

Anche Angela Napoli, già componente della Commissione Antimafia, ha postato a caldo un suo commento:”Reputo davvero vergognosa la sentenza, emessa ieri sera dalla Corte di Cassazione, con la quale è stato assolto il boss Costa, condannato nelle prime due fasi processuali per l’omicidio del giovane Gianluca Congiusta. Un’altra vittima di mafia che ad oggi rimane, purtroppo, senza l’individuazione dei colpevoli. Nel formulare la mia solidarietà e vicinanza a Mario Congiusta ed alla sua famiglia, sento il dovere di fare appello ai legislatori italiani affinché in questa legislatura varino le norme idonee ad individuare e condannare i responsabili dei delitti di mafia. Le vittime di mafia prive di colpevoli vengono uccise due volte! Tutto ciò è davvero inaccettabile!”.

 

 

 

“Il boss condannato per l’assassinio di mio figlio è innocente. Per 13 anni ho creduto nella giustizia, mi sento un cretino”

28 aprile 2018
“Lo hanno voluto punire – si sfoga il padre Mario – hanno voluto dire: ‘Nessuno si deve rifiutare’”. Secondo la Suprema Corte, Tommaso Costa è innocente nonostante sia già stato condannato al carcere a vita per un altro omicidio avvenuto sempre nel 2005, appena due mesi più tardi da quel colpo di lupara sparato su Gianluca. La sentenza, adesso, è definitiva. “Stanno dicendo ad altri giudici che non hanno capito nulla e che hanno sbagliato tutto – afferma Mario Congiusta – è possibile? La sentenza d’appello era blindata. C’era scritto che l’assassino era Tommaso Costa al di là di ogni ragionevole dubbio. Oggi non lo è più. Anche se venissero fuori altri elementi non può più essere processato”.

Durante il processo ha pesato anche un vuoto legislativo che ha impedito ai magistrati di considerare come prove le numerose lettere che il boss ha scritto dal carcere. “La mia privacy non può essere equiparata a quella di un criminale perché lo Stato mi offende – aggiunge il padre di Gianluca – ho chiesto di modificare la legge. Della questione ho scritto al ministro Orlando, ho scritto anche a Matteo Renzi. Ma nessuno mi ha mai risposto”. Sull’inutilizzabilità della corrispondenza del detenuto, già nel 2007 l’allora sostituto procuratore di Catanzaro Gerardo Dominijanni (oggi procuratore aggiunto di Reggio Calabria) aveva scritto, senza ricevere alcuna risposta, alla commissione parlamentare antimafia sottolineando “l’irragionevolezza” di una norma che necessità di una “modifica”. “Ricorre in questi giorni il 25 aprile – conclude Mario Congiusta – ma in Calabria non ritengo sia da festeggiare. Chi ha liberato la Calabria? Dalla ‘ndrangheta chi ci libera? Dobbiamo aspettare che arrivino gli americani a liberarci. Non voterò più. E mi sento un cretino perché ho perso 13 anni della mia vita credendo nella giustizia”.

 

 

 

Fonte:  newz.it
Articolo del 15 giugno 2018
Omicidio Congiusta. Le motivazioni con cui la Cassazione ha assolto il boss Tommaso Costa
di Simona Musco

Roma. I moventi alternativi all’omicidio di Gianluca Congiusta sono stati totalmente esclusi dalla seconda sentenza d’appello, ma ciò non basta. Dicono questo, in sintesi, le motivazioni della sentenza con la quale la Cassazione, lo scorso 19 aprile, ha annullato senza rinvio la condanna all’ergastolo per il boss Tommaso Costa, ritenuto dalla Dda l’assassino del giovane imprenditore di Siderno. Secondo la tesi dell’accusa, Congiusta sarebbe stato ucciso per essere venuto a conoscenza della lettera estorsiva fatta recapitare da Costa al suocero Antonio Scarfò, che poi consegnò la lettera al genero affinché intervenisse. Il boss, dunque, avrebbe ordito l’omicidio per eliminare un testimone scomodo e lanciare un segnale alla cosca rivale, i Commisso, uscita vincitrice dalla faida che aveva decimato la famiglia avversaria.

L’omicidio si è consumato il 24 maggio 2005, nel periodo di latitanza di Costa, uscito dal carcere grazie all’indulto. Ma gli elementi a sostegno della tesi dell’accusa, secondo la Cassazione, non hanno superato il limite del ragionevole dubbio.
Il processo ha avuto un iter lungo e complesso: dopo due ergastoli, il procedimento era arrivato una prima volta in Cassazione, che aveva chiesto di escludere i moventi alternativi, ovvero la possibile usura esercitata da Congiusta e il movente passionale, rinviando così tutto ad un nuovo giudizio d’appello. Così, nel secondo processo in Corte d’Assise a Reggio Calabria, con oltre quaranta testimonianze erano state analizzate nel dettaglio le ragioni alternative, escluse poi dalla Corte d’appello, che aveva indicato in Tommaso Costa l’unico possibile autore di quell’atroce delitto.

Ma per i giudici della Suprema Corte, «la sentenza impugnata non ha rispettato le indicazioni espresse dalla sentenza rescindente, rimanendo all’interno del perimetro già ritenuto illegittimo da detta sentenza». Nessun vizio di legittimità per quanto riguarda le piste alternative, «in relazione all’ampio approfondimento istruttorio svolto dai giudici di merito che, senza vizi logici, ha escluso la emergenza di qualsiasi elemento a sostegno di moventi alternativi e – segnatamente – rimanendo incontestata l’affermazione dei giudici di merito circa la completa mancanza di ragioni per le quali il Salerno (Salvatore, indicato dai difensori di Costa come vero assassino della vittima, ndr) avrebbe dovuto uccidere il Congiusta».

Ma rimane, in ogni caso, «generico il ragionamento della Corte di merito che inscrive la vicenda omicidiaria nel contesto criminale coltivato dal ricorrente specie dopo la sua scarcerazione – facendosi leva anche sulla condanna per analogo fatto di sangue commesso nel medesimo periodo di latitanza, come pure risulta carente la giustificazione in ordine alle ragioni dell’omicidio in funzione della ritenuta sovraesposizione della vittima dopo il recapito della lettera estorsiva, rimanendo sicuramente inspiegato il lungo lasso temporale tra l’emergenza del fatto e la verificazione dell’omicidio, avvenuto anche dopo quattro mesi dalla scarcerazione del ricorrente».

Un omicidio consumato, dunque, con un certo “ritardo” rispetto alla scarcerazione di Costa, che una settimana prima del delitto aveva incontrato il suocero di Congiusta, vittima delle richieste estorsive del boss di Siderno. Costa, a luglio 2005, ha poi ucciso Pasquale Simari, un’esecuzione che gli è costata il carcere a vita e con la quale il boss di Siderno, secondo i giudici, «ha lanciato un messaggio» presentandosi «a volto scoperto in una piazza gremita, con la freddezza del criminale consumato», dando luogo «ad un’esecuzione dall’elevato contenuto simbolico, sopprimendo un soggetto che aveva osato allontanarsi dalla consorteria cui era stato vicino, dominante in quel paese, addirittura disattendendo gli avvisi espliciti rivoltogli, accostandosi e porgendo ossequio, una volta che questi era deceduto, all’appartenente ad una cosca rivale».

Per gli ermellini, però, «quello che la sentenza individua come mandato omicidiario del Costa non supera la già censurata inidoneità giustificativa: lo stato temporale tra la sua ritenuta manifestazione (28 gennaio 2004, ovvero durante la carcerazione, ndr) e la verificazione dell’omicidio (24 maggio 2005) non è riempito da alcun elemento che lo giustifichi». Quel 24 gennaio Costa scrisse al suo fidato sodale Giuseppe Curciarello, condannato già in via definitiva per associazione mafiosa. «Per quello che ti dovevo chiedere e che nel breve tempo possibile deve scomparire la vol­pe – scriveva il boss – visto che ha fatto stragi di galli. È un fat­to di assoluta urgenza e riservatezza. Se uscivo io era mio dovere, ma siccome non si sa quanto tempo ci vuole io ho questa urgenza. Lo so quello che ti sto chiedendo, ma io sono un uomo fino all’ultimo respiro e tu che sei mio fratello non puoi dirmi di no».

Ed è questo, per i giudici, un altro elemento non adeguatamente valutato, in quanto Costa avrebbe dato a Curciarello, secondo la loro interpretazione, il mandato di «individuare» il soggetto responsabile «della “infamità” commessa ai danni del boss sidernese». Si tratta quindi di un «mandato omicidiario in incertam personam. In tal modo palesando la inconsistenza dell’elemento a contribuire all’individuazione di quel tassello di cui la sentenza rescindente aveva indicato la necessità». Rimane inoltre «lo scollamento temporale ad onta della sua proclamata urgenza – dell’individuato mandato omicidiario al sodale Curciarello di un anno e mezzo anteriore alla verificazione dell’omicidio anche dopo quattro mesi dalla scarcerazione del Costa, senza che alcun altro elemento giustifichi il duplice iato. Inoltre, la individuazione della ragione per la quale non fosse stato preso di mira l’estorto ma il Congiusta riposa sull’indimostrata natura punitiva dell’omicidio e della circostanza che il Congiusta fosse “l’anello forte della resistenza all’estorsione”, risultando – invece – che, fino a pochi giorni prima del suo assassinio, l’uomo era ancora un punto di riferimento degli estorsori».

Era stato lo stesso Antonio Scarfò, ad ammettere, dopo aver negato per paura la vicenda e guadagnandosi una condanna per falsa testimonianza, che il delitto potesse essere connesso alle richieste estorsive avanzate da Costa, per le quali Congiusta aveva il «torto» di essersi «interposto per difendere la famiglia della fidanzata», stando alla risposta data da Scarfò al pm. Ma né queste dichiarazioni, né quelle del pentito Vincenzo Curato, che ha dichiarato di aver appreso dal fratello di Tommaso Costa, Giuseppe, attualmente collaboratore di giustizia, della responsabilità di Tommaso nel delitto, «individuano alcun specifico elemento che possa concorrere a soddisfare il dictum della sentenza rescindente». Insomma, la sentenza del secondo appello avrebbe riproposto lo stesso ragionamento già censurato, senza l’ulteriore tassello a giustificare il collegamento tra Costa e l’omicidio di Congiusta.

La Cassazione concorda con la Corte d’appello nel dire che nessuno degli elementi emersi nel corso del nuovo processo di merito «ha consentito di accreditare in modo minimamente apprezzabile alcuna delle causali alternative inizialmente adombrate con riferimento all’omicidio del Congiusta». Quella usuraria, infatti, è stata esclusa sia con riferimento agli assegni rinvenuti presso la vittima dopo il suo omicidio, sia all’ipotizzato coinvolgimento della vittima in un circuito di prestiti usurari, anche in relazione a collegamenti con Carmelo Muià (coinvolto in processi di criminalità organizzata e ucciso lo scorso gennaio a Siderno).

La pista passionale, invece, è stata esclusa in ragione non solo della circostanza che la medesima fonte (la madre della vittima) «non può aver taciuto notizie rilevanti a riguardo ma anche per la considerazione che le espressioni da lei pronunciate nei colloqui intercettati si mostravano come frutto di riflessioni, dubbi e timori in una condizione psicologica disperata». Infine, quanto alle dichiarazioni di Gianluca Di Giovanni in relazione ai suoi rapporti con la vittima, «ne è stata ritenuta l’assoluta inattendibilità ed inverosimiglianza richiamando anche la intervenuta condanna per falsa testimonianza». Non convince, infine, l’attribuzione dell’omicidio a Salvatore Salerno, poi ucciso per aver tradito la sua appartenenza alla cosca Commisso. La Corte d’appello ha escluso, a fronte della definitiva condanna di Costa per la tentata estorsione a Scarfò, «che analoghi interessi estorsivi nei confronti di questi potessero ritenersi accertati a carico del Salerno e che – al di là di tutto – non si rinveniva quale potesse essere la molla che aveva indotto il Salerno ad uccidere il Congiusta». A partire da colloqui in carcere con i familiari e dalla corrispondenza epistolare sottoposta allo stesso Costa.

Congiusta, pochi giorni prima di morire, aveva confidato a Domenico Oppedisano – fratellastro del boss Salvatore Cordì, ammazzato il 31 maggio 2005, poi diventato testimone di giustizia – delle richieste estorsive fatte da Curciarello per conto di Costa, confidando «di essersi messo in una situazione più grande di lui». Inoltre, emerge il complessivo atteggiamento di timore e reticenza degli Scarfò sui rapporti con i Costa e il collegamento – ricavato dalle intercettazioni – fatto dallo Scarfò dell’omicidio del Congiusta con la catena di intimidazioni subita da anni, nonché l’ammissione fatta in dibattimento dallo stesso, con la quale aveva ricondotto l’omicidio alla circostanza che il giovane si fosse interessato della questione della lettera, cercando di risolverla. E il padre della vittima aveva appreso dallo Scarfò che, poco dopo l’omicidio, qualcuno gli aveva anche puntato una pistola alla testa.

In merito alle dichiarazioni di Curato, nel corso del secondo processo d’appello lo stesso ha affrontato in un colloquio in aula Giuseppe Costa, che in carcere, a dire di Curato, gli aveva fatto delle confidenze «in ordine alla responsabilità dell’imputato per l’omicidio». Dichiarazioni che hanno suscitato una violenta reazione di Tommaso Costa, captata in un colloquio in carcere con i figli ed il nipote, e che il fratello pentito, in aula, ha prima negato, salvo poi ammettere «la possibilità che l’autore dell’omicidio fosse il fratello che era giunto a disconoscerlo». Risultava, poi, un colloquio del collaboratore Giuseppe Costa con la moglie, nel quale i due evocavano le terribili minacce rivolte da Tommaso Costa alla figlia della donna «e la sua capacità di uccidere anche senza ragione», scrivono i giudici. Ma questi elementi, affermano i giudici della Suprema Corte, non bastano. Per loro, Tommaso Costa rimane “soltanto” un boss di ‘ndrangheta. E il nome dell’assassino di Gianluca Congiusta un mistero.

 

 

 

 

corrieredellacalabria.it
Articolo del 20 agosto 2018

È morto (senza giustizia) Mario Congiusta

Siderno. Ha lottato per anni per avere giustizia, è diventato un simbolo della lotta alla ‘ndrangheta, ma non è riuscito a vedere condannati in via definitiva i responsabili dell’omicidio di suo figlio. Mario Congiusta, padre di Gianluca, è morto oggi nella casa di Siderno a causa di un male incurabile. Da ormai 13 anni, cioè dal giorno (24 maggio 2005) in cui suo figlio è stato ucciso con un colpo di pistola alla testa, Mario Congiusta non ha mai smesso di chiedere e verità e giustizia per tutte le vittime innocenti delle mafie. La vicenda processuale sull’omicidio di Gianluca però non è mai approdata a una condanna definitiva: il 19 aprile scorso la Corte di Cassazione ha annullato la condanna all’ergastolo che era stata rimediata in Corte d’Appello dal boss di Siderno Tommaso Costa. Il boss dell’omonimo clan era accusato di essere il mandante dell’omicidio di Gianluca: la tesi della Dda reggina e poi della Procura generale era che il giovane imprenditore sidernese fosse stato ucciso perché la sua ribellione rischiava di svelare la silenziosa rinascita del clan Costa, ma la Cassazione ha annullato senza rinvio la condanna.

 

 

 

 

Fonte: repubblica.it
Articolo del 19 settembre 2018
Nuove intimidazioni per la famiglia di Mario Congiusta, il paladino dell’anti ‘Ndrangheta
Il figlio Gianluca fu ucciso nel 2005. Lui è morto un mese fa
di Alessia Candito

Un cumulo di terra che ricorda una sepoltura lasciato di fronte al negozio di famiglia. Una croce di sigarette, della marca e del tipo che Mario Congiusta ha fumato tutta la vita. Sono due inequivocabili messaggi di morte quelli che negli ultimi giorni si sono visti recapitare i familiari di Mario Congiusta, figura simbolo dell’antimafia della Locride, spentosi meno di un mese fa dopo oltre 13 anni battaglia civica e giudiziaria per dare un nome all’assassino del figlio Gianluca.

Giovane imprenditore di Siderno, piccolo centro in provincia di Reggio Calabria, Gianluca Congiusta per i magistrati è stato ucciso il 24 maggio del 2005 per la sua determinazione a denunciare il tentativo di riorganizzazione del clan Costa in paese.
Ufficialmente scomparsi da Siderno dopo la feroce faida con i Commisso, nei primi anni Duemila, in silenzio i Costa stavano tornando in paese. Tessevano alleanze, in segreto facevano estorsioni. Ne era stato vittima anche il suocero di Gianluca, che lo aveva confidato al ragazzo. E lui non aveva intenzione di rimanere in silenzio, Gianluca quel sopruso lo voleva denunciare. Ma lo hanno fermato prima con tre colpi di pistola.

Questa la ricostruzione dei magistrati che ha portato più volte alla condanna del boss Tommaso Costa, Individuato come responsabile dell’omicidio del giovane imprenditore sidernese per ben due volte, sia in primo grado, sia in appello. Ma per la Cassazione non c’erano sufficienti elementi per arrivare ad una condanna. Qualche mese fa, gli ermellini hanno deciso per un annullamento delle precedenti sentenze, senza rinvio ad altro tribunale per un nuovo esame del procedimento. Il boss Tommaso Costa è all’ergastolo, per associazione mafiosa ed altre condanne, ma per la giustizia dei tribunali, l’uomo che ha deciso la morte di Gianluca non ha ancora un nome.

Suo padre invece ne era convinto, sapeva che a decretare la morte del figlio erano stati i vertici del clan Costa e per anni lo ha denunciato, nelle piazze, nelle scuole, nei tribunali. Bassino, magrissimo, sempre con cappello e occhiali, Mario Congiusta, a Reggio Calabria e nella Locride, è diventato una figura tanto nota quanto scomoda, perché non ha mai esitato nel puntare il dito contro il boss Costa e il suo clan nei processi, né si è tirato indietro nel denunciare pubblicamente la dittatura dei clan. Un esempio pericoloso per la ‘ndrangheta della Locride, i cui uomini oggi sembrano volersi assicurare che nessuno raccolga il testimone della battaglia di Mario. Soprattutto fra i suoi familiari. Dal giorno della sua morte, la moglie e le figlie di Mario Congiusta sono state costrette a denunciare una lunga serie di minacce e intimidazioni, più o meno gravi. Quando la notizia è trapelata, chi ha deciso di terrorizzarle è tornato a colpire con quella croce di sigarette, lasciata sull’uscio di casa per dimostrare che neanche lì la moglie e le figlie di Mario sono al sicuro. Una prova di forza – si commenta in ambienti investigativi – con cui qualcuno ha voluto dimostrare di infischiarsene della straordinaria ondata di solidarietà che si è generata quando si è saputo che la famiglia Congiusta è nuovamente sotto attacco.

Attorno alla moglie e alle figlie di Mario, si sono stretti gli attivisti di associazioni e comitati di base, come il movimento antimafia Reggio Non tace, alcuni sindaci, moltissimi cittadini. “I soliti ignoti-noti sappiano che i Congiusta non sono soli” scrive su facebook, don Pino De Masi, uno dei responsabili di Libera del reggino. La politica invece tace. Come un mese fa ha disertato il funerale di Mario Congiusta, oggi sembra aver abbandonato i suoi familiari.

 

 

 

Fonte: cosavostra.it
Articolo del 19 maggio 2019
Storia di Gianluca Congiusta. Vittima di ‘Ndrangheta
di Valentina Nicole Savino

Gianluca Congiusta nasce il 19 dicembre del 1973, da Mario e Donatella. Come i genitori gestisce alcuni negozi di telefonia a Siderno, un piccolo paese in provincia di Reggio Calabria. Un paese che cela sotto l’apparente tranquillità della provincia le più sanguinose manovre criminali. Il clan Costa contende infatti con il clan Commisso il dominio del territorio, e nei primi anni 2000, a seguito di un’aspra faida, il primo viene decimato: per un po’ di tempo sparisce dalla circolazione.

Finché non arriva una lettera di Tommaso Costa a rompere il silenzio e a riaprire la partita.

È indirizzata al suocero di Gianluca Congiusta, Antonio Scarfò. Contiene intimidazioni esplicite: un tentativo di estorsione, minacce di morte disseminate. Tommaso Costa in quel periodo si trova in latitanza e decide di provare a ricostituire l’antico potere; un tentativo forse maldestro, ma non meno pericoloso. Fa visita ai Scarfò dissimulando i suoi reali intenti, tasta il terreno. Infine manda quella lettera. Siamo nel 2003.

La violenza di quelle poche righe riverbera sulle pareti dall’inchiostro traslucido. Antonio esita, poi decide di farla leggere al genero Gianluca. Gianluca la fa arrivare nelle mani di un elemento del clan Commisso. Ma veloce un’altra missiva arriva in quelle dello stesso Tommaso, da parte della sorella Teresa: in cui lo informa dell’accaduto, firmando la condanna a morte del commerciante.

Il 24 maggio del 2005 Gianluca sta guidando la sua auto, quando viene freddato da un killer con tre colpi di lupara: muore sul colpo. Nel 2007 si apre l’inchiesta coordinata da Antonio De Bernardo: l’inchiesta “Lettera morta”.

I giudici d’appello non hanno dubbi sulla colpevolezza di Tommaso Costa: «le modalità dell’omicidio del giovane, di chiara e inequivocabile matrice mafiosa, tanto per l’arma utilizzata quanto per l’abilità e la freddezza, sono tutti elementi che letti unitariamente convergono nel delineare un quadro probatorio del tutto idoneo ad affermare la penale responsabilità dell’imputato».

E ricordano come pochi giorni prima dell’omicidio Gianluca avesse esternato le sue preoccupazioni “per le rinnovate richieste estorsive a carico del suocero provenienti da Curciarello “dietro il quale c’è Tommaso””. Ma condannato all’ergastolo otterrà un primo annullamento con rinvio, una nuova condanna all’ergastolo in secondo grado, quindi un nuovo annullamento, definitivo. Assolto per “non aver commesso il fatto”, tuona la sentenza della Cassazione.

Tommaso Costa verrà solo condannato all’ergastolo ma per associazione mafiosa e altri reati.

A niente valsero le lettere intercettate in carcere, che secondo la stessa Procura avrebbero permesso a Costa di dirigere a distanza i componenti del suo clan.

Il 16 dicembre del 2015 – magra consolazione per la famiglia Congiusta – verranno condannati l’ex fidanzata Katiuscia Scarfò e i suoceri Antonio Scarfò e Girolama Raso, rispettivamente a due anni e due mesi, e a due anni e tre mesi, per aver mentito durante tutta la durata del processo.

Per paura di ritorsioni da parte della famiglia Costa, paura che Gianluca non aveva mai assecondato durante la sua vita.

Il padre di Gianluca, Mario, per tutti gli anni a venire avrebbe denunciato quell’assurdo vuoto legislativo, arrivando anche a restituire, nel 2014, la tessera elettorale al ministro della giustizia Andrea Orlando, dopo aver anche scritto a Matteo Renzi senza ottenere risposta. Denuncerà a gran voce: “Gianluca è vittima della mafia e dello Stato”. Nelle piazze, nelle scuole, nei tribunali.

Al suo fianco la figlia Roberta, che dopo la sentenza definitiva sfogherà la sua rabbia con queste parole: “Oggi il dubbio che essere onesti sia inutile diventa certezza. Oggi Luca lo hanno ucciso per la seconda volta, oggi niente ha più senso…oggi siamo morti tutti!”. Che riecheggia la domanda che nel 2014 Mario pose davanti a un microfono: “Mi chiedo – disse – quanto tempo devo aspettare per avere giustizia o se devo prima morire e averla dopo morto?”.

Lotta, quella delle sorelle e dei genitori di Gianluca, portata avanti a dispetto delle numerose intimidazioni: come quelle inflitte da quelle croci di sigarette lasciate davanti alla porta di casa, della stessa marca che Gianluca fumava quotidianamente.

Lotta condotta da Mario con tutte le sue forze, fino alla sua morte, arrivata per un male incurabile nell’agosto del 2018.

Mario Congiusta è morto senza giustizia, ma lottando con coraggio ogni giorno per la memoria del figlio.

Memoria che ci spetta custodire gelosamente, per Mario ma anche per tutti quegli altri Mario Congiusta la cui vita è stata recisa dalla mafia e poi accantonata, obliata, sotto il peso di una falsa giustizia.

 

 

 

 

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Il giovane imprenditore assassinato nel 2005. Il commosso ricordo della sorella su Facebook: «La verità non va in prescrizione».

 

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Articolo del 24 maggio 2021
Gianluca Congiusta, 16 anni dopo solo amarezze e niente giustizia
di Paolo Borrometi

 

vivi.libera.it
Gianluca Congiusta – 24 maggio 2005 – Siderno (RC)
“Hanno ucciso uno di noi”. Questa fu la reazione della Siderno onesta, dei tanti amici di Gianluca quando la notizia del suo omicidio si diffuse. Allora la ‘ndrangheta diventò un affare di tutti, non si uccidevano solo tra loro. Ma aveva strappato la vita a un giovane imprenditore dal sorriso contagioso.

 

 

 

 

 

 

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