26 Agosto 1986 Palermo. Ucciso Salvatore Benigno, aveva visto due mafiosi dare alle fiamme un’auto.

Salvatore Benigno, 37 anni, cassiere presso un cinema di Palermo viene ucciso il 26 agosto del 1986. Mentre tornava a casa aveva visto due persone che stavano bruciando un’auto che era servita per andare a compiere un altro omicidio.

 

 

Fonte:  centroimpastato.it

Ucciso a Palermo Salvatore Benigno, cassiere presso un cinema, che vide dare alle fiamme un’auto da due mafiosi che avevano commesso un omicidio.

 

Fonte: centroimpastato.it
29 Ottobre 2008

Confermate dalla Cassazione le condanne all’ergastolo per i componenti la cupola mafiosa, accusati, nel processo “Golden Market”, di 36 omicidi negli anni Ottanta e Novanta. Tra i condannati i fratelli Ribisi di Palma di Montechiaro (Ag), mandanti dell’omicidio di Pietro Giro, titolare di una piccola autolinea che venne ucciso nel 1989 a Palermo. Giro, che sarebbe stato ucciso da uomini di Totò Riina per fare un “piacere” ai Ribisi, era cugino dello stiddaro Giovanni Calafato. Sembra che si sia trattato di una vendetta trasversale contro un uomo che lavorava onestamente ed era estraneo a fatti di mafia. Altri omicidi sono quello dell’ingegnere Donato Boscia, ucciso nell’88 perché aveva denunciato un atto intimidatorio ai danni della ditta dove lavorava e aveva testimoniato davanti la Commissione antimafia sui collegamenti tra mafia e amministrazione comunale, e quello di Salvatore Benigno, il cassiere di un cinema, ucciso nell’86 perché aveva visto due persone che stavano bruciando un’auto che era servita per andare a compiere un altro omicidio.

 

 

Inseriamo l’articolo che segue per evidenziare come tante vittime, pur innocenti, in mancanza di indizi, siano state definite morti mafiose, o siano state ipotizzate come tali. Il povero Benigno stava passando di lì in quel momento perché non aveva alternative … i mafiosi lì presenti ne avevano moltissime.

Articolo da L’Unità del 27 Agosto 1986
Guerra di mafia
a Palermo: tre morti in un quarto d’ora
Saverio Lodato
Uno dopo l’altro sono stati uccisi a colpi di pistola Paolo Zampardi, 39 anni, Sebastiano Briolotta, 40 anni, e Salvatore Benigno, 37 anni

PALERMO — «i carri funebri tornano a farsi largo nel traffico cittadino, che bello spettacolo per i turisti…» osserva a denti stretti un funzionario di polizia. Roba che non si vedeva da tanto tempo. Tre assassinati in meno di un quarto d’ora e quasi come un riflesso condizionato le sirene, i colpi in canna, gli inseguimenti che scandirono gli anni della’ guerra di mafia.
La prima scia di sangue è lì sotto il bancone di gelati e brioches, fra tavolini e sedie all’aperto. E qui, sul fianco sinistro della piazza della stazione centrale, che alle 15,25 di ieri la mafia ha rotto una tregua ufficiosa ma che durava esattamente dall’estate degli omicidi Cassarà e Montana: niente delitti per non turbare l’andamento del maxi processo. Rimangono sul terreno, a conti ultimati, un rapinatore in ascesa, un mafioso di borgata, un incensurato al quale sono stati destinati ben sette colpi di calibro 38. Unico scenario la zona di Corso dei Mille-Brancaccio, con alle spalle una fama sinistra. E poiché gli agguati si sono svolti all’insegna
dell’efficienza militare e della spettacolarità, già si intrecciano interrogativi-supposizione: chi è il nuovo capo senza volto che pone la sua candidatura alla «poltrona» rimasta vacante dopo la scomparsa del feroce Filippo Marchese, gettando sul piatto i «suoi» tre omicidi?
Scenario numero uno; la stazione centrale. Decine di turisti sgranano gli occhi alla vista del cadavere di Paolo Zampardi, 39 anni, sorvegliato speciale, con alle spalle qualche precedente per furto e rapina. Non ha fatto in tempo ad entrare nel bar-rosticceria, deserto a quell’ora. Un killer solitario gli ha devastato l’orecchio sinistro con un colpo solo. Zampardi — scarpe bianche di gomma, camicia a strisce, pantaloni Jeans — scivola senza accorgersi di nulla. Proprietari e commessi del bar si rintanano terrorizzati. Secondo qualche testimonianza ad ucciderlo è stato un uomo biondo, alto un metro e 80, che fugge a piedi indisturbato.
Nessuno fa in tempo a svolgere fino in fondo il proprio lavoro che già — in perfetta sincronia — le autoradio lanciano un duplice allarme: intervenite a Brancaccio, in via Oreto. Uno è morto, l’altro è gravissimo.
Il secondo cadavere è al posto di guida di una Renault 5 Gt Turbo, metallizzata, nuova di zecca. Solo un graffio sulla carrozzeria immacolata: l’hanno probabilmente lasciato killer con il paraurti della loro auto. Nome questa volta maggiormente di spicco. È Sebastiano Briolotta, 40 anni. Schedato mafioso, Longines al polso, al collo e una pesante catena d’oro con mancabile medaglia. Indossa pantaloncini corti. Per lui quattro colpi in testa che gli hanno spappolato il cervello.
Chiedendo alla gente, in nostra presenza, gli investigatori non caveranno un ragno dal buco: nessuno che abbia visto arrivare Briolotta, nessuno che ammetta di averlo conosciuto, eppure abitava a quattro passi di distanza.
Quattro anni fa venne denunciato con altri mafiosi in Corso dei Mille per l’assalto al treno postale che fruttò quasi 800 milioni. Una rapina ricostruita dal pentito Vincenzo Sinagra, il quale la attribuì al clan di Corso dei Mille.
Terzo ed ultimo scenario, in una corsia laterale della circonvallazione, a due passi dall’autostrada per  Catania. La dinamica questa volta è più complicata, anche se potrebbe — è il parere degli investigatori — contenere la chiave di lettura di quanto è accaduto. I carabinieri trovano  agonizzante in una 127 celeste, Salvatore Benigno, 37 anni, un incensurato di Belmonte , un paese poco distante da Palermo. Cento metri più indietro, una Giulietta incendiata. Benigno giungerà cadavere al Civico. In corpo sette pallottole anche questa volta di calibro 38. Due (è il particolare che fa riflettere), gli sono state esplose sul fianco sinistro, cioè dal lato del guidatore, dal momento che Benigno si trovava invece nel sedile anteriore del passeggero.
Su questo apparente dettaglio si costruiscono molte ipotesi, tra cui questa: Benigno sarebbe stato il «Giuda» che una volta tradì Zampardi e Briolotta (sarebbe stato lui a spedirli nei luoghi degli agguati) sarebbe stato a sua volta ucciso dagli uomini di un unico commando allestito per scorrazzare da un angolo all’altro del quartiere lasciandosi dietro una scia di cadaveri.

Una cosa è dunque certa; la mafia gode, nonostante tutto, ottima salute. La sua potenza di fuoco non è stata messa minimamente in discussione nell’ultimo anno.

 

 

 

 

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