26 Luglio 1993 Scanzano (MT). Vincenzo De Mare, autotrasportatore, ucciso per aver rifiutato un carico di rifiuti tossici.

Foto da ilquotidianoweb.itt

Vincenzo De Mare, autotrasportatore di Scanzano (MT), è stato ammazzato con due colpi di fucile mentre era al lavoro nel suo podere in località Terzo Cavone il 26 luglio del 1993. Un efferato omicidio di cui ancora non si conoscono mandanti e autori ma su cui gli inquirenti continuano ad investigare.
L’ipotesi più accreditata è che sia stato ucciso perché si rifiutava di trasportare rifiuti tossici. Nel 2004 i Carabinieri trovarono dei bidoni di rifiuti chimici presso una delle aziende, da tempo chiusa, per cui Vincenzo De Mare lavorava. C’è stato un testimone che, ai carabinieri, fece delle rivelazioni in tal senso, facendo anche i nomi di due possibili killer, ma davanti al giudice ritrattò tutto.

 

Articolo del 2 novembre 2006 da  montescaglioso.net

Scanzano Vincenzo De Mare, autotrasportatore, sarebbe stato ucciso per aver rifiutato un carico di rifiuti
Omicidio a sfondo radioattivo
Indagini della procura antimafia a 13 anni dal delitto

SCANZANO – Un autotrasportatore viene ucciso con due colpi di fucile da caccia, forse una lupara. Un ispettore di polizia indaga sul delitto, ma quando la sua pista lo porta verso persone “importanti” viene trasferito in Calabria. Un carico di bidoni, contenenti rifiuti chimici, viene rinvenuto nei magazzini abbandonati di un’azienda agroalimentare. Tredici anni di misteri finiscono sulla scrivania di un magistato antimafia proprio quando un ex boss della ‘ndrangheta butta giù un memoriale che parla di rifiuti, spie e omicidi.
Anno 1993, Vincenzo De Mare fa l’autotrasportatore conto terzi. Lavora anche con la “Latte Rugiada”, azienda agroalimentare che ha i depositi in località Terzo Cavone (la stessa località dove il governo Berlusconi molti anni dopo avrebbe voluto impiantare il sito unico di stoccaggio per i rifiuti nucleari ndr.).
Il 26 luglio, un killer lo aspetta nel suo podere di campagna. Spara due colpi e lo uccide.
Anno 1994, l’ispettore Francesco Ciminelli – in forza al Commissariato di Scanzano prima di conquistare uno strano trasferimento in Calabria – mette il naso tra le bolle d’accompagnamento e i fogli di viaggio di Vincenzo De Mare. Tra questi ce ne sono alcuni di Terzo Cavone.
Anno 2004, i carabinieri della compagnia di Policoro trovano tra i ruderi dell’azienda di Terzo Cavone 15 bidoni di plastica con materiale di risulta proveniente da industrie chimiche. Il caso viene ufficialmente riaperto.
Felicia Genovese è un magistrato che non lascia trapelare indiscrezioni. In parallelo conduce l’inchiesta sulla presunta fuga di materiale nucleare dal centro di ricerche Enea (Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente) della Trisaia, a pochi chilometri da Rotondella.
Ipotesi di reato: nel centro c’è stata una produzione illecita – non registrata in contabilità – di materiale radioattivo. Poi è arrivato il pentito, Francesco Fonti da Bovalino (Rc).
Interrogato qualche anno prima, negli stessi uffici della Direzione distrettuale antimafia aveva dichiarato: «Sono collaboratore di giustizia dal 1994. Prima di tale scelta ero organico al clan mafioso dei Romeo di San Luca. Durante tutto l’arco della mia esperienza criminale, pur avendo dimorato a Melfi, non sono mai venuto in contatto con esponenti di organizzazioni criminali con base operativa in Basilicata».
Poi, però, nel memoriale sostiene di essere entrato in contatto con Domenico Musitano, detto ‘u fascista, in soggiorno obbligato a Nova Siri.
Originario di Platì (Rc), viene indicato dal pentito come l’organizzatore del primo viaggio di rifiuti verso la Basilicata. Prima di portare a compimento il suo incarico viene ucciso in un agguato davanti al palazzo di giustizia di Reggio Calabria, dove si era recato per un’udienza.
E’ in questo scenario che potrebbe inserirsi l’omicidio di Vincenzo De Mare?
Gli investigatori – per ora – sospettano che abbia rifiutato il trasporto di un carico di rifiuti. Uno sgarro che potrebbe aver pagato a caro prezzo. I carabinieri di Policoro – delegati per l’indagine – avrebbero ascoltato nuovamente la moglie. Ma ci sarebbero – particolare non confermato ancora da alcuna fonte ufficiale – anche altre persone sentite a sommarie informazioni testimoniali. E che la malavita lucana si occupasse di rifiuti lo sostengono anche i servizi segreti.
«Secondo acquisizioni informative – si legge in una relazione del Sisde – le aggregazioni lucane hanno fatto registrare processi di consolidamento e di emulazione delle organizzazioni di stampo mafioso, con le quali mantengono importanti collegamenti. Sono emersi all’attenzione alcuni gruppi che sembrano aver compiuto un salto di qualità, pure attraverso il controllo di società operanti nella gestione del ciclo dei rifiuti».
Sono gli anni delle inchieste importanti.
A Matera, il sostituto procuratore Francesca Macchia scopre un traffico di rifiuti speciali stoccati in vari centri della Lombardia e destinati allo smaltimento finale in Basilicata.
I rifiuti – sulla carta – venivano regolarmente avviati allo smaltimento in discariche autorizzate dalla Regione, ma la destinazione era solo apparente poiché i gestori – interrogati in fase d’indagine – negavano di averli ricevuti.
Rientra tutto, poi, nella grande inchiesta di Nicola Maria Pace: rifiuti, spie e omicidi. Il magistrato in un’intervista aveva spiegato a un giornalista: «I servizi segreti sanno di cosa stiamo parlando io e lei in questo momento».
Tutto sarebbe poi confluito nell’inchiesta della procura antimafia. Rifiuti, spie e omicidi.

 

 

 

Articolo del 21 Novembre 2008 da: ilquotidianodellacalabria.ilsole24ore.com
Delitto De Mare, telefonata conferma il movente
di Fabio Amendolara
In una conversazione i figli di Vincenzo De Mare indicano le ragioni che avrebbero portato al delitto. L’autotrasportatore si era rifiutato di caricare rifiuti tossici

Quando i carabinieri di Policoro ascoltano la telefonata tra Daniela e Davide, i figli di Vincenzo De Mare, l’autotrasportatore ucciso a colpi di lupara nel 1993, già sospettavano che dietro il delitto potesse nascondersi un traffico di rifiuti tossici.
Ma è grazie a quella telefonata che scoprono il possibile movente. Gli investigatori – come svelato la settimana scorsa dal Quotidiano – sospettano che tre imprenditori e tre pregiudicati siano coinvolti nel delitto. Sono tutti indagati per associazione di stampo mafioso.
Quattro di loro sono accusati di «concorso in omicidio». I tre imprenditori anche di «traffico illecito di rifiuti tossico-nocivi». Ecco cosa scrivono gli investigatori: «La conversazione intercettata, oltre a mettere in risalto il possibile movente dell’omicidio, che i due fratelli riconducono al rifiuto del loro genitore ad effettuare il traffico illecito di rifiuti pericolosi, evidenzia il coinvolgimento di alcuni personaggi direttamente collegati alla Centrale del latte di Scanzano Jonico, il trasporto illecito di rifiuti, attuato attraverso il fittizio trasporto del latte».
Scrivono i carabinieri: «Quanto raccolto da questo comando nell’ambito delle indagini sinora svolte in merito a quest’ultimo fatto, fornisce un quadro d’insieme da cui si ricava il coinvolgimento di due imprenditori e due pregiudicati nell’omicidio, un collegamento alle attività della Centrale del latte di Scanzano Jonico, l’esistenza di una consistente attività di traffico illecito di rifiuti, l’effettuazione di alcuni trasporti da parte di De Mare, nonché il suo riferito timore di essere ammazzato, un radicato e torvo sistema mafioso, capace di vulnerare agevolmente il tessuto sociale e assoggettare la comunità, inducendola all’omertà assoluta». Perché Scanzano è un posto strano. In superficie sembra un paese qualunque, ma nelle sue viscere custodisce molti segreti. Nel sottosuolo c’è un enorme giacimento di salgemma. Sul finire degli anni Sessanta cominciano le perforazioni. Ma più che lo sfruttamento del sale si progetta lo sfruttamento delle caverne sotterranee. E si parla anche della costruzione di una centrale termonucleare e di un impianto di riprocessamento del torio. Progetti e commerci che ingolosiscono in tanti. Anche negli ambienti della criminalità organizzata.
Alcuni fogli di viaggio di De Mare riguardano partenze da Terzo Cavone. E ci sono alcuni testimoni che confermano la tesi degli investigatori. Agli atti, in procura, c’è un interrogatorio.
Un testimone, interrogato, sostiene di aver saputo da un dipendente della Centrale del latte di Scanzano che l’omicidio era riconducibile a questioni
«connesse al trasporto di materiale che veniva artatamente fatto passare come prodotto caseario e che, invece, veniva venduto in nero». A fornire un’altra conferma agli investigatori è statta la sorella di De Mare.
Dice: «Lui avrebbe potuto rivelare qualcosa di misterioso che probabilmente all’epoca avveniva negli stabilimenti della Latte Rugiada». Ed è questa l’idea che dal 1993 si porta nella testa: «Questa cosa potrebbe essere stata intuita da qualcuno che, forse, per impedirgli di parlare ha ordinato l’omicidio».
C’è poi un confidente dei carabinieri che ha rivelato i posti in cui venivano smaltiti i rifiuti: «Capannoni abbandonati o masserie in aperta campagna».
E un ex detective della polizia di Stato che ha un sospetto. L’ispettore Franco Ciminelli è l’investigatore più in vista della zona. Ha appena risolto l’omicidio di un netturbino e scoperto che dietro un incidente stradale si nascondeva un tentato omicidio. Il regolamento di conti tra confinanti non lo convince. I carabinieri hanno appena arrestato un pensionato che nutriva rancore nei confronti di De Mare.
Ma oltre al possibile movente non c’è altro. Il pensionato viene subito rilasciato. L’ispettore Ciminelli, invece, mette il naso tra le bolle d’accompagnamento del trasportatore. Sospetta che ci sia ben altro dietro l’omicidio. Forse il traffico di rifiuti. Scopre che alcuni fogli di viaggio di De Mare riguardano partenze da Terzo Cavone. L’ispettore Ciminelli annota tutto e prepara un’informativa.
Passa qualche mese e dalla Questura di Matera gli comunicano la sua nuova sede: Catanzaro. L’ispettore non ci sta. Lascia la polizia. Il delitto De Mare resta senza soluzione. Fino a quando, quattro anni fa, i carabinieri di Policoro trovano tra i ruderi della Latte Rugiada 15 bidoni di rifiuti chimici. Il caso viene ufficialmente riaperto. L’ispettore, a quanto sembra, era sulla pista giusta. La stessa pista che indicano i figli in quella telefonata.

 

 

Fonte:  pasqualestigliani.blogspot.it
Articolo del 28 luglio 2009 da La Gazzetta del Mezzogiorno
Omicidio De Mare, dopo il silenzio è arrivato il momento delle scuse
di Filippo Mele

«Scanzano chiederà scusa alla famiglia De Mare per i 16 anni di silenzio su questo efferato delitto di cui ancora oggi non si conoscono gli autori». Lo ha assicurato il sindaco, Salvatore Iacobellis, a margine dell’iniziativa promossa dall’associazione antimafia Libera “Ricordando Vincenzo De Mare”. Iniziativa a cui, però, Daniela e Davide De Mare, i due figli dell’autotrasportatore della Latte Rugiada assassinato con due colpi di fucile il 26 luglio del 1993, pur scusandosi, non hanno partecipato. «Partecipare significherebbe riacutizzare in noi – hanno scritto alla Gazzetta – un dolore ed una rabbia mai sopita». Nel corso della commemorazione, però, è stata ricordata l’omertà che proprio a Scanzano ha circondato il fatto di sangue. Di fatto, per la prima volta nel paese “scena del delitto” si è parlato pubblicamente di questo gravissimo fatto di cronaca. E dei depistaggi e delle false piste che hanno contraddistinto le relative inchieste giudiziarie con l’ultima archiviata nei giorni scorsi dal pm della Direzione distrettuale antimafia, Francesco Basentini. «Io avevo 20 anni nel 1993 – ha continuato il primo cittadino – e passavo ogni giorno andando a scuola davanti al podere di Terzo Caracciolo. Sì, sono passati 16 anni senza che le istituzioni abbiano mai detto un parola. Credo sia giunto il momento di chiedere scusa alla famiglia per la rimozione che questa cittadina ha fatto della vicenda». Il sindaco di Scanzano Jonico, altresì, si è impegnato anche per qualcosa di concreto che non le sole scuse verbali: «Ad ogni ricorrenza, il Comune farà affiggere un manifesto per ricordare l’avvenimento ed organizzerà, di concerto con Libera, una iniziativa pubblica, sino a quando gli autori del delitto non saranno assicurati alla giustizia. E la strada che passa davanti al podere dove fu commesso l’omicidio sarà intitolata a Vincenzo De Mare». Iniziative importanti per riannodare i fili rotti dall’omertà con la famiglia e restituire dignità e forza comune alla battaglia che ancora viene condotta per la verità. Verità che, ne è sicuro don Marcello Cozzi, sarà raggiunta. «Per noi – ha detto il referente regionale di Libera – quella di stasera è una tappa per ottenere giustizia. Per noi è come se Davide e Daniela e tutti i familiari di Vincenzo fossero stati qui presenti. Li portiamo nei nostri cuori e ci battiamo anche per loro. Penso sia importante che Scanzano si sia incontrata dopo 16 anni per ricordare De Mare. Dobbiamo avere speranza. Non commentiamo il lavoro dei magistrati. Noi, però, non archiviamo. Io sono certo che di questo delitto, se si vanno a leggere le carte, sono chiari i volti ed i nomi di mandati ed esecutori».

 

 

 

Articolo del 1 Marzo 2011 da ilmetapontino.it
LIBERA. Sia fatta luce sugli omicidi di Vincenzo De Mare e Mario Milione

SCANZANO – Sono stati ricordati anche Vincenzo De Mare, autotrasportatore di Scanzano,  e Mario Milione, operaio di Policoro, nel corso dell’iniziativa promossa da Libera che si è svolta lunedì a Scanzano. De Mare fu trovato morto il 26 luglio del 1993 nel suo podere a Terzo Cavone, sul suo corpo evidenti le ferite da arma da fuoco.  Il suo assassino non ha un nome. Come anonimo è l’autore dell’efferato delitto commesso nei confronti dell’operaio-pizzaiolo policorese, di lui furono ritrovati solo alcuni resti nelle campagne di Ginosa: il suo corpo, bruciato, era custodito nel bagagliaio  di una Lancia Dedra.

VINCENZO DE MARE, l’autotrasportatore di Scanzano, è stato ammazzato con due colpi di fucile mentre era a lavoro nel suo podere in località Terzo Cavone il 26 luglio del 1993. Questa mattina (martedì) abbiamo raggiunto telefonicamente la figlia, Daniela, avvocato.

“Sono trascorsi 18 anni ma è come se fosse accaduto  ieri”, ha esordito così Daniela De Mare. Sono state condotte indagini e seguiti due filoni: l’omicidio scaturito in seguito ad una lite fra confinanti, e quella del rifiuto  – pagato da De Mare con la vita – rispetto alla richiesta di un presunto trasporto di rifiuti. “ Invito i cittadini di Scanzano a ricordare, a dire quello che sanno”, ha detto Daniela. E, ancora: “Il desiderio di conoscere la verità è vivo”. Le abbiamo chiesto se in questi ultimi mesi fossero sopraggiunte novità. “ So che si è aperto un procedimento per una falsa testimonianza di un cittadino di Scanzano, G.C., legata alla vicenda di mio padre; a luglio di quest’anno è prevista una nuova udienza”, ha aggiunto.

Daniela ha parlato anche dei due filoni “mozzati” seguiti dai giudici in questi anni. “ Ritengo che l’ipotesi dell’omicidio in seguito ad una lite con un confinante sia quella più accreditata. Ci sono indizi che vanno in tal senso. All’epoca fu indagato un pensionato (poi assolto, ndr) e sottoposto a esame specifico, su di lui fu trovata polvere da sparo, tuttavia come scritto negli atti si tratta di compatibilità ma non è stato dimostrato che sia stata quella mano a sparare. Questo filone come pure quello che rimanda ai supposti traffici illeciti sono rimasti mozzati. C’è stata superficialità nel condurre le indagini, nel fare gli accertamenti. E poca collaborazione da parte delle persone, troppa paura”, ha concluso Daniela.

MARIO MILIONE. “La famiglia di Mario c’è e faremo quanto è nelle nostre possibilità per far riaprire le indagini”, così Rosa Milione, interpellata telefonicamente questa mattina (1 marzo). E, ancora: “ Nomineremo un avvocato, non può finire così questa vicenda. La famiglia di Mario c’è”, ha ripetuto Rosa.

Suo fratello, all’epoca sposato con Angela Falcone dalla quale ha avuto due figli, lavorava come pizzaiolo. Mario sparì il 15 ottobre 2004, il suo corpo  fu ritrovato il 19 ottobre del 2004 nelle campagne di Ginosa (uscita Pantanello dalla SS.106,ndr); solo l’esame del dna, eseguito su ossa e alcuni reperti organici rinvenuti sulle lenzuola, hanno permesso si attribuire un nome a quei resti carbonizzati.

Dopo le prime indagini condotte da Ida Perrone, della Procura della Repubblica di Taranto, competente per territorio, dai Carabinieri di Castellaneta e da quelli di Policoro,  sulla morte di Mario, allora 37enne, si è smesso di indagare. Sono tanti gli interrogativi che si addensano su una morte così atroce. La Dedra in cui sono stati ritrovati i resti di Milione non era di sua proprietà.

E poi, è certo che il luogo del ritrovamento coincida con quello in cui si è consumato il delitto? Contrada Pantanello è la prima uscita che dalla Jonica, direzione Policoro – Taranto,  porta nel territorio tarantino. Lì la competenza è della Procura pugliese notoriamente affollata da carichi giudiziari. Sono tante le domande a cui qualcuno dovrà dare delle risposte.

 

 

 

Articolo del 23 aprile 2014 da  lquotidianoweb.it
Delitto De Mare, teste condannato
Ha mentito tacendo quello che sapeva
Per il Tribunale di Potenza Carbone, agricoltore 61enne di Scanzano, ha mentito tacendo. Nel 2005 le sue rivelazioni erano state registrate di nascosto, ma dal pm ha negato.

POTENZA – Ha mentito tacendo quello che sapeva sull’omicidio di Vincenzo De Mare.

Lo ha stabilito il Tribunale di Potenza condannando a un mese e dieci giorni di reclusione Gino Carbone, agricoltore 61enne originario di Montalbano Jonico ma residente a Scanzano.

Ieri mattina si è concluso così il processo di primo grado per false informazioni al pm intentato dal magistrato che nel 2005 aveva ripreso in mano il fascicolo sulla morte dell’autotrasportatore, il 26 luglio del 1993.

La discussione si è svolta a porte chiuse dato che Carbone ha scelto il rito abbreviato. «Per evitare forme sgradite di pubblicità su una questione che non ne merita». Ha spiegato la difesa rappresentata in aula dall’avvocato Antonio Cantasano.

L’accusa si era rimessa al giudice Mariantonietta Fusaro per la determinazione della pena stigmatizzando il silenzio di un testimone su fatto così grave, dopo le rivelazioni in via confidenziale registrate dal capitano dei carabinieri Pasquale Zacheo, ex comandante della compagnia di Policoro, e dal tenente Antonio Guglielmi, che invece comandava il nucleo radiomobile. Un atteggiamento che non si può giustificare nemmeno col timore generato dal contesto delinquenziale in cui sembra maturato.

Molto più sentita è stata l’arringa della parte civile, ovvero la famiglia di Vincenzo De Mare (in aula c’era la figlia Daniela). L’avvocato Gianni Di Pierri ha attribuito a Carbone la responsabilità di una svolta mancata nelle indagini sulla morte misteriosa dell’autotrasportatore colpito da due colpi di fucile alle spalle mentre era sul trattore, al lavoro nella sua proprietà.

L’agricoltore, infatti, sentito nel 2005 come semplice confidente si era lasciato andare a una serie di rivelazioni svelando l’esistenza di un traffico di rifiuti industriali che provenivano dal nord Italia in cui De Mare sarebbe stato coinvolto. Un traffico riscontrato –  a dire del legale –  dal ritrovamento nella vecchia centrale del latte di Scanzano di alcuni fusti di rifiuti. Perciò l’ipotesi sul movente del suo assassinio sarebbe stata da ricercare nel suo rifiuto di trasportare uno di quei carichi che poi andavano smaltiti in maniera del tutto illegale.

Senza sapere di essere registrato Carbone aveva indicato anche i nomi dei due possibili killer. Personaggi come lui, già noti alle forze dell’ordine per fatti diversi.

«Solo illazioni», le ha bollate l’avvocato Cantasano. «Quei fusti trovati nella centrale non contenevano altro che del grano contaminato dall’incidente di Chernobyl che veniva nascosto lì dentro. Non c’entrano traffici di rifiuti radioattivi né altro».

«Carbone ha riferito chiacchiere sentite in paese senza conoscenza diretta dei fatti solo per questo una volta di fronte al magistrato non ha detto  nulla». Ha insistito il legale, che dopo la notizia della sentenza ha già annunciato ricorso in appello

Le motivazioni della decisione verranno rese note tra 90 giorni.

 

 

 

Fonte:  basilicata24.it
Articolo del 25 luglio 2016
Vincenzo De Mare: una morte legata agli interessi mafiosi sull’ambiente lucano

Sono trascorsi 23 anni dalla morte di Vincenzo De Mare, l’autotrasportatore di Scanzano, che è stato ammazzato con due colpi di fucile mentre era a lavoro nel suo podere in località Terzo Cavone, a Scanzano Jonico, il 26 luglio del 1993. Alla luce dell’ultima inchiesta della Procura di Potenza sul petrolio in Basilicata, che ha sollevato il problema degli affari che girano intorno all’ambiente ed ha evidenziato quanto la nostra regione sia oggetto di attenzione da parte del malaffare, è particolarmente importante ricordare la morte di Vincenzo De Mare, una morte legata agli interessi mafiosi sull’ambiente lucano. Insieme ai familiari, siamo ancora alla ricerca della Verità sui motivi per cui Vincenzo De Mare è stato ucciso e su chi ne ha ordinato l’omicidio, pur consapevoli che mandanti e sicari girano ancora per le nostre strade. Anche quest’anno ricorderemo quanto accaduto insieme ai giovani che da tutta Italia parteciperanno ai campi di volontariato E!State Liberi di Scanzano prevedendo un’iniziativa pubblica nell’ultima settimana di agosto.
Libera Basilicata

 

 

Fonte:  filippomele.blogspot.com

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 10.12.17

Il 26 luglio del 1993 faceva molto caldo a Scanzano Jonico. Vincenzo De Mare, autotrasportatore della Latte rugiada spa e possessore di un podere dell’ex Ente riforma, pur vivendo con la famiglia a Policoro, stava arando con un trattore la parte più nascosta del fondo. L’omicida, secondo la ricostruzione dei carabinieri, era nascosto dietro un albero, fucile da caccia imbracciato, e gli si parò all’improvviso davanti. Esplose due colpi che colpirono De Mare in pieno. Solo attorno alle 23, la moglie Nicolina Di Nuzzo, deceduta il 14 aprile 2007 senza aver conosciuto il volto del killer del marito, rinvenne Vincenzo cadavere dopo aver bussato a porte rimaste chiuse. L’uomo era immobile sul suo trattore. Alle 2 della notte la rimozione della salma. Ed anche nelle indagini su questo ennesimo delitto irrisolto furono tante le lacune investigative, i depistaggi, i personaggi omertosi. Indagarono per primi i carabinieri di Policoro. Un pensionato fu accusato dell’omicidio. Movente? Dissidi sui confini dei poderi. Ma l’uomo fu scagionato e rimesso in libertà. Il fascicolo passò alla Polizia di Scanzano. L’ispettore Franco Ciminelli indagò sul lavoro della vittima. La pista dei traffici illeciti dei rifiuti tossici finì in un’informativa che arrivò al pm Vincenzo Autera con forte ritardo. Ciminelli, nel 1995, fu trasferito. Ed un suo superiore, Pietro Ostuni, fu sottoposto a procedimento giudiziario. Tuttavia, fu archiviazione. Il caso, però, fu riaperto dalla Direzione distrettuale antimafia nel 2005. Nell’ex centrale della latte Rugiada spa furono rinvenuti bidoni con sostanze chimiche. Il 26 aprile 2007 la notizia che cinque persone erano state iscritte nel registro degli indagati. Ma fu nuova archiviazione. Poi, l’accusa di false dichiarazioni al pubblico ministero contro un agricoltore di Scanzano Jonico condannato in primo grado ma con reato prescritto in appello.

 

 

Fonte:  lagazzettadelmezzogiorno.it
Articolo del 27 luglio 2018
Da 25 anni si attende giustizia per l’omicidio di De Mare
di FILIPPO MELE

SCANZANO JONICO – Solo la voce dell’associazione antimafia Libera, con il vicepresidente nazionale Marcello Cozzi, per il 25esimo anniversario dell’omicidio dell’autotrasportatore della Latte Rugiada Spa Vincenzo De Mare. Un delitto irrisolto. Così, nel centro jonico, dove l’efferato delitto venne commesso, nel pomeriggio del 26 luglio 1993, c’è stato il silenzio assoluto sul caso. Eppure, negli anni scorsi sembrava che la morte di De Mare e la ricerca della verità fossero diventati un fatto pubblico con l’organizzazione di una iniziativa in piazza per ricordare, non dimenticare, invitare quanto fossero a conoscenza di particolari sul delitto, anche a distanza di decenni, a parlare. Nelle ultime ricorrenze, al contrario, solo il comunicato di Libera e gli articoli della Gazzetta. Che mai sono mancati. E mai mancheranno per rimarcare tutti gli aspetti oscuri, i silenzi, l’omertà che ha contraddistinto, sin da quella tragica data di 25 anni fa, tutta la vicenda. Ma ecco don Cozzi nella sua «Lettera a Vincenzo, venticinque anno dopo.

Quel trasporto non lo volevi fare, avevi paura. “Non è che qualcuno poi da qualche ponte mi spara?”, dicesti preoccupato al tuo interlocutore. “Tu che sei nell’ambiente, mica mi possono fare qualche scherzo?”, chiedesti a quell’amico che poi dinanzi ai magistrati ti volterà le spalle. Tu avevi visto cose da far accapponare la pelle: “Se dico una sola parola su quello che fanno allo stabilimento li faccio saltare a tutti quanti”, confidasti a tuo fratello. Ed invece sono stati loro a far saltare te. Come fanno con chiunque gli si mette di traverso, come fanno quando devono difendere i loro affari sporchi. Ma tutto sommato non ci sono riusciti completamente.

È vero, 25 anni dopo nessuno ha pagato per il tuo omicidio, ma è anche vero che in fondo dalle carte dell’inchiesta una mezza verità spunta. E in questa Basilicata noi continuiamo a pensare che prima o poi si scriveranno almeno le verità storiche. Ed ora anche nel Metapontino, dopo anni di attentati, iniziamo a toccare con mano una presenza dello Stato diversa rispetto agli anni delle sottovalutazioni. Chissà che prima o poi qualcuno con l’uniforme addosso non ritorni fra quelle carte e finalmente possa renderti giustizia. Per te, per i tuoi figli e per tua moglie Nicolina, che finché ha camminato sulla faccia della terra non si è mai messa “l’anima in pace” come in tanti la invitavano a fare e come in tanti ancora oggi ci invitano a fare».

 

 

 

 

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