27 Febbraio 1985 Palermo. Ucciso l’imprenditore Pietro Patti, titolare di uno stabilimento di frutta secca nella zona Brancaccio

Ringraziamo per la Foto Giovanni Perna, dalla pagina Facebook Dedicato Alle Vittime Delle Mafie

Pietro Patti, 47 anni,  titolare insieme con i fratelli di uno stabilimento per la lavorazione della frutta secca a Brancaccio, una delle zone periferiche di Palermo nella quale più pesante è la presenza della mafia, è stato assassinato il 27 febbraio del 1985 mentre accompagnava le quattro figlie a scuola. Nell’agguato rimase gravemente ferita anche la figlia Gaia, di soli nove anni. Venne ucciso per non aver ceduto alla mafia del racket che gli chiedeva, a conclusione di un periodo in cui aveva subito diversi attentati, una estorsione di mezzo miliardo di lire.

 

 

 

Articolo da La Stampa del 27 Febbraio 1985
La mafia colpisce ancora. Imprenditore ucciso stamane
Due killer a Palermo, ferita anche una figlia.

PALERMO — Feroce agguato questa mattina contro l’Imprenditore Pietro Patti, 47 anni, titolare insieme con i fratelli di uno stabilimento per la lavorazione delle mandorle a Brancaccio, una delle zone periferiche di Palermo nella quale più pesante è la presenza della mafia. Pietro Patti è stato assassinato da due killer mentre accompagnava a scuola la figlioletta di 8 anni che è stata ferita al torace da uno del colpi esplosi dagli assassini. La bambina è stata ricoverata all’ospedale di Villa Sofia:, le sue condizioni sono gravi.

L’agguato è stato teso in via Marchese Ugo nel pressi dell’Istituto delle ancelle del Sacro Cuore, una delle scuole più esclusive di Palermo. Come tutte le mattine Pietro Patti ha lasciato la sua abitazione di Partanna — la zona dove sabato scorso sono stati assassinati Roberto Parisi e il suo autista Giuseppe Mangano — per accompagnare le quattro figlie a scuola prima di recarsi al lavoro. Le modalità dell’agguato sono state ricostruite dagli investigatori con l’aiuto di numerose testimonianze.

L’omicidio è stato compiuto alle 8,20. Il dott. Piero Patti era al volante della sua «127 diesel», nel sedile a fianco siedeva la figlia Gala, e in quello posteriore le altre tre figlie. La vettura si è fermata davanti all’Istituto delle Ancelle del Sacro Cuore. All’improvviso, prima che l’Imprenditore potesse scendere dall’auto per accompagnare la figlia all’ingresso, la «127» è stata affiancata da una motoretta con due killers. Quello che era seduto sul sedile posteriore ha avvicinato una rivoltella alla tempia sinistra di Pietro Patti ed ha fatto fuoco. L’imprenditore è morto all’istante.

L’agguato al dott. Patti non ha trovato finora alcuna plausibile spiegazione. L’imprenditore è sempre stato ritenuto una persona dal comportamento esemplare. Aveva un grosso giro di affari nella vendita di mandorle. In passato, un ordigno era stato fatto esplodere nel suo stabilimento di Brancaccio a scopo Intimidatorio e con l’Intento di costringere, a quanto pare, l’Imprenditore a pagare una «tangente» alla cosca mafiosa del quartiere. Successivamente era rimasto vittima di un altro attentato: gli era stata fatta saltare In aria un’auto. Gli Investigatori stanno ora vagliando le varie ipotesi. Improbabile appare un collegamento con l’assassinio di dell’ing. Roberto Parisi. Tuttavia, non viene scartata l’Ipotesi che la mafia ha voluto ancora una volta compiere un’azione dimostrativa.

 

 

 

Articolo da L’Unità dell’1 Marzo 1985
Un imprenditore ucciso, la figlioletta ferita: non pagava le tangenti alle cosche.
Sicilia, la nuova campagna di terrore.
La piccola Gaia sta meglio. Ha visto in faccia gli assassini.
di Saverio Lodato
L’ingegnere Pietro Patti eliminato a pochi giorni dall’esecuzione del presidente del Palermo Calcio», Roberto Parisi – L’agguato in mezzo ai bambini della scuola delle «Ancelle» – Molti testimoni

PALERMO — Almeno Gaia, quel killer, non è riuscito ad abbatterla. Gaia vivrà. Ha riacquistato conoscenza, respira quasi regolarmente, migliora a vista d’occhio. Lesioni gravi, dicono i medici, ma reversibili. La bambina a nove anni si è vista uccidere il papà  sotto gli occhi, ha incassato in pieno petto un colpo di calibro 38, e non solo non ha versato neanche una lacrima, ma perfino ha avuto la prontezza di riflessi di spalancare lo sportello della 127, aprendo la via della salvezza alle sue sorelline, Francesca, , Alessandra, che scappavano a rinchiudersi a scuola. Ora Gaia se ne sta, in un lettino di rianimazione, a Villa Sofia, all’indomani di un delicatissimo intervento per estrarle le schegge della sesta costola, che avevano leso il piccolo polmone. La mamma, la signora Angela Pizzolo, insegnante di architettura, non ha fatto storie quando i medici l’hanno costretta ad attendere almeno dieci ore prima di incontrare la figlioletta ferita.

Qual è il movente di quest’altro efferato agguato mafioso che ha avuto come bersaglio il papà della piccola Gaia, l’ingegner Pietro Patti? Ieri migliaia di persone hanno partecipato ai suoi funerali. Il proprietario della piccola azienda per la lavorazione della frutta secca, situata a Brancaccio, borgata nevralgica per le bande mafiose delle tangenti, è stato assassinato per aver sbattuto la porta in faccia agli estortori. I quali, nel passato, come racconterà più tardi ai funzionari della Mobile la moglie, mamma di Gaia, si erano fatti vivi parecchie volte, con cariche di tritolo (per distruggergli i capannoni della fabbrica), con benzina (per incendiargli la sua Toyota nuova di zecca). Niente da fare. Non cedeva. A fine dicembre i mafiosi gli hanno presentato un bel «conto arretrato»: mezzo miliardo. Di questa cifra, Patti non disponeva. «Non so proprio dove andarli a trovare» si confidò in famiglia. Tutto tacque per qualche mese.

Poi, mercoledì mattina, alle 8,20, in una splendida giornata di sole, il racket si affida  a un killer. Ogni giorno Pietro Patti accompagna a scuola le quattro bambine. E qui, di fronte ad una delle scuole private più chic, «Le Ancelle», il sicario non gli dà nemmeno il tempo di scendere dalla macchina. Lo colpisce a bruciapelo, fugge a piedi n direzione di un complice n attesa su una Vespa. A quell’ora, centinaia di genitori con i loro bambini. Scene di terrore. Le suore per diverse ore tengono chiuso il portone per paura che la morte sia ancora in agguato. Ma fuori, i passanti di questa città, pure incallita da ricorrenti  scene di violenza, cancellano in fretta con una spugna le chiazze di sangue. Che almeno i bambini non vedano. Lì, tre ore dopo, la vita ha già ripreso il suo corso.
Si animano intanto gli uffici della Mobile e del nucleo operativo del carabinieri. Decine di testimoni, le suore delle .Ancelle», le signore della Palermo ricca, sfilano di fronte ad uomini con la pistola sotto l’ascella. E collaborano, offrono indicazioni preziose. Ad un certo momento, mercoledì pomeriggio, sembrerà che assassino e complice abbiano le ore contate. Purtroppo la pista cade nelle ore successive, l’unico fermato viene rilasciato. Si infittiscono le voci sui collegamenti fra questo delitto e l’agguato, pochi giorni fa, all’lng. Parisi e al suo autista , ma non ci sono prove in tal senso.

Il colpo, questa volta, è agli imprenditori che vogliono lavorare onestamente, che tentano di sottrarsi a legami e imposizioni, soprattutto alla «zona industriale» di Brancaccio, dove a decine sono stati gli attentati negli ultimi anni. Negli ambienti degli industriali si raccolgono in queste ore diagnosi amare. Se produci ti ammazzano. Non ne vale la pena.Meglio vender tutto e andarsene. Se ne fa interprete Salvino Lagumina, presidente della Sicllindustria; «Allo Stato — dichiara — va sollecitato un impegno straordinario perché i cittadini possano vivere e lavorare onestamente. La Sicilia ha già pagato un altissimo tributo di sangue alla lotta contro il crimine che mira ad espandere il proprio potere sia sulla società che sul tessuto economico».

 

 

 

Articolo da La Stampa del 1 Marzo 1985
Palermo, l’industriale fu ucciso perché non pagò mezzo miliardo.
di Francesco Santini
Ancora gravi le condizioni della figlia dell’imprenditore Pietro Patti Palermo, l’industriale fu ucciso perché non pagò mezzo miliardo.
Un dossier anonimo lo aveva avvertito: «Ti faremo saltare la testa» • La città inquieta dopo i due attentati in pochi giorni.

PALERMO — Ora la mafia spara agli imprenditori: venerdì ha ucciso l’ingegner Roberto Parisi, presidente del Palermo Calcio, Ieri l’altro l’ingegner Pietro Patti, 47 anni, Industriale delle mandorle e del pistacchi. Ancora un’esecuzione plateale. Quattordici killer per il manager degli appalti, un solo sicario per il titolare di una delle aziende più antiche della città. Un agguato in periferia per il primo, un’esecuzione, in pieno centro, per il secondo, dinanzi alla scuola delle Ancelle del Sacro Cuore dove studiano i figli della classe dirigente della citta.

Per non morire, l’industriale delle mandorle avrebbe dovuto pagare una tangente di mezzo miliardo. «Cinquecento milioni per la vita», come ha detto sua moglie, Angela Pizzolo, a Villa Sofia, dinanzi alla sala di rianimazione preparata per Gaia, la loro bambina ferita da uno dei tre proiettili di calibro 38 ad espansione esplosi per eseguire la sentenza di morte.

Palermo è nella paura. I clan riaffermano il proprio potere sul tessuto economico. In difficoltà nel traffico internazionale della droga, premono il giro del grandi appalti legati alla politica e quanto resta di un’imprenditoria ancora sana, sganciata dalle collusioni con il potere, decisa a resistere alla pressione delle cosche. Patti aveva sempre rifiutato di cedere. C’è un suo esposto nel dossier degli investigatori. È dell’83. Una voce anonima avvertiva: «Prima gli abbiamo fatto saltare il capannone, poi l’automobile; ora gli faremo saltare la testa».

Due anni di paura, di attenzione. Forse di trattative. All’ultima richiesta, il titolare dello stabilimento che sorge nel cuore del quartiere Brancaccio, s’era opposto: quindi l’esecuzione. Niente virgolette – dice il magistrato ai cronisti, nel palazzo di giustizia che è in stato d’assedio. Agli ingressi, dopo il metal-detector, si fotocopiano i documenti. La grande piazza che fronteggia i marmi giudiziari è interdetta alle auto. Si teme un attentato contro i giudici, c’è tensione. Decine di carabinieri con le armi in pugno. Il sostituto procuratore Alfredo Morvillo, dichiara in fretta: «Un’uccisione spettacolare, questioni di “pizzu”, di estorsione».

La scuola delle Ancelle è alle spalle della via Libertà, nella nuova Palermo. Sono le 8 e 15. Come ogni giorno, Pietro Patti, ingegnere, una famiglia di Imprenditori alla terza generazione nel settore delle mandorle, accompagna a scuola le quattro figlie con una Fiat 127 Diesel. Accanto al posto di guida è seduta Gaia. Ha nove anni e soltanto ieri sera i sanitari hanno sciolto, per lei, colpita in pieno petto, una prognosi che appariva disperata. Sul sedile posteriore, anche loro in divisa blu, le altre tre ragazze Patti: Raffaella, 17 anni, Alessandra, 14, Francesca, 6. L’auto si ferma dinanzi al grande ingresso della villa. A dieci passi c’è il portone riservato alle studentesse. Un uomo sui trent’anni, giubbotto rosso, passo spedito, si avvicina. Estrae una calibro 38, esplode tre pallottole contro il finestrino. Due centrano il volto dell’industriale, la terza, respinta dalla mandibola, si ferma centrando Gaia. Ci sono minuti di terrore. Le ragazze con il pullover blu e la gonna a pieghe che stanno entrando nella scuola si gettano a terra. Altre piangono. Altre ancora, nello choc, sono impietrite. Nella «127» di Pietro Patti, le quattro ragazze sono mute. Soltanto Francesca, la più piccola, riesce a gridare: «Hanno ucciso papà, hanno ucciso papà». Piange quando don Pepplno, il bidello, ha il coraggio di avvicinarsi, di aprire lo sportello, di farla scendere. Nel dramma che si compie nessuno s’accorge che Gaia è ferita. Una chiazza rossa si espande al centro del maglioncino blu ma la ragazzina tace. Si accorgeranno della ferita gravissima quando, a terra, nello svenimento, riuscirà a dire: «Aiutatemi, sto male».

Dice il dottor Morvillo: «Potevano uccidere l’industriale In via Mondello-Partanna, all’uscita di casa. Hanno scelto il centro della città: e questo non è casuale». Vogliono seminare il terrore. Ci sono riusciti. Dice il presidente della Sicindustria: «Vogliono estendere il proprio potere sulla società e sul tessuto economico: è necessario un Impegno eccezionale dello Stato per chi vuole vivere e lavorare ancora a Palermo». Appunto, il “pizzu”, il becco, quel «fari vagnari u’ pizzu» come diceva il primo grande mafioso della storia di Palermo, quel Vito Cascio Ferro che chiedeva per i suoi favori di “far bagnare il becco agli amici”. Chi non paga muore. Ogni attività palermitana, dalla più modesta alla più lucrosa, non sfugge alla regola della tangente.

Il sostituto Morvillo, a chi gli domanda se un filo unisca la morte del presidente Parisi, industriale degli appalti municipali, all’esecuzione dell’Ingegner Pietro Patti, risponde determinato: «Per ora, nulla ancora è emerso, ma se ci fossero dei collegamenti non potrei dirlo ai cronisti». Di un legame si parla nelle ultime ore. A Pietro Patti, qualche tempo fa, era stato offerto di partecipare alla realizzazione di uno stabilimento nella zona di Brancaccio. A garanzia della solidità finanziarla gli era stato detto: «Nell’affare c’è dentro anche Parisi, il presidente del Palermo Calcio». Le trattative erano in corso.

Si esamina nel palazzo di Giustizia, l’ultimo ordine di cattura eccellente: quello contro l’ex sindaco Insalaco. Si torna alla politica, anche se il commissario prefettizio al Comune, Gianfranco Vitocolonna, assicura: «Né ufficialmente né ufficiosamente risultano vicende di tangenti negli appalti di Palermo». Una dichiarazione che sconcerta mentre infuria la guerra di mafia.

 

 

 

Articolo di La Repubblica dell’1 marzo 1985
ASSASSINATO DAVANTI ALLE 4 FIGLIE
di Giuseppe Cerasa

PALERMO – “Non faccia il furbo, ingegnere. Non ha scampo: deve pagare mezzo miliardo. E ricordi, le abbiamo distrutto capannone e macchina, ma questa volta le faremo saltare il cervello”.

Pietro Patti, quarantasette anni, proprietario di un’ industria alimentare, non voleva crederci. “Pensava che non avrebbero mai osato tanto”, ha raccontato la moglie Angela Pizzolo ai funzionari della squadra mobile. E invece la mafia dell’estorsione ha mantenuto la promessa. Ha ucciso senza pietà “un industriale che aveva cercato di fare di testa propria osando trattare sul prezzo imposto dal racket”.

Ha ucciso con ferocia inusitata colpendo Pietro Patti davanti agli occhi terrorizzati delle sue quattro figlie (una è rimasta gravemente ferita ma forse si salverà) e lanciando un monito a quanti speravano di poter sganciare le loro imprese dai controlli dalle “protezioni” di Cosa nostra, utilizzando il momento di sbandamento degli uomini della piovra mafiosa. E così, a cinque giorni appena dall’assassinio dell’ingegnere Roberto Parisi, presidente della Palermo calcio, titolare di una finanziaria che controlla sei società e vicepresidente della Sicindustria, la mafia si è ripetuta.

Pietro Patti come ogni mattina aveva lasciato la sua villa che guarda il mare di Mondello per accompagnare a scuola in via Marchese Ugo nel cuore della Palermo bene le quattro figlie: Francesca, sei anni, Gaia, nove anni, Raffaella, quattordici anni e Alessandra diciassette anni. Ha avuto appena il tempo di spegnere il motore della 127 e un giovane killer gli ha puntato una calibro 38 alla tempia, premendo tre volte il grilletto. Una pallottola ha attraversato la testa dell’ industriale, si è conficcata nel torace di Gaia che stava aprendo lo sportello per scendere e varcare l’ingresso dell’ Istituto Ancelle, uno dei più esclusivi della città.

Sono stati momenti drammatici. Pietro Patti è rimasto incollato al sedile della vettura con il capo reclinato indietro, mentre il killer faceva pochi metri, saltava su uno scooter guidato da un complice che lo attendeva con il motore acceso, facendo perdere ogni traccia. Pochi minuti e il portone delle Ancelle si è aperto. Il custode ha fatto scendere dall’auto le figlie dell’industriale, ma Gaia aveva gli occhi vitrei, non si reggeva in piedi, perdeva sangue.
È stata soccorsa e trasportata all’ospedale Villa Sofia dove è stata sottoposta immediatamente ad intervento chirurgico. La pallottola aveva mandato in frantumi la sesta costola e le schegge avevano leso il polmone. Adesso è in rianimazione, ha ripreso conoscenza e i medici sperano di salvarla.

Le indagini sono apparse immediatamente difficili. In cinque giorni gli investigatori si sono ritrovati tra le mani i cadaveri di due imprenditori morti probabilmente perchè avevano tentato di sottrarsi con modalità ed obiettivi differenti, alle imposizioni di Cosa nostra. Gli inquirenti, grazie anche alla testimonianza della moglie Angela Pizzolo, hanno stabilito un legame di affari tra Parisi e Patti. Il punto di contatto era la costituzione di una società per la creazione di uno stabilimento nella zona di Brancaccio, ad est della città, dove Patti già possedeva i suoi impianti per la lavorazione della frutta secca (mandorle, nocciole, pistacchi da spedire in tutto il mondo). Le trattative erano in corso e adesso polizia, carabinieri e magistratura stanno verificando se possa ipotizzarsi un legame più stretto tra i due omicidi.

La pista più convincente però appare quella del racket delle estorsioni. Gli industriali che operano a Brancaccio da sempre fanno i conti con la mafia del “pizzo”, pagando tangenti sempre più esose. Angela Pizzolo ha ricostruito assieme ai funzionari della Squadra mobile le prime richieste arrivate nell’estate del 1982 quando la mafia di corso dei Mille decise di aprire una vera e propria “sottoscrizione” tra gli imprenditori della zona. Mediamente la richiesta si aggirava attorno al mezzo miliardo. In molti hanno pagato, ma l’ingegnere Pietro Patti si era sempre rifiutato di cedere alle pressioni mafiose. Ed era andato oltre: aveva presentato denuncia contro ignoti per i ripetuti tentativi di estorsione e nel 1983 aveva anche raccontato tutto ai magistrati. Poi, però, aveva ritirato l’esposto. Nel frattempo l’industriale aveva cercato di ridurre il prezzo della tangente, ma erano arrivati i primi segnali inquietanti: una bomba aveva devastato i capannoni dove viene lavorata la frutta secca, poi proprio sotto gli occhi dell’imprenditore la mafia aveva fatto saltare per aria la sua jeep Toyota. “Sapevamo di essere nel mirino”, ha raccontato Angela Pizzolo agli investigatori. “Io guardavo sempre intorno, notavo le automobili che ci seguivano, le facce strane che misteriosamente incontravamo più volte in vari punti della città nella stessa giornata. Ma Pietro diceva che non bisognava perdere la calma. Evidentemente sbagliava”.

Adesso a Palermo c’è chi teme che questo sia l’inizio di una nuova spirale di violenza destinata a ristabilire le vecchie regole del gioco imposte dalla mafia e incrinate dai recenti successi delle forze di polizia e della magistratura. Gli industriali erano stati tra i primi a voler tentare strade coraggiose sganciandosi dalla vecchia logica del “pizzo” e delle tangenti. E sono stati immediatamente colpiti. “Adesso gli imprenditori siciliani e palermitani vivono questi tragici avvenimenti nello sgomento e nell’incertezza”, dice Salvino Lagumina, presidente della Sicindustria. “Sono il segnale del precipitare della situazione nonostante la maggior presenza dello Stato al quale però va chiesto un impegno straordinario per garantire che i cittadini possano vivere e lavorare liberamente”.

 

 

 

Fonte: mediterraneocronaca.it
Articolo del 27 febbraio 2018
Pietro Patti, 27 febbraio 1985
di Roberto Greco
Alessandra non potrà mai dimenticare quel giorno. Aveva diciassette anni, quel 27 febbraio del 1985.
Erano circa le 8:20 del mattino e, con le sorelle Gaia di nove anni, Francesca di sei e Raffaella di quattordici, era a bordo della Fiat 127 guidata dal padre, Pietro Patti. Le stava accompagnando in auto, come di consuetudine, all’Istituto delle Ancelle del Sacro Cuore, in via Marchese Ugo, nel centro di Palermo. Di fianco a lui, sedeva Gaia. Dal sedile posteriore in cui si trovava, come in un brutto film, Alessandra ha visto scorrere davanti a sé le tremende immagini: un uomo che si avvicinava all’auto e, freddamente, puntava la pistola alla tempia di Pietro Patti e premeva tre volte il grilletto della sua calibro 38. I primi due colpi centrarono il volto di Patti mentre un terzo, rimbalzando sulla sua mandibola, si conficcò nel torace di Gaia, mandando in frantumi la sesta costola le cui schegge si conficcano nel polmone. Alessandra e le altre due sorelle rimasero ferme, in preda al terrore. Il padre non dava più segni di vita mentre la sorella perdeva sangue e si disperava dal dolore.

Pietro Patti era un imprenditore affermato. Si occupava di lavorazione della frutta secca e i suoi prodotti, mandorle, nocciole e pistacchi, venivano spediti in tutto il mondo.
Qualche giorno prima, il 23 febbraio, un altro imprenditore palermitano era stato vittima di un agguato. Si trattava di Roberto Parisi, presidente del Palermo Calcio e vicepresidente di Sicindustria. Oltre a lui, nell’agguato, morì anche il suo autista Giuseppe Mangano. La mafia aveva alzato il tiro. Pietro Patti era già stato vittima di avvertimenti da parte della mafia. Nel corso degli ultimi due anni, un ordigno era stato fatto esplodere nel suo stabilimento di Brancaccio. Lo scopo, evidentemente intimidatorio, era quello di convincerlo a pagare il pizzo richiesto. Pietro Patti decide di rimanere un uomo onesto e, quindi, di continuare a non pagare. Dopo poco tempo, rimane vittima di un altro attentato che gli fa esplodere l’auto. Poi arrivò la telefonata “Non faccia il furbo, ingegnere. Non ha scampo: deve pagare mezzo miliardo. E ricordi, le abbiamo distrutto capannone e macchina, ma questa volta le faremo saltare il cervello”.

Alessandra Patti, la figlia maggiore di Pietro, nel 1993 diventa dottore in Scienze Politiche presentando la sua tesi di laurea sull’assassinio del padre.
Grazie al supporto della madre e del professor Salvatore Costantino, suo relatore e docente di Sociologia della Cultura, ha deciso di affrontare non tanto gli aspetti legali/criminali dell’assassinio dell’imprenditore palermitano, ma di analizzare il modo e il metodo con cui i giornalisti, all’epoca, trattarono l’assassinio del padre. “Soprattutto – affermò Alessandra Patti alla stampa in quell’occasione – il modo in cui i giornalisti locali sono entrati dentro la notizia, con metodi logori, con uno stile vecchio, che ricalcava il giornalismo della cronaca nera”.

Pietro Patti fu ucciso dalla mafia il 27 febbraio 1985. Aveva 47 anni. Lasciò la moglie Angela Pizzolo e le quattro figlie Gaia, Francesca, Raffaella e Alessandra, che lo videro morire sotto i loro occhi.

 

 

 

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