28 febbraio 1985 Reggio Calabria. Ucciso Giuseppe Macheda, vigile urbano di 30 anni.

Per la foto si ringrazia la Pagina Facebook Dedicato Alle Vittime Delle Mafie

Giuseppe Macheda faceva parte di una squadra che – sotto la guida del pretore Angelo Giorgianni – si occupava di combattere l’abusivismo edilizio.
Gli sparano un colpo di fucile alle spalle nella notte mentre fa ritorno a casa.
La sera prima gli avevano incendiato l’auto. Due sere prima a prendere fuoco era stata l’auto di un altro componente della squadra.
La squadra antiabusivismo nelle settimane precedenti aveva sequestrato numerosi immobili e fatto arrestare molte persone.
Fonte: “Dimenticati” di Danilo Chirico e Alessio Magro

 

 

 

Articolo di La Repubblica del 6.10.1987
IL VIGILE FU UCCISO DALLA MAFIA DEGLI ABUSI EDILIZI

REGGIO CALABRIA Tre persone hanno ricevuto un mandato di cattura per concorso nell’ omicidio del vigile urbano Giuseppe Macheda, ucciso mentre tornava nella sua casa di Reggio Calabria la sera del 28 febbraio 1985. I mandati di arresto riguardano Carmelo Ficara, di 31 anni, Roberto Barreca, di 28 e Francesco Faccì, di 31. Mentre Ficara è latitante e ricercato in tutta Italia da polizia e carabinieri, gli altri due sono stati arrestati. Il vigile urbano ucciso era impegnato in una squadra per la repressione dell’ abusivismo edilizio, alle dirette dipendenze del pretore, ed era stato inflessibile nel tentativo di contenere il fenomeno dell’ abusivismo a Reggio. Subito dopo la sua morte, i sospetti della polizia si erano appuntati su Carmelo Ficara, un appaltatore con alcuni precedenti penali per abusivismo, considerato vicino ad un gruppo mafioso che opera nella zona meridionale di Reggio. Tra l’ altro Ficara lavorava alla costruzione di un complesso di villette della zona di Bocale. Francesco Faccì è cognato di Ficara, mentre l’ altro arrestato, Barreca, è collega di Faccì presso le Ferrovie dello Stato. Secondo la squadra mobile di Reggio Calabria i tre sarebbero i mandanti e gli organizzatori dell’ omicidio del vigile urbano, mentre i responsabili materiali sono per il momento sconosciuti. Francesco Faccì è stato arrestato sabato scorso su un traghetto in servizio sullo stretto di Messina, mentre andava in Sicilia per sposarsi. Il suo collega Barreca, invece, è stato fermato dalla polizia nella stazione ferroviaria di Milano, dove lavora.

 

 

Articolo di La Stampa del 2 Marzo 1985
Vigile ucciso in un agguato indagava sulle case abusive
Reggio Calabria, freddato sulla soglia di casa

REGGIO CALABRIA — Un vigile urbano è stato ucciso a fucilate. Indagava sulle costruzioni edili illegali. SI chiamava Giuseppe Macheda, 30 anni, sposato con Domenica Zema, di 26. Sarebbe diventato padre fra tre mesi. Gli hanno sparato sotto casa. Aveva appena parlato al citofono con la moglie: ‘Sono arrivato, aprimi il garage’. Mentre risaliva sull’automobile, due vampate di pallettoni. Da sei mesi Macheda faceva parte della squadra di vigili urbani che, agli ordini del pretore, Angelo Giorgianni, controlla i cantieri edili per colpire le costruzioni abusive. Era uno dei dieci uomini che comandati da un maresciallo hanno denunciato, nelle ultime due settimane, non meno di cinquanta persone fra impresari e proprietari di stabili. Avevano costruito, senza autorizzazione, case di cinque o sei plani anche in zone vincolate; Naturalmente questi controlli disturbano sia le imprese che i proprietari degli stabili e mercoledì alcuni teppisti avevano incendiato, a scopo intimidatorio, l’auto di Ferdinando Parpiglla, un altro vigile della squadra. Forse l’episodio non era neppure stato collegato con le indagini che Parpiglla stava svolgendo. Se Invece c’era stato un sospetto di vendetta, l’intimidazione non era servita a fermare le guardie, meno ancora il magistrato. Gilovedl sera Giuseppe Macheda partecipa a una riunione operativa del gruppo nella sede del comando vigili urbani presente il pretore. L’Incontro termina dopo la mezzanotte e Macheda torna a casa. Il killer aspetta che scenda dall’auto, parli al citofono con la moglie e si volti per risalire sulla vettura per portarla in garage: è a un metro da lui e spara due volte. Giuseppe Macheda muore all’istante. Domenica Zema si affaccia alla finestra e urla. Gli inquilini della casa tentano di soccorrere la vittima e chiamano l’ambulanza che arriva dopo pochi minuti con la polizia.

 

 

 

Articolo da L’Unità del 2 Marzo 1985
Ucciso a lupara vigile antiabusivismo
di Enzo Lacaria
Feroce omicidio a Reggio Calabria: la vittima operava in una squadra comunale contro la speculazione.
Giuseppe Macheda, 30 anni, assassinato l’altra sera – Ad un suo collega tre giorni fa era stata bruciata l’auto – Nelle ultime settimane avevano sequestrato un gran numero di costruzioni abusive – Dal Pci critiche all’Alto Commissario De Francesco.

REGGIO CALABRIA – Si svolgeranno, oggi pomeriggio, in forma solenne, i funerali di Giuseppe Macheda, il trentenne vigile urbano, ucciso a colpi di lupara, davanti alla propria abitazione, in un agguato della mafia della speculazione edilizia. Giuseppe Macheda, assieme all’altro vigile, Ferdinando Portiglia, (cui tre giorni addietro era stata data alle fiamme l’auto) era addetto, agli ordini del pretore Giorgianni, alla squadra del vigili urbani per la repressione dell’abusivismo edilizio che, a Reggio Calabria, ha indici devastanti. Interi quartieri, caotici e disgregati, sono sorti impetuosamente devastando colline e zone di notevole interesse paesaggistico. Mentre il vigile Macheda, che lascia la giovane moglie al sesto mese di gravidanza, veniva barbaramente ucciso, il consiglio comunale era riunito.
Immediata è stata la reazione: in un ordine del giorno, il consiglio comunale nel condannare il tragico agguato, ha confermato la volontà di perseguire l’abusivismo speculativo proteggendo il corpo del vigili urbani che, ieri mattina, ha sfilato in corteo silenzioso per le vie cittadine richiamando l’attenzione delle autorità sul grave salto della criminalità mafiosa.
Il consiglio comunale ha chiesto al coordinamento dell’azione repressiva una squadra di intervento composta anche da polizia, carabinieri e guardie di finanza.
La mafia del cemento non vuole più ostacoli: ha alzato il tiro per incutere timore e determinare vuoti di potere.
Le attestazioni di solidarietà al corpo del vigili urbani si contano, ormai, a centinaia. Ma, come osservano i consiglieri regionali del partito comunista italiano in una loro mozione, bisogna chiedersi il perché dell’acuirsi, in
questi ultimi giorni, della violenza delinquenziale e mafiosa a Reggio Calabria.
Lo Stato, le istituzioni, non possono lasciare in solitudine quel magistrati e quei pochi vigili urbani impegnati in una lotta contro l’impero mafioso, costruito all’ombra di protezioni politiche e non di rado, di funzionari infedeli.
L’alto commissario contro la mafia, De Francesco, non può dirigere la lotta da Roma: il senatore Pecchioli, in una conferenza stampa tenuta recentemente a Catanzaro, aveva criticato l’assenza dell’Alto commissario contro la mafia da una
regione in cui il fenomeno mafioso registra un’ampiezza e una violenza continua.
La città di Reggio Calabria è attanagliata — come dice la federazione reggina del Pci — in una morsa delinquenziale e mafiosa che esige una diversa e più costante presenza dello Stato, un impegno delle istituzioni democratiche e delle masse popolari: esitazioni ed incertezze non sono più accettabili.

 

 

 

Fonte: strill.it
Art8icolo del 15 ottobre 2014
Memorie – Macheda e Marino, il cammino ritrovato della memoria
di Anna Foti

Bloccare cantieri mentre l’abusivismo edilizio imperversa e sanzionare un divieto di transito mentre in tanti si sentono padroni della città, sprezzanti della legge e delle regole fondanti del vivere civile. Questi possono diventare atti eroici, dirompenti al punto da esporre chi li compie, senza le istituzioni e la società civile compatte al loro fianco, ad un destino violento di morte, di impunità e poi anche di oblio.
Almeno rispetto questa seconda morte, altrettanto imperdonabile e colpevole per tutti, nessuno escluso, bisogna rimediare con il massimo impegno e senza indugiare oltre.

Proprio domani alle ore 11, presso il comando della Polizia municipale di Reggio Calabria guidato da Domenico Crupi, comandante, e Luigi Nigero, vice comandante avrà luogo la cerimonia di intitolazione ai vigili urbani Giuseppe Macheda e Giuseppe Marino, assassinati per avere compiuto il loro dovere e avere disdegnato il compromesso. L’apposita delibera è stata firmata nel mese di settembre dal prefetto, commissario del comune di Reggio Calabria, Gaetano Chiusolo. Si trattava di un impegno assunto in occasione della piantagione dell’albero di alloro in piazza Castello nell’ambito della campagna di Libera e Stop ndrangheta, sostenuta da familiari e colleghi, e intitolata “Il ricordo lascia il segno”. La campagna era stata avviata alcuni mesi prima con una nuova raccolta di firme e quella di domani sarà un’occasione per ricordare e seminare una nuova speranza di cambiamento.

L’arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini procederà con la benedizione alla presenza della massime autorità locali tra cui il procuratore capo della Repubblica Federico Cafiero De Raho, il prefetto Gaetano Chiusolo, l’assessore alla Cultura e alla Legalità, Eduardo Lamberti Castronuovo, già assessore comunale alla Polizia Municipale. Presenti la famiglia del compianto colonnello Cosimo Fazio e una delegazione delle scuole della zona. Invitati anche i comandi di polizia municipale delle altre quattro province calabresi.

Giuseppe Macheda, agente della Polizia municipale assegnato alla squadra antiabusivismo, è stato ucciso a Reggio il 28 febbraio 1985 lasciando la moglie Domenica Zema in attesa di un maschietto, suo omonimo Giuseppe Macheda.
Giuseppe Marino, agente della polizia municipale in squadra, è stato ucciso nei pressi della villa comunale per una multa di troppo la sera del 16 aprile 1993. Aveva quarantatre anni e ha lasciato moglie e due figli. Quella sera rimase ferito anche il suo collega, Orazio Palamara.

Entrambi sono stati riconosciuti vittime del dovere ed il loro nome è inciso, tra quelli dei vigili d’Italia caduti nell’adempimento del dovere, sul monumento eretto a Palmi, in provincia di Reggio Calabria.

Altro collega di lavoro e amico, era l’attuale ispettore Domenico Porcino, allora brigadiere, impegnato da sempre in prima linea contro l’oblio e la dimenticanza al punto da essersi fatto promotore di una petizione (la prima), rimasta allora senza seguito concreto e finalizzata proprio all’intitolazione della caserma ai colleghi uccisi nell’adempimento del loro dovere. Un obiettivo finalmente raggiunto, nonostante i ritardi, che commuove e rende onore ai due uomini che non ci sono più, alle loro famiglie, al loro servizio reso ad una comunità che troppo spesso dimentica senza neppure conoscere e che deve invece riappropriarsi della sua memoria.

Libera Memoria di Reggio, gruppo di familiari e volontari impegnato nella riscoperta delle storie di vittime innocenti dimenticate, propone di sostenere questa battaglia di civiltà e di rendere patrimonio collettivo queste, come anche tante altre storie, impegnandosi, in particolare, per inserire anche Giuseppe Marino (Giuseppe Macheda c’è già) tra le vittime innocenti che Libera ha adottato (www.libera.it).

Negli anni Ottanta venne attentamente monitorata la collina di Pentimele, particolarmente appetibile per edificazioni non a norma, che avrebbero prodotto notevoli danni ambientali.

Un’azione contenitiva dell’abusivismo edilizio, e dunque di contrasto dirompente alla pervasività della ndrangheta del cemento, al punto da essere espletata di concerto con la sezione della polizia di Stato, in servizio alla Procura in qualità di polizia giudiziaria. Fioccarono gli arresti ed i sequestri di cantiere. Nel 1984 con l’insediamento del pretore Angelo Giorgianni, la squadra venne ampliata. In quel frangente storico anche l’agente Giuseppe Macheda venne assegnato alla squadra di motociclisti specializzata nella vigilanza edilizia, per combattere l’abusivismo e le speculazioni edilizi. Quegli ultimi giorni del febbraio 1985 furono decisivi e scanditi da numerose intimidazioni. Prima l’incendio dell’auto di un collega, Ferdinando Parpiglia, e la sera del 28 febbraio quei colpi di fucile alle spalle, sotto casa mentre fa ritorno, fu fatale. Giuseppe Macheda sarebbe diventato padre tre mesi dopo.

La reazione fu tanto immediata quanto effimera. Il consiglio comunale guidato dal sindaco socialista Giovanni Palamara condannò il gesto confermando la volontà di non abbassar la guarda sul fronte della lotta all’abusivismo edilizio, chiedendo un’azione congiunta di Polizia, Carabinieri e Finanza per fronteggiare la prepotente e sanguinaria mafia del cemento. I vigili sfilarono silenziosamente in strada e ad oggi è ancora forte la consapevolezza che sia stata la solitudine del corpo e degli agenti impegnati, in quella che avrebbe dovuto essere la battaglia contro gli interessi della ndrangheta a Reggio in quel momento, ad avere tragicamente consegnato il giovane Macheda a quel destino violento. La sfida per la legalità nel settore trafficato dell’edilizia a Reggio, si è giocata in quegli anni, negli anni dei condoni (1985 – 1994 – 2003).

Inizialmente furono arrestate tre persone ritenute i mandanti: l’appaltatore Carmelo Ficara, 31 anni e latitante, Francesco Faccì, 31 anni arrestato su un traghetto nello Stretto di Messina e cognato di Ficara ed il collega Roberto Barreca, di 28 anni, arrestato a Milano. Nessun esecutore materiale è mai stato arrestato e processato anche dopo la scelta di testimoniare di Maria Cozzupoli, madre di Natale Polimeni, sicario delle ndrine di Archi, ucciso il primo marzo del 1987, già stato ridotto in sedia a rotelle in un precedente agguato. La madre raccontò che il figlio aveva commesso omicidi e che aveva però rifiutato di uccidere il vigile urbano che stava svolgendo accertamenti sulla proprietà di Ficara, contattato dalla stesso Ficara. Il pubblico ministero Giuseppe Loris chiese tre ergastoli ma lo ottenne solo per Ficara. In primo grado Faccì e Barreca vennero assolti con formula dubitativa che in secondo grado diventò piena. La corte di Appello di Reggio assolse anche Ficara nel 1990. L’omicidio Macheda è ad oggi impunito.

Nove colpi di pistola calibro 9×21 uccisero Giuseppe Marino e tre ferirono il maresciallo Orazio Palamara, in pieno corso Garibaldi, nei pressi della Villa comunale, alle otto di sera del 16 aprile di ventuno anni fa. I primi indiziati furono Antonino e Bartolo Votano. Anni dopo, rivendicò l’agguato il collaboratore Giuseppe Calabrò, coinvolto anche nel delitto dei carabinieri Fava e Garofalo e di altri attentati a componenti dell’Arma dei primi anni Novanta.

 

 

 

Articolo del 26 febbraio 2015 da  targatocn.it
30 anni fa l ‘ndrangheta assassinava Giuseppe Macheda
Il commento ricordo dell’avv.Alessio Ghisolfi

Tre persone ricevettero un mandato di cattura per concorso nell’ omicidio del vigile urbano Giuseppe Macheda, ucciso mentre tornava nella sua casa di Reggio Calabria la sera del 28 febbraio 1985.  Il vigile urbano ucciso era impegnato in una squadra per la repressione dell’ abusivismo edilizio, alle dirette dipendenze del pretore, ed era stato inflessibile nel tentativo di contenere il fenomeno dell’ abusivismo a Reggio. Subito dopo la sua morte, i sospetti della polizia si appuntarono su un appaltatore con alcuni precedenti penali per abusivismo, considerato vicino ad un gruppo mafioso che opera nella zona meridionale di Reggio.

Tra l’ altro questi lavorava alla costruzione di un complesso di villette della zona di Bocale.  Secondo la squadra mobile di Reggio Calabria tre sarebbero i mandanti e gli organizzatori dell’ omicidio del vigile urbano, mentre i responsabili materiali sono per il momento sconosciuti.

“Parziale giustizia per questo giovane ragazzo in divisa:domani saranno 30 anni dal suo assassinio rimasto abbastanza impunito,  una storia dimenticata di mafia che commuove e indigna. Le storie minori, commenta l’avvocato Alessio Ghisolfi, non devono essere dimenticate,  non possono prescriversi per decorso del tempo e della (S) memoria di qualcuno. Ricordiamo, quando possiamo, queste pagine di memoria che fanno parte di quella richiesta di legalità, che ancora oggi, spira con difficoltà sul nostro Paese”.

 

 

 

Articolo dell’1 Marzo 2015 da  strill.it
Reggio – Omicidio Macheda, Libera: “Trent’anni dopo: sconfiggere la ‘ndrangheta in nome di Giuseppe”

“Era la sera del 28 febbraio 1985, esattamente trent’anni fa, quando due colpi di fucile spezzavano la vita di Giuseppe Macheda. Vigile urbano non ancora trentenne, Macheda ha pagato il prezzo più alto per la dedizione alla divisa e al difficile servizio cui era stato chiamato dallo Stato e dalla sua città.

Questo barbaro omicidio, ancora oggi, non ha il nome e il volto di un colpevole””.

Lo si legge in un comunicato dall’associazione Libera di Reggio Calabria.

“Ma tutti noi sappiamo  – prosegue la nota – che la mano vigliacca che ha impedito a Giuseppe di veder nascere il proprio figlio è quella della ‘ndrangheta. Della ‘ndrangheta del cemento che pretendeva di spadroneggiare sfregiando il volto della nostra città attraverso una speculazione senza regole e senza scrupoli. Per sconfiggere questa peste, che ancora ammorba la nostra città, Giuseppe Macheda, insieme con la squadra di contrasto agli abusi edilizi, scelse, trent’anni fa, di fare sino in fondo il proprio dovere. E, dopo così lungo tempo, la nostra comunità ha finalmente onorato il sacrificio di questo figlio coraggioso intitolando al suo nome, da pochi mesi, la sede del Comando di Polizia municipale della città di Reggio Calabria, per la cui difesa Macheda ha dato la vita.

Ma ancora non basta. Libera crede fermamente che la memoria di Giuseppe Macheda, al pari di quella delle altre vittime innocenti delle mafie, possa diffondersi ancora più viva e profonda tra i nostri concittadini e, soprattutto, debba diventare esempio e stimolo per le nuove generazioni. Proseguire in questo cammino di memoria e di impegno è la responsabilità che la rete di Libera, in un giorno così triste, assume di fronte a Giuseppe, alla sua famiglia, cui va la nostra più sincera vicinanza, e a tutti i reggini onesti, consapevoli che sconfiggere la ‘ndrangheta, grazie al sacrificio di tanti, oggi finalmente è possibile.

Era la sera del 28 febbraio 1985, esattamente trent’anni fa, quando due colpi di fucile spezzavano la vita di Giuseppe Macheda. Vigile urbano non ancora trentenne, Macheda ha pagato il prezzo più alto per la dedizione alla divisa e al difficile servizio cui era stato chiamato dallo Stato e dalla sua città.

Questo barbaro omicidio, ancora oggi, non ha il nome e il volto di un colpevole.

Ma tutti noi sappiamo che la mano vigliacca che ha impedito a Giuseppe di veder nascere il proprio figlio è quella della ‘ndrangheta. Della ‘ndrangheta del cemento che pretendeva di spadroneggiare sfregiando il volto della nostra città attraverso una speculazione senza regole e senza scrupoli. Per sconfiggere questa peste, che ancora ammorba la nostra città, Giuseppe Macheda, insieme con la squadra di contrasto agli abusi edilizi, scelse, trent’anni fa, di fare sino in fondo il proprio dovere. E, dopo così lungo tempo, la nostra comunità ha finalmente onorato il sacrificio di questo figlio coraggioso intitolando al suo nome, da pochi mesi, la sede del Comando di Polizia municipale della città di Reggio Calabria, per la cui difesa Macheda ha dato la vita.

Ma ancora non basta. Libera crede fermamente che la memoria di Giuseppe Macheda, al pari di quella delle altre vittime innocenti delle mafie, possa diffondersi ancora più viva e profonda tra i nostri concittadini e, soprattutto, debba diventare esempio e stimolo per le nuove generazioni. Proseguire in questo cammino di memoria e di impegno è la responsabilità che la rete di Libera, in un giorno così triste, assume di fronte a Giuseppe, alla sua famiglia, cui va la nostra più sincera vicinanza, e a tutti i reggini onesti, consapevoli che sconfiggere la ‘ndrangheta, grazie al sacrificio di tanti, oggi finalmente è possibile.

 

 

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Articolo del 27 febbraio 2020
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di Paola Demasi

 

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Articolo del 28 febbraio 2020
Trentacinque anni fa, l’uccisione del vigile urbano Giuseppe Macheda
di Gabriella Lax
Faceva parte del team voluto dal pretore contro l’abusivismo edilizio. Aveva trent’anni e dopo tre mesi sarebbe diventato papà se un colpo di fucile non avesse stroncato la sua vita

 

vivi.libera.it
Giuseppe Macheda
Giuseppe era un uomo onesto, che prendeva seriamente il suo lavoro. Davanti a sè tutta la vita da vivere, appena sposato e un bambino in arrivo. La sua vita è stata spezzata prima di riuscire a prenderlo tra le braccia. Ucciso perché insieme ai suoi colleghi della Polizia Municipale stava facendo il bene della sua città, Reggio Calabria.

 

 

 

 

 

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