28 febbraio 1990 Messina. Ucciso per non lasciare testimoni Angelo Alibrandi, 44 anni, camionista. Aveva assistito all’uccisione del suo datore di lavoro.

Foto da messina.gazzettadelsud.it

Angelo Alibrandi, 44 anni, camionista.

Aveva 44 anni e finalmente, dopo diversi mesi passati a cercare un lavoro, s’era sistemato come camionista e programmava il suo futuro. Non c’entrava niente con i giri della mala messinese. Ma la mattina del 28 febbraio del 1990 un gruppo di killer, fu subito chiaro dopo le prime indagini, doveva uccidere il suo datore di lavoro Francesco Panarello, che rimase anche lui sull’asfalto privo di vita. Il teatro della sparatoria fu il capannone della ditta di Panarello, a Bordonaro Superiore, quartiere di Messina. Alibrandi pagò la “colpa” di essere soltanto uno scomodo testimone della feroce esecuzione. Era dentro uno dei capannoni della ditta, appena sentì gli spari istintivamente uscì nel piazzale e vide tutto. I sicari spararono una prima volta e centrarono Panarello alla nuca. Poi, forse preoccupati di essere riconosciuti da Alibrandi, decisero di eliminarlo. Il povero camionista tentò di fuggire, ma fece solo pochi passi: venne infatti raggiunto da tre scariche di piombo alla testa e al torace e cadde a terra in un lago di sangue, vicino alle ruote posteriori di un camion. Agli investigatori fu subito chiaro che il perno delle indagini era il rapporto di parentela di Francesco Panarello, ritenuto il vero obiettivo dei killer, con Giacomo (erano fratelli), il quarantaseienne ucciso in piazza Fazio, a Camaro Superiore, la sera del primo dicembre precedente. La seconda pista seguita fu la cattura di uno dei presunti assassini di Giacomo Panarello, Pietro Trischitta, che era stato sorpreso qualche giorno prima a Terme Vigliatore dai carabinieri.

Fonte: messina.gazzettadelsud.it

 

 

 

 

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