29 Marzo 1991 Napoli. Strage del Venerdì Santo. Restarono uccisi, vittime innocenti: Luigi Terracciano, 37 anni, Umberto Esposito, 30 anni, e Carmelo Pipoli, 34 anni.

Strage del Venerdì Santo. Napoli. 29 marzo 1991. Restarono uccisi, vittime innocenti: Luigi Terracciano, 37 anni, Umberto Esposito, 30 anni, e Carmelo Pipoli, 34 anni.
L’origine della faida, secondo la ricostruzione dei magistrati, risalirebbe al 24 marzo del 1991, domenica delle palme, in un agguato operato da Paolo Russo e da suo cugino Paolo Pesce, entrambi affiliati agli scissionisti Cardillo-Ranieri, nel tentativo di uccidere Vincenzo Romano (allora considerato il braccio destro di Ciro Mariano), riuscirono a colpire a morte solo il suo autista, Ciro Napoletano, mentre Vincenzo Romano, ferito, sopravvisse all’agguato.
L’episodio scatenò una reazione cruenta dei Mariano nei giorni immediatamente successivi.
Il 29 marzo, i killer agli ordini dei Picuozzi, il clan di Ciro Mariano, entrarono in azione decisi fino in fondo a punire i ribelli capeggiati dagli ex affiliati di spicco Beckembauer e Polifemo. I sicari tesero un agguato a Sant’Anna di Palazzo, nei pressi di via Chiaia, ma invece degli scissionisti i killer dei Mariano spararono e uccisero tre persone che con la malavita organizzata e con la guerra allora in atto ai Quartieri non avevano nulla a che fare. Sotto i colpi di mitragliatori di fabbricazione israeliana furono assassinati Umberto Esposito, 30 anni, Carmine Pipolo, 34 e Luigi Terracciano 37, amici di vecchia data che stavano andando a giocare a calcetto. Il primo a cadere fu Esposito, residente in via Nardones, incensurato, impiegato in un negozio di ricambi per auto. Gli altri due, Terracciano, residente in via Gradoni a Chiaia, di professione tassista e Pipolo, l’unico dei tre con precedenti penali, impiegato in un laboratorio di pellicceria, tentarono la fuga, ma vennero ugualmente raggiunti da una sventagliata di mitra. Una quarta persona, Antonio Vivace, 43 anni, macellaio, si precipitò fuori dal negozio e col suo corpo fece scudo al figlio che si trovava proprio sulla traiettoria dei proiettili. L’uomo fu ferito allo stomaco ma se la cavò. Dopo la strage, la risposta degli scissionisti capeggiati da Beckenbauer e da Polifemo non si fece attendere. Il giorno dopo, il 30 marzo, in via San Cosma fuori Porta Nolana, i killer agli ordini dei capi della scissione, ingaggiarono una sparatoria con 4 affiliati ai Mariano. Anche questa sparatoria, come quella del giorno precedente, si concluse con la morte di un innocente, l’agente di polizia libero dal servizio Salvatore D’Addario. Il poliziotto gettatosi nella mischia di revolverate, nel tentativo di fermare i killer dell’una e dell’altra fazione, venne ferito gravemente. Morì dopo una settimana trascorsa tra la vita e la morte in un letto d’ospedale. (tratto da Wikipedia)

 

 

Articolo da L’Unità del 31 Marzo 1991
Raffiche sulla folla, la camorra fa strage
di Vito Faenza
A Napoli i killer sparano con i mitragliatori sulla gente a passeggio nei quartieri Spagnoli: tre morti e quattro  feriti – L’ipotesi degli inquirenti: «Terrorismo per dimostrare efficienza al clan rivale»
Il terrorismo camorrista semina morte e panico nel cuore di Napoli, in mezzo ad una folla di passanti.
Due killer, armati di mitra di fabbricazione israeliana, hanno assassinato tre persone e ne hanno ferite altre quattro. Il raid criminale sarebbe stato organizzato, secondo gli investigatori, da un banda della camorra per «dimostrare» ad un clan rivale di essere ancora in grado di reagire.

NAPOLI. Camminano per la strada. D’improvviso impugnano i mitra e cominciano a sparare all’impazzata sulla gente.
Uccidono tre persone, ne feriscono altre quattro, poi scappano tra la folla, lasciando a terra le armi. È avvenuto venerdì sera a Napoli, nei quartieri Spagnoli, a pochi passi dalla Prefettura, dalle centralissime via Roma e via Chiara, a poche centinaia di metri dalla Questura e dal palazzo del Comune. Un raid terroristico in piena regola che ha avuto come protagonisti due sicari della camorra e, come vittime innocenti (solo una persona tra quelle raggiunte dai proiettili aveva precedenti penali), alcuni passanti, un commerciante, due coniugi affacciatisi al balcone per vedere cosa stesse accadendo in strada.

I due sicari sono arrivati sul luogo dell’agguato intorno alle 20. n via Nardones, in via S. Anna di Palazzo c’era molta gente. Le due strade sono a ridosso delle centralissime via Chiaia e via Roma. Tra la folla due persone («portavano un impermeabile» afferma un abitante della zona) che all’improvviso imbracciano mitra di fabbricazione israeliana. Sparano contro un gruppetto fermo nei pressi di un edificio all’angolo tra le due strade. Uno dei due mitra, per fortuna, dopo aver fatto partire il primo proiettile s’inceppa; il secondo invece esplode tutti e venticinque i colpi del caricatore. Colpiti a morte Luigi Terracciano, 37 anni, mentre fugge verso via Chiaia, Umberto Esposito, 30 anni tassista e Carmine Pipoli, 34 anni, pregiudicato per gioco d’azzardo, l’unica vittima con precedenti penali.
I killer sparano senza bersaglio. Su un balcone vengono raggiunti dalle pallottole Concetta Salineri, 43 anni, e suo marito Antonio Valente, 48 anni, mentre in strada vengono colpiti Antonio Vivace, 45 anni, un macellaio che si era affacciato sulla porta del negozio e Paolo Cimirro, 19 anni, un ragazzo che andava a spasso cogli amici. I feriti sono tutti incensurati, non avrebbero nulla che fare con la camorra, vittime casuali dei prolettili «vaganti» della follia camorrista. Solo due di loro avrebbero collegamenti con la malavita organizzata della zona.

Ai piedi di una stradina in salita che porta al luogo dell’agguato, ci sono due poliziotti motociclisti. Sono in servizio. Al rumore degli spari partono verso via Nardones a sirene spiegate. Vengono bloccati da un muro di gente che scappa impazzita. Riescono a vedere i due sicari che fuggono, a piedi, lungo via Carlo De Cesare (una strada che sbocca in Via Roma, lasciano cadere a terra i mitra ed i guanti da chirurgo. I due poliziotti li intravedono mentre sottraggono una vespa 125 ad una giovane coppia per fuggire verso piazza del Plebiscito e sparire nel mare di traffico che paralizza la piazza.

Sul luogo della strage arrivano il capo della mobile, il questore, un nugolo di poliziotti. Si cerca una logica criminale in un fatto di sangue che non ne ha. I due sicari, infatti, hanno sparato alla cieca, in puro stile terroristico. La dinamica dell’agguato ricorda più l’attentato all’aereoporto romano di Fiumicino, quando terroristi spararono contro i passeggeri in fila davanti al banco della «El Al», che la «strage di Ponticelli» attuata dalla camorra, quando, nel novembre 89, vennero assassinate cinque persone fra cui tre passanti innocenti. In quel caso, però, i killer avevano sparato contro un boss ed i suoi sgherri. Sono gli stessi inquirenti, dunque, a parlare di azione «dimostrativa», di un raid messo in atto da una banda per far capire al clan rivale di essere ancora in grado di «reagire», di essere ancora temibili. Si parla di due gruppi, affiliati al clan Mariano, ultimamente entrati in contrasto. Armi, traffici illeciti, un omicidio di cinque giorni fa: uno di questi, o forse tutti, il movente della strage.

Due persone, nella giornata di ieri, sono state fermate dai carabinieri. Sono accusate, per ora, di reati che non hanno niente a che vedere con la strage, ma sono state sottoposte comunque alla prova dello Stub per accertare se abbiano sparato. Polizia e carabinieri non fanno trapelare nulla in merito ai fermi, se non un certo ottismismo sul risultato dell’inchiesta. Un dato comunque appare certo: un pregiudicato in «guerra» con il clan di via Nardones, venti minuti dopo il raid, si è reso irreperibile. È un indizio utile all’individuazione dei mandanti della strage.

 

 

Articolo da L’Unità del 2 Aprile 1991 
Identificati esecutori e mandanti del raid omicida ai quartieri Spagnoli
di Vito Faenza e Mario Riccio
Denunciati i presunti mandanti, Ciro Mariano e Vincenzo Romano, e presunti esecutori materiali, Giuseppe Gallo e  Giuseppe Ammendola, della strage di venerdi scorso con 3 morti e quattro feriti. Tutte le vittime, secondo gli inquirenti, erano estranei ai clan. Amputata la gamba al poliziotto ferito sabato scorso da un commando di killer nei pressi del stazione Centrale.

NAPOLI. Ciro Mariano e Vincenzo Romano, due boss della camorra, sono stati denunciati dalla polizia come i mandanti della strage di venerdì santo. I due esecutori materiali, secondo gli investigatori, sarebbero invece Giuseppe Gallo e Giuseppe Ammendola, pregiudicati, manovali del clan. I quattro, oltre che per strage, sono stati denunciati alla magistratura per porto e detenezione di armi e per associazione per delinquere.

Le indagini avrebbero anche accertato che nessuna delle vittime (né i morti, tantomeno i feriti) avevano a che fare con il clan di Salvatore Cardino e Antonio Ranieri contro il quale era diretto l’assalto. Le sette persone hanno avuto come unica colpa quella di trovarsi all’angolo di un edificio (o nei suoi pressi), in cui erano soliti incontrarsi gli esponenti di questa banda. Il movente dell’eccidio sarebbe il conflitto nato fra questo gruppo e quello del capo clan, un conflitto che l’altra domenica aveva già portato all’assassinio di un pregiudicato, Francesco Napolitano, mentre si trovava alla guida di un’autovettura in cui viaggiava lo stesso Vincenzo Romano.

Polizia e carabinieri non hanno dubbi anche nel collegare la sparatoria avvenuta sabato sera nei pressi della stazione centrale con la strage di via S.Anna di palazzo. In quella sparatoria un agente di Ps, Salvatore D’Addario, 31 anni, è rimasto gravemente ferito e ieri mattina i sanitari del nosocomio dov’è stato ricoverato sono stati costretti ad amputargli una gamba.
Salvatore D’Addario era arrivato in zona assieme alla moglie ed ai figli per compiere alcune compere: mentre era all’interno di un negozio ha udito alcuni colpi di pistola. Impugnando l’arma di ordinanza ha cercato di fermare i killer ed ha sparato contro Raffaele Jacovelli, alla guida di un furgoncino “Fiorino”, nel quale avrebbero trovato posto i killer. I sicari, sorpresi dal poliziotto, hanno risposto al fuoco e lo hanno colpito alla testa. Non contenti, quando lo hanno visto stramazzare al suolo, gli sono passati addosso con l’automezzo.

La Polizia afferma che nella vettura c’erano Jacovelli e Pasquale Fraiese, 30 anni, appartenenti al clan di Salvatore Cardillo e Antonio Ranieri, la banda che la sera di venerdì era stata oggetto dell’attentato «terroristico» da parte degli uomini del clan Mariano. I due sono stlati arrestati. Vittime designate dell’agguato, invece, dovevano essere Vincenzo Cuomo e Massimo Monaco, due personaggi legati appunto al clan Mariano. Polizia e Carabinieri sono perciò convinti che l’agguato di sabato sera sia in stretta correlazione con la strage di venerdì. Sono proprio l’intricata situazione delle bande napoletane, il susseguirsi in rapida successione di agguati e ritorsioni, a far capire quanto sia grave la situazione partenopea. Uno stato denunciato già, l’altro lunedi, dal presidente della commissione antimafia, sen. Gerado Chiaromonte (dichiarò che in alcune zone di Napoli «non valgono le regole costituzionali»), e che è stato rimarcato, nell’omelia della messa pasquale, dallo stesso cardinale di Napoli, Michele Giordano, che ha sottolineato il livello di barbarie a cui è giunta la criminalità organizzata che opera nella metropoli.

Un particolare sembra preoccupare le forze dell’ordine ed è quello dell’estrema facilità con cui la malavita  napletana si procura le armi. Per il raid di venerdì scorso sono stati usati, infatti, due mitra Uzi di  fabbricazione israeliana. Le armi, che valgono qualche decina di milioni, sono state abbandonate dai sicari subito dopo la strage, il che dimostra, senza ombra di dubbio, che i «gruppi di fuoco» della camorra non hanno problemi di approvviggionamento, ma dimostra anche che i clan della malavita cittadina hanno aperto, da qualche tempo, un  «canale» di rifornimento che gli permette di ottenere qualsiasi tipo di arma, anche da guerra, in poco tempo e senza eccessive difficolta.

 

 

Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 2 aprile 1991
Napoli, dopo la strage resta il terrore
di Mariella Cirillo
Botta e risposta tra camorristi, 3 morti e 8 feriti. Il cardinale: coraggio contro la barbarie.
I killer sparano anche alla polizia: due arresti.

NAPOLI. Nei vicoli dei Quartieri Spagnoli, tra i palazzi fatiscenti e ancora stretti, a dieci anni dal terremoto, da reticoli di tubi, regna una quieta sinistra. È la fragile tregua dopo la strage del Venerdì Santo, costata tre morti e quattro feriti, seguita ventiquattr’ore più tardi, da una vendetta annunciata: un’altra sparatoria tra bande rivali, tre pregiudicati finiti in ospedale insieme con un poliziotto che la sorte ha trasformato in eroe.

Ora pistole e mitra tacciono, ma tace anche lo Stato. L’occupazione «militare» del rione, voluta dal questore Vito Matterà, è durata poche ore e non è riuscita a spegnere le polemiche. Centinaia di agenti in assetto di guerra hanno setacciato le buie stradine che s’inerpicano dalle vie eleganti del centro, per chiarire che questa non è terra di nessuno. Ma la risposta è venuta dopo la mattanza: un boss in fuga deciso a ristabilire il controllo del territorio, frange «dissidenti» del clan pronte allo scontro, pistolettate agli angoli delle vie in un clima di crescente tensione. Adesso la gente se ne sta chiusa in casa per paura o per calcolo: qui si spara nel mucchio, nessuno è al sicuro.

Un senso di amara impotenza traspare anche dalle parole del cardinale Michele Giordano, pronunciate dall’omelia di Pasqua: «La verità, la dura realtà ha detto – è che non sappiamo che cosa fare. Né si può prendersela con le forze dell’ordine perché è impensabile sistemare un poliziotto accanto ad ogni camorrista». La Chiesa chiede «più coraggio», contro la barbarie sollecita «la collaborazione con le forze sane della città», ricorda agli assassini che quella di Dio è «una giustizia che non ha maglie larghe». Ma l’appello del cardinale si perde nella diffusa sfiducia, nell’ennesima conta dei morti ammazzati.

Gli inquirenti hanno intanto le idee chiare: un «botta e risposta» tutto interno alla logica camorristica che non ammette tradimenti. Dietro alla strage avvenuta venerdì sera, c’è lui, Ciro Mariano, il boss dei Quartieri Spagnoli, tornato libero in dicembre su decisione dei giudici del tribunale del riesame, fuggito poco prima che la Cassazione annullasse un paio di settimane fa quel provvedimento. Mariano, il suo luogotenente Vincenzo Romano e altri due pregiudicati affiliati all’organizzazione – Giuseppe Gallo e Giuseppe Ammendola – sono ora ricercati perché ritenuti mandanti ed esecutori della spedizione punitiva che ha avuto per teatro via Nardones.

Sotto le raffiche di mitra di fabbricazione israeliana, sono morti Umberto Esposito, 30 anni, commesso in un negozio; Carmine Pipolo, 34 anni, operaio; e Luigi Terracciano, 37 anni, taxista. Secondo la polizia, sono vittime innocenti, come i due coniugi, Antonio Valente e Concetta Salinari, feriti sul balcone di casa; il macellaio Antonio Vivace, colpito mentre accorreva a proteggere il figlio; il giovane studente Paolo Cimirro, raggiunto da un proiettile vagante. Tutti sono finiti per caso nel mirino dei killer che avevano un unico obiettivo: compiere un’azione dimostrativa. L’avvertimento era diretto a due ex alleati di Ciro Mariano, (si chiamano Salvatore Cardillo e Antonio Ranieri, ma da queste parti valgono i loro soprannomi: «Beckenbauer» e «Polifemo») che sono da mesi in carcere e che da lì avrebbero deciso di tagliare i ponti con il padrino. Hanno pagato caro l’ambizioso progetto, ma non si sono fermati.

La risposta all’eccidio dei Quartieri non si è fatta attendere: sabato sera un commando composto da quattro loro uomini ha affrontato nella zona di Porta Nolana i rivali, ferendo Vincenzo Cuomo e Massimo Monaco, entrambi affiliati al clan Mariano e ora in stato di fermo in ospedale perché sospettati di avere partecipato alla sparatoria di via Nardones. Il rumore dei colpi ha attirato l’attenzione di un poliziotto, Salvatore D’Addario, 31 anni, rimasto gravemente ferito nel conflitto a fuoco con i malviventi. Un atto di coraggio che gli è costato caro: ieri i medici gli hanno amputato una gamba. Non era in servizio, ma non si è tirato indietro. Ha lasciato moglie e figli nel negozio dove stava facendo acquisti e ha cercato di fermare i sicari che scappavano a bordo di un «Fiorino». È stato schiacciato dal mezzo contro un palo. I quattro pregiudicati a bordo hanno quindi ingaggiato una sparatoria con le pattuglie di poliziotti e carabinieri accorsi sul posto. Due sicari, uno è ferito, sono stati arrestati. Mariella Cirillo

 

 

 

Clan Mariano
Da Wikipedia

Clan camorristico dei Quartieri Spagnoli, detto anche dei “Picuozzi”, dal nome del caratteristico cordone che ciondola dal saio dei monaci.

Durante la prima metà degli anni ottanta, dopo il tramonto dei cutoliani, che controllavano i quartieri spagnoli con il capozona Mario Savio (detto “o’bellillo”), alleati con i Di Biasi ed i Russo, incomincia ad affermarsi la famiglia dei fratelli Salvatore, Ciro e Marco Mariano, già gregari dei fratelli Giuliano quando vennero arrestati nell’ambito dell’inchiesta sulla Nuova Famiglia del 1984.

Il clan dei Mariano è stato in guerra prima con i Faiano (i Di Biasi), e poi con l’Alleanza di Secondigliano agli inizi degli anni novanta per il controllo dei Quartieri Spagnoli.
Dopo la scissione di Salvatore Cardillo (soprannominato “Beckenbauer” per la sua somiglianza con il calciatore tedesco) ed Antonio Ranieri (soprannominato “Polifemo”, assassinato nel 1999), che non condividevano i metodi di spartizione dei fratelli Ciro e Marco Mariano, scoppiò una faida interna al clan che culminò con la famosa due giorni della “Malapasqua”, tra il venerdì santo ed il sabato santo del 1991, durante i quali furono uccise 4 persone e 3 rimasero ferite, tutte innocenti, nel giro di 24 ore.
L’origine della faida, secondo la ricostruzione dei magistrati, risalirebbe al 24 marzo del 1991, domenica delle palme, in un agguato operato da Paolo Russo e da suo cugino Paolo Pesce, entrambi affiliati agli scissionisti Cardillo-Ranieri, nel tentativo di uccidere Vincenzo Romano (allora considerato il braccio destro di Ciro Mariano), riuscirono a colpire a morte solo il suo autista, Ciro Napoletano, mentre Vincenzo Romano, ferito, sopravvisse all’agguato.

L’episodio scatenò una reazione cruenta dei Mariano nei giorni immediatamente successivi.
Il 29 marzo, i killer agli ordini dei Picuozzi, il clan di Ciro Mariano, entrarono in azione decisi fino in fondo a punire i ribelli capeggiati dagli ex affiliati di spicco Beckembauer e Polifemo. I sicari tesero un agguato a Sant’Anna di Palazzo, nei pressi di via Chiaia, ma invece degli scissionisti i killer dei Mariano spararono e uccisero tre persone che con la malavita organizzata e con la guerra allora in atto ai Quartieri non avevano nulla a che fare. Sotto i colpi di mitragliatori di fabbricazione israeliana furono assassinati Umberto Esposito, 30 anni, Carmine Pipolo, 34 e Luigi Terracciano 37, amici di vecchia data che stavano andando a giocare a calcetto. Il primo a cadere fu Esposito, residente in via Nardones, incensurato, impiegato in un negozio di ricambi per auto. Gli altri due, Terracciano, residente in via Gradoni a Chiaia, di professione tassista e Pipolo, l’unico dei tre con precedenti penali, impiegato in un laboratorio di pellicceria, tentarono la fuga, ma vennero ugualmente raggiunti da una sventagliata di mitra. Una quarta persona, Antonio Vivace, 43 anni, macellaio, si precipitò fuori dal negozio e col suo corpo fece scudo al figlio che si trovava proprio sulla traiettoria dei proiettili. L’uomo fu ferito allo stomaco ma se la cavò.

Dopo la strage, la risposta degli scissionisti capeggiati da Beckenbauer e da Polifemo non si fece attendere. Il giorno dopo, il 30 marzo, in via San Cosma fuori Porta Nolana, i killer agli ordini dei capi della scissione, ingaggiarono una sparatoria con 4 affiliati ai Mariano. Anche questa sparatoria, come quella del giorno precedente, si concluse con la morte di un innocente, l’agente di polizia libero dal servizio Salvatore D’Addario. Il poliziotto gettatosi nella mischia di revolverate, nel tentativo di fermare i killer dell’una e dell’altra fazione, venne ferito gravemente. Morì dopo una settimana trascorsa tra la vita e la morte in un letto d’ospedale.
Il clan in seguito si è indebolì molto fino a diventare pressoché ininfluente.

 

 

 

 

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