3 Luglio 1975 Lamezia Terme (CZ). Assassinato il magistrato Francesco Ferlaino. Era avvocato generale della Corte d’appello di Catanzaro.

Foto da: dialettoconflentese.blogspot.it

Francesco Ferlaino era avvocato generale della Corte d’appello di Catanzaro. Come magistrato era stato eletto al “Comitato Direttivo Centrale” dell’Associazione Nazionale Magistrati per il gruppo di “Magistratura Indipendente”. È stato Presidente della Corte d’assise d’appello di Catanzaro ed in tale carica ha presieduto il processo alla mafia siciliana,processo che era stato trasferito a Catanzaro per legittimo sospetto.
Venne ucciso a colpi di fucile, in prossimità della sua abitazione di Nicastro, da sicari rimasti sconosciuti appartenenti alla malavita organizzata, il 3 Luglio del 1975.
Al suo nome è dedicato il palazzo di giustizia di Catanzaro, l’aula della Corte d’Assise d’appello di Catanzaro ed una via di Lamezia Terme. (Wikipedia)

 

 

 

Nota da  dialettoconflentese.blogspot.it

Francesco Ferlaino  era nato a Conflenti il 23 luglio 1914.
Era un magistrato.

Francesco Ferlaino, dopo gli studi liceali al Galluppi di Catanzaro, frequentò a Napoli la facoltà di Giurisprudenza.
Entrò in magistratura nel 1943. Pretore e Giudice Istruttore a Nicastro (attuale Lamezia Terme), fu anche Presidente della Corte di Assise a Cosenza, poi di quella di Assise d’Appello di Catanzaro. Qui Ferlaino diresse un processo storico: il processo alla mafia palermitana trasferito per “legittimo sospetto” a Catanzaro.

Fu anche avvocato generale della Corte d’appello di Catanzaro.
Come magistrato era stato eletto al “Comitato Direttivo Centrale” dell’Associazione Nazionale Magistrati per il gruppo di “Magistratura Indipendente”

Fu ucciso a colpi di fucile il  3 luglio 1975 in prossimità della sua abitazione  a Lamezia Terme da sicari rimasti sconosciuti.
Al suo nome è intitolato il Palazzo di Giustizia di Catanzaro.
Il comune di Lamezia Terme gli ha dedicato una via.

 

 

 

Articolo da La Stampa del 4 Luglio 1975
Assassinato a colpi di lupara il magistrato che processò i novanta mafiosi palermitani

di Gerardo Gambardella
A Lamezia Terme, ieri alle 13,30, mentre stava rincasando – Assassinato a colpi di lupara il magistrato che processò i novanta mafiosi palermitani.
È il dott. Francesco Ferlaino 61 anni, avvocato generale – L’assassino gli ha sparato due colpi alle spalle mentre stava per entrare nel portone – Pare che tempo addietro la vittima avesse ricevuto minacce.  

Catanzaro, 3 luglio. Il dott. Francesco Ferlaino, 61 anni, avvocato generale dello Stato presso la procura generale della Repubblica di Catanzaro, è stato assassinato, a pochi passi dalla sua abitazione, a Lamezia Terme, mentre era di ritorno dal tribunale. Il magistrato è stato ucciso con due colpi di fucile caricato a lupara, mentre scendeva dall’auto, una «124», alle ore 13,30.

A quell’ora in viale Stazione c’erano pochi passanti. La scarica di pallettoni ha colpito il dott. Ferlaino alle spalle. Il «killer», che ha agito con estrema rapidità e con altrettanta precisione, ha fatto fuoco dal finestrino di una vettura di grossa cilindrata, una «Alfa Romeo 2000». L’auto si è poi allontanata in direzione dell’autostrada.

Il dott. Ferlaino, crivellato di pallettoni, è caduto agonizzante sul marciapiede ed è stato soccorso dai passanti che hanno telefonato poi in questura. Sono intervenuti gli agenti e i carabinieri e qualche minuto dopo è arrivato anche il procuratore della Repubblica di Lamezia Terme, insieme con altri magistrati. Da Catanzaro sono poi giunti il comandante della legione territoriale dei carabinieri, colonnello Friscia, il questore, dott. Coppola, funzionari della squadra mobile. Le indagini sull’omicidio sono coordinate dal capo della Criminalpol, Ferdinando Li Donni, che è stato inviato a Lamezia dal ministro dell’Interno Gui.

Sono stati subito istituiti posti di blocco sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria e su altre strade e superstrade in prossimità dello svincolo di Lamezia Terme e anche nella zona di Paola e di Catanzaro Lido, ma fino a questo momento nessuna traccia dell’« Alfa Romeo 2000 » che, come detto, è servita agli assassini per allontanarsi dalla cittadina. Il dott. Ferlaino, nato a a Conflenti. aveva percorso in modo brillante la carriera giudiziaria. Dopo essere stato pretore e giudice sempre a Lamezia Terme, era stato successivamente promosso consigliere di corte d’appello e destinato a Catanzaro. Da circa tre anni assolveva l’incarico di avvocato generale presso la procura della Repubblica.

Dopo l’improvvisa morte del dott. Vincenzo Smirne, sostituto procuratore della Repubblica di Lamezia Terme, deceduto nei giorni scorsi per collasso cardiaco ad appena 37 anni, mentre si accingeva a dare una svolta decisiva ad alcune importanti e delicate indagini sui sequestri di persona avvenuti nel Lametino negli ultimi anni, il dott. Ferlaino aveva avocato a sé gran parte dei fascicoli che interessavano i sequestri di persona, a cominciare da quello dell’ing. Bilotti e quello dell’industriale Bertucci, per finire con gli ultimi sequestri in ordine di tempo dell’ex-sindaco di Fuscaldo e di un anziano possidente di Decollatura.

Fu appunto nel corso di alcune battute eseguite dalle forze dell’ordine nelle campagne del Lametino, che si riuscì a porre un freno, attraverso alcuni clamorosi arresti, alla lunga catena dei rapimenti che restavano prevalentemente impuniti. E anche in questa azione di repressione della malavita organizzata nel Lametino, il dott. Francesco Ferlaino ebbe ad assumere un ruolo importante sia per la lunga esperienza che aveva in materia che per la perfetta conoscenza dei luoghi che ormai costituivano l’epicentro per i malviventi.

Negli ultimi tempi il dottor Ferlaino pare avesse di proposito richiesto, alla procura della Repubblica di Lamezia Terme, una decina di fascicoli che riguardavano da vicino l’attività di alcuni presunti boss della zona. Quando era presidente di corte d’appello, il dott. Ferlaino aveva presieduto il processo, svoltosi davanti alla corte di assise di Catanzaro, contro 90 imputati ritenuti appartenenti a bande mafiose operanti nel Palermitano. Tra i principali imputati erano Angelo La Barbera e Pietro Torretta, ritenuti i presunti capi della mafia siciliana.

Negli ultimi tempi pare che fossero anche pervenute al magistrato alcune telefonate anonime, con il perentorio avvertimento a non occuparsi di certe indagini; ma il dott. Ferlaino, temprato al sacrificio e dotato di notevole coraggio, non aveva dato peso alle minacce, per cui si suppone che la sua morte sia stata decretata da un tribunale mafioso. (La raffica di pallettoni esplosa da un fucile a canne mozze è la classica esecuzione di tipo mafioso).

Non è escluso che il killer sia arrivato da un’altra provincia e che a Lamezia abbia trovato un complice del posto che lo ha accompagnato all’abitazione del magistrato. Naturalmente l’esecutore materiale della sentenza di morte sarà stato messo al corrente delle abitudini del magistrato, il quale, di solito, rientrava da Catanzaro sempre tra le 13,30 e le 14, percorrendo con la sua «124» l’intero viale Stazione prima di immettersi nella traversa che porta alla propria abitazione.

Il dott. Ferlaino era sposato ed era padre di cinque figli. Il primo, Giuseppe, è un noto cardiologo di Lamezia Terme; gli altri sono: Rosetta, professoressa, sposata con il magistrato Gregorio Greco, che attualmente presta servizio al tribunale di Cantanzaro; Ornella, insegnante in una scuola materna; Sergio, procuratore legale, che lavora come funzionario nella sede « Alitalia » di Roma, e Paolo, non ancora ventenne, studente.

 

 

 

Articolo da La Stampa del 7 Luglio 1975
È stato un evaso ad uccidere l’avv. generale di Catanzaro?
di Guido Guidi
È stato un evaso ad uccidere l’avv. generale di Catanzaro? Gli inquirenti ne sembrano convinti – Ma i carabinieri fanno il nome del bandito Pino Scriva, che una volta aveva minacciato la vittima, la polizia quello di Antonio Scopelliti.

Lamezia Terme, 6 luglio. L’assassino dell’avvocato generale di Catanzaro, Francesco Ferlaino, ha un volto e forse un nome: si chiama Pino Scriva, è un calabrese di Rosarno, ha trent’anni, moglie e un figlio; è fuggito dal carcere di Civitavecchia, tre mesi or sono, e quasi certamente si nasconde nelle forre e nelle grotte dell’Aspromonte.

I carabinieri, ritengono di avere imboccata la strada giusta, perché, dicono, un testimone, convinto a parlare con grande fatica, ha fornito tali indicazioni sui tratti somatici di uno dei killer che ha sparato due colpi di lupara contro il magistrato, da ridurre un eventuale errore di identificazione della persona soltanto al dieci per cento.

La polizia è molto meno ottimista ed insiste, invece, su un’altra pista che potrebbe condurre (nelle intenzioni, s’intende) ad un altro evaso, anche lui calabrese, anche lui latitante: Antonio Scopelliti.

La situazione, a quattro giorni dal delitto, sembra destinata ad avere sviluppi clamorosi, anche se sono molti, e giustamente, a frenare le illusioni: le indagini si muovono in un terreno difficile, dove raccogliere un elemento o trovare un testimone disposto a sostenere una buona memoria, è un’impresa tra le più ardue.

I carabinieri fanno grande affidamento su un personaggio di cui tacciono il nome (e se ne intuiscono i motivi), che era in via Nicotera a Lamezia Terme, giovedì alle 13,30, a pochi metri dal luogo dove fu ucciso Francesco Ferlaino. Vive a Lamezia, ma non è calabrese e, dopo ore ed ore di estenuanti colloqui, si è deciso a dire quello che ha veduto. Un avvenimento abbastanza eccezionale, per queste vicende. Vide i due killer.

II nome di Pino Scriva, ovvero uno specialista in evasioni (tre e tutte clamorose, prima dal carcere di Lamezia, poi da quello di Messina infine da quello di Civitavecchia), fu il primo ad essere fatto come uno dei possibili killer. Tra l’altro, Pino Scriva, fuggendo, aveva detto senza mezzi termini, tre mesi or sono, che si sarebbe vendicato di Francesco Ferlaino: voleva essere trasferito da Civitavecchia in un carcere calabrese, per avere la possibilità di incontrarsi più facilmente con la moglie e con i suoi legali, ma l’avvocato generale aveva opposto il suo parere negative.

Pino Scriva è un bandito che in Calabria gode di grande notorietà. È stato condannato a 21 anni e 7 mesi, per avere ucciso (maggio 1968) un certo Pasquale Apa, per un regolamento di conti, a ridosso del muro di cinta del cimitero di Rosarno, anche se ha sempre sostenuto di essere estraneo a quell’omicidio. Due anni dopo (3 giugno 1970), fuggì dal carcere di Lamezia con altri tre detenuti. Latitante, fu accusato di avere compiuto una rapina alla Banca Popolare di Polistena (quattro morti, dei quali, tre funzionari dell’istituto di credito): ma venne assolto. Gli fu attribuito un altro omicidio (Girolamo Taccone), ma anche questa volta, sempre latitante, i giudici lo prosciolgono. Dopo due anni (10 marzo 1972), viene arrestato a Rosarno, mentre dormiva in casa di un amico.

«Non rimarrò dentro per molto tempo. A Pasqua scappo», disse. Mantenne l’impegno: il 12 aprile 1972 fuggì infatti dal carcere di Messina, forse con la complicità di un agente di custodia. Tornò in Calabria viaggiando tranquillamente sul ferry-boat. Ma questa volta la sua vacanza finì al settantesimo giorno, il 19 giugno 1972 venne fermato in una piazza di Nizza di Calabria. La permanenza in carcere è più lunga. Prima lo mandano a Porto Azzurro, poi a Civitavecchia, da dove fugge la mattina del 4 aprile 1975. Qualche settimana dopo, dà notizie di sé, scrivendo una lettera a un giornale di Messina.

«Non volevo fuggire — spiega in quella lettera — ma ho dovuto farlo perché chiedevo di essere trasferito in un carcere più vicino ai miei (…). Sono innocente (N.d.r.: Scriva ammette di essere responsabile soltanto di detenzione di armi, per cui è stato condannato a 9 anni) e quando la giustizia trionferà, mi costituirò per scontare quel poco che ho da fare (…). Non vorrei che mi accusassero di altri delitti: se questo avvenisse farò piangere anche le galline. Non risponderò delle mie azioni: hanno sottovalutato le mie parole e mi hanno fatto male».

L’assassino di Francesco Ferlaino (riconoscimento del testimone a parte) in teoria può essere Pino Scriva, l’uomo è deciso a tutto e aveva un motivo di particolare rancore, per l’avvocato generale che gli aveva negato di tornare in Calabria. Ma alla sicurezza dei carabinieri, la polizia (purtroppo, sembra quasi ovvio) oppone un cauto scetticismo.

«Non escludiamo nulla — dicono in questura — ma noi stiamo battendo altre piste». Gli agenti hanno trovato anche loro dei testimoni e dalle loro indicazioni concludono che a sparare è stato un uomo molto somigliante ad Antonio Scopelliti, arrestato per il sequestro del possidente di Villa San Giovanni, Giuseppe Cali, ed evaso anche lui (sembra che dalle carceri calabresi sia più facile uscire che entrare) con altri sei detenuti nel febbraio scorso.

L’aspetto più paradossale della situazione è che i testimoni rintracciati dai carabinieri e dalla polizia forniscono dettagli completamente diversi e spesso in contrasto fra loro; gli uni dicono che i killer, compiuto il delitto, cercarono di nascondere il volto; gli altri assicurano invece che non fecero nulla per non essere riconosciuti. Come dire che in queste zone o nessuno vuole parlare, o se parla non è esatto nei ricordi. Un grande «pasticciaccio» dal quale è sempre più difficile uscirne.

 

 

 

Articolo da La Stampa del  7 Maggio 1976
Il giudice Ferlaino venne ucciso perché scoprì un ricatto mafioso
Il giudice Ferlaino venne ucciso perché scoprì un ricatto mafioso – Aveva individuato gli autori di un sequestro fatto a scopo intimidatorio per ottenere gli appalti di lavori in realizzazione in Calabria.

Napoli, 6 maggio. L’avvocato generale dello Stato Francesco Ferlaino, assassinato il 3 luglio dell’anno scorso a Lamezia Terme, sarebbe stato ucciso per aver scoperto che il sequestro del possidente Giuseppe Cali, avvenuto nell’agosto del ’74 a Villa San Giovanni, non sarebbe stato compiuto a scopo estorsivo, ma per un atto intimidatorio. L’intimidazione sarebbe stata diretta contro il fratello del possidente ingegner Giovanni Cali, commissario del nucleo di industrializzazione di Reggio Calabria e sarebbe da mettere in relazione con gli appalti di numerosi lavori in via di realizzazione in Calabria (quinto centro siderurgico di Gioia Tauro, raddoppio ferroviario Villa-Reggio; costruzione della trasversale Gioia Tauro-Locri ed altri), a questa conclusione, a quanto si è appreso, è giunto il sostituto procuratore di Napoli Manlio Minalo, che ha diretto l’inchiesta, dopo che, come è noto, essa era stata trasmessa dalla Corte di Cassazione alla magistratura napoletana. Nei giorni scorsi, l’indagine è stata formalizzata, con l’invio degli atti da parte del giudice Minale all’ufficio istruzione, che sarebbe giunto a questa conclusione, sulla base del fatto che non esiste prova del pagamento del riscatto per il sequestro Cali, come sarebbe stato accertato da controlli compiuti nelle banche. Sarebbero state dunque le indagini sul sequestro Cali a costare la vita all’avvocato generale Ferlaino. Mandanti dell’assassinio sarebbero stati gli esponenti della nuova «mafia» del Reggino e del Catanzarese, usciti vittoriosi dallo scontro con i vecchi capomafia in una lotta sanguinosa, che avrebbe portato all’uccisione di un centi¬ naio di persone. Le indagini di Minale avrebbero anche condotto a dare un volto agli assassini individuati in due latitanti. (Ansa)

 

 

 

Articolo da La Stampa del  3 Agosto 1976
Nespoli: due detenuti accusati di aver ucciso un magistrato
Uno sarebbe il killer, l’altro il mandante Nespoli: due detenuti accusati di aver ucciso un magistrato

Napoli, 2 agosto. Il giudice istruttore di Napoli, Alessandro Criscuolo, ha spiccato due mandati di cattura nei confronti di Giuseppe Scriva, il trentenne bandito di Rosamo, detenuto nelle carceri di Alghero e Antonino Giacobbe, ritenuti il «killer» e il «mandante» dell’omicidio del magistrato Francesco Ferlaino, ucciso in un agguato nei pressi della sua abitazione U 3 luglio 1975, a Nicastro. «Giuseppe Scriva — è detto nel mandato — avrebbe cagionato la morte del magistrato Giuseppe Ferlaino esplodendogli contro numerosi colpi di arma da fuoco, pistola e lupara, che lo attingevano in parti vitali cagionandone la morte». Secondo quanto sostiene il magistrato napoletano, lo Scriva avrebbe agito su commissione di Antonino Giacobbe, temutissimo boss mafioso di Borgia, già rinviato a giudizio dal giudice istruttore di Novara per il rapimento e l’uccisione di Cristina Mazzotti. Per le indagini sull’assassinio di Ferlaino, il giudice ha anche inviato una comunica¬ zione giudiziaria ad un altro pregiudicato calabrese, Umberto Egidio Muraca, indiziato di far parte del clan organizzativo di un’agguerrita banda di estorsori dediti anche ai rapimenti. Se le indagini del giudice Criscuolo saranno confortate da altre prove, lo Scriva potrebbe essere uno spietato «killer» della mafia calabrese capeggiata da Antonino Giacobbe, e quindi un bandito certamente a conoscenza di molti particolari che potrebbero risultare importantissimi per il prosieguo delle indagini che si stanno svolgendo per meglio chiarire l’attività delinquenziale del Giacobbe. Gli inquirenti, infatti, ritengono che il Giacobbe sia un «pericoloso mafioso collegato a personaggi coinvolti in una serie di sequestri dì persona», tra i quali anche quello conclusosi tragicamente con l’uccisione di Cristina Mazzotti. Giuseppe Scriva fu condannato nel 1970 a 22 anni di carcere per l’uccisione di un ragazzo di Rosamo Calabro, Pasquale Apa, freddato con un colpo di pistola alla fronte il 27 giugno del 1968. Fu arrestato, ma poco dopo evase dal carcere di Lamezia Terire. Fu nuovamente arrestato il 10 marzo 1972 dai carabinieri, ma riuscì ancora una volta ad evadere, il 13 aprile successivo. Il 18 giugno fu preso a Nizza. Rimase in carcere a Cinitavecchia fino al 3 aprile 1975, giorno in cui, rocambolescamente, fuggì di nuovo portandosi dietro altri detenuti. Fu riacciuffato l’11 agosto del 1975 a Taurianova assieme a un altro pregiudicato. Ha precedenti per detenzione di armi, omicidio, tentato omicidio e le numerose fughe dal carcere gli hanno valso la fama di «re delle evasioni». L’altro ieri Giuseppe Scriva è stato trasferito da Alghero, dove era rinchiuso da circa un anno, al carcere di Poggioreale. E’ stato sentito dal mapistrato Criscuolo, alla presenza dei suoi avvocati. Cor calma, come ha sempre fatto, ha sostenuto di essere innocente. Ma questa «tesi» è stata da lui sostenuta tutte le volte che è stato arrestato e gli sono stati addebitati dei reati. Si definisce un «perseguitato» da polizia e carabinieri.

 

 

 

Articolo da La Stampa del 5 Agosto 1978
I
l mafioso Antonino Giacobbe nel 1975 ordinò l’uccisione del giudice Ferlaino?
Il mafioso Antonino Giacobbe nel 1975 ordinò l’uccisione del giudice Ferlaino? Rinviato a giudizio.
Esecutore materiale del delitto sarebbe stato Antonino Scopelliti morto il mese scorso in carcere – Il magistrato fu falciato da una raffica di mitra sparata da un’auto.

NAPOLI — Antonino Giacobbe, il presunto mafioso calabrese condannato all’ergastolo per il rapimento e l’uccisione di Cristina Mazzotti, è stato rinviato a giudizio dal giudice istruttore di Napoli Alessandro Criscuolo per l’omicidio dell’avvocato generale della corte d’appello di Catanzaro Francesco Perlaino, avvenuto il 3 luglio 1975 a Lamezia Terme. Con Giacobbe, ritenuto il mandante del delitto, è stato rinviato a giudizio dalla corte di assise di Napoli anche Giuseppe Scriva, di 32 anni, indicato come uno degli esecutori materiali. L’altro esecutore dell’omicidio sarebbe stato Antonino Scopelliti, di 36 anni, morto nel mese scorso nel carcere di San Vittore per attacco cardiaco. Scopelliti era accusato anche del rapimento del possidente calabrese Giuseppe Cali, fratello di Giovanni, commissario straordinario del consorzio per l’industrializzazione della provincia di Reggio Calabria. Il rapimento avvenne il 23 agosto 1974 a Villa San Giovanni. Un altro presunto mafioso, Umberto Egidio Mureca, accusato di concorso nell’uccisione di Ferlaino, è stato prosciolto. L’uccisione di Francesco Ferlaino, avvenuta in pieno giorno a pochi passi dalla sua abitazione, richiamò per la sua spietata esecuzione quella del procuratore di Palermo Scaglione. Ferlaino fu ucciso con una raffica di mitra alla schiena sotto gli occhi dell’appuntato dei carabinieri che gli faceva da autista. L’assassino era sul sedile posteriore di un’Alfa, con al volante un complice. Nella sua sentenza di rinvio a giudizio il giudice Criscuolo individua la causale del delitto nella lotta condotta da Ferlaino contro la mafia calabrese. In una perquisizione in casa di Giacobbe fu trovato un foglio sul quale erano scritti nome e cognome di Francesco Ferlaino. Nei riguardi del presunto « boss » Ferlaino aveva proposto l’adozione di misure di prevenzione antimafia e per questo motivo Giacobbe si sarebbe dovuto presentare il 4 luglio davanti alla commissione. Il giorno prima, Ferlaino fu ucciso. Giuseppe Scriva, avrebbe compiuto il delitto per vendetta, in quanto Ferlaino si sarebbe decisamente opposto ad una sua richiesta di trasferimento quando Scriva era in carcere ad Alghero. L’alto magistrato era fratello del padre dell’attuale presidente del Napoli, Corrado Ferlaino. a. 1.

 

 

 

Articolo di La Stampa del 1 Marzo 1980
Il boss Giacobbe assolto col complice dall’accusa di aver ucciso Ferlaino
Il pm aveva chiesto due condanne all’ergastolo Il boss Giacobbe assolto col complice dall’accusa di aver ucciso Ferlaino

NAPOLI — Assolti per insufficienza di prove. Questa la decisione della Corte d’Assise di Napoli nei confronti del boss Antonino Giacobbe e del suo complice Giuseppe Scriva, accusati dell’uccisione dell’avvocato generale dello Stato Francesco Ferlaino. La sentenza di proscioglimento con formula dubitativa è stata emessa ieri pomeriggio alle 17.30 dopo una riunione di altre cinque ore in camera di consiglio. Gli imputati, tuttavia, rimangono in carcere : Giacobbe sconta l’ergastolo per il sequestro e l’uccisione di Cristina Mazzotti; Scriva è detenuto per altri gravi reati. In dodici udienze, svolte per legittima suspicione alla seconda sezione della Corte di Assise di Napoli, è stato rivissuto il tragico agguato teso a Francesco Ferlaino, avvocato generale dello Stato alla Corte di Appello di Catanzaro. 1 L’alto magistrato venne ucciso a colpi di lupara il 3 luglio 1975 a Lamezia Terme, dove risiedeva con la famiglia. Erano le 13,30 e stava rientrando a casa a bordo dell’auto di servizio, guidata dall’appuntato dei carabinieri Felice Caruso. I killers. a bordo di una macchina, lo attesero all’ingresso deùa sua abitazione e lo freddarono con una scarica di panettoni alla schiena. Mandante del crimine fu indicato nel corso delle indagini Antonino Giacobbe, 59 anni, commerciante di cavalli, indiscusso capomafia calabrese, già condannato all’ergastolo per il sequestro di Cristina Mazzotti. Esecutore materiale Giuseppe Scriva, 34 anni, evaso per tre volte dal carcere di Civitavecchia. Durante il dibattito sono emerse prove della loro colpevolezza. Giacobbe aveva seri’ motivi per volere la morte di Ferlaino. I/alto magistrato era impegnato a sgominare le cosche mafiose calabresi, dedite ai sequestri di persona per finanziare i traffici di droga e il contrabbando di sigarette. Inoltre Giacobbe era sospettato di aver riciclato le banconote per la liberazione del possidente Giuseppe Cali, rilasciato dopo un riscatto di 350 milioni, e temeva che prima o poi sarebbe stato raggiunto dalla giustizia. Gli è bastato emettere una condanna di morte per trovare «picciotti» pronti ad eseguirla. Giuseppe Scriva, superlatitante. bisognoso di denaro e di protezione, aveva anche lui motivi di rancore verso Feriamo che lo aveva mandato in prigione sotto l’accusa del sequestro Cali. Considerato un «cane sciolto» nell’organizzazione mafiosa non aveva avuto alcuna difficoltà di assumersi 11 compito del mortale agguato e, dopo il delitto, si rifugiò nella Borgia, zona sotto’ controllo del boss Giacobbe. Il pm. dott. Golia nella requisitoria protrattasi per oltre quattro ore aveva chiesto per entrambi la pena dell’ergastolo. a. I.

 

 

 

Tratto da Dimenticati – vittime della ‘ndrangheta di Danilo Chirico e Alessio Magro

Cap. XIII – ‘ndrangheta ammazzasentenze pag. 283

” Alla fine degli anni Novanta, il caso passa alla DDA di Mesiina che però decide per l’archiviazione.

È il febbraio del 2004. Il caso Ferlaino resta irrisolto.”

 

 

 

Fonte:  associazionemagistrati.it
Articolo del 3 luglio 2013
In ricordo di Francesco Ferlaino
Avvocato Generale della corte d’Appello di Catanzaro, assassinato dalla ‘ndrangheta.

Francesco Ferlaino (Confluenti, 23 luglio 1914 – Lamezia Terme, 3 luglio 1975),
Avvocato Generale della corte d’Appello di Catanzaro, assassinato dalla ‘ndrangheta.

Francesco Ferlaino, Avvocato Generale della Corte d’appello di Catanzaro, fu ucciso a colpi di fucile nei pressi della sua abitazione di Nicastro, da sicari rimasti sconosciuti, appartenenti alla malavita organizzata.

È il 3 luglio del 1975 quando Francesco Ferlaino, 61 anni, esce dal Tribunale di Catanzaro dove lavora e si infila nella Fiat 124 di servizio guidata dall’appuntato dei carabinieri Felice Caruso per tornare a casa per il pranzo. Il solito tragitto quotidiano verso Nicastro, popolosa frazione di Lamezia Terme, dove il magistrato abita in un palazzo in corso Nicotera. Alle 13.30, l’auto si ferma nei pressi dell’abitazione dell’Avvocato Generale. L’autista apre il bagagliaio, estrae un pacchetto e lo consegna a Ferlaino. Il magistrato scende e percorre i pochi metri che lo separano da casa. Dalla traversa opposta sbuca un’Alfa di colore amaranto. Dal finestrino posteriore dell’automobile il killer esplode due scariche di lupara alla schiena di Ferlaino. Il magistrato muore all’istante cadendo riverso sul marciapiede adiacente la sua abitazione. L’appuntato Caruso esce dall’auto, estrae dalla fondina la Beretta d’ordinanza ma la vettura degli attentatori riesce ad allontanarsi prima che egli riesca a sparare. L’Alfa sarà ritrovata il giorno dopo dalla parte opposta della Calabria, a Copanello, nota località turistica. È una vettura rubata ad un avvocato di Catanzaro. Il commando formato da tre persone ha agito a volto scoperto. È evidente che gli assassini non sono di Lamezia.

Francesco Ferlaino nasce a Conflenti il 23 luglio del 1914. Dopo gli studi liceali al Galluppi di Catanzaro frequenta a Napoli la facoltà di Giurisprudenza. Entra in magistratura nel 1943 e avvia una brillante carriera peregrinando nei diversi tribunali della Calabria. È. un “uomo colto, sensibile, fine latinista, religioso”. Pretore e Giudice Istruttore a Nicastro, sarà anche Presidente della Corte di Assise a Cosenza, poi di quella di Assise d’Appello di Catanzaro. Qui Ferlaino dirige un processo storico: il processo alla mafia palermitana trasferito per “legittimo sospetto” a Catanzaro_ Il dibattimento assume carattere esemplare in quanto porta in un’aula di tribunale, come imputati, i vertici della mafia accusati della strage di Ciaculli. Ferlaino infligge duri colpi anche all’anonima sequestri calabrese che, in quattro anni, ha sequestrato diversi parenti di imprenditori lametini.

I mandanti e gli autori materiali dell’omicidio non sono stati identificati. Sulla Gazzetta del Sud del 28 agosto 2010, Arcangelo Badolati si chiede i perché dell’omicidio. “Mai colpire i magistrati. È stato questo per decenni il comandamento più osservato dalla ‘ndrangheta calabrese. Attaccare uomini in toga avrebbe significato attirare l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e dei governi, determinando pure un irrigidimento di tutti gli organi giudiziari sia inquirenti che giudicanti. Meglio tentare di “aggiustare” le cose con il passare del tempo, farsi dimenticare e aspettare la fine delle tempeste. Negli ultimi quarant’anni sono caduti sotto il piombo dei sicari delle cosche carabinieri troppo zelanti, sindaci, assessori, esponenti politici di rilievo ma mai togati. Solo in due occasioni le consorterie hanno alzato il tiro contro la magistratura. È accaduto nel 1975, a Lamezia Terme, quando venne assassinato l’avvocato generale dello Stato di Catanzaro, Francesco Ferlaino, e nel 1991, a Campo Calabro, quando fu ucciso il Sostituto Procuratore Generale della Cassazione, Antonino Scopelliti. Due delitti “eccellenti” rimasti senza colpevoli”.

Restano purtroppo ancora attuali le parole scritte vent’anni fa dal cronista di `ndrangheta Luigi Malafarina: “L’enigma delle cause che determinarono la inappellabile sentenza del Gran tribunale della mafia calabrese contro il magistrato di Conflenti non è stato ancora chiarito”.

A Francesco Ferlaino sono stati intitolati l’aula della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, una via di Lamezia Terme e il Palazzo di Giustizia di Catanzaro dove il genero, Gregorio Greco, è stato Presidente del Tribunale fino a qualche tempo fa.

 

 

 

Francesco Ferlaino dal Quotidiano del Sud del 15-06-2016 – Pagine della Memoria 

Da cui è tratta anche la foto di copertina.

 

 
 
 

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