3 Marzo 1861 Santa Margherita Belice (AG). Ucciso il medico Giuseppe Montalbano. Rivendicò alla guida dei contadini tre feudi spettanti al comune ma usurpati dalla principessa Giovanna Filangieri con la complicità del ceto agrario e baronale.

Giuseppe Montalbano (1819 – S. Margherita Belice, 3 marzo 1861) è stato un medico e patriota italiano. Partecipò all’impresa dei Mille di Garibaldi, combattendo nelle campagne di Salemi.
Fervente mazziniano e protagonista della rivoluzione palermitana del 1848, Giuseppe Montalbano aveva organizzato le squadre di picciotti che poi si erano unite ai Mille di Garibaldi dopo lo sbarco a Marsala. Per questo, fu eletto prima consigliere comunale e poi provinciale. Venne ucciso la sera del 3 marzo 1861 davanti casa sua a Santa Margherita Belice, con tre fucilate alle spalle.
Ignorando i precedenti avvertimenti e minacce ricevuti, il medico garibaldino si era messo alla testa dei contadini margheritesi, rivendicando tre feudi spettanti al comune, ma usurpati dalla principessa Giovanna Filangieri, grazie ai favori del ceto agrario e baronale già legato al governo borbonico. Per questo motivo, i gabelloti della principessa l’avevano ucciso senza farsi troppi problemi.
Alla sua morte, però, esplose la rabbia dei contadini: gli amici di Montalbano, assieme anche a membri della Guardia Nazionale, decisero di vendicarlo. Attaccarono il Circolo dei Civili, dove si trovavano i presunti esecutori materiali del delitto, finendo per cingere d’assedio per 2 giorni il municipio della città. La rivolta fu sedata dall’intendenza di Sciacca e dai carabinieri.
Sull’omicidio Montalbano, naturalmente, non si indagò. Quando venne assassinato, la moglie era incinta: il figlio, nato dopo la morte del padre, venne chiamato Giuseppe. Da allora, tutti i primogeniti della famiglia si chiamano così, in suo onore.

Fonte:  wikimafia.it

 

 

 

Dal sito Il Siculo.it
Con Garibaldi, contro le cosche. Il delitto

La sera del 3 marzo 1861, a S. Margherita Belice, tre fucilate uccidono a pochi passi da casa Giuseppe Montalbano, 42 anni, fervente mazziniano e protagonista della rivoluzione palermitana del 1848. Montalbano, che partecipò all’impresa dei mille combattendo nelle campagne di Salemi, dopo il decreto garibaldino del 2 giugno 1860 — relativo alla ripartizione delle terre demaniali ai contadini — rivendicò alla guida dei contadini margheritesi tre feudi spettanti al comune ma usurpati dalla principessa Giovanna Filangieri con la complicità del ceto agrario e baronale già legato al governo borbonico.

IL DELITTO fu preceduto da una serie di minacce ed “avvertimenti” a Giuseppe Montalbano ed alla sua famiglia. Ad esso seguì una sommossa popolare di due giorni culminata nell’assalto al municipio di S. Margherita dove si erano rifugiati alcuni tra coloro che erano stati indicati da vari testimoni quali esecutori del criminale agguato.

È inquietante riflettere sul fatto che il delitto avviene quattordici giorni prima della proclamazione del regno d’Italia (17 marzo 1861) e cinque mesi dopo il plebiscito unitario siciliano (21 ottobre 1860). Eppure, nonostante queste singolari coincidenze, la storia di quello che possiamo definire il primo cadavere eccellente dell’Italia unita, sembra dimenticata se non ignorata. Infatti nella storiografia risorgimentale sono poche le tracce che ci conducono alla vicenda: un articolo di Nicola Giordano nella rivista “dl Risorgimento in Sicilia” (Palermo, luglio dicembre 1966) ed un articolo di Giuseppe Quatriglio in “Cronache parlamentari” (Palermo, agosto-settembre 1986) il cui titolo “Con Garibaldi poi contro le cosche” è emblematico.

Vi e poi tutta una documentazione edita ed inedita, conservata presso l’archivio di Stato e la Società di Storia Patria di Palermo, che il nipote della vittima, l’ex parlamentare comunista siciliano Giuseppe Montalbano, ha raccolto in tre libri: “La sommossa contadina margheritese del marzo 1861 ed Il risorgimento in Sicilia” (Palermo 1982); “Topi, Cavour, liberali nel risorgimento in Sicilia” (Palermo 1987); “Cavour borbonico” (Palermo 1989).

Attraverso le fonti d’archivio Giuseppe Montalbano ha sostenuto la tesi che “nel marzo 1861 e nei mesi successivi gli organi competenti — procuratore del Re presso il Tribunale di Sciacca, polizia e carabinieri dell’intero circondario — non svolgono alcuna attività per scoprire i colpevoli dell’assassinio di mio nonno”. Si tratta di organi del potere esecutivo il cui capo, all’epoca del delitto e nei mesi successivi, è “Cavour, quale primo presidente del primo governo dello Stato italiano unitario”. Certo, l’immagine sostenuta da Montalbano di un Cavour complice, più o meno consapevole, di quella che Renda, nella sua “Storia della Sicilia dal 1860 al 1970”, ha chiamato “mafia dei feudi”, è suggestiva; ma va ricordato che il delitto avviene in un momento politico delicato per Cavour impegnato ad evitare che i democratici ed i repubblicani, attraverso l’impresa  garibaldina, “sorpassino” i liberalmoderati.

In questo contesto si può in parte convenire con Montalbano quando sostiene che Cavour, pur di assicurarsi i favori della casta latifondista gia legata ai borbonici e timorosa delle eventuali rivendicazioni dei repubblicani, preferì chiudere gli occhi su quel delitto che, tutto sommato, apparteneva ad una realtà estranea a quella piemontese. Forse in questo senso il quotidiano “Il Precursore” del 9 marzo 1861, nel commentare l’agguato, scriveva: “Ecco che ce ne viene dall’imprevidente garanzia che si è voluta accordare ai borbonici”. Forse per questo, prima di morire, lo stesso Giuseppe Montalbano, in una lettera al colonnello garibaldino Giuseppe Oddo del 23 febbraio 1861, scriveva che “il governo del Re cerca traversare le nostre aspirazioni… bisogna convenire di essere traditi”

Qualche anno dopo in una lettera all’amico Ubaldino Peruzzi del 20 gennaio 1863, Michele Amari sosteneva che ormai in Sicilia i reggitori, succedutisi troppo rapidamente e tutti della provincia subalpina, con le loro idee di governo antico e stabile han fatto all’amore con i borbonici; delineando quella situazione che poi il Tomasi di Lampedusa tradurrà nella citatissima frase: “cambiare tutto per non cambiare nulla”.

L’inerzia e l’indifferenza del governo di Cavour, documentate da Montalbano nei suoi libri, impongono alcune considerazioni. Innanzitutto l’intreccio mafia-politica si è ambiguamente intersecato con la storia d’Italia fin dagli albori della sua unità; anche quella colpevole mentalità d’indifferenza, da parte dei governi centrali verso la realtà siciliana, nasce con l’Italia unita; cosi come sin da allora matura quella sottovalutazione del problema mafioso nella classe dirigente nazionale.

E significativo, infine, sottolineare che quegli organi di Stato, inerti a proposito del delitto Montalbano, furono abbastanza solerti nel reprimere violentemente la sommossa di S. Margherita Belice dove i contadini avevano accusato mandanti, movente ed esecutori del delitto mafioso e furono perseguitati da quello Stato per il quale avevano lottato per la libertà dal latifondo, dalla prevaricazione e dal bisogno.

 

 

 

foto da movimentonelbelice.altervista.org

 

Fonte:     movimentonelbelice.altervista.org
Articolo del 31 agosto 2015

Storia margheritese – I moti rivoluzionari del 1848

Ai moti rivoluzionari di Palermo del 12 gennaio 1848 parteciparono il margheritese Giovan Battista Di Giuseppe e il Montevaghese Dott. Giuseppe Montalbano. Nel 1849 la rivolta fu sedata e il Dott. Montalbano venne arrestato ed esiliato in un paese lontano almeno 100 chilometri da Montevago. Poi gli venne consentito di stabilirsi in Santa Margherita. Il Di Giuseppe, invece, riuscì a fuggire e raggiungere il Piemonte. Nel 1860 Giovan Battista Di Giuseppe fece parte dei Mille che seguirono Garibaldi in Sicilia. Il Dott. Montalbano, dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala, formò una squadra di Picciotti e si unì a Partanna alla colonna del Colonnello Oddo per raggiungere Garibaldi a Palermo.

In quel periodo agiva in Sicilia, depredando e uccidendo in paesi e borgate una banda capeggiata da Santo Mele. Appena arrivata alle porte di Santa Margherita venne circondata dalle Guardie Nazionali e dalla popolazione e arrestata. Solo Santo Mele riuscì a fuggire. In seguito venne preso e riconosciuto dai Garibaldini e fucilato dopo un sommario processo.

Il Dott. Giuseppe Montalbano, nel 1861, rientrato a Santa Margherita, cominciò a sostenere la rivendica dei feudi Calcara, Ficarazzi ed Aquila lasciati da Nicolò I, affinché venissero tolti a Giovanna Filangeri e assegnati al Comune. Ma gli affittuari di tali terreni, la sera del 3 marzo 1861, lo uccisero. L’indomani, 4 marzo, dopo l’accompagnamento funebre, i sostenitori del Montalbano, capo del Partito Popolare locale, ne vendicarono l’uccisione, assaltando il municipio e il Circolo del Civili e il giorno 5 fecero esplodere una mina che provocò il crollo di un’ala del Palazzo Municipale.

I rivoltosi, durante la sommossa, uccisero ben sette persone: Michele Di Giovanna, Giuseppe Di Prima, Francesco Neve, Giuseppe e Leonardo Cattano, Pietro Giambalvo e Costantino Chetta. Un giovane di quindici anni, Antonino Randazzo, fu ucciso da Don Pietro Giambalvo mentre dal tetto del Municipio sparava contro la folla dei rivoltosi. La maggior parte dei sette uccisi erano completamente estranei al delitto Montalbano. La rivolta fu sedata con l’intervento di circa quattrocento tra soldati, carabinieri e componenti le Guardie Nazionali dei paesi vicini. Vennero arrestate più di sessanta persone.

Nel 1864 ci fu la sentenza con la condanna di ventidue persone: una a dieci, tre a quindici e due a venti anni di lavori forzati e sedici ai lavori forzati a vita. Quei tragici eventi sono ancora ricordati con alcuni versetti: “Chianciti Donna Marta, chianciti a chiantu ruttu, vistitivi di luttu, chi lu pudditru è mortu e nun ritorna chiù”. Donna Marta era la moglie di Pietro Giambalvo, soprannominato “lu Pudditru”, ucciso dai rivoltosi perché ritenuto uno dei tre responsabili del delitto Montalbano.

Altri versetti ricordano la morte di Costantino Chetta, un innocente, bravo e bel giovane, ucciso per sbaglio: “Chianci la so mamma, lu visu ch’era fino, a sulu annintuvarlu lu beddu Costantinu”. I fatti del 4 e 5 di marzo 1861 portarono grave danno e desolazione nella popolazione margheritese, specie nelle famiglie dei più dei sessanta arrestati. L’agitazione degli animi durò a lungo. Molti abitanti lasciarono il paese, sicché il numero della popolazione diminuì considerevolmente. Nel 1861 venne tolta dalla Piazza Municipio la statua che ora si trova nel rialzo a destra entrando nella Villa Comunale. Allora per l’esistenza di quella statua la piazza era chiamata “Lu chianu di lu pupu”.

(fonte archives.is)
Questo articolo è stato pubblicato in – S. Margherita Belìce, – SMB e la sua storia il 31/08/2015.

 

 

 

Fonte: stampacritica.org
Articolo del 19 marzo 2016
Giuseppe Montalbano: il primo morto per mafia, nel 1861
di Mario Guido Faloci
Le “necessità politiche” alimentano i cancri

Dell’uccisione di Giuseppe Montalbano, medico Mazziniano combattente al seguito della spedizione dei mille, possono colpire tanti fattori, che possono dar luogo a numerose riflessioni. Ma il primo fattore è sicuramente la data del suo assassinio, 3 marzo 1861, ovvero cinque mesi dopo il plebiscito unitario siciliano e due settimane prima della proclamazione del Regno d’Italia (avvenuta il 17 marzo).

Montalbano, tra gli artefici della rivoluzione palermitana del ’48, aveva combattuto coi garibaldini, nelle campagne di Salemi e, in forza del decreto garibaldino del 2 giugno 1860, aveva rivendicato al comune tre feudi usurpati dalla principessa Filangeri, grazie al ceto agrario e baronale, legato al governo borbonico.
Le tre fucilate che a sera, a pochi passi da casa, a S.Margherita Belice, gli tolsero la vita, scatenarono una sommossa popolare di due giorni: il culmine dei disordini, fu l’assalto al municipio, in cui si erano rifugiati alcuni dei presunti assassini.
Altro significativo fattore è il comportamento che allora ebbero le forze dell’ordine: queste mostrarono molto più attivismo per reprimere quella sommossa spontanea, di quanto non ne fecero vedere, per ricercare e perseguire mandanti ed esecutori, di quel delitto.

A distanza d’anni, c’è chi ha visto nell’ignavia delle forze dell’ordine del nuovo stato, il bisogno del primo ministro Camillo Benso di Cavour di trarre quanto più sostegno possibile dalla classe latifondista, sia per non subire sorpassi parlamentari, da parte delle forze democratiche, sia per non alimentare eventuali rivendicazioni, da parte delle forze repubblicane.
In una sua lettera al colonnello garibaldino Giuseppe Oddo, di qualche settimana prima il suo omicidio, il Montalbano stesso parla di vero e proprio tradimento delle loro aspirazioni, da parte del governo del re.

Queste parole ed i fatti che ne seguirono, oltre a dar corpo a numerose, romantiche, congetture “gattopardesche”, pone quasi il problema se il potere della mafia dei feudi non sia stato rafforzato, in quegli anni, proprio dalle politiche del nuovo Regno Italiano e se, in definitiva, il cancro della mafia non abbia proliferato incurabilmente, nel tessuto siciliano, proprio dalle scelte dei nuovi governanti unitari. Questo porrebbe un’inquietante ombra sulla figura del Cavour e porrebbe in una prospettiva assai diversa il popolo siciliano, non più passivo o connivente, ma capace di sollevarsi per avere giustizia e, in questo, represso, in favore dei campieri, dei gabellotti, degli assassini mafiosi, proprio da quello Stato che, invece, avrebbe dovuto tutelarne le aspirazioni.

Se la mafia è un fenomeno siciliano, è anche vero che i suoi naturali anticorpi sono sempre stati nel suo stesso popolo e che la sua micidiale radicazione, è stata forse causata da quella sorta di “voto di scambio” ante litteram, culminata in assurde scelte politiche dei nuovi governanti del nord.

Giuseppe Montalbano, dall’idealista che era, ha combattuto ed è morto per una giustizia sociale che gli italiani ed i siciliani, probabilmente non hanno mai conosciuto. Lui è forse la prima vittima unitaria, del sopruso mafioso e della contiguità politica-mafia, che continua a zavorrare il nostro paese.

 

 

 

 

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esperonews.it
Articolo del 21 marzo 2021
1861: Giuseppe Montalbano, democratico e mazziniano primo caduto per mano mafiosa
di Michelangelo Ingrassia
Un evento inquietante che lega due date simboliche: la Giornata dell’Unità d’Italia e la Giornata della memoria e dell’impegno contro le mafie. La storia delle relazioni pericolose tra lo Stato e la criminalità organizzata inizia alla vigilia della proclamazione del Regno d’Italia, sulle ceneri del primo morto ammazzato dalla mafia dei feudi.

 

 

 

 

 

One Comment

  • Antonino Russo

    Buona descrizione sulla vita del siciliano Giuseppe Montalbano ma vi siete dimenticati varie cose: la Mafia è propriamente nata durante nei primi anni della malaunità d’Italia in seguito all’invasione mercenaria di Garibaldi e i suoi folli soldati nel Regno delle Due Sicilie e una volta le terre venivano date dai Borbone alle classe contadine sia napolitane sia siciliane attraverso il loro diritto degli usi civici concessi dai sovrani stessi. Poi i Borbone combattevano la mafia, punendo moralmente gli esponenti della classe baronale e i loro latifondisti, grazie alle operazioni d’antimafia messe in atto dal commissario Salvatore Maniscalco e l’operato del procuratore Giuseppe Mario Arpino), accusati di proteggere i propri interessi e mantenere il proprio dominio sull’ intera isola, manovrando l’idea dell’indipendenza. Anche se per voi di questo fatto storico non vi trasmette un determinato interesse, tale testimonianza combacia la realtà del Regno duo-siciliano prima dell’unità.

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