30 Agosto 1978 Pagani (SA) ucciso Antonio Esposito Ferraioli Sindacalista, 27 anni
Antonio Esposito Ferraioli lavorava come chef nelle cucine della Fatme-Ericsson a Pagani.
Ferraioli era anche un sindacalista che denunciava la gestione di subforniture – aveva scoperto tra le altre cose un mercato parallelo di macellazione non regolare – e organizzava l’attività politica in fabbrica. Antonio era inoltre riuscito ad ottenere che i titolari dello stabilimento pagassero la tredicesima anche ai dipendenti della mensa, ma proprio per questo era stato avvertito di non recare troppo fastidio in futuro.
Il 30 agosto 1978 Antonio paga con la vita il suo impegno. A soli 27 anni un commando di camorristi lo raggiunge mentre si trova in auto.
L’omicidio di Antonio Esposito Ferraioli, secondo quanto emerso nel dibattimento alla Camera dei deputati del 14 luglio 1980, sarebbe imputabile al pregiudicato Salvatore Serra e alla sua banda, noti per aver imposto con minacce e attentati dinamitardi il controllo sulle aziende dell’Agro Nocerino Sarnese. Ad oggi tuttavia nessun processo è stato avviato contro i mandanti e gli esecutori dell’omicidio Ferraioli.
Nell’ottobre del 2014, il giudice Mancuso del Tribunale di Nocera Inferiore riconoscerà Antonio vittima innocente della criminalità, dopo il ricorso avviato dalla famiglia della vittima, nei confronti della decisione del Ministero dell’Interno. […] Fond. Pol.i.s.
Tratto da: comunitaprovvisoria.wordpress.com
Tonino era andato troppo in là
di M. Fumagallo
Via Zito è la strada che divide il rione Palazzine. Un affastellamento di edifici che fa da spartiacque tra il centro storico di Pagani e le montagne che separano il caos dell’agro nocerino-sarnese da ciò che c’è dall’altra parte e cioè la Costiera Amalfitana. In una calda notte estiva del 30 agosto 1978, Tonino Esposito Ferraioli, cuoco della mensa della Fatme-Ericson di Pagani, è a casa della fidanzata Angela, anche lei inserviente alla stessa mensa. Una coppia unita che più non si può: nella vita, nel lavoro e persino nell’avere tutti e due quel cognome doppio, Esposito Ferraioli. Quella sera la discussione tra i due verte sui preparativi del matrimonio già stabilito da lì a poco più di un mese. Verso le due di notte, Tonino deve rientrare a casa perché sa che la madre ha il solito vizio di aspettare il suo ritorno in piedi. Un vizio che Assunta Messano, oggi novantenne, non si toglierà mai e racconterà in seguito in un’intervista di grande commozione («La sera quando doveva tornare a casa io non andavo a dormire… Mi mettevo fuori al balcone… Lo riconoscevo da lontano perché aveva una Citroen con i fari grandi… Quante notti alla finestra ho pianto nell’assurda speranza di rivederlo tornare a casa, le ore passavano inutilmente, mio figlio non c’era più»). Quella notte, dunque, Ferraioli si dirige verso la sua Citroen parcheggiata all’angolo di Via Zito. Gli si affianca a fari spenti una A112 blu con due persone a bordo. Tonino ha appena il tempo di salutare Angela che è affacciata alla finestra, quando parte una scarica di colpi da una lupara che lo tramortisce a terra. Angela urla e corre in strada. Il dramma di Tonino si svolge nel silenzio più assoluto, nessuno si avvicina al luogo del delitto, nessuno ha visto niente. Poi, però, il quartiere si rianima al suono delle sirene dei carabinieri e della polizia.
Tonino viene trasportato di corsa all’ospedale di Nocera Inferiore dove morirà un’ora dopo, colpito in più punti dalla rosa di pallettoni che gli ha spappolato milza e fegato.
La fabbrica e la criminalità
Il delitto colpì un uomo che aveva messo il naso nel controllo delle attività produttive e delle mense in un periodo in cui le cosche dettavano legge in tutto il territorio, ma soprattutto colpì un uomo buono e fu uno shock devastante per tutto un mondo sindacale e politico che aveva sottovalutato le degenerazioni presenti nella grande fabbrica. Eloquente fu il commento del dirigente dei Ds Isaia Sales, allora giovane militante del Pci e suo amico, nel video che ne ricavò il regista Michele Schiavino quattro anni fa: «Era una persona dolcissima che non avrebbe fatto male a una mosca. Rivendicava non per sé ma per gli altri. In ogni delitto cerchi sempre un qualche movente, ma nel caso di Tonino c’era la cattiveria più totale. Chiunque ha architettato l’omicidio, chi lo ha messo in pratica, chi lo ha tollerato, deve essere assicurato alla giustizia. Fino a quando nessuno pagherà per quell’omicidio, io credo che nessuno di noi sarà tranquillo».
L’inchiesta della magistratura è sempre aperta e non è stata archiviata: questo lascia ovviamente dei margini di speranza negli amici che in questi anni hanno vissuto la condizione amarissima e pasoliniana di coloro che «sanno ma non hanno le prove». Nelle interrogazioni parlamentari che vari deputati della sinistra fecero nel 1982 (Abdon Alinovi, Giuseppe Amarante, Mario Catalano, Eliseo Milani, Famiano Crucianelli), anche il governo di allora si spinse a riconoscere che Ferraioli nella sua lotta per i diritti dei lavoratori e contro l’uso di carne di provenienza sospetta (i furti di tir erano all’ordine del giorno) era stato eliminato dalla delinquenza. Ma erano i tempi delle decine e decine di omicidi che la camorra lasciava sul terreno e Tonino venne sepolto sotto questa massa di cadaveri. «L’omicidio di Antonio Esposito Ferraioli – dice il ricercatore Marcello Ravveduto che sta preparando un libro inchiesta sul caso – è il classico delitto perfetto: si dimentica la vittima, scompaiono gli assassini, svaniscono i mandanti, si confondono le indagini». A una prima fase di mobilitazione è poi subentrato il silenzio, favorito anche dalla sostanziale impotenza dell’inchiesta giudiziaria. Ma il ricordo degli amici, il lavoro della precedente amministrazione progressista al comune che rilanciò l’impegno e la nascita dell’Associazione Ferraioli, oggi federata nel circuito dell’organizzazione antimafia Libera, hanno contribuito a rilanciare la questione.
Tonino Esposito Ferraioli, quasi un eroe per caso della lotta contro la camorra? Aveva iniziato nell’adolescenza con gli scouts la sua attività al servizio del prossimo. «Tonino – racconta uno dei suoi amici – era forse l’espressione più buona di quelli che erano i valori dello scoutismo, cioè la pace, la fratellanza, la giustizia. Insomma, divenne un uomo giusto. Una persona dolce, educata. Un timido che vinceva la timidezza con l’intelligenza». «Questa è una cosa che resterà per sempre dentro di noi – aggiunge il cognato Alfonso Baccaro, oggi impegnato nell’Associazione. Sono stato un fratello maggiore per lui. Quando l’ho conosciuto aveva circa otto anni, io il doppio ed ero fidanzato con la sorella. Lottiamo da anni perché questo delitto assurdo non resti impunito, soltanto che, più tempo passa, più questa speranza si diluisce. Stiamo preparando la nuova edizione del premio dedicato alla sua memoria, una manifestazione che in tanti abbiamo voluto per lui e perché i giovani non dimentichino».
I ragazzi devono sapere.
Articolo del 29 Aprile 2011 da: paganinotizie.it
Una strada per Antonio Esposito Ferraioli.
Una strada per Antonio Esposito Ferraioli. Al Sindacalista ucciso nel 1978 sarà intitolato il primo tratto di Via Filettine, quello che costeggia l’ex Fatme, fabbrica per cui condusse le sue battaglie di legalità. La cerimonia di intitolazione si terrà lunedì 2 maggio alle ore 12.30 al termine dell’edizione 2011 del Premio dedicato alla sua memoria.
“E’ giusto onorare gli uomini e le donne che hanno scritto la storia della nostra città- ha dichiarato il Sindaco Alberico Gambino- Antonio Esposito Ferraioli è un uomo che si è battuto per la legalità e per i diritti dei lavoratori ed il suo nome, la sua storia vanno consegnati ai posteri”
Foto e Articolo del 4 Maggio 2011 da: perpartitopreso.org
Perpartitopreso nel nome di Tonino Esposito Ferraioli
Si è tenuta lunedì 2 maggio, a Pagani, la IX Edizione del PREMIO ANTONIO ESPOSITO FERRAIOLI, manifestazione che ogni anno vede luce per ricordare il giovane Tonino, sindacalista e cuoco paganese, caduto sotto fuoco camorrista. La sala del cinema LA FENICE era gremita di gente. Più di trecento alunni provenienti dalle scuole di tutta la Campania, senza contare i docenti, i presidi, i rappresentanti delle forze dell’ordine, giornalisti e persone che semplicemente si erano incuriosite per tanto movimento. Il punto focale dell’evento, oltre le premiazioni alle scuole per l’impegno profuso nella costruzione di percorsi di legalità, è stato il colloquio amicale e fraterno tra il sacerdote antimafia Don Luigi Ciotti e i ragazzi degli istituti scolastici. E PERPARTITOPRESO non poteva mancare all’iniziativa, coordinandone il dibattito e gli interventi delle varie personalità che sono intervenute in mattinata accanto al carismatico sacerdote. Ancora una volta PERPARTITOPRESO si è dimostrato all’altezza della situazione, incanalando il dibattito della giornata sui temi chiave della MEMORIA, dell’IMPEGNO, della DENUNCIA, dell’ATTIVISMO SOCIALE.
Preziosa la collaborazione di PERPARTITOPRESO con l’Associazione Antonio Esposito Ferraioli, collaborazione iniziata già 6 mesi fa, nell’Auditorium di Pagani, dove centinaia di ragazzi avevano preso parte ai laboratori di giornalismo, legalità e memoria organizzati dallo stesso collettivo, dalla casa editrice ROUND ROBIN e dall’Associazione DaSud.
E quest’anno la novità è stata la partecipazione attiva all’evento dei due blogger uniti sotto l’etichetta “COPERNICANDO”, che hanno costruito e montato video-inchieste su beni confiscati alla camorra ed ecomafia. D’altro canto è questo lo scopo di PERPARTITOPRESO, non ci stancheremo mai di dirlo e gridarlo! Dare spazio alle nuove generazioni. Giovani, giovani e ancora giovani! Perché, come ha ricordato Don Ciotti, la speranza per la costruzione di un’Italia migliore passa dalle mani e dalle anime dei ragazzi.
Da annotare l’esplosione di rabbia di Don Ciotti durante la manifestazione, contro la giunta comunale firmata Alberico Gambino, colpevole di aver revocato improvvisamente l’intitolazione della piazza Corpo di Cristo a Marcello Torre, ex sindaco di Pagani ucciso dai sicari della camorra. “Marcello Torre era un uomo giusto e in lui, come in tutti gli uomini giusti, c’era vivo il corpo di Cristo, più che su una targa”. Presente in platea e ammutolito di fronte a tanta veemenza era anche l’assessore Enrico Cascone, unico rappresentante di un’amministrazione che ha avuto la faccia tosta di strumentalizzare un argomento estremamente serio come quello delle vittime di mafia, intitolando una via di Pagani a Tonino Esposito Ferraioli: da notare che il Sindaco GAMBINO non ha presenziato alla premiazione, non è venuto a sentire le parole di Don Ciotti, non è stato in mezzo ai ragazzi delle scuole per ascoltare i loro dubbi, le loro insicurezze in termini di legalità, costituzione e mafia. Mentre si celebrava la giornata dell’antimafia, Gambino preferiva scoprire una targhetta per puri scopi elettorali.
L’altra faccia della giornata erano le grida di Don Ciotti, gridava il suo sdegno, la sua speranza, la gioia di vedere tanti giovani riuniti per un unico obiettivo, la rabbia per la mancanza di dignità da parte di molti amministratori politici. “I punti sui quali si fonda il mio lavoro ogni giorno sono il Vangelo e la COSTITUZIONE ITALIANA. Quella meravigliosa COSTITUZIONE che alcuni vorrebbero cambiare per interessi personali”.
E il finale non poteva che essere trascinante, con il rapper LUCARIELLO che sulle note di “CAPPOTTO DI LEGNO” (scritta per ROBERTO SAVIANO), ha voluto ricordare il coraggio degli uomini che combattono ogni giorno le mafie. “E SE SI ALZA UNA MANO S’AIZAN TUTT QUANT! E MO’ SPARATECE A TUTTE QUANT!” recita il testo della canzone.
L’omertà e l’egoismo stanno incancrenendo questo paese. Facciamo girare cultura, legalità e senso del benessere comune. PERPARTITOPRESO.
Articolo del 30 Agosto 2012 da dallapartedellevittime.blogspot.it
TONINO ESPOSITO FERRAIOLI, SINDACALISTA DELLA CGIL. DOPO 34 ANNI ASPETTA ANCORA GIUSTIZIA
di Raffaello Sardo
Tonino Esposito Ferraioli il 30 agosto del 1978 aveva 27 anni. Lavorava alla FATME di Pagani. Faceva il cuoco ed era iscritto alla Cgil. Tonino era uno di quelli tosti. Perciò quando vide che qualcosa non andava alla carne che in fabbrica veniva fatta mangiare agli operai, Tonino si ribellò. Denunciò. Voleva tutelare la salute dei suoi compagni che quella carne di scarsa qualità certo non la meritavano. Ma nell’agro Nocerino-sarnese gli imprenditori avevano deciso che le proteste degli operai non si risolvevano attraverso la mediazione del sindacato ma con l’intervento delle bande della camorra. Un’interpellanza parlamentare del deputato del PCI, Giuseppe Amarante, del 14 luglio 1980, mette assieme tutti gli episodi di quegli anni: l’uccisione appunto del sindacalista comunista della Fatme Esposito Ferraioli; l’aggressione di sindacalisti in una azienda agricola del Cilento; le intimidazioni agli edili del cantiere Maniglia di Nocera Inferiore; l’aggressione a braccianti nella piana del Sele; l’incendio dell’automobile di un lavoratore a San Marzano sul Sarno. Questi episodi si intensificano, in modo preoccupante, nel 1979, anno nel quale si verificano il ferimento, a colpi di pietra, del sindacalista Giordano, in un cantiere edile nel quale il padrone usa anche armi da fuoco; anno nel quale, nel corso di una vertenza sindacale in una struttura alberghiera, viene aggredito il sindacalista Cilento, segretario della camera del lavoro di Vallo della Lucania; o, ancora, anno nel quale si ha la presenza di decine di delinquenti, anche armati, i quali, al conservificio Feger di Angri, impediscono, con minacce e violenze, prima uno sciopero e poi persino la distribuzione di volantini sindacali; infine, sempre ad Angri, dove al calzaturificio Moscariello si hanno violenze padronali contro lavoratori e sindacalisti; vi sono poi, sempre nello stesso comune, i fatti accaduti al conservificio Vaccaro e al conservificio De Gregorio, o quelli accaduti nel vicino comune di Scafati al conservificio Chiavazzo». L’onorevole Femiano Crucianelli, intervenendo nel dibattito nello stesso giorno alla Camera dei Deputati, aggiungerà: «[…] Ci troviamo di fronte ad una sequela di fatti che, anche riletti oggi, fanno pensare ad un vecchio film americano che si chiamava “Massacrateli tutti senza pietà”. Quel vecchio film era la storia dell’inizio della formazione del sindacato in America, e rappresentava tutte le violenze che i lavoratori americani subivano negli scontri sul posto di lavoro…».
La sera del 29 agosto del 1978 Tonino era dalla sua fidanzata, Angela. Scese di casa attorno alla mezzanotte. Angela abitava in via Zito a Pagani. Tonino si recava da Angela ogni sera. Dovevano sposarsi di li a poco. Lo aspettarono che scendesse per sparargli un colpo di lupara nell’oscurità, come vigliacchi.
«L’omicidio di Antonio Esposito Ferraioli», affermò il sottosegretario Sanza nel dibattito alla Camera il 14 luglio 1980, «è ritenuto opera del pregiudicato Salvatore Serra e della sua banda, noti per aver imposto con minacce ed attentati dinamitardi il loro controllo su molte aziende industriali della zona». Alcuni anni dopo la morte di Tonino fu avviato un processo a carico di Giuseppe De Vivo, pregiudicato paganese, e di Aldo Mancino, imprenditore ed ex amministratore comunale Dc di Pagani. Il processo era nelle mani del sostituto procuratore Nicola Giacumbi. Lo stesso che sarebbe stato ucciso dalle Brigate Rosse. All’inizio degli anni ’90, furono prosciolti tutti e due gli indagati. Nel 2002 il pm antimafia Vito Di Nicola ha chiesto di riaprire l’indagine. Dopo 34 anni sono ancora impuniti i mandanti e gli esecutori dell’omicidio di Tonino. Non è giusto.
Fonte: ilcorsaro.info
Articolo del 30 agosto 2013
Antonio Esposito Ferraioli: a 35 anni dall’omicidio si lotta ancora per la verità
Scritto da Federico Esposito
Pagani è un agglomerato di chiese e cemento che segna il confine tra le province di Napoli e Salerno. Un paesone che non sa scegliere a quale periferia aderire in quella terra di mezzo che è l’agro nocerino-sarnese. Laggiù, nel ventre della Campania, neanche i morti di camorra hanno la gloria che solitamente gli si riserva.
È il 30 agosto del 1978. L’accozzaglia di abitazioni popolari a due passi dal centro è il rione palazzine. Alle due di notte una A112 blu con i fari spenti si ferma all’angolo di via Zito. È un attimo. Due colpi di lupara alla schiena e Tonino si accascia a terra in una pozza di sangue. L’auto scappa, le finestre restano mute nel caldo umido di agosto, nessuno pare accorgersi di niente. Lei ha visto tutto. Angela è affacciata, urla di disperazione. Tonino stava rientrando a casa dopo la solita serata trascorsa insieme. Lei lo accompagnava dall’alto con lo sguardo verso la sua Citroen. Avrebbero dovuto sposarsi di lì a breve ma il sogno di una vita si frantuma in quegli istanti, con quei colpi secchi risuonati nel silenzio della città. La corsa all’ospedale serve a poco. Dopo un’ora Tonino muore ammazzato a 27 anni.
Antonio Esposito Ferraioli, Tonino, era un giovane cuoco che lavorava alla mensa dello stabilimento paganese della FATME, azienda leader nel settore dell’elettronica. In quegli anni la passione per l’impegno sociale avuta fin da giovanissimo con gli scout si era trasformata in fervore politico con l’iscrizione al Pci e alla Cgil. In azienda era delegato sindacale. Amava il suo lavoro, scrupoloso nel preparare i pasti per i colleghi operai e per i loro figli, ospitati nell’asilo nido dello stabilimento. Un posto tranquillo, lontano dalla “monnezza” di quegli anni. A Pagani infatti la guerra di camorra imperversava per le strade. Da un lato i fedelissimi di Raffaele Cutolo, decisi ad espandere il dominio del “professore”, dall’altro i camorristi locali, a difendere uno degli ultimi feudi rimasti. Si sparava tanto che alla città fu dato un soprannome eloquente: far west. Tonino era a lavoro quando si accorse che la fornitura di carni arrivata nella sua cucina era marcia, avariata. Era da tempo che in veste di delegato sindacale si batteva per migliorare la qualità delle forniture. Docile e schivo nella vita, rappresentava i suoi colleghi con tenacia e passione, come quando finito il turno si dedicava ad assistere i disabili in città. Quando la partita di carni arrivò in mensa pensò che il limite era superato: quella “fetenzia” era il risultato di una truffa ai danni della Comunità Europea messa in atto dalla camorra e da alcuni amministratori comunali. Le battaglie in fabbrica allora non bastavano più. Decise di denunciare.
Non fece in tempo. La notte del 30 agosto del 1978 fu ammazzato da due colpi di lupara alla schiena. Nell’anno di Aldo Moro, come per Peppino Impastato, di Tonino nessuno si accorse. Eppure era un’altra morte che puzzava di politica e mafia. In pochi restarono a lottare. I compagni di partito, il sindacato, gli amici di sempre. I familiari si rinchiusero in un silenzio di dolore mentre la città dimenticava in fretta quel ragazzo, chiusa in silenzi di vergogna. Oggi ricorre il trentacinquesimo anniversario dalla morte e giustizia non è stata fatta. Gli assassini sono tuttora a piede libero in una città che conosce facce e nomi e che quel marchio del passato non lo ha ancora scacciato (comune attualmente sciolto per infiltrazioni mafiose). Dopo la morte gli inquirenti avviarono una intensa attività investigativa, non arrivando però a riscontri concreti. Voci e sospetti negli anni hanno circondato la vicenda. Il barbaro omicidio, secondo quanto stabilito in un dibattimento alla Camera dei Deputati nel 1980, sarebbe riconducibile ad ambienti vicini al clan di Salvatore Serra, detto “cartuccia”, che all’epoca esercitava un controllo diretto sulle aziende della zona. Sotto accusa finirono il pregiudicato Giuseppe De Vivo, detto “o russ”, e l’imprenditore e politico della Dc cittadina Aldo Mancino, poi prosciolti per insufficienza di prove. Nel 2001 un’apparente svolta. Le dichiarazioni del pentito Biagio Archetti fecero riaprire l’inchiesta, proprio quando l’amministrazione comunale di allora istituiva il Premio Legalità “Esposito Ferraioli”. Il collaboratore di giustizia accusava nuovamente Mancino e De Vivo di essere i mandanti dell’assassinio. I due erano in affari con una delle ditte che fornivano la mensa. Le indagini, riavviate dal p. m. antimafia Vito Di Nicola, si risolsero comunque in un nulla di fatto. E così nel 2013 la giustizia non ha ancora dato un volto e un nome ai mandanti. Tonino non è riconosciuto ufficialmente come vittima innocente di camorra ma parte della città ha ripreso la sua storia. Se per molti anni quella vita è stata ricordata soltanto da una targa in memoria posta sul luogo del delitto, è ormai da tempo che l’associazione nata in suo nome si ostina a lottare. E se il ricordo si nutre di scuole, premi, spettacoli teatrali, film, strade e camere del lavoro intitolate, è bello pensare, dopo trentacinque anni, che anche questa storia sia conosciuta e riconosciuta, trasmessa oggi da chi continua ad urlare verità che dall’alto nessuno riconosce.
Fonte: libera.it
Articolo del 28 Ottobre 2014
Scritto da Mariano Di Palma e Federico Esposito su Il Corsaro
Dopo 36 anni Antonio Esposito Ferraioli riconosciuto vittima innocente di camorra
Trentasei anni e cinquantacinque giorni. Tanto tempo, troppo. Ma l’emozione è così forte che pensare che si potesse fare prima stavolta conta poco. Il cuore si gonfia e la gioia nasconde l’amarezza delle attese. Antonio Esposito Ferraioli, Tonino, ha avuto giustizia.
Un nome forse sconosciuto, un ragazzo come tanti, un compagno, ammazzato nel 1978 dalla camorra a Pagani, fritto misto di cemento e asfalto alle pendici del Vesuvio.
Lo scorso 24 ottobre il Tribunale di Nocera Inferiore gli ha finalmente riconosciuto lo status di vittima innocente della criminalità. Una battaglia dura, complicata nei mesi scorsi dal respingimento dell’istanza presentata dalla famiglia presso il Ministero dell’Interno: Tonino non era vittima innocente di camorra perché – motivava la Prefettura di Salerno – nessun tribunale si era espresso in merito e l’assenza di un processo non aveva permesso di accertare l’identità dei mandanti e degli esecutori dell’assassinio.
Proprio così. Trentasei anni e cinquantacinque giorni in cui non c’è mai stato un processo per Tonino, sindacalista della Cgil, ammazzato a 27 anni perché difendeva la dignità del lavoro nella sua fabbrica, la Fatme, nella cui mensa era cuoco. Ammazzato perché si era ritrovato sul bancone una partita di carni avariate e aveva deciso di non tacere. Ammazzato perché voleva vederci chiaro, capire, difendere i diritti dei propri colleghi. Ammazzato mentre rientrava a casa, di notte, dopo aver trascorso la serata con Angela, la donna che avrebbe dovuto sposare di lì a breve.
Trentasei anni e cinquantacinque giorni. E gli assassini sono ancora a piede libero in una Pagani che tiene abbassate le persiane da quella notte del 30 agosto 1978. A poco servirono le indagini, l’impegno dei suoi compagni, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. La procura concentrava l’attenzione su Aniello De Vivo, detto “o russ”, pregiudicato locale e sull’imprenditore e politico della DC cittadina Aldo Mancino, prosciolti per insufficienza di prove. Nessuna prova, nessun processo, nessuna verità per Tonino, per la sua famiglia, per i pochi compagni che a lungo non hanno smesso di lottare in una città che puzza di omertà e indifferenza.
Trentasei anni e cinquantacinque giorni. E non sono trascorsi invano. Tonino, finalmente, è stato riconosciuto vittima innocente dalla camorra. Non è una novità. È solo la verità giuridica che si avvicina a quella reale. Quella che sappiamo e denunciamo da tempo, prima in pochi ed ora in tanti. Vorremo però anche giustizia. Noi sappiamo, ma non abbiamo le prove. Vorremmo questo, ancora oggi: le prove per incastrare i mandanti e gli esecutori dell’omicidio. Una giustizia che non risarcirebbe solo la storia di Tonino, ma che farebbe luce sul nostro paese, sulla Pagani degli anni ’80, come su quella di oggi. Un comune che viene ancora sciolto per camorra, dove la destra connivente con i clan amministra e a raccoglie il consenso di un popolo sordo, ovattato, intontito; di un popolo ignorante – più nel suo ceto “borghese” che in quello popolare – proprio perché il punto non è quanti libri si sono letti e quante lauree si sono conseguite, ma quanto si è in grado di leggere la realtà e farne i conti con coraggio. La miseria della classe politica e dirigente paganese è la più grande ingiustizia che ha subito ogni giorno Tonino, e con lui Marcello Torre e Marco Pittoni, altri due nomi paganesi che allungano l’elenco delle vittime innocenti di mafia.
È la cifra più dura da accettare, quella di non essere ancora riusciti fino in fondo a cambiare le coscienze, a far pensare Pagani come un posto in cui c’è la possibilità di vivere bene, con dignità, diritti, sviluppo. Se “glielo abbiamo permesso” in questi anni, di certo non glielo permetteremo più.
Pagani ha vissuto nel silenzio la memoria di Tonino per troppo tempo. A differenza di altre vittime più “note”, in altri territori e nello stesso periodo (Impastato muore qualche mese prima nello stesso 1978) Tonino non viene ricordato. La resistenza alla camorra in Campania arriva troppo tardi, dopo il terremoto e le guerre di camorra. Abbiamo pagato e scontiamo ancora oggi il ritardo del risveglio delle coscienze. Pagani ha avuto in questi anni amministratori incapaci e corrotti, che hanno lasciato vuoto di bilancio, che hanno rubato, lucrato, creato un sistema di potere. Il lavoro nel nostro territorio è sparito e la devastazione ambientale è cresciuta. Gli spazi culturali sono stati annullati da parcheggi, centri commerciali, dal vuoto pneumatico di chi si è adagiato sul nulla, di chi ha pensato di poter esaurire risorse umane e naturali. Pagani, l’agro nocerino, è un posto devastato nel paesaggio, un territorio trasformato da provincia produttiva e creativa, piena di intelligenze e lavoro, in una grande periferia tra Napoli e Salerno.
E ci sale un rigurgito a pensare al male che ci hanno fatto, lo stesso male simboleggiato dall’omicidio di Tonino. Hanno ucciso e stanno uccidendo molti di noi, quando ci hanno tolto possibilità, quando la politica nazionale e regionale ci ha ignorato, quando hanno permesso che le migliori intelligenze scappassero via, per rimanere da soli a completare la devastazione di tutto. In questi anni questo rigurgito è salito sempre di più. Ci siamo opposti in tante forme, dalle scuole al territorio. Non abbiamo vinto, ma non ci siamo ancora arresi e non lo faremo. Con le idee di Tonino continuiamo a camminare e ogni volta che cadiamo, ci rialziamo, finché non libereremo la politica dal legame con la camorra, l’economia del territorio dalla mentalità di sfruttamento e devastazione del territorio, fin quando non invertiremo la rotta: quando saranno loro ad andare via e noi a restare e tornare per cambiare.
E forse è questo il senso della storia di Tonino. A lui, soltanto a lui, oggi vanno il nostro pensiero e gli occhi gonfi di speranza.
A Tonino, racconto ascoltato tra i vicoli e le piazze, storia nascosta tra il chiacchiericcio di una città che mischia l’inciucio e la verità dimenticando il sacrificio dei suoi figli migliori. Ai suoi amici e compagni, che non hanno permesso che il tempo oscurasse quelle macchie di sangue lasciate sull’asfalto umido.
A chi, per trentasei anni e cinquantacinque giorni, non ha avuto paura di pronunciare il suo nome.
Fonte: leggionline.info
Articolo del 12 novembre 2014
Pagani. Ecco chi uccise il sindacalista Antonio Esposito Ferraioli
di Nicola Sorrentino
PAGANI. “L’omicidio di Antonio Esposito Ferraioli fu commesso da ambienti camorristici“. Depositate le motivazioni della sentenza della causa civile per l’omicidio del giovane sindacalista di Pagani, commesso la notte del 29 agosto 1978. In esse il giudice Carlo Mancuso, basandosi su di un “elevato grado di probabilità“, spiega la connessione tra gli ambienti criminali e la morte di Ferraioli, che aveva guidato la protesta sulla “pessima gestione aziendale” del servizio mensa presso la Fatme, a Pagani. Il servizio, tanto contestato dal giovane paganese che in qualità di cuoco avrebbe fatto la scoperta di carne “marcia ed avariata”, fu appaltato alle ditte “facenti capo a Giuseppe De Vivo e Aniello De Vivo, entrambi notoriamente legati ad ambienti camorristici“. Riprendendo le dichiarazioni rese anche da un’altra sindacalista, Lucia Pagano, il giudice ricorda che Ferraioli aveva ricevuto già diverse minacce da “tali soggetti” anche alla presenza di altri rappresentanti sindacali.
Determinanti le dichiarazioni di due pubblici ministeri
Si chiamano Diego Cavaliero e Vito Di Nicola i due pm della DDA di Salerno citati dal giudice nelle motivazioni per via delle loro dichiarazioni, definite “determinanti“. Entrambi riferirono infatti di aver raccolto in passato le dichiarazioni di Biagio Archetti, “pentito” e capo storico della camorra a Pagani, il quale confermò che l’omicidio di Ferraioli era “maturato in ambienti di camorra legati al clan di Giuseppe Olivieri, detto Peppe Saccone“. Gli esecutori materiali – secondo la sentenza – erano stati indicati in Aniello De Vivo, Aniello Ventri e Giuseppe Cuomo. La morte di questi tre, avvenuta “per cause violente“, fu la causa però che impedì lo svolgimento di un regolare processo per l’omicidio di Ferraioli. “Omicidio che – si legge – era certamente avvenuto in un contesto di criminalità organizzata ed in anni in cui gli omicidi di camorra, nella zona dell’Agro Nocerino-Sarnese, erano praticamente all’ordine del giorno”. Queste stesse dichiarazioni, tra l’altro, avrebbero trovato “pieno riscontro” nelle minacce che Ferraioli subì proprio per la sua attività da sindacalista. Essere entrato in contrasto con gli “interessi economici gestiti da personaggi legati ad ambienti camorristici“, gli costò la vita. All’epoca, Ferraioli svolgeva il ruolo di sindacalista aziendale Cgil presso un’azienda, la Fatme, che contava ben 600 dipendenti. La sera del 29 agosto 1978, il giovane fu raggiunto alla schiena da due pallettoni esplosi da una lupara.
Vittima della criminalità organizzata
Il ricorso che ha riconosciuto al giovane sindacalista lo status di “vittima della criminalità organizzata” fu presentato dal fratello di Antonio, Mario. La parte tecnica è stata invece curata dagli avvocati Monica Abagnara, Alfonso Vuolo, Gerardo Ferraioli e Carlo De Martino. In giudizio è stato sostenuto che si potesse prescindere dall’accertamento giudiziario delle responsabilità dei singoli, in quanto “l’omicidio era da ascrivere ad organizzazioni camorristiche“.
Fonte: salernotoday.it/
Articolo del 16 aprile 2017
Antonio Esposito Ferraioli “resta” vittima della criminalità organizzata
di Nicola Sorrentino
La Corte d’Appello ha respinto il ricorso presentato dal Ministero degli Interni, confermando di fatto la matrice camorristica dietro la morte del giovane sindacalista di Pagani, morto all’età di 27 anni nel 1978.
Il sindacalista Antonio “Tonino” Esposito Ferraioli, morto in un agguato il 29 agosto 1978, resta vittima della criminalità organizzata. A deciderlo la Corte d’Appello di Salerno, sezione Lavoro, che ha rigettato il ricorso del Ministero dell’Interno presentato il 30 dicembre 2015. Il ricorso era arrivato dopo una sentenza di primo grado che confermava la mano della camorra nel delitto del sindacalista paganese, pur non essendo mai stati individuati mandanti ed esecutori. La sentenza firmata dal giudice Carlo Mancuso circoscriveva l’omicidio alla gestione della mensa aziendale Fatme, dove Ferraioli lavorava in qualità di sindacalista. Nel 2014 il tribunale di Nocera riconobbe all’uomo lo status di vittima della camorra: stando a quanto raccolto dagli inquirenti, Ferraioli – che militava nella Cgil e svolgeva anche il ruolo di cuoco all’interno dell’azienda – era pronto a denunciare la cattiva qualità del cibo che arrivava quotidianamente presso il luogo dove lavorava. Cibo in cattivo stato di conservazione, con carne che risultava persino avariata. E con una gestione riconducibile a Giuseppe e Aniello De Vivo, «notoriamente legati ad ambienti camorristici». Gli elementi raccolti dalla magistratura parlarono di avvertimenti in quei giorni verso Ferraioli, così come confermato in sede di giudizio anche da altri sindacalisti, come Lucia Pagano. Del resto, oltre al sospetto di una gestione “parallela” della camorra, ad insospettire furono anche i furti che quotidianamente si consumavano ai danni dei tir diretti presso le aziende. Ferraioli non riuscì mai a denunciare quella situazione: morì a 27 anni, dopo un’inutile corsa in ospedale.
Morì per due colpi d’arma da fuoco alla schiena, esplosi alle 2 di notte da un’auto a fari spenti, all’angolo di via Zito a Pagani. A portare in tribunale la sua storia, oltre alla battaglia “civile”, il fratello Mario Esposito Ferraioli. In sede penale, ad occuparsi della vicenda furono gli avvocati Carlo De Martino e Monica Abagnara. In sede civile, invece, Alfonso Vuolo e Gerardo Ferraioli. Il riconoscimento di vittima della “criminalità organizzata” giunse dopo un ricorso presentato proprio dallo stesso fratello Mario. In precedenza, la Prefettura di Salerno aveva respinto un’istanza con la medesima richiesta, non essendo mai stati individuati mandanti ed esecutori della morte del 27enne sindacalista. Ma gli avvocati sostennero che si potesse prescindere dall’accertamento giudiziario delle responsabilità verso una o più persone, essendo l’omicidio maturato in un clima di tensione, da ascrivere alle organizzazioni camorristiche. A supporto della tesi, le modalità dell’agguato e le indagini che interessarono ambienti criminali e i loro interessi, specie dopo che l’Antimafia aprì un fascicolo dopo le dichiarazioni di alcuni pentiti.
Fonte: vivi.libera.it
Articolo del 30 agosto 2018
Antonio Esposito Ferraioli
di Federico Esposito e Riccardo Christian Falcone
Pagani è un agglomerato di chiese e cemento che segna il confine tra le province di Napoli e Salerno. Un paesone che non sa scegliere a quale periferia aderire in quella terra di mezzo che è l’Agro nocerino-sarnese.
È il 30 agosto del 1978. L’accozzaglia di abitazioni popolari a due passi dal centro è il rione palazzine. A pochi minuti da mezzanotte una A112 blu con i fari spenti si ferma all’angolo di via Zito. È un attimo. Due colpi di lupara alla schiena e Tonino si accascia a terra in una pozza di sangue. L’auto scappa, le finestre restano mute nel caldo umido di agosto, nessuno pare accorgersi di niente. Lei ha visto tutto. Angela è affacciata, urla di disperazione. Tonino stava rientrando a casa dopo la solita serata trascorsa insieme. Lei lo accompagnava dall’alto con lo sguardo verso la sua Citroen. Avrebbero dovuto sposarsi di lì a breve, ma il sogno di una vita si frantuma in quegli istanti, con quei colpi secchi risuonati nel silenzio della sera. La corsa all’ospedale serve a poco. Dopo un’ora Tonino muore ammazzato. A 27 anni.
Antonio Esposito Ferraioli, Tonino, era un giovane cuoco che lavorava alla mensa dello stabilimento paganese della FATME, azienda leader nel settore dell’elettronica. In quegli anni la passione per l’impegno sociale avuta fin da giovanissimo con gli scout si era trasformata in fervore politico con l’iscrizione al Pci e alla Cgil. In azienda era delegato sindacale. Amava il suo lavoro, scrupoloso nel preparare i pasti per i colleghi operai e per i loro figli, ospitati nell’asilo nido dello stabilimento. Un posto tranquillo, lontano dalla “monnezza” di quegli anni. A Pagani la guerra di camorra imperversava per le strade. Da un lato i fedelissimi di Raffaele Cutolo, decisi ad espandere il dominio del “professore”, dall’altro i camorristi locali legati alla Nuova Famiglia di Carmine Alfieri e Pasquale Galasso. Si sparava così tanto che alla città fu dato un soprannome eloquente: “far west”.
Tonino era a lavoro quando si accorse che la fornitura di carni arrivata nella sua cucina era marcia, avariata. Era da tempo che, in veste di delegato sindacale, si batteva per migliorare la qualità delle forniture e per i diritti salariali dei suoi colleghi. Quando la partita di carni arrivò in mensa pensò che il limite era superato: quella “fetenzia” era il risultato di una truffa ai danni della Comunità Europea messa in atto dalla camorra e da alcuni amministratori comunali. Le battaglie in fabbrica allora non bastavano più. Decise di denunciare. Ma non fece in tempo. La notte del 30 agosto del 1978 fu ammazzato da due colpi di lupara alla schiena. Nell’anno di Aldo Moro, come per Peppino Impastato, di Tonino nessuno si accorse. Eppure era un’altra morte che puzzava di politica e mafia. In pochi restarono a lottare. I compagni di partito, il sindacato, gli amici di sempre. I familiari si rinchiusero in un silenzio di dolore mentre la città dimenticava in fretta quel ragazzo, chiusa in silenzi di vergogna. Oggi ricorre il quarantesimo anniversario dalla morte e giustizia non è stata fatta. Gli assassini sono tuttora a piede libero in una città che conosce facce e nomi. Perché per Tonino non c’è mai stato un processo. Dopo la morte gli inquirenti avviarono una intensa attività investigativa non arrivando però a riscontri concreti. Voci e sospetti negli anni hanno circondato la vicenda. Il barbaro omicidio, secondo quanto stabilito in un dibattimento alla Camera dei Deputati nel 1980, sarebbe riconducibile ad ambienti vicini al clan di Salvatore Serra, detto “Cartuccia”, che all’epoca esercitava un controllo diretto sulle aziende della zona. Sotto accusa finirono il pregiudicato Giuseppe De Vivo, detto “o russ”, e l’imprenditore e politico della Dc cittadina Aldo Mancino, poi prosciolti per insufficienza di prove. Nel 2001 un’apparente svolta. Le dichiarazioni del pentito Biagio Archetti fecero riaprire l’inchiesta, proprio quando l’amministrazione comunale di allora istituiva il Premio Legalità “Esposito Ferraioli”. Il collaboratore di giustizia accusava nuovamente Mancino e De Vivo di essere i mandanti dell’assassinio. I due erano i titolari della ditta che aveva appaltato la mensa in fabbrica. Le indagini, riavviate dal PM antimafia Vito Di Nicola, si risolsero comunque in un nulla di fatto. La svolta arriva però negli ultimi anni. La battaglia della famiglia e di un gruppo di avvocati per il riconoscimento dello status di vittima innocente riesce a raggiungere un esito positivo. Una sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore, ricostruendo il contesto di quegli anni e il clima che si respirava in quella fabbrica, ha restituito a Tonino un pezzo di verità che soltanto in pochissimi avevano pronunciato fin dall’inizio. Quello di Tonino è un omicidio di camorra. Tonino è una vittima innocente.
Sì, una vittima innocente. Una di quelle quasi mille vittime innocenti delle mafie i cui familiari, in oltre il 75% dei casi, non ha conosciuto e non conosce verità e giustizia. Una storia, quella di Tonino, che sta perfettamente – e drammaticamente – nel paradigma dell’assurdo che tanto ci tormenta, per cui la verità cammina liberamente per le strade delle nostre città. Accompagnata da un silenzio durato tanto, troppo tempo.
Bisognava tirarla fuori dall’oblio la storia di Tonino. A tutti i costi. Bisognava mettersi al lavoro, accanto alla famiglia, per restituire a questo ragazzo la dignità della memoria. Il Premio che ne porta il nome, la rassegna enogastronomica dell’Alberghiero di Pagani dedicata a lui, la masseria Antonio Esposito Ferraioli confiscata alla camorra e restituita alla collettività ad Afragola, una strada ancora a Pagani, una scuola – un altro Alberghiero – a Poggioreale intitolata a lui, proprio di fronte al carcere di Napoli. Due marciapiedi opposti, due percorsi di vita opposti.
Sono tutti segni di memoria che, a quarant’anni da quella tragica notte, ci raccontano una storia di vita prima che di morte. Frutti di impegno e di speranza, luoghi di cambiamento.
Ma non basta, lo sappiamo. Ecco perché quest’anno in via Zito, nel luogo esatto in cui l’asfalto fu bagnato dal sangue di Tonino, sono passati 150 ragazze e ragazzi ospiti dei campi di E!State Liberi! di Battipaglia. Un pellegrinaggio civile, attento e silenzioso, accanto a Mario, il fratello di Tonino. Il racconto, la commozione, un passaggio di testimone che chiede ai giovani di diventare moltiplicatori di memoria e di impegno. Tonino non è passato invano. Non sono passati invano quarant’anni. Non passeranno invano, finché i sogni, le speranze, le battaglie di Tonino a difesa del lavoro e della sua dignità troveranno testa, gambe e cuore in chi non lo ha conosciuto di persona ma ha imparato ad amarlo. Amare lui e la sua grande lezione di libertà.
“Vigliacchi”, recita uno dei post-it lasciato dai campisti in via Zito. È la rabbia che parla, che urla indignata per il piombo che ha strappato la giovane vita di Tonino. Proprio accanto, un altro foglietto rosa. C’è la parola “coraggio”. Una risposta alla vigliaccheria senza volto degli assassini. Tonino non è morto invano.
“Tonino – il film” Trailer
Gaetano Del Mauro – 4 marzo 2020
“Tonino” è un cortometraggio dedicato alla memoria di Antonio Esposito Ferraioli, cuoco e sindacalista Cgil ucciso dalla camorra il 30 agosto 1978 a Pagani, in provincia di Salerno. Due colpi di lupara lo ferirono a morte. Aveva 27 anni. La sua colpa, da sindacalista, fu il rifiuto di cucinare carne marcia per la mensa della Fatme, grande stabilimento industriale di Pagani. La camorra non glielo perdonò. Ad oggi non ci sono condanne né per mandanti né per gli esecutori dell’omicidio Esposito Ferraioli.
Il corto inizia e finisce sul luogo dell’omicidio. La storia comincia subito dopo l’esecuzione. Siamo nel 1978. È la sera del delitto. Da allora il tempo è come sospeso, ancora, nel 2018. Quarant’anni dopo l’omicidio la sua presenza aleggia ancora per le strade della città. Una presenza leggera, impalpabile. Nel presente il cuoco-sindacalista rivive la sua storia, attraverso le tappe di una giornata ideale che ricostruisce la sua vita. Non è un ritorno. E’ una permanenza.
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Antonio Esposito Ferraioli – 30 agosto 1978 – Pagani (SA)
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