30 Agosto 1997 Napoli. Assassinato Giovanni Arpa, era uno zio del pentito Rosario Privato

Giovanni Arpa era lo zio più vulnerabile e indifeso di Rosario Privato, il pentito di camorra che, con le sue confessioni, ha mandato in carcere il mandante dell’omicidio di Silvia Ruotolo e scardinato un clan potentissimo. Bastava uno spintone per mettergli paura, ma a loro non bastava. Ne hanno fatto carne da macello. I vendicatori della camorra lo hanno prima sgozzato e poi impiccato. Un taglio di gola per ‘punire’ una gola profonda del clan. Un commando di sicari aveva intercettato Giovanni Arpa,  68 anni, operaio in pensione senza nessun conto in sospeso con la legge, giovedì sera e lo aveva costretto a salire su una “Punto”. Inutile la ‘caccia’ della polizia, le perquisizioni in decine di casali e palazzi bunker. Alle 11.30 di ieri, nelle campagne alla periferia nord di Napoli, il corpo sfigurato di Giovanni ‘ o Pazzo dondolava dallo stipite di una masseria abbandonata, con la gola tagliata.
(Articolo di Conchita Sannino del 31 agosto 1997)

 

 

Articolo di La Repubblica del 31 Agosto 1997
NAPOLI, LA VENDETTA DEL CLAN
di Conchita Sannino

NAPOLI – Lo chiamavano Giovanni ‘o pazzo, era lo zio più vulnerabile e indifeso di Rosario Privato, il pentito di camorra che, con le sue confessioni, ha mandato in carcere il mandante dell’ omicidio di Silvia Ruotolo e scardinato un clan potentissimo. Bastava uno spintone per mettergli paura, ma a loro non bastava. Ne hanno fatto carne da macello. I vendicatori della camorra lo hanno prima sgozzato e poi impiccato. Un taglio di gola per ‘punire’ una gola profonda del clan. Un commando di sicari aveva intercettato Giovanni Arpa – 68 anni, operaio in pensione senza nessun conto in sospeso con la legge – giovedì sera e lo aveva costretto a salire su una “Punto”. Inutile la ‘caccia’ della polizia, le perquisizioni in decine di casali e palazzi bunker. Alle 11.30 di ieri, nelle campagne alla periferia nord di Napoli, il corpo sfigurato di Giovanni ‘ o Pazzo dondolava dallo stipite di una masseria abbandonata, con la gola tagliata.
Prima torturato, poi appeso ad una corda. Un’ altra agghiacciante pagina dell’ estate violenta dei clan. Che fa insorgere il procuratore Agostino Cordova contro le modifiche apportate al 513, contro “lo svuotamento del pentitismo passato e la preclusione di quello futuro”. Pesante, la riflessione del capo dei pm di Napoli: “I fatti e non le parole dimostrano che la delinquenza è sempre più forte, lo Stato sempre più debole, la Giustizia sempre più disarmata.

Cosa che evidentemente piace ai più, visto che pochi insorgono. Il perché di ciò lo lascio agli infiniti intenditori della materia. Non capisco adesso – aggiunge ancora Cordova – il senso delle generali indignazioni per il caso di Giovanni Arpa, ucciso, con il significativo messaggio del taglio della gola, solo perché zio del collaboratore Rosario Privato, dopo una serie di intimidazioni esplosive ai familiari del pentito”. Quel collaboratore fa paura.
Tremano le bande criminali di Napoli. Pronte persino – secondo la più recente ipotesi investigativa – a smettere ogni conflitto e a firmare la pax pur di coalizzarsi contro Rosario Privato. Dapprima gli fanno trovare due ordigni: davanti casa di suo padre e sotto l’ appartamento di suo fratello, tutti e due con la miccia spenta. Poi, altri nemici profanano la tomba di sua madre – morta alcuni anni fa – e di una sorella. Ma Rosario Privato non si ferma. Continua a parlare, racconta anni di alleanze, di mire espansionistiche, forse di connivenze. Proprio venerdì pomeriggio, quando una telefonata da Napoli gli segnala il rapimento dell’ anziano zio, Rosario Privato sta ‘festeggiando’ il suo ventinovesimo compleanno con un’ altra lunga deposizione davanti ai magistrati antimafia: “Vigliacchi!”, inveisce il pentito in un rigurgito di rabbia. Chiede pochi minuti di sospensione, un magistrato lo invita a non disperare. Ma Privato – uno dei killer che ha sparato la mattina dell’ 11 giugno a salita Arenella, dove rimase uccisa Silvia Ruotolo – conosce bene i suoi ex-compagni. Sa che fine spetta al povero zio. “Lo uccideranno, lo so. Li conosco: sono pazzi drogati, pieni di cocaina. Me lo sentivo, lo sapevo che a zio Giovanni lo potevano cogliere in qualunque momento”, continua. Rosario Privato è pallido, sconvolto. Ma, fedele all’ immagine di duro, non versa una sola lacrima. Era pronto a queste vendette. Dopo mezz’ ora – difatti – ricomincia il suo interrogatorio. “Se speravano di fermarmi, hanno sbagliato – manda a dire, la voce già ferma -. Vado avanti, certo. Ricominciamo, signor giudice, ho tante cose ancora da dire”. Si riaccende il registratore, tornano dentro magistrati, assistenti e il suo avvocato, Arturo Buongiovanni. Un legale che lancia l’ allarme. “Lo Stato si decida.
Vuole il contributo dei pentiti oppure no?”. Giovedì sera, il sequestro dell’ anziano parente. Poco prima delle otto, il pensionato sta attraversando via Freud, sulla collina della città, l’ Arenella, territorio di conquista per il quale si sparano addosso i camorristi come Rosario Privato, un nipote che Giovanni Arpa vedeva raramente.
Arpa era il fratellastro del padre di Privato, ma non c’ erano contatti tra le due famiglie. Solo da poco tempo, l’ anziano parente aveva ripreso a frequentare il quartiere: era svampito, parlava qualche volta a sproposito, non nascondeva di essere lo zio di quel Privato. Per questo, né a lui, né alla sua famiglia era stato proposto di entrare nel programma di protezione. Una vendetta che riapre ferite e polemiche. “I collaboratori non possono essere ritenuti a giorni alterni nemici della democrazia o salvatori della patria”, dice Luigi Riello, presidente della Giunta distrettuale dell’ Associazione Magistrati di Napoli. Il caso-Napoli, con i suoi 106 omicidi – ribadisce Riello – “va affrontato sotto il profilo della effettività della pena, se non si vogliono processi cartacei che non servono a fermare le truppe del crimine”. La scia di sangue e dolore cominciata quell’ 11 giugno, davanti al cadavere di Silvia, arriva nella casa popolare del rione don Guanella, dove vive la famiglia di Giovanni Arpa. Una moglie ammutolita dallo shock. Tre figli disperati. Parla Teresa, la più lucida: “Chiedo una cosa, una sola: che la morte innocente di Giovanni Arpa deve essere rispettata come quella della povera donna del Vomero… Sì, Silvia Ruotolo. Con quei criminali non abbiamo nulla da spartire: è un sangue diverso dal nostro. Un altro cognome e un altro sangue. Anche se non è servito a salvare mio padre”.

 

 

 

Articolo da La Stampa del 31 Agosto 1997
Impiccato lo zio di un pentito
Vendetta della camorra per l’omicidio Ruotolo
Napoli: il nipote della vittima aveva svelato i nomi degli altri killer della mamma uccisa in un agguato.
di Enzo La Penna

NAPOLI. Il cadavere stava lì ormai da due giorni, nel buio terraneo di una vecchia casa diroccata: il collo stretto da una corda, le ginocchia che quasi toccavano il pavimento, sangue dovunque schizzato dalla gola straziata da terribili colpi che erano stati inferti con un coltello. Giovanni Arpa, 68 anni, non aveva conti da pagare alla giustizia delle toghe, ma evidentemente per la legge dei clan si era comunque macchiato di una colpa meritevole di condanna capitale: quella di essere lo zio di un «pentito», Rosario Privato, che sta svelando i retroscena dell’omicidio di Silvia Ruotolo innocente uccisa durante un conflitto a fuoco tra due fazioni in guerra – e che sta contribuendo a far luce su protagonisti e affari delle organizzazioni camorristiche dei quartieri alti di Napoli. Arpa sarebbe morto per una «vendetta trasversale», come vengono definiti gli agguati ai quali si vuole dare un valore di messaggio. Un messaggio macabro diretto a Privato per indurlo al silenzio o per costringerlo a ritrattare le accuse che hanno portato in carcere i 4 presunti killer di Silvia e il boss indicato come mandante, quel Giovanni Alfano che per decenni era riuscito a dribblare tutti gli ostacoli giudiziari nei quali incappava. E’ l’opinione degli investigatori i quali tendono a escludere ogni ipotesi diversa. Lo affermano in una nota i magistrati della procura di Napoli: l’uccisione – osservano i pm – se da un lato dimostra come «le dichiarazioni del collaboratore vengono viste come minaccia concreta alla sopravvivenza dei clan camorristici», dall’altro testimonia «la necessità di non indebolire gli strumenti normativi che hanno reso possibile anche a Napoli di raggiungere importanti risultati nella lotta alla malavita organizzata». Tra le righe traspare dunque un grido d’allarme per le modifiche alle norme sui pentiti che rischierebbero di vanificare i recenti successi, coronati proprio nell’arresto dei presunti responsabili della morte di Silvia Ruotolo. Che i clan non fossero rassegnati a subire passivamente la «piena» delle rivelazioni del pentito, lo si era capito nei giorni successivi alla decisione di Privato di collaborare. Due ordigni, inesplosi, erano stati collocati davanti alle abitazioni del suocero e della convivente del pregiudicato. Nonostante i segnali intimidatori, non pochi tra i familiari avevano rinunciato al programma di protezione. Giovanni Arpa non era stato neppure indicato come un soggetto a rischio quando gli inquirenti avevano chiesto al pentito un elenco dei parenti da proteggere da eventuali rappresaglie. Conosciuto nel suo quartiere come «Giovanni ‘o pazzo» – un nomignolo affibiatogli nel rione periferico Don Guanella dopò aver manifestato, negli ultimi tempi, i segni di un lieve disturbo mentale – Arpa aveva lavorato fino a qualche anno fa nei cantieri edili impegnati nella realizzazione di gallerie. Sembra che si vantasse in giro della sua parentela col boss ora pentito (era fratellastro del padre di Privato) che tuttavia non aveva mai frequentato con assiduità. Giovedì scorso, mentre passeggiava in una strada del rione Alto, qualcuno aveva visto quattro uomini trascinarlo a forza su una Punto che si era allontanata velocemente. Una telefonata anonima aveva avvertito la polizia del rapimento, ma le ricerche erano state vane. Arpa è stato ammazzato poche ore dopo il sequestro. I killer gli hanno prima inferto un paio di coltellate alla gola, poi lo hanno impiccato con una corda assicurata ad alcune assi di legno, al pianterreno di una masseria di Chiaiano, periferia settentrionale di Napoli, zona impervia di difficile accesso per auto e moto. Il delitto è stato scoperto dal proprietario dell’edificio, un ex funzionario di polizia in pensione. Il cadavere aveva la faccia rivolta al muro, in una tasca della giacca c’erano i documenti che l’uomo aveva quando è stato rapito. Forse chi lo ha ucciso non voleva che si perdesse tempo per l’identificazione, desiderando anzi che tutti sapessero e subito: il morto è Giovanni Arpa, detto ‘O Pazzo, parente di un «infame» che parla con gli sbirri.

 

 

 

 

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