30 Giugno 1963 Villabate (PA). Il panettiere Giuseppe Tesauro e Pietro Cannizzaro, custode di un garage, restano uccisi nell’esplosione di un’auto bomba.
La notte del 29 giugno 1963 il panettiere Giuseppe Tesauro, 41 anni, padre di quattro figli, si trovava a Villabate (PA) nel panificio in cui lavorava e, come ogni notte estiva, mentre aspettava che il forno raggiungesse la giusta temperatura, ne approfittava per prendere un po’ di aria fresca. Mentre aspettava, insieme ad un altro panettiere, Giuseppe Castello, a circa 50 metri (nei pressi di corso Vittorio Emanuele) vide del fumo che fuoriusciva da un’automobile che era parcheggiata davanti ad un garage chiamato “Gatto verde”. Al che Tesauro andò a chiamare Pietro Cannizzaro, custode del garage, avvisandolo della situazione. A questo punto i due si avvicinarono all’automobile per cercare di spegnare il fuoco ma quando Cannizzaro provò ad aprire l’auto questa esplose perché imbottita di tritolo.
Pietro Cannizzaro e Giuseppe Tesauro morirono sul colpo, mentre Giuseppe Castello rimase ferito.
La bomba era indirizzata a Giovanni Di Peri, a cui era destinata anche l’auto, abbandonata sulla strada che da Ciaculli porta a Villabate (Strage di Ciaculli), e che nell’esplosione provocò la morte di due artificieri dell’esercito, di quattro carabinieri e di un maresciallo di Pubblica Sicurezza.
Fonte: villabateblog.com
Vorrei raccontare una storia che risale a più di 40 anni fa.
Mio nonno si chiamava Giuseppe Tesauro, faceva il panettiere ed insieme alla moglie e ai suoi quattro figli viveva in un piccolo ed ancora sconosciuto paesino alle porte di Palermo che si chiama Villabate.
Conduceva una vita semplice, umile (erano i tempi in cui si sudava , davvero, per guadagnarsi da vivere) fino ad un giorno in cui avvenne un episodio che cambiò, per sempre, la sua vita e quella della famiglia.
La notte del 29 giugno 1963 mio nonno si trovava nel panificio in cui lavorava, che era nei pressi del cortile Giacalone, e come ogni notte estiva, mentre aspettava che il forno raggiungesse la giusta temperatura, ne approfittava per prendere un po’ di aria fresca.
Mentre aspettava, insieme ad un altro panettiere Giuseppe Castello, a circa 50 metri (nei pressi di corso Vittorio Emanuele) vide del fumo che fuoriusciva da un’automobile che era parcheggiata davanti ad un garage chiamato “Gatto verde”.
Al che mio nonno andò a chiamare il custode del garage (Pietro Cannizzaro) avvisandolo della situazione. A questo punto i due si avvicinarono all’automobile per cercare di spegnare il fuoco ma quando Cannizzaro provò ad aprire l’auto, questa esplose perché imbottita di tritolo.
Pietro Cannizzaro e Giuseppe Tesauro morirono sul colpo, mentre Giuseppe Castello rimase ferito.
La bomba era indirizzata a Giovanni Di Peri (boss mafioso di quel periodo). E’ inutile spiegare le conseguenze di questa terribile disgrazia e il vuoto che ha lasciato dentro i suoi figli. Mio nonno aveva appena 41 anni.
Se adesso questa vicenda riemerge dopo cosi tanto tempo è perché c’è stata un’ignobile trasformazione della storia. Mio nonno, più che mai, è morto due volte.
Non è bastata la totale assenza dello stato, in 40 anni mia nonna non ha ricevuto neanche una telefonata. Non è bastato mettere nel dimenticatoio questa vicenda da parte di tutti, anche i più autorevoli cultori della materia, infatti, parlano soltanto della strage di Ciaculli (che avvenne all’alba del 30 giugno 1963) come se la morte di sole due persone fosse troppo poco.
Si doveva trovare anche il modo per legittimare quella vicenda, si doveva trovare il modo per dire che i morti di Villabate erano collusi, si doveva dire che loro erano mafiosi.
E’ infatti cosi è stato, ci sono riusciti, oggi leggo su alcuni autorevoli siti internet (provare per credere) che mio nonno era un mafioso anzi un boss di primo piano.
Penso che, ora più che mai, l’Amministrazione villabatese debba dare un segnale. Ha il dovere di prendere formalmente le distanze da chi ha osato riappropriarsi cosi ignobilmente della storia. Noi dobbiamo restituire ad un nostro concittadino gli onori che merita.
Se cosi non fosse, se ci si dovesse muovere nella solita direzione dell’indifferenza, noi avremmo un danno enorme di cui se ne potrebbero piangere le conseguenze per molto tempo.
Perché legittimerebbe chi pensa che quello che è successo a Villabate 45 anni fa non può essere una disgrazia perché a “Villabate sono tutti mafiosi”.
Un’amministrazione deve tutelare l’immagine propria e dei propri concittadini. La famiglia Tesauro oggi vi chiede di restituire alla storia la direzione che merita, rendendo pubblica la realtà dei fatti, screditando chi ha infangato il nome del loro padre.
Davide Garbo
Articolo di La Stampa del 1 Luglio 1963
I due terribili attentati di Palermo organizzati dalla medesima banda
Le due auto cariche di tritolo fatte esplodere dalla mafia – I due terribili attentati di Palermo organizzati dalla medesima banda
La «Giulietta» abbandonata in un viottolo di campagna, che ha provocato la morte di quattro carabinieri, commissario di P.S. e due soldati, doveva servire, molto probabilmente, alla distruzione del garage di Villabate gravemente danneggiato nel primo attentato – Lungo la strada s’era bucata una gomma e i criminali l’avevano lasciata, con l’ordigno innescato, poco lontana – Poi qualcuno ne aveva segnalato l’esistenza alla polizia.
Le forze di polizia, cui si sono aggiunti stamani alcuni alti funzionari arrivati da Roma, hanno iniziato una caccia serrata agli ignoti mafiosi che hanno compiuto ieri i due spaventosi attentati dinamitardi in cui hanno perso la vita nove persone e altre due sono rimaste gravemente ferite. Per tutta la giornata di ieri, e soprattutto dopo che è arrivata la notizia del secondo, più sanguinoso attentato (quello in cui sono rimasti tragicamente uccisi sette uomini delle forze dell’ordine), un caos indescrivibile ha accompagnato i primi affannosi tentativi di accertare le dimensioni della duplice tragedia.
Fino a ieri notte, infatti, è stato detto che le vittime erano nove. In realtà l’esplosione di Villabate, cioè quella avivenuta all’una di notte davanti a un garage, aveva provocato soltanto un morto — il custode dell’autorimessa — anziché due; la seconda vittima (il fornaio Giuseppe Tesauro) era rimasta gravemente ferita, ma nella confusione del momento era stato detto che era morta poco dopo all’ospedale.
Purtroppo Giuseppe Tesauro non è sopravvissuto alle gravissime ferite; la sua morte, avvenuta stamane, e stata provocata, oltre che dalle conseguenze della terribile esplosione, anche da un’incredibile sfortuna. Lo scoppio davanti al garage di Villabate lo aveva scaraventato sotto un camion fermo sull’altro lato della strada. I primi accorsi avevano visto il cadavere straziato del custode dell’autorimessa, il povero Cannizzaro, e non si erano accorti del Tesauro, che agonizzava sotto il camion. Solo dopo qualche ora, tornato un po’ d’ordine nella borgata, e spuntate le prime luci dell’alba, qualcuno, richiamato dai flebili lamenti del ferito, ha guardato sotto l’automezzo in sosta ed ha scoperto il Tesauro. Portato all’ospedale, il poveretto vi e stato sottoposto a una serie di interventi chirurgici, tutti vani. Stamattina il fornaio, innocente vittima dell’odio di cosca, è stato riportato nella sua abitazione, dove è spirato poco dopo.
Sette fra carabinieri e agenti di P.S. due civili morti, e due feriti (entrambi militi dell’Arma) nei due selvaggi episodi di criminalità, questo è dunque il terrificante bilancio dei due attentati dinamitardi nelle borgate palermitane di Villabate e Ciaculli. I morti della strage dei Ciaculli, tutte vittime del dovere, sono: il tenente dei carabinieri Mario Malausa, della provincia di Cuneo, comandante la tenenza suburbana di Palermo; il maresciallo di P. S. Silvio Corrao, della Squadra Mobile; il maresciallo capo dei carabinieri Calogero Vaccaro, comandante la stazione di Roccella; i carabinieri Eugenio Altomare e Mario Fardelli; il maresciallo artificiere Pasquale Nuccio, in forza presso il 1,6″ reggimento di fanteria del Car; il soldato aiuto-artificiere Giorgio Ciacci, sempre dello stesso reggimento; sono rimasti feriti il brigadiere Giuseppe Mazzupappa e il carabiniere Salvatore Gotto, il primo del nucleo di polizia giudiziaria e il secondo del nucleo radiomobile dei carabinieri. La vittima dell’altro attentato, quello avvenuto a Villabate, è Pietro Cannizzaro, di 52 anni, custode della autorimessa.
Le salme delle vittime sono state composte all’ospedale militare e i funerali avranno luogo a spese dello Stato e in forma solenne martedì mattina partendo dalla cattedrale di Palermo.
La strage dei Ciaculli ha un antefatto: verso le ore 19,30 un contadino ha segnalato ai carabinieri di Roccella che lungo una strada di campagna che congiunge lo stradale di Gibilrossa a Villabate si trovava abbandonata una «Giulietta». Il maresciallo Vaccaro, comandante la stazione, si è subito portato sul posto con i carabinieri Fardelli, Antonio Minerva e Altomare. Al luogo indicato si accede dallo stradale di Gibilrossa attraverso un cancello. La era stata abbandonata a circa 150 metri dall’ingresso. Aveva una gomma a terra e gli sportelli aperti. Sul sedile posteriore era collocata una bombola di gas liquido. Dalla bombola partiva una miccia lunga una ventina di metri, e che all’inizio si presentava per tre quarti consumata. Evidentemente qualcuno l’aveva accesa, allontanandosi subito dopo. La miccia aveva bruciato per un po’, quindi si era spenta.
Non v’era alcun dubbio che la «Giulietta» fosse carica di esplosivo. Era facile pensarlo, poiché poche ore prima, a Villabate, un’altra carica di tritolo aveva ucciso il guardiano dell’autorimessa di proprietà di Giovanni Di Peri, appunto il Pietro Cannizzaro, e aveva ferito gravemente un fornaio.
Via radio è stato segnalato, a Palermo il numero di targa della rinvenuta sulla strada di Gibilrossa. L’automobile risultava rubata. Subito si è steso un cordone di uomini attorno alla macchina, per timore che qualcuno si avvicinasse, in attesa degli artificieri. Sul cancello della villa è stato collocato un drappo rosso indicante pericolo, mentre la stradina di campagna veniva sbarrata al transito nei due sensi.
Giungevano frattanto alcuni funzionari di P. S. e ufficiali dell’Arma dei carabinieri con i rispettivi dipendenti. Poco dopo le 14,30, poiché gli artificieri non erano ancora arrivati, è stato deciso di lasciare alcuni uomini sul posto, mentre il comandante la Squadra Mobile e i comandanti il Gruppo interno e il Nucleo di polizia giudiziaria dei carabinieri facevano ritorno a Palermo. Rimanevano pertanto ai il tenente Malausa, i marescialli di P. S. Corrao e Zappala, il maresciallo dei carabinieri Vaccaro, il brigadiere Mazzupappa, l’agente Vittorio Gurrieri e i carabinieri Gatto, Fardelli e Altomare.
Poco dopo sono arrivati il maresciallo artificiere dell’esercito Pasquale Nuccio e il soldato Giorgio Ciacci. I due artificieri hanno fatto allontanare tutti gli uomini della polizia e dei carabinieri e si sono avvicinati alla «Giulietta». Il maresciallo Nuccio ha tolto con molta facilità la bombola di gas liquido collegata alla miccia dall’interno dell’autovettura, e l’ha posata a terra. E’ stato a questo punto che il maresciallo Nuccio ha chiesto al suo dipendente di portargli una pinza tagliafili.
Intanto, il tenente Malausa e i marescialli Corrao e Vaccaro si avvicinavano alla «Giulietta». Più lontani erano i due carabinieri Altomare e Fardelli: a circa quaranta metri il brigadiere Mazzupappa e il carabiniere Gatto. Davanti al cancello della villa erano rimasti il maresciallo Zappala, l’agente Guerrieri, il carabiniere Minerva e l’autista della Squadra Mobile. Gli artificieri, compiuto il loro lavoro rendendo inoffensiva la bombola, avevano iniziato il controllo dell’automobile.
Tutto filava liscio, allorché gli investigatori si accorgevano che il cofano posteriore della «Giulietta»» era chiuso a chiave. Ed è stato appunto nel tentativo di forzare la serratura che è scattato il dispositivo di un ordigno contenuto nel portabagagli, provocando cosi lo scoppio e l’immane tragedia. La «Giulietta» si è completamente disintegrata e tutti gli uomini sono stati fatti a pezzi.Dei carabinieri, degli uomini di P.S., che avevano pattugliato per tutta la mattinala macchina lasciata sulla strada dai banditi, e dei due soldati artificieri non è rimasto infatti quasi più niente.
Qua e là, disseminati sulla polvere della strada chiazzata di sangue, si intravedevano pezzi di carne, orribili brandelli staccati dal resto del corpo. Gli stessi ufficiali e sottufficiali che conoscevano i colleghi, hanno stentato a dare un volto e un nome a quei miseri resti sparsi sulla strada.
Del maresciallo Corrao sono rimaste la cintura, la fede nuziale e la fondina della rivoltella. Qualcuno le ha consegnate ad un ufficiale perché le consegnasse alla moglie e ai figli. Del tenente dei carabinieri Malausa, giovanissimo e sportivo, un carabiniere ha trovato una stelletta e l’ha consegnata ad un superiore. “Sono le stellette del tenente” ha detto a bassa voce, cercando di trattenere le lacrime.
Poco lontano, intanto il carabinieri Guerrieri, ancora in preda a choc, mostrava le macchie di sangue che aveva sulla maglia. Si trovava ad una quarantina di metri dalla «Giulietta», a guardia dell’ingresso. Improvvisamente è stato guasi assordato dalla terrificante esplosione, ed ha visto il commilitone Mazzupappa volare da terra come fosse un fuscello e finire contro un albero.
Ad abbandonare la nella strada di campagna di Gibilrossa si ritiene che siano stati gli stessi criminali che all’una della scorsa notte, a Villabate, hanno compiuto l’attentato contro l’autorimessa di Giovanni Di Peri. L’intenzione dei criminali era forse di collocare entrambe le cariche di esplosivo contro le saracinesche del garage. Strada facendo, però, ad una delle due automobili si è forata una gomma, ed i banditi hanno pensato di sbarazzarsene. Hanno allora dato fuoco alla miccia, trovata poi bruciacchiata, ma sfortunatamente questa si è spenta e la deflagrazione non è potuto avvenire. Che la di Gibilrossa sia stata abbandonata dagli attentatori di Villabate sarebbe dimostrato anche dal fatto che la strada di campagna in cui l’auto è stata rinvenuta abbandonata conduce appunto a Villabate.
Nella caserma dei carabinieri di quest’ultima località, è stato posto il quartier generale delle indagini. Da ieri sera vi si trovano, in stato di fermo, alcune persone. Si tratta, a quanto si è appreso, di individui legati da vincoli di parentela o di amicizia ad elementi della malavita delle borgate di Ciaculli dov’è avvenuta la strage, Croce Verde, Giardini e delle località vicine.
Articolo da Stampa Sera del 1 Luglio 1963
Esplodono a Palermo due auto caricate a dinamite: nove morti
di Franco Desio
I feriti sono una ventina – Il primo attentato all’una di notte – Ne restano vittime il guardiano di un « garage » e un fornaio che aveva dato l’allarme: aveva visto uscire un filo di fumo da una macchina in sosta e aveva sentito odore di bruciato – La seconda esplosione, avvenuta alle 16, è stata molto probabilmente un tranello dei « mafiosi » contro la polizia avvertita da una telefonata anonima che una vettura era stata abbandonata in un viottolo di campagna con una bombola bene in vista, collegata a una miccia – Chiamati gli artificieri e disinnescato l’ordigno, un tenente dei carabinieri ha aperto il cofano posteriore, in cui era nascosta una bomba «vera» – Dilaniato l’ufficiale, un piemontese già appartenente ai carristi, con due artificieri dell’Esercito, un maresciallo di P.S., un maresciallo dei carabinieri e due militi dell’Arma – Una dichiarazione del presidente della Regione
Palermo, lunedì mattina. Nove morti e circa venti feriti sono il tragico bilancio, ancora non definitivamente accertato, di due attentati dinamitardi avvenuti nella giornata, di ieri a Palermo e precisamente nelle borgate Villabate e Ciaculli. Gli attentati denunciano una identica tecnica e sono in stretta relazione l’uno con l’altro.
L’esplosione nell’abitato di Villabate è avvenuta verso l’una del mattino. Un’automobile «Giulietta», nella quale era stata collocata una potente carica di tritolo, è saltata in aria davanti ad un’autorimessa. L’esplosione ha causato la morte del custode dell’autorimessa Pietro Cannizzaro, 59 anni, e del fornaio Giuseppe Tesauro, 42 anni. Un altro fornaio, Giuseppe Castello, 35 anni, è rimasto ferito.
I danni arrecati alle abitazioni che sorgono nel raggio di un centinaio di metri dal luogo dove era stata lasciata l’auto-bomba si calcola ascendano a circa 60 milioni di lire.
Qualche minuto prima dell’una, quando già da circa mezz’ora il custode dell’autorimessa di corso Vittorio Emanuele n. 412 aveva abbassato la saracinesca e si era messo a dormire nell’interno di un’autovettura, uno sconosciuto ha bloccato una « Giulietta » davanti alla saracinesca del garage, ne è sceso e si è allontanato a piedi, per salire pochi metri più avanti a bordo di un’altra automobile dove si trovavano ad attenderlo due persone. Il terzetto è scomparso velocemente nel buio della notte.
La «Giulietta» parcheggiata dinanzi l’autorimessa (che è di proprietà del commerciante Giovanni Di Peri, il quale l’aveva data in locazione al meccanico Pietro Savioli), non ha destato nessun sospetto, neanche a una pattuglia di carabinieri che era passata di là poco prima della violenta esplosione: appariva normale che qualche ritardatario avesse lasciato l’auto davanti al garage. Verso l’una i due fornai Tesauro e Castello, che lavoravano in un panificio attiguo all’autorimessa, usciti a prendere una boccata d’aria fresca, si sono intrattenuti a parlare qualche minuto sul marciapiede e hanno avvertito un puzzo di bruciato provenire dalla « Giulietta » parcheggiata proprio davanti a loro. Avvicinatisi, i due fornai hanno notato un filo di fumo che si sprigionava dall’auto. Ritenendo che si trattasse di un principio d’incendio, hanno bussato alta saracinesca per dare l’allarme al custode dell’autorimessa.
Ma proprio mentre il custode Pietro Cannizzaro, svegliatosi al richiamo dei due fornai, alzava la serranda, una tremenda esplosione l’ha investito in pieno, dilaniandolo orrendamente. Il fornaio Giuseppe Tesauro, che si era allontanato di qualche passo, è stato proiettato dallo spostamento d’aria sotto un autocarro che si trovava fermo sul lato opposto della strada; il suo collega, Giuseppe Castello, rimasto un po’ più distante dall’autobomba, è stato raggiunto da numerose schegge e scaraventato a terra. La « Giulietta », ridotta ad un ammasso di rottami, è stata catapultata sull’altro lato della strada: una ruota è stata ritrovata più tardi a circa 150 metri dal luogo dell’esplosione.
La deflagrazione ha provocato anche il crollo del muro esterno di una vicina salumeria e i vigili del fuoco, subito accorsi, hanno dovuto demolire l’intera bottega essendo rimasti pericolanti anche gli altri muri di sostegno. Per un raggio di oltre cento metri tutti i vetri delle case vicine sono andati in frantumi, diverse imposte sono state scardinate e la grande vetrata della filiale del Banco di Sicilia è stata ridotta in briciole. Tutto intorno erano disseminati i rottami dell’auto disintegrata dalla tremenda esplosione che ha scavato una profonda buca davanti all’autorimessa ed ha altresì danneggiato l’impianto della illuminazione pubblica, abbattendo tre pali di sostegno dei fili della corrente elettrica.
Aiutati da alcuni fornai del vicino panificio, rimasto anch’esso danneggiato, carabinieri e guardie di P. S. che si erano subito recati sul posto a bordo di automezzi, hanno provveduto a trasportare all’ospedale Giuseppe Tesauro (trovato pieno di ferite ma ancora in vita sotto l’autocarro dove era stato scaraventato dalla deflagrazione) e il suo compagno Giuseppe Castello. Poco dopo il ricovero in ospedale, però, il Tesauro è deceduto, mentre il Castello è stato dichiarato guaribile in una decina di giorni.
L’attentato dinamitardo, che ha destato molto panico tra gli abitanti di Villabate che si sono svegliati di soprassalto e si sono riversati a precipizio sulle strade pensando a un terremoto, è parso subito da inserire nel quadro della cruenta lotta che, senza esclusione di colpi, divampa da qualche anno fra gli esponenti della malavita palermitana. Proprietario dell’autorimessa davanti alla quale era stata parcheggiata l’auto-bomba è infatti il settantenne Giuseppe Di Peri, che nel 1956 fu ferito con due fucilate caricate a «lupara». Egli abita col figlio Giovanni al piano superiore dello stesso stabile ed è opinione degli inquirenti che l’attentato di ieri notte avesse appunto per scopo un macabro « avvertimento » ai Di Peri, padre e figlio.
Durante le indagini per far luce sull’attentato di Villabate, carabinieri e polizia si sono recati nella tarda mattina alla vicina borgata di «Ciaculli» per procedere al fermo di alcune persone sospette. Qui è avvenuto il secondo attentato, in cui sono tragicamente morte sette persone: un tenente dei carabinieri, un maresciallo di P. S., due artificieri dell’Esercito, un maresciallo dei carabinieri e due militi dell’Arma.
Molto probabilmente si è trattato di uno spaventoso trabocchetto preparato dalla «mafia», forse dagli stessi autori dell’attentato di ieri notte, ai danni della polizia. Alle 11 di ieri mattina, infatti, negli uffici della Squadra Mobile era giunta una telefonata anonima in cui si avvertiva che una «Giulietta» era stata notata in una stradina di campagna a poca distanza dalla provinciale di Gibilrossa, alla borgata «Ciaculli». Subito sono partiti il capo della Mobile, dottor Madia, il suo vice, dottor Mendolia, il tenente dei carabinieri, Malausa, e un folto gruppo di agenti di P.S. e di carabinieri. La segnalazione era esatta. L’auto era effettivamente nel luogo indicato, aveva gli sportelli aperti, e bene in vista sui sedili posteriori c’era una bombola per gas liquido, cui era collegata una miccia piuttosto rudimentale che sembrava essere già stata accesa e poi spenta frettolosamente da qualcuno.
Gli inquirenti hanno deciso di far piantonare l’auto e hanno richiesto un invio di artificieri al 56° Reggimento di fanteria del Car di Palermo. Dopo alcune ore sono giunti infatti il maresciallo Pasquale Nuccio e il soldato Giorgio Ciacci, suo aiutante. Alcuni funzionari, fra cui il dottor Madia, erano già rientrati in sede. Erano circa le 16. Attorno ai due militari che disinnescavano l’ordigno si è fatto il vuoto; dopo pochi minuti il maresciallo Nuccio ha detto agli altri che potevano avvicinarsi, ormai non c’era più nessun pericolo, la miccia non poteva più fare esplodere la bombola.
Il tenente Malausa si è allora accostato al baule, ha infilato la chiavetta, ha provato ad alzare il coperchio. Una esplosione terribile ha squassato il gruppetto di uomini che stavano attorno alla «Giulietta». Sette di loro sono morti, sei sul colpo, orrendamente dilaniati, ridotti in brandelli, e il settimo poco dopo il ricovero all’ospedale di Santa Sofia di Palermo. Il «vero» ordigno dinamitardo era nascosto, la innocente bombola di gas liquido era soltanto l’esca per la polizia.
Ecco i nomi deIIe sette vittime della barbara strage freddamente attuata dalla «mafia»:
Tenente dei carabinieri Mario Malausa, comandante della tenenza suburbana di Palermo;
maresciallo di P.S. Silvio Corrao, della « squadra mobile»;
maresciallo capo dei carabinieri Calogero Vaccaro, comandante della stazione di Roccella;
carabinieri Eugenio Altomare e carabiniere Marino Fardelli (morto in ospedale), della stazione di Roccella;
maresciallo artificiere Pasquale Nuccio, in forza presso il 46° Reggimento di fanteria del Car;
soldato aiuto artificiere Giorgio Ciacci, del medesimo reggimento.
Il tenente dei carabinieri Mario Malausa aveva 24 anni. Era di Ravello (in provincia di Cuneo) e proveniva dall’esercito (carristi). Dopo aver frequentato l’Accademia, era divenuto effettivo nell’Arma dei carabinieri e da poco tempo comandava la tenenza suburbana di Palermo.
Il maresciallo capo dei carabinieri Calogero Vaccaro aveva 48 anni ed era nato a Naro (Agrigento). Era sposato, con tre figli.
Il carabiniere Eugenio Altomare, aveva 31 anni. Era sposato da soli quindici giorni.
Il maresciallo artificiere Pasquale Nuccio era in licenza e sarebbe dovuto tornare in servizio nella giornata di oggi. Era stato invitato dal Comiliter a recarsi sul luogo dove era stata abbandonata la «Giulietta». Aveva una esperienza di disinnescatore, quasi trentennale. Circa due anni fa aveva disinnescato una bomba di aereo inesplosa di 500 chili, trovata in via Isidoro La Lumia, a Palermo, durante gli scavi per la costruzione di un palazzo.
Il brigadiere Giuseppe Muzzapappa di 34 anni, rimasto ferito, deve la salvezza al fatto di essersi allontanato dall’auto di un centinaio di metri, un attimo prima dell’esplosione.
Il carabiniere Salvatore Gatto di 28 anni, anch’egli ferito, è stato il primo a dare l’allarme. Nonostante perdesse molto sangue è riuscito a mettersi in contatto radio con il comando, facendo funzionare il radiotelefono installato su una camionetta.
La strage ha vivamente impressionato la cittadinanza. Particolare rimpianto ha destato la fine del maresciallo P.S. Silvio Corrao, che era assai noto anche negli ambienti giornalistici della città. Il Corrao era soprannominato « il maresciallo-letterato» per la particolare predilezione che dimostrava per gli studi di carattere letterario. Era uno dei più assidui frequentatori della libreria «Flaccovio», centro culturale della città. Il Corrao lascia la moglie e quattro figli in tenera età.
Il presidente della Regione siciliana, on. Giuseppe D’Angelo, informato — nel corso dei lavori del comitato regionale dc — del grave episodio criminoso, ha fatto la seguente dichiarazione: «Sono profondamente addolorato di quanto è avvenuto. In questo momento, assieme al cordoglio vivissimo per la morte e il ferimento di tante persone, dirigenti, ufficiali, agenti di polizia e carabinieri nello esercizio del loro difficile compito di sovrintendere e custodire l’ordine pubblico, desidero esprimere il più alto apprezzamento della Regione per le forze dell’ordine impegnate nell’ingrato compito di estirpare la piaga della malavita in questa nostra Sicilia. Desidero anche manifestare i sensi della mia personale solidarietà e del Governo che rappresento alle famiglie dei caduti, e le manifestazioni del mio conforto a quelle dei molti feriti. Ritengo, infine, di interpretare il pensiero dell’opinione pubblica siciliana nell’esecrare gli autori della strage e nell’augurarmi che essi possano essere presto chiamati a render conto dei loro crimini, di fronte alla giustizia degli uomini».