31 luglio 1990 Mazzarino (CL). Calogero La Piana, 23 anni, venne ucciso perché era stato testimone di un omicidio.
Il corpo di Calogero La Piana, insieme a quello dei fratelli Luigi e Giuseppe Tambè di 24 e 21 anni, fu ritrovato carbonizzato all’interno di un bosco demaniale a Mazzarino, in provincia di Caltanissetta. Erano incensurati; sul loro conto neppure una contravvenzione. La loro uccisione va inquadrata nella sanguinosa faida che è scoppiata nel triangolo Gela-Mazzarino-Riesi tra le famiglie mafiose che si contendono il controllo dei subappalti per la costruzione di dighe e altre opere pubbliche per centinaia di miliardi.
Fonte: memoriaeimpegno.it
Fonte: ricerca.repubblica.it
Articolo del 2 agosto 1990
QUEL ROGO DI MORTE DELLA MAFIA DEGLI APPALTI
di Francesco Viviano
CALTANISSETTA Due fratelli e un loro amico, tutti e tre poco più che ventenni, sono stati uccisi ed i loro corpi sono stati dati alle fiamme. I cadaveri carbonizzati sono stati trovati da una guardia forestale all’interno di un bosco demaniale, a Mazzarino, in provincia di Caltanissetta. Le tre vittime, i fratelli Luigi e Giuseppe Tambè, di 24 e 21 anni ed il loro amico, Calogero La Piana di 23, erano incensurati; sul loro conto neppure una contravvenzione. Ma per gli inquirenti si tratta di un’esecuzione tipicamente mafiosa.
Anche se i tre giovani non avevano nessun precedente penale la loro uccisione va inquadrata nella sanguinosa faida che è scoppiata nel triangolo Gela-Mazzarino-Riesi tra le famiglie mafiose che si contendono il controllo dei subappalti per la costruzione di dighe ed altre opere pubbliche per centinaia di miliardi. I fratelli Tambè erano titolari di una modesta impresa per il movimento terra e negli ultimi tempi si erano dati molto da fare per ottenere lavori in subappalto. Avevano ereditato la piccola azienda dal padre, Calogero Tambè, che il 27 ottobre del 1983, quando aveva 40 anni, scomparve misteriosamente, vittima, secondo gli inquirenti, della lupara bianca.
Il triplice delitto è stato compiuto probabilmente nella prima serata di martedì scorso. Luigi e Giuseppe Tambè avevano lasciato la loro abitazione di Riesi in compagnia del loro amico Calogero La Piana. Insieme avevano lasciato il paese a bordo di una Alfa 164, di proprietà del fratello maggiore dei Tambè. Ai loro familiari avevano detto che sarebbero rincasati tardi perché avevano un appuntamento a Mazzarino per motivi di lavoro. Ma a Riesi i tre giovani non sono più tornati. Secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti, i fratelli Tambè e Calogero La Piana erano andati ad un appuntamento con la morte, ad un incontro con elementi della mafia di Mazzarino per discutere sulla divisione di subappalti. Probabilmente non sarebbe stato raggiunto un accordo e per i tre è scattata la sentenza di morte e l’immediata esecuzione.
I fratelli Tambè ed il loro amico sono stati quindi assassinati e successivamente caricati sulla loro automobile che è stata trasportata fino al bosco demaniale di Cugna da Galera, così chiamato perché chi non lo conosce difficilmente riesce a trovare la via d’ uscita. I tre cadaveri sono stati quindi dati alle fiamme probabilmente per rendere più difficile il loro riconoscimento e gli assassini sono fuggiti. Il bosco è recintato, ma sulla pista in terra battuta che porta alla radura dove i tre cadaveri sono stati bruciati, il cancello d’ingresso da mesi era stato abbattuto. Questa circostanza fa ritenere agli investigatori che gli assassini conoscessero a perfezione la zona.
L’ automobile in fiamme con i tre cadaveri dentro è stata notata da lontano da una guardia forestale che era appostata su una torretta per la vigilanza antincendio. Via radio, ha segnalato alla propria centrale che nel bosco c’era un principio d’incendio e sul luogo, dopo qualche ora, sono giunti uomini e mezzi antincendio. Le fiamme infatti si stavano estendendo alla vegetazione circostante e le guardie forestali temevano un incendio di vaste proporzioni. Dopo alcuni minuti si sono rese conto che l’incendio era stato provocato dall’ automobile data alle fiamme con i tre cadaveri dentro. A quel punto hanno avvertito i carabinieri.
I militari sono riusciti a risalire al proprietario dell’automobile attraverso il numero della targa che, incredibilmente, era stata risparmiata dal rogo. L’ auto apparteneva al fratello maggiore di Luigi e Giuseppe Tambè, il quale ha detto ai carabinieri di averla prestata la sera prima ai propri fratelli che gliel’avevano chiesta per andare a Mazzarino per lavoro. I tre cadaveri carbonizzati sono stati trasferiti nell’obitorio del cimitero di Mazzarino dove oggi pomeriggio il professor Biagio Guardabassi, dell’istituto di medicina legale di Catania, eseguirà l’autopsia disposta dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta.
Per gli inquirenti il massacro è da inquadrare nella lotta per gli appalti, un settore nel quale è pesante l’influenza delle cosche mafiose. Il luogo della triplice esecuzione è distante pochi chilometri dalla diga Disueri, in territorio di Gela, dove sono in corso lavori per un importo di oltre duecento miliardi di lire. La lotta per il controllo agli appalti e subappalti, secondo gli investigatori, sarebbe l’elemento scatenante di una faida fra le cosche esplosa alla fine del 1987 e che fino ad oggi ha fatto oltre settanta vittime.
Un’altra ipotesi investigativa porta alla misteriosa scomparsa del padre dei fratelli Tambè. I suoi figli, probabilmente non avevano dimenticato la morte del loro genitore e forse volevano farsi giustizia da soli. Questo avrebbe potuto provocare l’intervento di coloro che decretarono l’assassinio di Calogero Tambè e che l’altro ieri hanno dato l’ordine di uccidere anche i suoi due figli.
Fonte: vivi.libera.it
Articolo del 30 luglio 2020
Il ricordo di Calogero La Piana. Era nostro zio, una persona onesta
di Pietro La Piana
Per un mero dato anagrafico io e mia sorella non abbiamo potuto conoscere nostro zio.
Non eravamo ancora nati infatti quando, nella notte del 31 luglio 1990, mio zio veniva barbaramente ucciso (a soli 23 anni) perché testimone scomodo di un omicidio di mafia.
Nonostante la Giustizia (intesa nella sua ramificazione penalistica) abbia fatto il proprio corso, raggiungendo i risultati sperati, mio padre (legatissimo al suo fratello più piccolo) non ha mai del tutto superato una perdita così atroce, oltreché ingiusta: per molto tempo infatti – sia io che mia sorella – non abbiamo saputo la verità circa la morte di nostro zio.
Forse un modo per “tutelarci”, per non farci sapere quanto la vita (e l’uomo, volutamente scritto con “u” minuscola) sia stata ingiusta con lui.
Tale sofferenza ha toccato incidentalmente anche nostra madre, non solo in quanto e perché cognata, ma anche perché testimone “oculare” della sofferenza di nostro padre; lo ha aiutato soffrendo insieme a lui quando ne ha avuto bisogno, nonostante entrambi non avessero nemmeno 30 anni.
Dai nostri genitori abbiamo sempre avuto riportato un ottimo ricordo di nostro zio: una persona amorevole, un grande lavoratore, e soprattutto una persona onesta.
Mio padre ha deciso di parlarci di questa storia quando eravamo grandi (non anagraficamente) per comprendere e metabolizzare quanto accaduto: da quel momento abbiamo iniziato a sentirci partecipi del suo dolore, ad essere uniti anche in questo, nonostante lui preferisca non parlarne.
Ricordo ancora quando, in un pomeriggio d’estate, decidemmo tutti insieme di guardare il filmato del matrimonio dei nostri genitori: in quell’occasione mio padre – vedendo le immagini di una famiglia in festa in cui vi era ancora suo fratello – non riuscì a trattenere le lacrime: ciò (unito al fatto che da quelle immagini ho visto negli occhi di quello che sarebbe stato mio zio, una persona veramente buona) mi fece capire quanto mio padre abbia sofferto e stia tutt’ora soffrendo; non è una persona avvezza alle lacrime, fatico a ricordare altre occasioni in cui io lo abbia visto piangere.
Non abbiamo avuto la possibilità di conoscerlo perché la malvagità umana ha voluto così, ma ciononostante viviamo nella consapevolezza e nella fierezza di poter dire “era nostro zio, una persona onesta”.