4 Gennaio 1997 Partinico (PA). Ucciso Giuseppe La Franca, bancario in pensione, perché non voleva cedere le proprie terre a dei mafiosi.

Fotoritratto da: Osservatorio per lo sviluppo e la legalità “Giuseppe La Franca”

L’Avvocato Giuseppe La Franca, era un funzionario del Banco di Sicilia in pensione che non voleva cedere le sue terre ai fratelli Vitale, come avevano fatto altri possidenti della zona.

I “Fardazza” avevano messo le mani su un caseggiato rurale in possesso di alcuni parenti di Giuseppe La Franca. Quel terreno era suo, quel “caseggiato” occupato prepotentemente dai “fardazza” non era ‘cosa loro’. Mentre tutti gli altri scappavano davanti al pericolo e alle minacce mafiose, mentre le istituzioni e anche certi media locali facevano finta di non vedere e non sapere o erano impotenti, lui continuava a frequentare i suoi terreni affermandone la proprietà. Ma quella sua legittima caparbietà dava troppo fastidio a quei rozzi mafiosi prepotenti, era un cattivo esempio per le altre pecorelle docili e sottomesse.

Contrapponendo i propri valori di uomo e di cittadino libero all’arroganza mafiosa, Giuseppe La Franca è andato irreparabilmente incontro alla morte, subendo la furia omicida di chi è abituato a a far prevalere la violenza sul senso della legge e del rispetto degli altri, ma con la sua tragica fine ha fatto “ribollire le coscienze” Anche l’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, pronunciò parole dure sull’episodio chiedendo alle forze dell’ordine di riprendere il controllo del territorio.Il 4 gennaio del 1997 venne assassinato su ordine del boss Leonardo Vitale,infastidito dalla legittima ostinazione di quest’uomo a difendere semplicemente quello che era suo . la verità sull’episodio è stata rivelata dalla pentita di mafia Giusy Vitale, Secondo la quale il mandante dell’omicidio sarebbe il fratello Leonardo Vitale, mentre il killer il palermitano Ninetto Madonia del quartiere Borgo Vecchio.

(Nota da: Osservatorio per lo sviluppo e la legalità “Giuseppe La Franca”)

 

 

Articolo del 16 giugno 2001  da ricerca.repubblica.it
Morì per difendere le sue terre le indagini puntano su Vitale

di Enrico Bellavia

FU IL delitto di un uomo perbene. Fu l’ omicidio di un gran borghese che non si piegava alla mafia dei pascoli, al ricatto mafioso sui poderi. Fu il vigliacco assassinio di un galantuomo che a Partinico, rappresentava un cognome che era sinonimo di legalità. Quattro anni dopo la procura della Repubblica riapre l’ indagine sulla morte di Giuseppe La Franca, bancario in pensione, assassinato nel suo terreno nei pressi della diga dello Jato, il 4 gennaio del 1997. L’ inchiesta riparte con un nome e un cognome iscritto in questi giorni nel registro degli indagati. Sospettato di quell’ omicidio è il boss Vito Vitale, inteso “Fardazza”. Con tutta probabilità, stando al contenuto di alcune intercettazioni ambientali che hanno permesso di rimettere in moto la macchina delle indagini, fu lui stesso a commetterlo un anno prima di finire arrestato. Giuseppe La Franca non aveva ceduto, non aveva dato via le proprie terre, lasciando campo libero al boss che misurava la propria ascesa in lotti di pascolo, segno tangibile di predominio sul proprio territorio. Per questo La Franca fu assassinato. Il nome di Vitale fu subito sulla bocca di tutti, ma finora nessun elemento concreto aveva permesso di compiere un passo in avanti nell’ inchiesta. La riapertura conta su una serie di indizi emersi da una conversazione captata dalla microspie e incrociata con i dati provenienti da altre fonti di indagine. Nessun collaboratore di giustizia ha finora mai parlato del delitto, consumato con tutta probabilità come una vendetta privata del capomafia, dominus del proprio mandamento e per questo svincolato dalle regole di autorizzazioni preventive vigenti in Cosa nostra. Che la matrice del delitto fosse riconducibile al pascolo, a quelle terre che La Franca aveva tenacemente difeso rischiando in proprio e in solitudine, era subito apparso chiaro. Il figlio acquisito di La Franca, Claudio Burgio, poi bersaglio di due attentati come amministratore comunale a Monreale, ne aveva ampiamente parlato, denunciando anche la solitudine in cui il padre era rimasto. «La morte di mio padre – aveva scritto in una lettera al prefetto – è solo la punta di un iceberg costituito dalle continue vessazioni che sono stati costretti a subire, per anni, centinaia di agricoltori e proprietari terrieri». L’ omicidio aveva particolarmente scosso Partinico e in molti avevano compreso il livello di sfida lanciato dai mafiosi con l’ assassinio del pensionato. L’ amministrazione comunale aveva proclamato il lutto cittadino. Altri agguati, altri lutti, altri attentati, avevano fatto ben presto cadere l’ oblio sul delitto destinato a rimanere irrisolto pur se chiaramente collocato tra gli omicidi di mafia. Gli investigatori avevano raccolto più di un elemento per dirsi convinti che sui proprietari terrieri di Partinico i Vitale avevano condotto una vera e propria offensiva a suon di minacce e attentati. Pressioni intollerabili che avevano indotto i più a fuggire svendendo le aree o più semplicemente abbandonandole lasciando che i bovini dei Vitale e dei loro soci pascolassero indisturbate. Giuseppe La Franca non aveva ceduto, avendo ben chiaro chi fossero i Vitale al punto da tenere in auto un ritaglio di giornale in cui si parlava del loro ruolo dei Vitale nella mafia di Partinico. Conosceva la loro fama e li aveva visti crescere in paese. Aveva anche fotografato i danni che le loro mandrie avevano fatto alle sue terre. Nei giorni successivi al delitto i carabinieri avevano compiuto una serie di controlli straordinari tra gli allevatori della zona, sequestrando sette stalle, sei caseifici, e oltre settecento capi di bestiame, parte dei quali dei fratelli Vitale. Poco dopo i militari entrarono anche nella stalla di proprietà della moglie di Vito Vitale dove c’ erano quindici bovini affetti da brucellosi.

 

 

Articolo del 5 Luglio 2012 da ricerca.repubblica.it
Va all’antiracket di Partinico l’appartamento del boss Vitale

La casa che fu del boss mafioso Vito Vitale diventerà da oggi la sede operativa del movimento antiracket di Partinico che verrà dedicata a Giuseppe La Franca, l’eroe borghese ucciso dal clan Vitale per aver difeso con coraggio la sua proprietà dai loro taglieggiamenti. Le mura dell’abitazione di via Foscolo da dove i “Fardazza” pianificavano gli omicidi e la strategia di violenza intimidatoria che per anni ha tenuto sotto scacco un’intera comunità adesso sono diventate sede del Comitato per la Cultura della Legalità Partinicese. Da mesi, all’interno del Comitato, un gruppo di imprenditori di Partinico, sostenuti dall’amministrazione comunale, ha dato vita all’associazione antiracket “Libero jato”, tenuta a battesimo da Tano Grasso, presidente della Federazione delle associazioni antiracket italiane e ha avviato un movimento di consumo critico ispirato da Addiopizzo formato da più di cento imprenditori locali sotto l’egida di Enrico Colajanni, presidente di Libero Futuro. All’iniziativa hanno aderito gli iscritti di Cna, Confcommercio e Consorzio Cosar. «Vogliamo lanciare un segnale forte – sottolinea il sindaco di Partinico Salvo Lo Biundo – contro la mafia. L’offensiva antiracket che si sta preparando a Partinico e nel comprensorio rappresenta la massima priorità su cui dovranno concentrarsi tutte le forze sane della nostra comunità». Il punto di svolta decisivo è rappresentato dall’ adesione al codice etico da parte dei quaranta artigiani del Consorzio Cosar proprietario dell’ area artigianale di Contrada Margi: prevede l’ espulsione e la perdita automatica delle quote azionarie anche per una semplice frequentazione di personaggi in odor di mafia, senza la necessità di attendere il rinvioa giudizio. Anche la società Policentro Daunia, titolare del discusso progetto di un grande centro commerciale a Partinico, e alla quale partecipa il Cosar, ha sottoscritto il codice antimafia.

 

 

Lina La Franca Burgio ricorda suo marito Giuseppe

 

 

 

 

Gli ultimi giorni dell’avvocato Giuseppe La Franca
LA BIGLIA VERDE – 1 ottobre 2017

Si è svolta a Santo Stefano Quisquina, nella splendida cornice della sala consiliare del comune, l’evento a carattere mondiale “100 Thusand Poets for change” (Centomila Poeti per il cambiamento) organizzato da Pietro Hunter Sandurante la manifestazione è stato ricordato l’avvocato partinicese Giuseppe La Franca, vittima di mafia, a lui è stato dedicato e recitato il dialogo teatrale “Gli ultimi giorni di Giuseppe La Franca” , tratto dalla sceneggiatura del film “Il coraggio di morire” scritto da Francesco Billeci e declamato per l’evento dal prof. Pietro Sanzeri e dall’attrice Ornella Vesco. Video di Francesco Billeci.

 

 

 

 

IL CORAGGIO DI MORIRE (a Giuseppe La Franca)

LA BIGLIA VERDE 3 novembre 2018

Trama
Giuseppe la Franca nasce a Partinico nel 1926. Dopo le scuole superiori, inizia il percorso di studi, in giurisprudenza. Si laurea e decide di non dedicarsi alla carriera forense. In seguito viene assunto al banco di Sicilia di Palermo. Proprietario terriero, appassionano di campagna, cerca di conciliare la passione per le coltivazioni e l’impegno lavorativo, presso la banca. Conosciuto e apprezzato da tutti, per la sua correttezza, onestà e disponibilità. Rispettoso della legge e delle istituzioni. “Un vero e proprio galantuomo” si diceva in paese, parlando di lui. Conduceva una vita semplice, da uomo normale, diviso tra la campagna e la città. I suoi poderi erano ubicati a Cambuca, nella strada provinciale per Grisì. A Cambuca, Giuseppe La Franca, aveva fissato la sua residenza estiva. Era legato ai valori della famiglia e dell’amicizia. Ebbe una storia d’amore, coronata da un felice matrimonio, con una donna vedeva, madre di quattro figli che, La Franca crebbe e amò, come figli legittimi. Era un uomo semplice che, difendeva le sue idee e i suoi ideali, per l’affermazione dei diritti e della libertà. Lottava, senza chinare la testa, contro i soprusi, l’arroganza e le ingiustizie. Era un uomo dalla schiena dritta, non accettava compromessi e reagiva alle angherie. Sfidò la mafia e per questo pagò con la vita. Il quattro gennaio del 1997, La Franca venne freddato, nella strada provinciale per Grisì, con tre colpi secchi di pistola. Fu il delitto di un uomo per bene. Fu l’omicidio di un uomo che non si piegava alla mafia dei pascoli, fu il delitto di una persona onesta che, non girava il viso di fronte al ricatto mafioso, sui poderi. Fu l’omicidio di un uomo che, nel contesto sociale, scosse le coscienze dei cittadini onesti. Dopo la sua morte, molti avevano compreso, la sfida lanciata dai mafiosi, con l’assassinio La Franca. L’Amministrazione del tempo proclamò il lutto cittadino. Giuseppe La Franca non aveva ceduto, ai mafiosi, le sue terre, evitando il consolidamento del loro potere, sui terreni per il pascoli. Difendeva, con tutte le sue forze, le sue proprietà, mettendo in primo piano, la libertà di vivere la sua vita, con la donna che amava e i suoi poderi. Infondeva coraggio alle vittime di tirannia e crudeltà, incapaci, per paura, di reagire, nel nome della legge e della verità. La trama s’intreccia con storie e personaggi diversi, i quali, danno la possibilità di ricostruire, con dovizia di particolari, uno spaccato della società degli anni 90. Temi centrali, il malaffare, la violenza, la sopraffazione, la vita sfrenata e priva di valori, dei mafiosi di turno.
Il corpo senza vita, di Giuseppe La Franca, adagiato sul ciglio della strada provinciale, il suo viso riverso nel fango, tracce di terra racchiusa in un pugno, sono immagini che, il tempo non potrà cancellare, ne dimenticare. La Franca sfida il tempo e lascia un’eredità morale che, spetta alle nuove generazioni, custodire e divulgare. Il passato rivive con una direttrice di marcia, costruire un futuro migliore.
Cortometraggio realizzato da Piero Melissano.
Soggetto di Francesco Billeci.
Sceneggiatura di Francesco Billeci e Francesca Currieri.

 

 

 

 

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