6 agosto 1991 Serrata (RC). Viene ucciso Domenico Randò, vittima innocente della faida di Laureana di Borrello.

1991 Domenico Randò – Serrata (RC) – 6 agosto 1991
vivi.libera.it

 

Domenico Randò è una delle tante vittime di cui non abbiamo trovato alcuna notizia, né online e neppure nei libri a ns. disposizione, ma che è nominato nelle liste, principalmente dell’associazione Libera, come vittima innocente.

 

 

 

Fonte: it.wikipedia.org

Il 6 agosto 1991 viene ucciso a Serrata Domenico Randò mentre Antonio Albanese riesce a salvarsi.

Faida di Laureana di Borrello
La faida di Laureana di Borrello è una faida scoppiata tra le ‘ndrine degli Albanese-Cutellè-Tassone e i Ferrentino-Chindamo-Lamari-D’Agostino a Laureana di Borrello in provincia di Reggio Calabria. Le indagini sono state aiutate dalla collaborazione di Annunziato Raso, Giuseppe Morano, Angelo Benedetto e Gaetano Albanese.
La faida si risolve con una pace voluta dai Mancuso di Limbadi dai Pesce-Piromalli e Bellocco per l’inconcludenza del conflitto.

Fratelli di sangue di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso
Luigi Pellegrini Editore, 2006

Faide di Arcangelo Badolati e Antonello Lupis
Klipper Editore, 2009

 

 

 

Fonte: archiviostampa.it
Articolo del 23 marzo 2006
‘ndrangheta: carabinieri arrestano boss Giuseppe D’Agostino
D’Agostino, 39 anni, ricercato da quasi dieci, è stato sorpreso all’interno di un’abitazione della periferia di Rosarno (Reggio Calabria), nel pieno di un summit con quattro affiliati.

ROMA – I carabinieri del Ros e dei «Cacciatori di Calabria» hanno arrestato nel pomeriggio il boss Giuseppe D’Agostino, inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi in ambito nazionale. D’Agostino, 39 anni, ricercato da quasi dieci, è stato sorpreso all’interno di un’abitazione della periferia di Rosarno (Reggio Calabria), nel pieno di un summit con quattro affiliati.

Al momento della cattura D’Agostino e gli altri stavano festeggiando con pesce spada e champagne. Alcuni dei presenti sono riusciti a scappare. «È un ennesimo colpo positivo – ha commentato il sostituto procuratore distrettuale antimafia Roberto Di Palma – che la Dda di Reggio Calabria mette a segno. Frutto – aggiunge – dell’impegno di tutti quanti, della bravura delle Forze di Polizia e dell’intuizione del procuratore di creare dei coordinatori per la cattura dei latitanti. Riteniamo che si trattasse di una vera e propria riunione di ’ndrangheta, la circostanza dei soggetti senza armi confermerebbe questo dato.

È il frutto – conclude il magistrato – di una lunga attività messa in atto che ci ha permesso di catturare altri latitanti».

Sul capo di D’Agostino, boss dell’omonima cosca della ’ndrangheta di Laureana di Borrello, oltre ad una condanna già definitiva per concorso in omicidio, pendevano numerosi provvedimenti cautelari per associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti ed altri omicidi.

Già alla fine degli anni ’80, il pericolosissimo criminale si era imposto nel corso della sanguinosa faida di Laureana di Borrello, che aveva visto contrapposte le cosche Albanese-Cutellè-Chindamo-Lamari-D’Agostino. Queste ultime, appoggiate dal clan Bellocco di Rosarno, erano riuscite ad affermarsi sul territorio, assumendo il controllo delle attività illecite dell’area ed acquisendo un ruolo di primo piano nel traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

Nell’ambito della stessa guerra di mafia, sono stati addebitati al D’Agostino dieci omicidi, tra cui l’uccisione di Michele Messina, avvenuta nel ’91 in provincia di Padova, e di Francesco De Bartolo, consumata sempre nello stesso anno in provincia di Reggio Calabria, eseguite su richiesta di Umberto Bellocco, alla cui cosca il D’Agostino ha sempre fatto riferimento.

Il blitz di oggi – spiegano gli investigatori – «rientra nell’incessante pressione investigativa dell’Arma che ha consentito, negli ultimi due anni, l’arresto di numerosi latitanti al vertice di altrettante cosche, quali Giuseppe Morabito, Pasquale Tegano, Gregorio Bellocco e i fratelli Giuseppe e Vincenzo Iamonte». Questi ultimi continuavano a dirigere le rispettive famiglie mafiose, da una latitanza condotta sul territorio calabrese, dove si sentivano protetti da una fitta rete di affiliati.

Alla cattura di D’Agostino i carabinieri sono arrivati «a conclusione di una serrata attività tecnica e di prolungati appostamenti».

 

 

 

Fonte: zoom24.it
Articolo del 16 ottobre 2017
Ndrangheta a Laureana, il pentito racconta le tensioni tra i clan e la guerra di mafia sfiorata
di Francesco Altomonte
Il collaboratore Dimasi racconta dei malumori tra Ferrentino e i Lamari per armi e estorsioni e i collegamenti con la malavita vibonese

Tra la fine degli anni ’80 e quasi tutti gli anni ’90 Laureana di Borrello fu teatro di una terribile faida che contrappose le cosche Chindamo-Lamari-D’Agostino e Cutellè-Albanese. Faida sulla quale soffiavano i clan pi importanti della Piana di Gioia Tauro – Piromalli, Molè e Bellocco – e i Mancuso del vibonese. La scia di sangue fu interrotta solo dagli arresti e dalle successive condanne inflitte nel processo denominato “Piano verde”.

Nuove tensioni
Lo scorso anno l’antimafia di Reggio Calabria ha portato a termine una nuova operazione chiamata “Lex” contro le cosche di Laureana di Borrello, “Ferrentino-Chindamo” e “Lamari”. Secondo i magistrati reggini, le cosche si sarebbero riorganizzate e avrebbero assoggettato il piccolo centro della Piana di Gioia Tauro, la sua economia e al politica. In quell’indagine è rimasto coinvolto anche Giuseppe Dimasi che, alla vigilia dell’udienza preliminare davanti al gup del Tribunale di Reggio Calabria, decide di saltare il fosso e inizia a parlare con l’ufficio di procura reggino. Tra i 48 imputati per i quali la procura distrettuale ha chiesto il rinvio a giudizio e accusati di fare parte, a vario titolo, delle cosche “Ferrentino-Chindamo” e “Lamari”, c’è anche Dimasi. Il giovane parla, tra l’altro, di nuove tensioni sorte tra le due cosche operanti in paese.

Ex alleati
Dimasi spiega che i rapporti tra i Chindamo-Ferrentino e i Lamari si sarebbero deteriorati, tanto da avere sfiorato lo scoppio di una nuova faida. “Tutto inizia – racconta Dimasi – da una discussione dell’anno 2014 tra i Silvano (Pino e Maurizio) con uno zio di Marco Ferrentino (presunto boss del clan ndr), Ferrentino Angelo, che abita a fianco della casa di Marco, per una questione banale legata alla circolazione stradale. I Silvano spararono allo zio di Marco. I Silvano hanno un magazzino edile…Da quel momento iniziarono i problemi a Laurena di Borrello. Marco Ferrentino faceva danneggiamenti a tutti coloro che avevano rapporti coi Silvano e i Ciancio e in automatico coi Lamari. Siccome i Lamari “tirarono dalla loro parte” i Silvano e i Ciancio, il dissidio si acuì. Di tutti i danneggiamenti il mandante è Marco Ferrentino e gli esecutori Alessio Ferrentino e Pino Pititto (che è un “azionista”) che teneva i rapporti con i vertici delle cosche vibonesi, Francesco Ferrentino. Dopo i danneggiamenti, puntualmente, per eludere le indagini salivano a Voghera.

L’arma della discordia
“Un alto motivo di attrito tra le cosche – aggiunge il collaboratore di giustizia – è avvenuto tra la fine del 2013 e l’inizio dell’anno 2014 per un kalashnikov che Signorello aveva procurato a Marco Ferrentino. So che fu trasportato da (omissis) dalla Svizzera in Italia e consegnato a Iaconis Fortunato in Lombardia perché lo portasse in Calabria a Marco. Seppi che il kalashnikov piacque a Lamari Angelo che lo pretese per sé e Iaconis fu costretto a darglielo. Marco Ferrentino pretese poi da Iaconis il corrispondente valore commerciale. Per questa cosa si innescò un litigio verbale che stava per scaturire per le vie di fatto tra Lamari Angelo e Marco Ferrentino. Io stesso avevo prenotato una pistola P38 da Signorello José che mi fu portata da (omissis) che vendetti ad un marocchino per 2000 euro o meglio chiesi ma non avendo la disponibilità economica la feci acquistare al marocchino. Nell’occasione vidi il kalashnokov e chiesi a (omissis) a chi lo avrebbe dato. In precedenza ero presente quando Signorello e Marco Ferrentino parlavano di quest’arma da procurare. Fu lo stesso Ferrentino Marco a raccontarmi poi il litigio con Lamari Angelo e che non era mai entrato in possesso dell’arma.

Il racket delle estorsioni
“Altro motivo di scontro – prosegue Dimasi – è stato rappresentato dal fatto che i Lamari “portarono con sé” i Silvano per motivi inerenti le estorsioni in paese. Rappresento che tutti i commercianti pagano il pizzo anche sotto forma di beni materiali ceduti gratuitamente. Fino all’anno 2014 (epoca in cui iniziano come ho detto i contrasti tra le cosche) Laureana aveva il suo locale di ‘ndrangheta ed il “responsabile del locale” era (omissis) e il mastro di giornata era compare Gianni…Dopo il tentato omicidio lesioni aggravate) che ho commesso, Marco Ferrentino mi propose di affiliarmi. Scendemmo in Calabria e andammo da compare Gianni. Questi mi accompagnò dal responsabile del locale (omissis). Non venne Marco perché era gia? in contrasto con i Lamarii, ma il locale ancora non era ancora “fermo”. Andammo a casa (omissis) che abita in zona denominata “Fusara”. (Omissis) prese tempo. Compresi che c’erano dei problemi. L’ostacolo per la mia affiliazione e? che avevo uno zio ex carabiniere, cioè il fratello di mia madre, che va di cognome Lamanna. Ovviamente Marco sapeva che avevo uno zio ex carabiniere, ma sosteneva la mia affiliazione e la sollecitava perche? sosteneva che il mio “sangue” e la mia “generazione” era Dimasi e non Lamanna. Rappresento che tra i Lamari c’erano delle conflittualita?, perche? i fratelli andavano a chiedere il pizzo alle stesse persone.

Danneggiamenti.
“Nell’ambito dei danneggiamenti compiuti quale espressione dei contrasti tra le due ndrine – conclude Dimasi – voglio citare: il danneggiamento a colpi d’arma da fuoco (fucilate) dell’abitazione di Zito. È stato Francesco Ferrentino. Me lo disse lo stesso quando eravamo in stato di libertà; danneggiamento a colpi d’arma da fuoco ai danni del veicolo tipo Smart dei fratelli D’Amico. A effettuare il danneggiamento furono Pititto Giuseppe, Ferrentino Alessio u stoccaru e Marco. Me lo ha detto Marco Ferrentino. So che Marco Ferrentino aveva creato rapporti stabili con soggetti del cosentino e del vibonese, grazie a Pititto”.