6 Novembre 1992 Foggia. Giovanni Panunzio, imprenditore, ucciso perché aveva denunciato i suoi estorsori.

Foto da Facebook

Giovanni Panunzio era un imprenditore edile, fu ucciso il 6 novembre del 1992 a Foggia mentre tornava a casa dopo aver assistito alla seduta del consiglio comunale che avrebbe poi approvato il nuovo piano regolatore di Foggia. Si trovava in via Napoli, a bordo della sua auto, quando due killer, a bordo di una motocicletta, lo affiancarono e lo crivellarono di colpi. Panunzio non si era piegato alle logiche degli estorsori, del racket. L’imprenditore 51enne, che da muratore era diventato un professionista affermato nel settore dell’edilizia, l’anno prima aveva avuto il coraggio di denunciare i propri estorsori, che gli avevano chiesto 2 miliardi di lire, denunciandoli in un memoriale inviato alla magistratura che aveva portato a quattordici arresti.

 

 

 

Fonte: manganofoggia.it
da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 7 novembre 1992  
Ucciso un Costruttore a Foggia
Il suo memoriale aveva inchiodato i mafiosi
di Gianni Rinaldi e Filippo Santigliano

Foggia- “Mentre noi qui discutiamo, hanno sparato ad un costruttore” … le parole del sindaco Salvatore Chirolli, alle 23,3o, gettano nel silenzio l’assise comunale impegnata nella maratona dell’adozione del piano regolatore generale, ancora non si sa in consiglio che l’imprenditore è morto. Ammazzato dal racket, probabilmente.

Giovanni Panunzio, 51 anni, uno dei più noti costruttori foggiani, l’uomo con il suo memoriale aveva portato all’arresto di 14 presunti mafiosi, è steso su un lettino del pronto soccorso. Scuotono la testa i medici davanti a quel corpo crivellato di colpi. Il foggiano, da oltre tre anni vittiva di richieste estorsive nell’ordine di un paio di miliardi, è caduto in un agguato alle 22,40 in via Napoli.

Giovanni Panunzio s’era trattenuto in consiglio sino a poco prima d’essere ucciso. Sulla sua “Y 10” percorreva via Napoli quando i killer (forse a bordo di una moto) sono entrati in azione, sparando quattro, forse più colpi di pistola. L’imprenditore, colpito alle spalle, al polso sinistro e sembra pure alla gola, s’è accasciato sul volante. Due persone l’hanno trasportato al vicino nosocomio, una corsa contro il tempo inutile.E la città continua a pagare il suo prezzo agli “uomini della paura”. Qui dove chi non paga il “pizzo”, chi non scende a patti col crimine organizzato, viene ammazzato.

Il racket aveva già mirato ad altezza d’uomo. L’aveva fatto il 29 aprile ’88 ferendo gravemente Eliseo Zanasi, ex presidente della sezione edili dell’Assindustria (tre persone arrestate, condannate in primo grado ed assolte in appello). Si era ripetuto un anno più tardi, il 10 aprile. Salvatore Spezzati, altro noto costruttore, su colpito al volto dalle pistolettate esplose da un motociclista mai identificato. Anche lui se l’era cavata dopo qualche giorno tra la vita e la morte.

Chi non ce l’aveva fatta era stato Nicola Ciuffreda, assassinato nel suo cantiere in pieno centro, la mattina del 14 settembre del ’90. Anche lui non aveva subito il ricatto della mafia foggiana che pretendeva la “solita” tangente di due miliardi.

Quella richiesta se l’era sentita fare tante, troppe volte, pure Giovanni Panunzio. La prima telefonata, nel dicembre ’89. Aveva tentato di scendere a patti con chi lo taglieggiava, dopo i primi avvertimenti (due persone gli si avvicinarono ma la pistola s’inceppò). Una prima tranche di 35 milioni venne consegnata – sostiene la squadra mobile – il 30 maggio del ’90 dal figlio ad un mediatore, arrestato.

Panunzio sapeva che poteva anche essere assassinato. Ecco perchè aveva affidato ad un memoriale le sue paure, i suoi sospetti, chissà fors’anche le sue certezze. E quel memoriale, poi confermato davanti al magistrato, il 27 dicembre scorso aveva fatto scattare un nuovo blitz antimafia in città. In carcere, con l’accusa di associazione di stampo mafioso finalizzata all’estorsione, erano finite 14 persone. Nomi anche di spicco della mala, come quelli di Giuseppe Spiritoso, Leonardo Piserchia, Antonio Bernardo, Pompeo Raffaele Carella, il padre Mario (morto qualche mese fa), Leonardo Corvino (l’uomo già arrestato nel maggio ’90 quando ritirò i soldi dall’imprenditore), Francesco Selicato, aniello Palmieri, Salvatore e Pasquale Campaniello (questi nove tuttora detenuti). Ed ancora Salvatore Chierabella (in libertà da qualche mese per le precarie condizioni di salute); Antonio Vinciguerra, Michele Delli Carri e Antonio Vincenzo Pellegrino, questi ultimi tre scarcerati due settimane dopo l’arresto per insufficienza d’indizi.

E mentre la città viene passata al setaccio, 17 minuti dopo la mezzanotte il consiglio vota il prg, mentre monta la rabbia dei costruttori. “Avete fatto ammazzare un uomo…”, “Siamo in guerra, siamo in guerra…”. Le urla si perdono dietro quell’imprenditore accompagnato fuori dalla polizia.

 

 

 

da “La Gazzetta del Mezzogiorno” dell’8 novembre 1992
Ed ora Foggia ha paura
Immediata la risposta: undici fermi e 4 ricercati
di Gianni Rinaldi

FOGGIA – Gli occhi non mentono. E basta guardarli per capire quanto sia stato duro il colpo. Tanto più doloroso perchè inatteso. Lo si capisce dal viso desolato del questore. Dallo sguardo angosciato del vice dirigente della squadra mobile. “Sono amareggiato”, un sussurro la voce del commissario. Dagli sguardi tesi e dagli scatti di nervi dei poliziotti. Gli hanno ammazzato l’uomo che aveva rotto il fronte dell’omertà. L’uomo che, dopo titubanze e tentativi di venire a patti col crimine, aveva puntato il dito contro la mafia foggiana. L’uomo punito due volte: per non aver pagato un “pizzo” da 2 miliardi e per aver osato parlare e accusare.

Sì il colpo è stato duro. Ma la risposta non si fa attendere. Undici i foggiani fermati su provvedimenti della procura, altri quattro ricercati. L’accusa parla di associazione mafiosa finalizzata ad una serie di estorsioni, a costruttori principalmente. “Ma in questo ambiente” rimarca il questore “è maturato l’omicidio”. Sono gli “uomini della paura” – sostengono poliziotti e magistrati ancora alla ricerca di prove – ad aver deciso pollice verso per Giovanni Panunzio, 51 anni, il costruttore ucciso alle 22,40 di venerdì. Rincasava, dopo aver assistito al consiglio comunale. “Una coincidenza, niente più”, s’affrettavano a smentire gli investigatori eventuali collegamenti tra l’agguato e l’adozione del piano regolatore generale atteso per anni.

Non se l’aspettavano quell’esecuzione brutale e plateale. Quel messaggio di forza del racket anche incurante, al momento di colpire, dei “suoi” uomini detenuti proprio per il taglieggio a Panunzio. Il costruttore era un “sorvegliato saltuario”!, godeva di una vigilanza “radio-collegata”. Quando si muoveva e lo comunicava, la polizia lo scortava. “Volanti” e auto della “Mobile” pattugliavano di tanto in tanto la casa, il cantiere, gli uffici, i Grandi magazzini Ferri di cui era socio. “Vigilanza saltuaria”. Ora ci si rende conto che non bastava. Che non poteva essere sufficiente.

E non se l’aspettava nemmeno Giovanni Panunzio, ex muratore che con gli anni aveva messo su una nota impresa di costruzioni. No, l’imprenditore non credeva che il racket lo colpisse adesso, pur sapendo bene di essere da tempo “l’uomo nel mirino”. Solitamente girava armato a bordo del suo “fuoristrada” blindato, l’imprenditore le cui accuse il 27 dicembre scorso avevano portato all’arresto di 14 presunti mafiosi, nove dei quali tuttora detenuti.

L’altra sera ha lasciato blindato e arma per tornarsene sulla “Y 10” nuova di zecca. Due centauri lo affiancano (ma non ci sono testimoni oculari), sparando diversi colpi con un revolver calibro 38.

Chi ha informato i sicari? Chi ha detto che Panunzio abbandonava la sala consiliare? La polizia acquisisce la cassetta di una emittente locale che aveva ripreso l’ultima seduta consiliare. Scrutano tra la gente, sperando di trovare la “vedetta”.

Pochi dubbi tra gli investigatori – ma anche poche prove – sull’ambiente nel quale è maturato l’omicidio. L’intera procura (il capo Baldassarre Virzì, i sostituti Roccantonio D’Amelio, Massimo Lucianetti e Giovanni Carofiglio) firma i 15 provvedimenti di fermo. Sull’elenco che alle 18,45 viene reso noto in Questura si leggono i nomi di Michele Mansueto, 38 anni; Cesare Antoniello (32); Donato Delli Carri (23); Teodorico Casorio (40); Mario Francavilla (39); Franco Spiritoso (33); Federico Trisciuoglio (39); Alfonso Gatta (44); Antonio Vinciguerra (45); Antonio Pota (42); Angelo Maglione, ventisettenne, rintracciato nella tarda serata.

Molti già coinvolti nel blitz antimafia del maggio ’91 (38 gli arrestati). Uno, Vinciguerra, già arrestato nel dicembre scorso, e scarcerato dopo due settimane, proprio per l’estorsione a Giovanni Panunzio.

Quali sono gli elementi raccolti? E’ una conferenza stampa amara quella tenuta dal Questore Domenico Bagnato, assediato dai cronisti.

“L’indagine va avanti dal ’91; già nel dicembre scorso portò all’arresto di 14 indagati per mafia” è laconico il Questore. Lancia anche lui il suo messaggio “Ci saranno presto altri sviluppi. Polizia e magistratura hanno dato una risposta ferma a fatti di estrema gravità”.

Una risposta fornita dopo l’omicidio, un blitz scattato in ritardo, pare già di sentirle le critiche. “No, non si poteva prevedere. Anche Panunzio da un bel po’ di tempo non ci comunicava i suoi spostamenti. Non aveva ricevuto minacce recentemente. Certo, l’omicidio ha accelerato l’emissione dei provvedimenti restrittivi. Le indagini, che andavano avanti da tempo, hanno bisogno di prove. Dopo quanto successo, abbiamo per quegli episodi estorsivi per i quali avevamo elementi sufficienti”. Bagnato lascia la conferenza e torna giù, negli uffici della squadra mobile. Il pomeriggio il questore l’ha trascorso in Prefettura, dove è stato convocato in tutta fretta il comitato provinciale per la sicurezza e l’ordine pubblico.

Mentre già si parla di nuova visita della Commissione antimafia. L’ha chiesta formalmente il segretario, l’on. Franco Cafarelli, al presidente Luciano Violante. In una città impaurita per il messaggio della mafia (guai a parlare), in attesa di stringersi intorno ad un uomo che non voleva essere eroe (forse oggi i funerali), in una città che conta l’ennesima vittima del racket, ci si deve chiedere: ed ora a chi toccherà?

 

 

 

Articolo dal Corriere della Sera del 15 Novembre 1992
Foggia, è già in cella uno dei killer di Giovanni Panunzio
L’ imprenditore edile venne ucciso dal racket la sera del 6 novembre mentre rincasava.
di Giancarlo Piraino
Si tratta di Delli Carri Donato 23 anni: nonostante la sua giovane età sarebbe già una figura di spicco della malavita locale.

FOGGIA . Ha appena 23 anni il presunto killer di Giovanni Panunzio, l’imprenditore edile ucciso il 6 novembre perché aveva denunciato i suoi taglieggiatori, eppure è una figura già di spicco della malavita foggiana. Donato Delli Carri, questo il suo nome, si è visto notificare ieri in carcere un’ordinanza di custodia cautelare dal Gip di Bari. L’accusa, che è ora di “omicidio aggravato volontario”, “stralcia” la posizione del Delli Carri da quella delle altre 10 persone fermate con lui all’ indomani dell’agguato, trattenute con la più lieve ipotesi di “associazione per delinquere di stampo mafioso”. “Ha trovato conferma, dice il questore Domenico Bagnato, l’ipotesi che avanzammo subito dopo il delitto, che gli assassini andassero cercati nel racket delle estorsioni, tra quelle stesse persone che Panunzio aveva denunciato in un memoriale inviato l’anno scorso alla magistratura e che aveva portato a quattordici arresti. Stiamo ora lavorando per scoprire i complici di Delli Carri, che quella sera evidentemente in via Napoli non andò evidentemente da solo”. Dal segreto istruttorio trapelano alcune indiscrezioni. Si sa, ad esempio, che c’è un “pentito” del racket. La sua collaborazione è iniziata prima dell’assassinio di Panunzio, ma l’uomo può aver fornito informazioni preziose per gli inquirenti. Forse ha sortito qualche effetto anche l’appello lanciato dal figlio dello scomparso, Michele, all’indomani dei funerali: “Foggiani, chi ha visto uccidere mio padre vada a dirlo alla polizia”. Poi ci sono stati il ritrovamento di una Fiat Uno targata Forlì e di un revolver calibro 45 abbandonato al suo interno, che sembrano essere stati l’auto e l’arma usati nell’agguato di via Napoli. Delli Carri fa parte del clan degli Spiritoso, una delle famiglie dominanti nella mala foggiana. Alcuni suoi esponenti sono tra i dieci fermati e tra le persone rimaste in carcere dopo la denuncia per tentata estorsione fatta un anno fa da Giovanni Panunzio. Il giovane fa parte di un temuto “gruppo di fuoco”. Già l’anno scorso era stato imputato per l’uccisione di un associato a un clan avversario, Vincenzo Lioce. La Corte d’assise dovette però assolverlo perché all’ ultimo momento era venuta meno una testimonianza decisiva. Giovanni Panunzio fu ucciso mentre tornava a casa dopo aver assistito alla seduta del consiglio comunale che avrebbe poi approvato il nuovo piano regolatore di Foggia, uno strumento di cui la città era restata priva per trent’anni. In via Napoli, alla periferia della città , l’auto degli assassini affiancò la sua Y10: quattro colpi di pistola raggiunsero l’imprenditore al petto. La morte di Giovanni Panunzio aveva provocato in città sgomento e polemiche: era il sesto imprenditore in due anni finito sotto i colpi dei killer.
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Articolo del 30 luglio 1994  da  ricerca.repubblica.it 
DELITTO PANUNZIO, 46 CONDANNE

FOGGIA – E’ stato condannato all’ ergastolo Donato Delli Carri, considerato l’ esecutore materiale dell’ uccisione di Giovanni Panunzio, il costruttore foggiano che aveva denunciato il racket delle estorsioni e che per questo fu assassinato il 6 novembre del ‘ 92 appena uscito dal municipio di Foggia. La sentenza di primo grado è stata emessa ieri pomeriggio dalla Corte d’ assise del capoluogo Dauno nell’ ambito del processo a 68 tra affiliati e fiancheggiatori della criminalità organizzata foggiana accusati a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso, di due omicidi, di traffico di stupefacenti e di estorsione. La corte ha deciso 46 condanne, oltre a quella di Delli Carri, e 21 assoluzioni – riservate per lo più a personaggi considerati di secondo piano – ed ha riconosciuto l’ esistenza del reato di associazione per delinquere di tipo mafioso. Accogliendo buona parte delle richieste del pm, Giovanni Carofiglio, il presidente, Pio D’ Errico, il giudice togato Salvatore Casiello e i giudici popolari hanno condannato tutti i presunti capiclan e i loro luogotenenti a pene comprese tra i sei ed i 23 anni di carcere. Ad alcuni imputati ritenuti “fiancheggiatori”, sono invece state inflitte pene inferiori. Diciotto anni di reclusione ad uno dei due boss “storici” della malavita foggiana, Rocco Moretti, mentre nove anni per l’ altro capoclan, Giosuè Rizzi (condannato di recente a 29 anni quale mandante del quadruplice omicidio del circolo privato “Bacardi”, un regolamento di conti compiuto nel ‘ 90): per Rizzi, diversamente da quanto valutato dal pm – che aveva chiesto 18 anni – la corte non avrebbe riconosciuto un ruolo specifico negli episodi di traffico di droga contestati. Per Delli Carri, che a giudizio dell’ accusa è un sicario professionista al servizio dei clan, alla pena dell’ ergastolo ne è stata affiancata una di sei anni di reclusione per il reato associativo. Tra le altre condanne più pesanti ai presunti capi mafiosi, 23 anni sono stati inflitti a Michele Mansueto, 22 anni e sei mesi a Federico Trisciuoglio e 18 ad Antonio Vincenzo Pellegrino. E’ stato condannato a sei anni di carcere anche Claudio Modeo, esponente della più nota famiglia criminale di Taranto, che avrebbe presieduto le cerimonie di affiliazione dei “mafiosi” foggiani in carcere. E’ stato inoltre condannato a 18 anni di reclusione Leonardo Piserchia, l’ altro imputato per il quale l’ accusa aveva chiesto l’ ergastolo: pur considerandolo tra gli elementi di rilievo dei clan,la corte lo ha assolto dal reato di omicidio. Contro i clan foggiani, erano state ammesse le costituzioni di parte civile della famiglia Panunzio, della Presidenza del Consiglio, del Ministero dell’ Interno, del Comune di Foggia, dell’ Associazione industriali e della “Sos Impresa” fondata da Tano Grasso. A tutti, stabilisce la sentenza, gli imputati condannati dovranno pagare le spese processuali e risarcire i danni morali e materiali da liquidare in sede di processo civile.

 

 

 

 

Intervento di Luigi Ciotti in occazione della commemorazione di Giovanni Panunzio

Intervento di Luigi Ciotti, presidente di “Libera – Associazioni, Nomi e numeri contro le mafie”, in occasione del 18° anniversario della morte di Giovanni Panunzio, imprenditore edile ucciso a Foggia nel 1992 dalla malavita locale. La famiglia ha chiesto a Don Ciotti di innaugurare, per l’occasione, la Piazza dedicata alla vittima.
Presenti le autorità cittadine e provinciali, il figlio della vittima Michele Panunzio, Daniela Marcone, coordinatrice del Coordinamento Provinciale di Libera Foggia e Pinuccio Fazio, padre di Michele, ucciso per errore in una sparatoria tra clan a Bari Vecchia.

 

 

 

Articolo del 31 Ottobre 2011 da  foggiatoday.it 
Omicidi Panunzio e Ciuffreda: mafia foggiana dovrà risarcire 6 milioni di euro allo Stato
Omicidi Panunzio e Ciuffreda: mafia foggiana risarcirà Stato
Omicidi Panunzio e Ciuffreda: mafia foggiana dovrà risarcire 6 milioni di euro allo Stato
Cinque milioni alla presidenza del Consiglio e uno al Ministero dell’Interno. Gli imprenditori edili foggiani furono uccisi nel ’90 e nel ’92 per non essersi piegati al ricatto di una tangente di 2 miliardi

Omicidi Panunzio e Ciuffreda: mafia foggiana dovrà risarcire 6 milioni di euro allo Stato
Gli assassini degli imprenditori edili foggiani Giovanni Panunzio e Nicola Ciuffreda uccisi rispettivamente il 6 novembre del 1992 e il 14 settembre del 1990 “perché si erano opposti e non avevano subito il ricatto della criminalità organizzata che pretendeva la “solita” tangente di due miliardi“, dovranno pagare 6 milioni di euro, di cui 5 alla presidenza del Consiglio e 1 al Ministero dell’Interno.

Omicidi Panunzio e Ciuffreda: mafia foggiana dovrà risarcire 6 milioni di euro allo Stato
A stabilire la cifra del risarcimento è stato il Tribunale di Bari, che ha accolto il ricorso dell’Avvocatura dello Stato. Sono 36 gli imputati accusati di associazione di stampo mafiosa, droga e omicidi che dovranno pagare la cifra. Alcuni però sono stati assassinati nel corso degli anni.

 

 

 

Articolo del 7 Novembre 2012 da narcomafie.it
Quanto l’antimafia parla pugliese
di Marika Demaria

In questo articolo vogliamo raccontarvi il volto della Puglia che si ribella al cliché di culla della Sacra corona unita, prendendo spunto da una serie di iniziative che si sono svolte sul territorio nel corso di questi ultimi mesi.

Via Napoli, Foggia. Ore 22.40 del 6 novembre 1992. Giovanni Panunzio, alla guida della sua “Y10″, viene affiancato da due killer che, a bordo di una motocicletta, esplodono diversi colpi di arma da fuoco. L’imprenditore 51enne, che da muratore era diventato un professionista affermato nel settore dell’edilizia, aveva avuto il coraggio di denunciare i propri estorsosi che gli avevano chiesto 2 miliardi di lire.

A distanza di vent’anni, la città di Foggia si è fermata per ricordare, per domandarsi “Cosa è cambiato”: questo il titolo dell’evento che ieri, martedì 6, si è svolto presso l’aula magna del Dipartimento di Giurisprudenza di Foggia, organizzato dal Coordinamento provinciale di Foggia dell’associazione Libera in collaborazione con l’Università degli Studi di Foggia, la “Rete della Conoscenza Puglia” e il sindacato studentesco “Link Foggia”, moderato da Tano Grasso, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane. Diverse le istituzioni militari e politiche presenti all’iniziativa, pronte a ricordare, a non dimenticare quel 6 novembre 1992. È stato sottolineato che la città pugliese non si è ancora dotata di un’associazione antiracket, mentre Daniela Marcone ha fatto notare l’assenza delle sigle di categoria, che invece avrebbero dovuto presenziare per «denunciare che il clima è cambiato, che l’illegalità è stata sconfitta». La giovane donna, oltre ad essere la coordinatrice di Libera Foggia, è la figlia di Francesco Marcone, il direttore dell’Ufficio del registro ucciso a Foggia il 31 marzo 1995. Commovente l’incontro che ha avuto con Michele Panunzio, figlio dell’imprenditore ucciso, la cui figura – sempre nell’ambito dell’incontro di ieri – è stata ricordata anche attraverso la proiezione di un filmato curato dalla giornalista Michela Magnifico.

Continua dunque il fermento antimafioso pugliese. Meno di un mese fa, Brindisi si è trasformata in “capitale dell’antimafia” grazie all’impegno della scuola di formazione politica Antonino Caponnetto, dell’ideatore Nando Benigno e delle amministrazioni comunale e regionale. Una kermesse di tre settimane culminata con l’evento conclusivo del 19 ottobre: una “Serata della memoria” in ricordo di Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. C’è stato anche spazio per il ricordo di Melissa Bassi, la giovane studentessa uccisa in seguito all’attentato brindisino dello scorso 19 maggio, davanti alla scuola “Falcone-Morvillo”. Una giornata che rivive anche attraverso le parole di Salvatore De Giorgio, che quel giorno era in città con il furgone della Carovana Antimafia Internazionale promossa dall’Arci, Avviso Pubblico e Libera e che in pochi mesi ha percorso tutta l’Italia e valicato i confini nazionali comunicando lo slogan “Fare società”.

“Alzatomi presto e partito per primo, mi avvio verso la mia meta: Maglie. Giunto all’altezza di Lecce squilla il telefono, è il coordinatore nazionale con cui ci teniamo in costante contatto telefonico: «È esplosa una bomba a Brindisi davanti ad una scuola – mi dice – il fatto è grave, è morta una ragazza e ce ne sono delle altre ferite in modo gravissimo. Torna verso Brindisi e ci incontriamo vicino alla scuola, ovviamente salta tutto il programma!».
Giunto a Brindisi, ho come l’impressione che tra la gente la vita scorresse come tutti gli altri giorni, come se quanto accaduto fosse una cosa normale. Le informazioni arrivano col contagocce, intanto una folla di persone tra curiosi e giornalisti si è radunata attorno al perimetro tracciato dalle forze dell’ordine impegnate nei rilievi ed indagini del caso.
Si sente in giro (notizia passata anche da qualche notiziario) che l’attentato possa essere legato proprio al passaggio della Carovana Antimafie in quella che è una terra culla della Sacra corona unita, notizia infondata in quanto non era prevista una sosta in città.
Intanto le ore passano, arrivano i rappresentanti istituzionali delle più forti associazioni che si occupano di antimafia tra cui Paolo Beni per l’Arci e Don Luigi Ciotti per Libera. Raggiungiamo il luogo dell’esplosione e qui ci si rende conto di persona di quanto sia stata devastante l’esplosione: nel preciso momento in cui si realizza la forza dirompente della detonazione ecco che un altro tipo di bomba esplode nei cuori di noi tutti, quella emotiva. Ma non bisogna fermarsi, bisogna andare avanti. Per Melissa, per tutti i giovani”. E così è stato.

 

 

 

6_ novembre_ 1992. Il coraggio di un uomo
di Michela Magnifico
Edito da La Meridiana 2017

Con la collaborazione di Giovanna Belluna
Prefazione a cura di Agostino De Paoli

Una data può segnare una fine, una svolta, un nuovo inizio.
La data del 6 novembre del 1992 rappresenta per la città di Foggia tutto questo insieme.
La fine è quella della vita di Giovanni Panunzio, l’imprenditore edile che non si era limitato a dire no al pizzo, ma da subito aveva reso pubblico il suo rifiuto rompendo lo schema che vedeva l’imprenditoria del mattone nella Capitanata
sotto scacco della mafia. Un sistema solido e perverso, condizione necessaria per costruire a Foggia. La mafia controllava e assicurava. Panunzio sceglie di farsi proteggere dallo Stato. Denuncia. Collabora. Per questo deve morire ammazzato.
E muore.
L’omicidio Panunzio è stato un punto di svolta per polizia e magistratura, la conferma che la mafia foggiana esisteva e che i primi segnali risalivano a un decennio prima.
Una mafia che, per scelta, aveva tenuto, fino all’assassinio dell’imprenditore, un profilo basso, tessendo tutta una serie di legami con la parte sana della società civile. La stessa che non si era mai ribellata al potere mafioso, che non aveva mai creato uno spartiacque preciso tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Il salto di scala fatto dalla mafia negli anni, con l’omicidio Panunzio diviene manifesto.
Come anche diviene manifesto che qualcosa di sano è possibile nella società civile.
Panunzio, imprenditore sano viene ucciso e Mario Nero, cittadino che per caso assiste alla fuga dell’assassino, racconta ciò che ha visto divenendo testimone di giustizia.
Per questo il 6 novembre del 1992 è una data che segna un nuovo inizio ancora possibile per Foggia.
Grazie alla testimonianza di Mario Nero, il processo viene non solo celebrato ma anche concluso arrivando a condanne definitive.
La fine di Giovanni è l’inizio anche di una costante, attiva, continua testimonianza della famiglia e di quanti intorno a lei hanno fatto del no alla mafia di Giovanni la ragione per immaginare una città diversa che parla e non tace, che spezza catene di omertà e disegna legami con la società civile sana. Che anche a Foggia c’è e ha bisogno di riconoscersi e ritrovarsi.
Vent’anni dopo ricordare con un libro Giovanni è non rendere vano il coraggio di un uomo.
E ripartire ancora.

 

 

 

Fonte: vivi.libera.it
Giovanni Panunzio
È intraprendente Giovanni, non si scoraggia mai. È un gran lavoratore, che si è fatto da solo. E per questo non accetta che qualcuno gli imponga con la violenza di essere pagato senza lavorare. Non ha paura di parlare e di denunciare.

Giovanni Panunzio nasce a Foggia il 4 febbraio del 1941. Presto rimane orfano di padre e per questo, ancora ragazzino, capisce di dover aiutare la sua modesta famiglia. Inizia distribuendo il pane casa per casa e poi lavora come aiuto-carpentiere nei cantieri. È un ragazzo intraprendente Giovanni, anche se non ha la possibilità di finire la scuola, si mette da solo a studiare le tecniche per migliorarsi sul lavoro tanto che, presto, diventa carpentiere.
Giovanni impara velocemente e si applica con costanza così, dopo anni di continuo lavoro, riesce a metter su una sua impresa di costruzioni: dapprima inizia a costruire in provincia e poi, qualche tempo dopo arriva in città.
Lavora con dedizione e impegno, diventando così, a soli 51 anni, uno tra i più importanti costruttori del capoluogo foggiano, dando lavoro a più di 70 persone.

L’inizio delle minacce

Siamo alla fine degli anni ’80 e la pressione della mafia locale, sempre più organizzata e ramificata in Capitanata, si imprime sull’imprenditoria edile foggiana, stretta tra la necessità di regolamentare la città con un piano regolatore e la morsa del racket.
La vita di Giovanni sembra percorrere su binari sicuri, trascorre le sue giornate dividendosi tra il lavoro e la sua amata famiglia, che nel frattempo si è allargata con l’arrivo dei suoi quattro figli, ma tutto viene improvvisamente stravolto una sera qualunque di dicembre del 1989, quando Giovanni viene raggiunto da una telefonata. Gli vengono fatte richieste estorsive da parte della mafia foggiana, la cosiddetta “Società”, per due miliardi di lire. Giovanni non cede al ricatto. Iniziano così a susseguirsi i primi avvertimenti, minacce sempre più frequenti, sia personali sia rivolte alla sua famiglia. Un giorno due persone gli si avvicinano e gli puntano addosso una pistola che però, per un caso fortunato, s’incepperà. Un omicidio fallito. Giovanni inizia ad aver paura, si confida con le Forze dell’Ordine e gli viene assegnato un trattamento di semi-scorta: deve avvisare la Questura di ogni suo spostamento. Giovanni sa che rischia la vita ma sceglie ugualmente di schierarsi dalla parte giusta, sceglie di rompere il muro dell’omertà e di puntare il dito contro la mafia foggiana e di affidare le sue paure, i suoi sospetti, le sue certezze a un memoriale che consegnerà ai Carabinieri per denunciare i suoi estorsori. E proprio quel memoriale, nel dicembre del 1991, fa scattare un blitz in città da cui scaturiscono numerosi arresti di esponenti di spicco della mafia locale. Giovanni, con la sua voglia di reagire, ha così incrinato le maglie dell’omertà, rotto la barriera del silenzio colpevole e la risposta della mafia non si farà attendere.

“Sono passati 27 anni dall’omicidio di Giovanni Panunzio, e ci ritroviamo nelle stesse condizioni, e nel frattempo ci sono state altre persone che hanno perso la vita. Non ci sono scusanti per la paura, che abbiamo superato quando eravamo soli, oggi ci sono le istituzioni che fanno il loro dovere e le associazioni, oggi ci sono tutte le condizioni per denunciare senza correre grossi pericoli, bisogna avere un pizzico di coraggio in più. Dobbiamo contrastare sin da subito i piccoli reati”.
Giovanna Belluna – nuora di Giovanni Panunzio

Il 6 novembre 1992

È il 6 novembre del 1992, è sera, Giovanni è ad assistere a un’accesa seduta del Consiglio Comunale cittadino dove deve essere approvato il nuovo piano regolatore della città. Non aspetta la conclusione della seduta, esce dalla sala consiliare, sale sulla sua Y10 e si dirige verso casa. È il giorno del suo anniversario di matrimonio e vuole fare una sorpresa a sua moglie. Sta percorrendo via Napoli, via centrale della città, situata poco distante dal Comune, quando i killer entrano in azione sparando quattro o forse più colpi di pistola. Giovanni, colpito alle spalle, al collo e al polso, si accascia sul volante; a nulla servirà la corsa contro il tempo per raggiungere il vicino ospedale. Alle 22:40 la mafia interrompe la vita di quell’uomo che deve esser punito due volte: per non aver pagato il pizzo e per aver osato parlare.

Vicenda giudiziaria

Con l’omicidio di Giovanni viene fuori la fragilità di una città che si scopre – nuovamente, dopo l’omicidio di un altro imprenditore edile, Nicola Ciuffreda, il 14 settembre del 1990 – preda della paura. L’indomani mattina i cittadini foggiani devono prendere coscienza della reale forza della criminalità locale, di come quest’ultima sia radicata anche nell’imprenditoria e nella politica.
Grazie alla testimonianza di Mario Nero – un uomo che quella sera stava portando a spasso il suo cane proprio in via Napoli, assistendo così all’omicidio di Giovanni e che diventerà testimone di giustizia – il processo viene non solo celebrato, ma anche concluso arrivando a condannare con sentenza definitiva l’esecutore materiale.
E grazie alla sentenza del maxi – processo Panunzio per la prima volta viene sancita l’esistenza di una criminalità organizzata di stampo mafioso radicata sul territorio dauno, diversa e indipendente dalle altre storiche mafie meridionali, che da quel momento in poi verrà chiamata la Società.

Memoria viva

I familiari di Giovanni sono stati sempre attivi affinché la sua memoria non cadesse nell’oblio.
Nel 2015, grazie all’impegno di un gruppo di volontari e di Giovanna Belluna, nuora di Giovanni e moglie di Michele Panunzio, è nata l’Associazione “Giovanni Panunzio – Eguaglianza Legalità Diritti” che si propone di agire nel territorio della Capitanata per offrire il proprio contributo al contrasto dei fenomeni di criminalità organizzata, soprattutto quelli legati al racket, nonché al contrasto delle discriminazioni contro le persone socialmente svantaggiate, anche a causa dell’illegalità diffusa, con un’attenzione per le questioni legate al genere.
Alla memoria di Giovanni è stata inoltre intitolata l’Associazione Antiracket di Portici.
La Meridiana ha pubblicato un libro dal titolo “6_Novembre_1992. Il coraggio di un uomo” scritto da Michela Magnifico.

 

 

 

 

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