8 Aprile 1994 Nola (NA). Uccisa Maria Grazia Cuomo, innocente vittima di una vendetta contro un collaboratore di giustizia.

Maria Grazia Cuomo aveva 56 anni , non era sposata e stava sempre chiusa in casa per colpa di una brutta voglia violacea sul viso; viveva a Nola (NA) con la sorella, moglie di un lontano parente del boss camorrista Carmine Alfieri, diventato collaboratore di giustizia.
L’8 dicembre del 1994 un commando di killer entrò nell’abitazione con l’intento di uccidere il figlio del collaboratore di giustizia. Non l’hanno trovato ed hanno scaricato il caricatore verso il letto dove Maria Grazia riposava.
” Doveva essere una punizione esemplare. Una lezione che non si dimentica, diretta a chi in quei mesi stava smontando pezzo per pezzo il sistema camorra, facendo arrestare decine di affiliati ai clan”

 

 

 

“La Repubblica” del 9 Aprile 1994
TERRA BRUCIATA INTORNO AD ALFIERI
di Stella Cervasio

NOLA – Volevano il figlio del boss pentito. Lo avrebbero ucciso, per dimostrare a tutti i pentiti che tradire non paga. Per questo un commando di killer incappucciati e armati di Kalashnikov sono entrati in un casolare di campagna di Saviano, il paese che confina con quello del capoclan camorrista Carmine Alfieri. Cercavano suo figlio Antonio di 26 anni. Non l’ hanno trovato, e hanno scaricato i mitra nella stanza da letto, uccidendo Maria Grazia Cuomo, 56 anni, cognata di Francesco Alfieri, lontano parente del boss. Doveva essere una punizione esemplare. Una lezione che non si dimentica, diretta a chi in questi ultimi mesi sta smontando pezzo per pezzo il sistema camorra, facendo arrestare decine di affiliati ai clan. Prima Pasquale Galasso, luogotenente di Alfieri, poi il padrino, proprio lui. Con le loro confessioni ai giudici dell’ Antimafia hanno ricostruito un decennio di dominio della criminalità organizzata: omicidi, collusioni, legami pericolosi con politica, imprenditoria, magistratura. Tanti altri pentiti hanno seguito il loro esempio. Ma quel che resta della camorra non ci sta. Uccidere Alfieri junior doveva servire a far tacere suo padre. Un progetto pensato a lungo dagli “orfani” dei clan, traditi dai loro referenti. Fino a quando è arrivata una “soffiata” sicura, che ha spinto il commando a entrare in azione. Ma ha sbagliato tutto, il gruppo di fuoco di Nola: i tempi, la strategia. Antonio non c’ era, non poteva esserci. Da mesi, come gli altri congiunti del padrino arrestato nel ‘ 92, è nelle mani del Servizio centrale di protezione, la struttura del ministero che si occupa dei parenti dei collaboratori di giustizia.
I nemici del padre si sono fidati di voci insistenti che dicono che Antonio Alfieri è un ribelle, uno che ama vantarsi in giro, assicura che non ha bisogno di essere protetto. Spesso il giovane avrebbe dato filo da torcere ai servizi speciali di polizia che seguono le sue sorti. Antonio sarebbe addirittura sparito dal luogo segreto dove è ospitato, per andare a trovare gli amici. E tra questi, Saverio, Luigi e Carmela Alfieri, tre ragazzi con i quali era cresciuto, che si chiamano Alfieri come lui. C’ è chi sostiene che Antonio sia rimasto per qualche tempo presso gli Alfieri. Operaio in una fabbrica, Francesco Alfieri, omonimo di un cugino del boss che ospitava nella sua villa potenti politici democristiani, aveva aperto al ragazzo in cerca di un rifugio le porte del casolare dove viveva con la moglie Giuseppina Cuomo, di 50 anni, la sorella di lei Maria Grazia, che non si era sposata e stava sempre chiusa in casa per colpa di una brutta voglia violacea sul viso, e i tre figli di 26, 27 e 21 anni. Ed è proprio in quel casolare che l’ altra sera, alle undici e mezza, hanno fatto irruzione i killer. Hanno lasciato la macchina lontano, si sono mossi a piedi nelle viuzze di campagna che portano alla palazzina. Un edificio a poche centinaia di metri dalla villetta di un italo-americano (proprio ieri dissequestrata dai giudici) in cui i carabinieri trovarono, nascosto in una botola, il boss Alfieri. La porta era aperta, è bastato darle un calcio. Un cenno minaccioso alla figlia del tappezziere che guardava la televisione in cucina e i sicari, imbracciando i fucili, sono entrati in camera da letto, gridando: “Dov’ è Antonio?”. Nessuna risposta, dalla famiglia agghiacciata dal terrore. Allora hanno fatto fuoco, colpendo a morte la zia, ancora avvolta tra le lenzuola. L’ hanno scampata per miracolo gli altri nipoti, Saverio, che era appena rientrato e si stava spogliando nel bagno, e Luigi, che già dormiva nel letto accanto. Poi il commando si è diviso, ha girato ancora per la casa, sperando sempre di trovare il suo vero obiettivo. Ma del ragazzo nessuna traccia. Nell’ altra camera c’ era invece Francesco Alfieri con la moglie. I killer l’ hanno gambizzato. Resterà venti giorni in ospedale: è stato il primo ad essere ascoltato dai pm della Direzione nazionale antimafia Franco Roberti e Paolo Mancuso, che con i carabinieri hanno interrogato per tutta la notte i familiari della vittima. Le prime ipotesi parlano di un gruppo di superlatitanti prima legati ad Alfieri che non hanno gradito il suo pentimento e hanno un piano: seminare il terrore tra chi può fornire appoggi ai parenti del padrino. Un gruppo di fuoco che avrebbe fatto fronte comune con alcuni ex nemici del boss, formando una nuova, temibile cosca. “Sono ancora potenti – dice don Riboldi, l’ arcivescovo di Acerra, che qualche tempo fa annunciò la resa di centinaia di camorristi desiderosi di dissociarsi – come denaro, come persone, per la loro capacità di aggregare. In questo momento direi che sono paurosi e stanchi, vorrebbero smetterla, ma sono ancora potenti”.

 

 

 

 

Dal libro: Dead Silent  Life Stories of Girls and Women Killed by the Italian Mafias, 1878-2018 di Robin Pickering Iazzi University of Wisconsin-Milwaukee, rpi2@uwm.edu

 

 

 

 

 

 

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