8 Dicembre 1946 Palermo. Assassinato Raffaele Sicurella, 43 anni, maresciallo di pubblica sicurezza. «Il sottufficiale prestava servizio da vent’ anni al commissariato Porta Nuova, accudiva alla sua missione con zelo e giustizia»
Raffaele Sicurella prestava servizio presso il Commissariato di Pubblica Sicurezza “Porta Nuova” di Corso Calatafìmi di Palermo. L’8 Dicembre 1946 era stato comandato di servizio di ordine pubblico alla processione zonale della Madonna Immacolata.
In Piazza Indipendenza, quando il simulacro stava per inoltrarsi lungo la via Giuseppe Pitrè, per rientrare nella chiesa dei Cappuccini, sita nella Piazza omonima, venne attirato in un’imboscata e barbaramente trucidato con sei colpi di pistola, sparati a bruciapelo da uno sconosciuto, che fu visto riporre l’arma in tasca ed allontanarsi fra la folla. Le indagini immediatamente avviate dalla Squadra Mobile e dai Commissariati Porta Nuova e Vespri portarono al fermo di dieci indiziati, ma non riuscirono ad individuare il responsabile.
Il Brig. Sicurella prestava servizio in quella zona da 16 anni e si stava occupando di un triplice omicidio avvenuto poco tempo prima. Secondo quanto emerso dalle indagini, era arrivato vicino all’identificazione dei colpevoli, tanto da aver ricevuto gravissime minacce e l’intimazione di non rimettere più piede nel quartiere. Lasciò la moglie ed otto figli, di cui due gravemente malati.
Dal quotidiano “La voce della Sicilia”, martedì 10 dicembre 1946, archivio ritagli stampa della Questura di Palermo.
Fonte: cadutipolizia.it
Articolo di La Repubblica del 9 Dicembre 2004
Sicurella, mezzo secolo per la verità ‘Quel poliziotto ucciso dalla mafia’
L’ inchiesta sull’ omicidio del maresciallo di pubblica sicurezza Raffaele Sicurella si chiuse in fretta. Era il 1946 e a piazza Indipendenza, generalmente, i rappresentanti delle forze dell’ordine chiudevano un occhio o peggio andavano a ossequiare il boss Tano Filippone, non andavano certo a morire con sei colpi di mitra durante la processione dell’Immacolata. Per questo, l’omicidio del maresciallo Sicurella, che tutti conoscevano come poliziotto integerrimo, fu catalogato come un’anomalia. E dunque archiviato. Per cinquant’anni, il nome di Raffaele Sicurella non è stato inserito in alcun elenco delle vittime di mafia. Eppure, in tutto questo tempo, un vecchio cronista di nera, Aurelio Bruno, non ha smesso di cercare testimonianze e documenti sull’omicidio. Quest’anno, in occasione della festa della polizia, la questura ha deciso di inserire il nome di Sicurella nell’elenco ufficiale dei suoi caduti, è il primo, 8 dicembre 1946. Insieme a tutti gli altri nomi che hanno segnato la storia dell’antimafia, da Giuliano a Cassarà. Quel pomeriggio del ’46 Sicurella era di servizio alla processione dell’Immacolata: la statua portata a spalla era partita dalla chiesa di San Giuseppe ai Danisinni e stava per arrivare a piazza Indipendenza. Il maresciallo aveva finito di bere un caffè al bar. Poi, qualcosa attirò la sua attenzione. Non ebbe il tempo di andare oltre, fu ucciso: alcuni testimoni raccontarono di avere visto una persona mentre fuggiva. Annotò un giornalista: «Il sottufficiale prestava servizio da vent’anni al commissariato Porta Nuova, accudiva alla sua missione con zelo e giustizia». Il giornalista Aurelio Bruno aveva 24 anni quando Sicurella fu ucciso, faceva l’apprendista a “L’ Ora”. «A quei tempi – dice – piazza Indipendenza era il regno del boss Tano Filippone, grande frequentatore di rappresentanti delle forze dell’ ordine, un mediatore per indole, ma quando necessario anche violento». Don Tano aveva aperto in via Cipressi la sezione “Uno” del Movimento per l’ indipendenza siciliana, se non era lì riceveva al bar Santoro. Nel suo libro “Spie a Palermo”, Bruno racconta dell’intercessione di un agente segreto nei confronti di Filippone: il boss era accusato di omicidio, ma evitò l’arresto. Patrizia Sicurella fa la poliziotta, come suo padre e suo nonno Raffaele: ««Le persone oneste sono state spesso perdenti a Palermo – dice – Per troppo tempo quel sacrificio è stato dimenticato e adesso vogliamo giustizia. Chiediamo di potere vedere le carte dell’inchiesta, chiusa troppo in fretta». s.p.