8 luglio 1991 Biadronno (VA). Assassinato Vincenzo Ciappina, 47 anni, avvocato civilista, aveva subito delle minacce per una causa legata all’apposizione di termini: i confini fra due proprietà.
L’8 luglio 1991 nel cortile della sua casa di Biadronno (Varese) venne assassinato l’avvocato civilista Vincenzo Ciappina, 47 anni. All’epoca gli inquirenti seguirono due piste: aveva confidato alla moglie e ai suoi più stretti conoscenti di aver subito delle minacce per una causa legata all’apposizione di termini, i confini fra due proprietà; Vincenzo Ciappina, dicono a Biandronno, si era opposto con molto vigore all’arrivo di un gruppo di persone legate alla criminalità organizzata. Nessuna delle piste seguite portò ai risultati sperati, un caso irrisolto, ancora senza un colpevole.
Fonte: ricerca.repubblica.it
Articolo del 9 luglio 1991
VARESE, UCCISO AVVOCATO CON DUE COLPI DI FUCILE
di Piero Colaprico
VARESE Non ha badato allo schnauzer che ciondolava intontito: non poteva immaginare, l’avvocato Vincenzo Ciappina, 47 anni, che qualcuno ieri mattina avesse lanciato una polpetta al sonnifero al cane da guardia, per potersi appostare in cortile. Sono le 8.30 e il suo assassino è già nascosto tra i cespugli, con il fucile da caccia caricato a pallettoni. L’avvocato cammina tranquillo sul prato della villa in affitto, l’ultima sulla collina, tra i boschi di Biandronno. Intorno è pace, silenzio, sole. Come ogni mattina, va a prendere l’auto in un capanno trasformato in garage, ma non arriva alla saracinesca. Qualcuno gli sbarra il passo, non gli lascia nemmeno il tempo di parlare: lo centra con un primo colpo al volto, il secondo al cuore. Poi scompare. La signora Licia, moglie dell’avvocato, sta preparando la colazione quando sente gli spari. Si affaccia, ma non può far nulla: il marito è caduto a terra, è immobile, sfigurato. Grida, accorrono anche due dei tre figli e un giardiniere che lavora lì vicino. Su via Garibaldi, l’unica strada che si snoda sino al loro cancello, non si vede nessuno. Anche chi abita nelle altre ville della collina non nota nulla di strano sulla strada deserta che l’avvocato percorre ogni mattina per raggiungere, 10 chilometri dopo, il suo studio da civilista a due passi dal municipio di Varese. E’ la famiglia dell’ucciso ad avvisare i carabinieri. Il primo sopralluogo indica che l’assassino, accompagnato forse da un complice, può essere fuggito solo lungo un sentiero che costeggia i campi e s’inoltra nei boschi. A sparare è stato uno che conosce bene la zona, uno del posto. Ma che nemici poteva avere un uomo noto per la sua onestà come l’avvocato Ciappina? I carabinieri, poco dopo l’agguato, sono andati a Casale Litta, un paesino non molto lontano, e hanno accompagnato un uomo nella caserma di Varese. L’avvocato aveva confidato alla moglie e agli amici di essere stato minacciato: non per questioni importanti, ma per una pratica minore. Non si era allarmato, non aveva presentato alcuna denuncia. In fin dei conti, si trattava di ridisegnare muretti innalzati sul confine di due campi. Una questione banale. Ma da una parte c’era Ciappina, uomo tutto d’un pezzo, che difendeva gli interessi di una famiglia; dall’altra, un bullo di paese, con un fascicolo penale alto come un vocabolario e la fama da malavitoso. Nei bar e nelle stanzette del municipio di Casale Litta la storia di questa lunga lite tiene banco, soprattutto da quando avevano sparato alle gambe di uno dei clienti dell’avvocato. Accanto a questa pista, ce n’è una seconda ben più tragica: una vendetta della malavita organizzata.
Nella provincia di Varese non mancano le cosche. L’assalto è stato il più feroce nella zona di Tradate, quella dove è stato sequestrato Andrea Cortellezzi, mai rilasciato dall’Anonima, e dove lo scorso Natale è stato ucciso Roberto Cutolo, il figlio di Raffaele il professore, l’ex capo camorrista di Ottaviano. Una lunga trama di complicità era stata svelata nel gennaio dell’anno scorso, dopo il mancato sequestro, a Luino, di Antonella Dellea, costato alla ‘ndrangheta quattro rapitori ammazzati dai carabinieri. Molti piccoli centri hanno scoperto di subire più che il rischio, la certezza d’infiltrazione della mala. E’ successo anche nel pacifico verde di Biandronno, un gruppo di case isolate tra la palude Brabbia e il lago di Varese, cresciute negli anni del boom economico accanto alla fabbrica della Ignis. Dietro mille garanzie di anonimato, c’è chi racconta: Una gang si era riunita qui, intorno a un bar. Il vecchio sindaco di Biandronno, Bruno Gasparotto, aveva protestato, ne aveva parlato spesso, e aveva subito qualche minaccia. Lo stesso ha fatto più recentemente Ciappina che, crediamo, ha dato abbastanza fastidio a quella gente. E’ difficile però trovare conferme ufficiali in un paese di 3 mila abitanti, dove ci si conosce per nome, dove le ricchezze improvvise fanno scalpore.
La storia di Ciappina non ha nulla a che fare con quella di altri avvocati ammazzati dalla mala, si limitano a dire in caserma. Lui non si era mai lasciato intimorire. Soprattutto se c’era da difendere quelli che considerava principii fondamentali, non si tirava indietro. Lo conoscevano in tanti a Varese, e in tanti ora vanno a piangere vicino a quelle canne strappate dal giardino e sparpagliate per coprire le macchie di sangue nel cortile. Lui era diventato molto noto vent’anni fa, durante la campagna per il divorzio: da democristiano, non solo si era schierato a favore della legge, ma aveva quasi fatto la spia, spedendo al Manifesto un’apocalittica lettera di Amintore Fanfani contro quella che allora sembrava una catastrofe morale. Aveva poi lasciato la Dc, per anni era stato il legale della Cgil, s’era occupato di divorzi e di cause di lavoro. Dalle ultime amministrative era capogruppo di una lista civica vicina al Pds. Oggi l’autopsia.
Articolo da L’Unità del 9 luglio 1991
Feroce delitto nel Varesotto
Civilista ucciso a pallettoni
di Marina Morpurgo
Lo hanno ucciso con due scariche di pallettoni, davanti alla porta di casa, mentre andava al lavoro.
Vincenzo Ciappina, avvocato civilista, capogruppo del Pds di Biandronno (Varese) è stato assassinato
ieri mattina sotto gli occhi di sua moglie. Due le piste principali battute da polizia e carabinieri: vendetta
di un uomo danneggiato da una banale causa, o atroce rappresaglia della malavita.
MILANO. Una scarica di pallettoni alla tempia e alla spalla da distanza ravvicinata: l’avvocato Vincenzo Ciappina – 46 anni, tre figli – se ne « andato cosi, probabilmente senza avere neppure il tempo di guardare in faccia il suo assassino, sbucato all’improvviso da una siepe. È stato un agguato implacabile, scattato alle 8.30 di ieri mattina, nella campagna intorpidita dal caldo: la famiglia Ciappina abita in una vecchia fattoria ristrutturata, tra bosco e campagna aperta, nella frazione Ronco del comune di Biandronno, a 15 chilometri da Varese.
Il killer (o i killer) non ha incontrato difficoltà. La casa è Isolata, il bosco è attraversato da decine di viottoli che in un attimo portano alla strada per Bregano: basta lasciare un’auto sul ciglio per garantirsi una sicura via di fuga. I colpi di fucile sono echeggiati nel silenzio, il giardiniere ha alzato la testa, pensando allo scoppio di una gomma. Ma la signora Licia Politi Ciappina ha subito capito che doveva essere capitato qualcosa di terribile, le sono
riaffiorate alla mente le minacce che suo marito aveva ricevuto negli ultimi tempi: minacce vaghe, non abbastanza
feroci da indurlo a correre dai carabinieri. Si è affacciata alla finestra e ha visto suo marito per terra, a pochi passi dall’ingresso del garage. Poco lontano c’era il corpo immobile del cane, un grosso schnautzer tramortito dal narcotico.
L’assassino è filato via indisturbato. Nessuno lo ha visto scappare, nessuno ha notato niente di strano, in questo paese in cui l’ultimo omicidio risale al lontanissimo 1946. Adesso, gli inquirenti sì stanno rompendo il capo su un atto efferato ed apparentemente inspiegabile, che ha distrutto una famiglia felice e seminato lo sgomento nell’intera zona. Chi può aver voluto la morte di Vincenzo Ciappina, un avvocato civilista che prevalentemente si occupava di divorzi o di questioni dì proprietà, che – per dirla con il presidente dell’Ordine degli avvocati di Varese, Ettore Pagani – «non aveva cause scabrose per le mani»? I carabinieri e la polizia stanno passando al setaccio le pratiche trovate nel cassetti di Vincenzo Ciappina: qui, tra queste carte, potrebbe esserci la risposta.
L’avvocato l’anno scorso aveva avuto dei problemi, trattando una causa nel vicino comune di Casale Ulta. Erano banali questioni di proprietà, ma gli avevano fruttato il rancore profondo della parte avversa. I carabinieri ieri hanno fatto una visita a Casale Ulta, per non trascurare anche questa pista: «Se lo hanno ucciso per una cosa del genere sono dei pazzi» dice con voce soffocata Valentino Del Grande, sindaco socialista di Biandronno.
In paese è stato proclamato il lutto cittadino: Ciappina era il capogruppo del Pds, un uomo attivissimo, appassionato ai problemi della comunità. E forse da questa sua partecipazione civile, da questa sua pugnacità, parte una seconda pista, ancor più agghiacciante Vincenzo Ciappina, dicono a Biandronno, si era opposto con molto vigore all’arrivo di un gruppo di persone legate alla criminalità organizzata. È stato questo ad innescare la spirale delle minacce, a portare la morte nella vecchia fattoria?
I carabinieri stanno indagando anche su questo fronte, ma non lasciano trapelare molto del loro lavoro: ieri si diceva che avessero fermato già un uomo, e che lo avessero interrogato per ore nella caserma di Varese. Alla signora Licia – che ha dovuto abbandonare la casa, e portar via i suoi tre ragazzi – è stato chiesto di descrivere il tono e il contenuto delle minacce ricevute da suo marito. Vincenzo Ciappina vi aveva solo accennato, non ne parlava volentieri: ma i suoi amici avevano notato che lui, cosi metodico e puntuale, negli ultimi tempi aveva cominciato a variare gli orari. Si era conlidato con l’amico e compagno di partito Bruno Gasparotto, ex sindaco di Biandronno: e Gasparotto a sua volta aveva rivelato «Hanno minacciato anche me». È una conferma della pista che porta ai malavitosi allontanati dal paese? Oppure c’è anche una terza pista, che magari parla di eliminazione di un avversario politico? La polizìa dice che non bisogna trascurare nulla, ma a questa terza pista crede poco.
Vincenzo Ciappina, ex democristiano passato al Pci dopo una rottura clamorosa maturata ai tempi del referendum sul divorzio (fu lui a rendere pubblica, inviandola al Manifesto un’ambigua lettera inviata da Fanfani ai presidenti di seggio democristiani), era noto come uomo di grande tolleranza e limpidezza d’animo. Uno, insomma, di quelli che si fanno amare anche dagli avversari.
Fonte: ilpostdigianni.it
Articolo del 7 luglio 2021
Morire per la legalità
Vincenzo Ciappina 1991-2021
di Gianni Spartà
C’è una Verità assoluta, scritta con la V maiuscola, il cui garante, per chi crede, è trascendentale, divino. Poi ci sono le verità degli uomini, relative, minuscole, contraddittorie, a volte meschine, delle quali si fanno interpreti i tribunali. In nome di una di queste verità un uomo di Casale Litta, origini calabresi, certificato penale robusto, condanne per storie di ‘ndrangheta, è stato fortemente sospettato d’aver ordinato l’esecuzione di Vincenzo Ciappina, 48 anni, avvocato suo avversario in una causa che riguardava il possesso di alcune zolle di terra. Verga la chiamava la roba. Ma per mancanza di prove seriamente cercate, a dispetto di indizi schiaccianti, univoci, tempestivi, quest’uomo è stato rintracciato, interrogato, mai indagato. Aveva un alibi di ferro. O forse ha avuto il tempo di procurarselo. Potrebbe essere già morto. Sono passati trent’anni esatti: 1991-2021.
Era la mattina dell’8 luglio. Si scorrono le cronache giudiziarie che hanno più impressionato, deluso, mortificato la pubblica opinione in questa provincia e dopo il clamoroso fallimento del tentativo di dare un nome all’assassino di Lidia Macchi, viene la stupefacente arrendevolezza – come altro chiamarla? – che ha impedito di portare in aula l’omicidio di Vincenzo Ciappina. Per la ragazza accoltellata 29 volte a Cittiglio, c’è stato l’errore di voler incastrare il presunto assassino a sei lustri dal delitto sapendo che prove autentiche non ne erano state trovate. O erano state distrutte. Ma un uomo si è fatto tre anni e mezzo in carcere preventivo e alle fine assolto. Stato di diritto? Per Vincenzo, un amico appassionato di bicicletta, con il quale saremmo dovuti partire Emilio, Fernando e il sottoscritto diretti in Sicilia, 9 tappe, 1575 chilometri, sotto il sole d’agosto, per Vincenzo, dicevamo, niente e così sia. Ed era un avvocato e sua figlia Francesca oggi fa l’avvocato e sua moglie Licia, gli altri figli Michele ingegnere, Marta ballerina internazionale, tutti e quattro non hanno avuto giustizia pur sapendo come sono andate le cose.
I Ciappina sono di Palmi: Vincenzo aveva un fratello, Antonio, per tanti anni insegnante di italiano al liceo. Conosciutissimi. Quell’estate maledetta Vincenzo aveva annunciato il suo progetto alla moglie: “Faccio un raid in bici, mi sto allenando. Da Varese allo Stretto, ma io mi fermo prima, in Calabria. Torno a prendervi. Tranquilli: ce la farò”. L’otto luglio del 1991 l’agguato nel cortile nel cortile della sua casa a Biandronno. Il ricordo di Licia: “Quella mattina mi ero svegliata presto perché Marta, la figlia più piccola, partiva per una gita a Gardaland con i ragazzi dell’oratorio. Faceva molto caldo. Vincenzo si alzò più tardi per andare al lavoro. Di solito lo accompagnavo al garage, quella volta restai in cucina. Dopo qualche istante sentii un botto tremendo che mi fece pensare a una bomba. Mi precipitai fuori, lo vidi per terra nel sangue, arrivarono Francesca e Michele, quasi nudi, che dormivano al primo piano. Capii che non c’era più niente da fare. Guardai in giro nel giardino: nessuno”.
Il volto sfigurato da due colpi, forse un fucile a pallettoni, la camicia bianca arrossata, a poca distanza dal corpo rimasugli di fieno lasciati lì dal giardiniere che teneva in ordine la villa in cima a una collinetta nella campagna tra Bregano e Biandronno. “Ammazzato per vendetta. Punito per quella causa che gli aveva tolto la pace: per me è l’unica ipotesi valida”, raccontò subito Licia ai carabinieri e ai magistrati. “Me ne convinsi nei giorni successivi, pensando e ripensando alle parole di Vincenzo, ai suoi gesti, alle sue paure. Ma è andata come sapete. E mi duole che i nostri figli non abbiano avuto soddisfazione pubblica, che non abbiano saputo, per bocca di un giudice, la verità sulla morte del loro papà. Mi ero illusa di un pentimento, di una confessione tardiva, magari a opera degli autori materiali del delitto. A un certo punto ci avevano detto che in un carcere uno dei killer aveva parlato. Niente. Farsene una ragione è stato difficile”.
Come ignorare che, rivelando le minacce subite in una circostanziata denuncia presentata ai carabinieri addirittura nel 1983 e confidando i suoi timori al sindaco di Casale Litta, suo amico, l’avvocato Ciappina aveva in un certo senso reso pubblico il movente d’una fine annunciata? E infatti gli investigatori quell’unica pista hanno battuto senza però arrivare al dunque. Già la sera dell’8 luglio 1991 andarono a cercare il sospettato e non lo trovarono: era in Francia. Il giorno dopo sottoposero alla prova del guanto di paraffina il figlio di lui. Poi rintracciarono e interrogarono il calabrese di Casale Litta ma l’inchiesta è rimasta lì nel cimitero dei delitti impuniti. Così agonizza la speranza di giustizia. No, la Verità, quella con la V maiuscola, non è affare di questo mondo.
Fonte: varesenews.it
Articolo del 8 luglio 2021
8 luglio 1991, l’omicidio di Vincenzo Ciappina “30 anni senza giustizia“
di Andrea Camurani
L’8 luglio 1991 nel cortile della sua casa venne assassinato l’avvocato civilista per una banale questione di confini. Un caso irrisolto, ancora senza un colpevole.
Fanno male le parole dei famigliari dell’avvocato Vincenzo Ciappina, assassinato trent’anni fa a colpi di lupara nel cortile della sua abitazione a Biandronno, centro della profonda e “tranquilla” provincia che non costituisce antidoto alle ramificazioni delle mafie, della criminalità organizzata che anche nel Varesotto aveva attecchito (nella foto, la cronaca del Corriere della Sera a firma di Elisabetta Rosaspina, il 19 luglio 1991, il giorno dopo l’omicidio).
Era ed è questa la pista che viene seguita subito dagli investigatori, ma senza efficacia.
Vincenzo Ciappina, professionista specchiato e apprezzato nel mondo dell’avvocatura varesina lavorava al suo studio nel capoluogo come civilista e aveva confidato alla moglie e ai suoi più stretti conoscenti di aver subito delle minacce per una causa legata all’apposizione di termini: i confini fra due proprietà.
Chissà mai cosa dovrà succedere, per quel pezzo di terra: nessuna denuncia viene presentata dal legale. Ma l’avere a che fare con certe persone, un po’ di inquietudine la genera. La storia di questa lite fra il cliente dell’avvocato Ciappina e la controparte era risaputa nei paesi della zona. In particolare a Casale Litta dove risiedeva il personaggio sospettato di essere il mandante di quell’omicidio, persona con aderenze con le “famiglie“: l’uomo fu interrogato ma non venne mai indagato perché dimostrò, quel giorno, di trovarsi all’estero.
Già, la malavita. La criminalità organizzata che appunto nel Varesotto non manca di aver lasciato scie di sangue, dal rapimento di Emanuele Riboli scomparso nel 1974 al ritorno da scuola e mai più ritrovato fino al sequestro di Andrea Cortellezzi di Tradate, ceduto all’anonima sequestri e mai rilasciato fino all’uccisione di Roberto Cutolo, il figlio di Raffaele ‘o professore l’ex capo della camorra di Ottaviano fino ad arrivare al mancato sequestro di Antonella Dellea costato alla ‘ndrangheta quattro malviventi ammazzati dai carabinieri.
È in questo quadro che si inserisce l’assassinio dell’integerrimo avvocato varesino, colpito una mattina di 30 anni fa con due colpi di fucile da caccia caricato a pallettoni da qualcuno che l’aspettava e che non ha esitato a strappare la vita di un marito e padre di famiglia per un pezzo di terra. Ci fu qualcosa che somigliò a una svolta nelle indagini nel 2010, quando il pool sui casi irrisolti messo in piedi dalla procura di Varese e che si mise al lavoro sugli altri «cold case» varesini (primi fra tutti l’omicidio di Gianluca Bertoni e di Lidia Macchi, entrambi senza un colpevole) inviò nel 2010 tre avvisi di garanzia sulla scorta delle dichiarazioni di un pentito di mafia che parlò delle circostanze in cui maturò il delitto.
Una pista poi sfumata e che lascia ancora senza un colpevole a morte di un uomo, a 48 anni, nel cortile di casa.
L’Avvocato Vincenzo Ciappina è ricordato nel volume
TRIBUTO DI TOGA
Le vittime nell’avvocatura 1948 – 2018
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