8 Maggio 1982 Porto Empedocle (AG). Giuseppe Lala, Domenico Vecchio e Antonio Valenti, operai, uccisi sul posto di lavoro

8 Maggio 1982, Porto Empedocle (AG), Giuseppe Lala (55anni), Domenico Vecchio (26 anni) di Porto Empedocle, Antonio Valenti (38 anni) di Favara, furono uccisi  per errore mentre stavano per tornare a casa dopo una giornata di lavoro.

Era accaduto che i Traina avevano aperto uno stabilimento di frantumazione di inerti a Cattolica, sul fiume Verdura. Questa ingerenza infastidì Pietro Marotta, uomo d’onore di Ribera, proprietario di un analogo impianto e cugino di Carmelo Colletti (figli di fratello e sorella) che decise di intervenire inviando sul posto il gruppo raffadalese di Lauria. I killer si appostarono dietro un silos carico di cemento in polvere e spararono non appena videro arrivare i tre malcapitati: morirono sul colpo e senza scampo per essersi trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Dopo un giorno di lavoro stavano facendo rientro a casa, invece li raggiunse una scarica di fuoco e pallettoni. Lala, Vecchio e Valenti, come tutte le vittime innocenti di mafia, sono stati poi uccisi dal silenzio e dimenticati. Per i loro familiari è stato un doppio dramma: difficile superare il dolore della perdita, ma molto più ardua sarà stata l’impresa di doversi confrontare con un clima di sospetti investigativi che hanno immerso nel grigiore la strage e le sue vittime. Un contesto che ha posto sullo stesso piano “lupi e agnelli”, e per lunghi anni alle famiglie delle vittime innocenti è mancato anche il sostegno dello Stato: sia morale che economico. Il figlio di Lala è dovuto emigrare in Germania per trovare lavoro, lo stesso ha fatto il primogenito di Domenico Vecchio che, quando il suo petto venne attraversato dal piombo infuocato sparato dai killer, stava andando a casa dalla moglie incinta. Quel piccolo in grembo non ha mai conosciuto padre, né lo Stato lo ha fatto sentire meno solo. Soltanto vent’anni dopo gli è stato offerto un lavoro, le pratiche sono in corso di espletamento. Una mano tesa, finalmente! Tutto grazie agli arresti dell’operazione Akragas ed alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Grazie a loro le acque dei sospetti si sono definitivamente divise e per le mogli ed i figli di Lala,Vecchio e Valenti è arrivata finalmente la giustizia.

Tratto da: “Mister Settecasi, boss dei due mondi, Genealogia mafiosa fino ai nostri giorni” –  Centro Pasolini Libri on.line

 

 

 

Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 26 maggio 1983
«I delitti di mafia? infortuni sul lavora»
Avvocato di Agrigento ricorre al pretore – «I familiari delle vittime devono avere i contributi»

AGRIGENTO — Cadere sotto i colpi della lupara deve essere considerato a tutti gli effetti un «infortunio sul lavoro». Lo sostiene l’avvocato Quattrocchi che ha chiamato in causa il pretore del lavoro per difendere gli interessi dei famigliari di tre vittime della mafia: il guardaboschi Giuseppe Alfano, assassinato nelle campagne di Cattolica Eraclea, e gli operai Giuseppe Lala e Domenico Vecchio, assassinati mentre lavoravano in un cantiere dell’imprenditore Francesco Traina di Porto Empedocle.

Il legale sostiene che la morte dei due operai avvenne «in conseguenza del lavoro da loro espletato e per un rischio che, oggi è notorio, incombe su tutti i cantieri, attesa la gravità e l’estensione dei fenomeni mafiosi».

Muovendo da queste premesse, il legale ha chiesto al pretore di ordinare all’Inail, che finora ha manifestato avviso contrario, di costituire in favore delle vedove e degli organi delle tre vittime un’apposita rendita e di pagare l’assegno funerario.

Della vicenda sono stati in teressati dall’avvocato anche il Presidente della Repubblica e il commissario per la lotta contro la mafia De Francesco affinché intervengano presso l’Inail. Spetta ora al pretore del lavoro dare un giudizio definitivo.

 

 

 

Fonte:  archivio.unita.news
Articolo del 3 giugno 1989
Uccisi dalla mafia Pensione alle vedove

Il pretore di Agrigento Vincenzo Faravino ha emesso una sentenza per certi versi clamorosa. In pratica, il magistrato ha riconosciuto come Infortunio in corso di rapporto di lavoro la morte di due operai assassinati a Porto Empedocle nel 1982. L’8 maggio di quell’anno, alcuni killer fecero irruzione in una impresa di calcestruzzo di proprietà dell’empedoclino Francesco Traino. Quest’ultimo riusciva a scampare all’agguato, ma morivano, invece, due operai, Giuseppe Lala e Domenico Vecchio. Le vedove si rivolsero alla magistratura perché venisse riconosciuta come infortunio sul lavoro la morte dei rispettivi mariti. Il pretore ha dato loro ragione, e ha condannato l’Inail a costituire in favore degli eredi dei due operai una rendita vitalizia.

 

 

Targa commemorativa in Via Marconi – Porto Empedocle (AG) – 11 maggio 2002

 

 

Fonte:  sicilia24h.it
Articolo del 7 maggio 2012
Porto Empedocle, fra pochi giorni ricorre il 30esimo anniversario della strage del 1982

8 maggio 1982 – 8 maggio 2012: trent’anni… Tanti ne sono passati dalla strage di Porto Empedocle che vide cadere vittime della barbarie mafiosa tre innocenti lavoratori che, in quel giorno, erano sul loro posto di lavoro presso un impianto di confezionamento di calcestruzzi della cittadina marinara.

Giuseppe Lala (55anni) e Domenico Vecchio (26 anni) di Porto Empedocle, Antonio Valenti (38 anni) di Favara i nomi delle vittime che, solo nel 1989, ovvero dopo ben 17 anni, lo Stato ne ha riconosciuto lo status di Vittime innocenti della mafia.

Tutto accadde per questioni di concorrenza fra i gestori dell’impianto di calcestruzzi empedoclino e quelli di altro analoga azienda di Ribera che, per avere un competitor in meno decisero per la materiale soppressione dei titolari. Fu così che il mandante Pietro Marotta, esponente della cosca di Ribera, gestore di uno stabilimento per la frantumazione di inerti, imparentato con il boss Carmelo Colletti, si rivolse ad un gruppo di fuoco del clan Lauria di Raffadali che organizzò l’agguato che vide cadere, erroneamente, tre onesti lavoratori.

Trent’anni sono tanti (per collocare nel tempo l’episodio basta ricordare che nello stesso giorno morì, a soli 32 anni, Gilles Villeneuve durante le qualifiche per il Gran Premio del Belgio del 1982, appunto, e che la nazionale italiana di calcio doveva ancora vincere il titolo mondiale a Madrid ) ma per le famiglie delle vittime il dolore è ancora vivo, immutato, cristallizzato, indelebile. Spiace rilevare che non essendo, le tre Vittime, annoverabili fra quelli di serie “A”, o forse perché uccisi in abiti da semplici operai e non indossando toghe o livree, nessuna manifestazione pubblica sia stata organizzata in loro memoria.

Lo Stato si è assopito oppure ha memoria corta. I politici locali sono distratti dalla concomitante tornata elettorale e non hanno avuto tempo e modo di dedicare una giornata per ricordare i loro cittadini. Ma nei cuori dei congiunti assurge, forte, il ricordo dei loro cari caduti per mano mafiosa, ricordo che tramandano ai posteri, ai nipotini che crescono, a quei nipotini che non hanno potuto conoscere nonni e zii uccisi in un tiepido sabato pomeriggio di un lontano mese di maggio.

Nemmeno Domenico Vecchio junior poté conoscere suo papà poiché, a maggio del 1982, era ancora nel grembo materno da cui uscì a luglio, appena due mesi dopo. E preparando questo articolo è emerso che quasi due anni fa è mancata, a soli 46 anni, Rossana, figlia di Giuseppe Lala, devastata da una malattia che i medici non escludono potersi ricondurre al terribile trauma subito, adolescente, per la tragica uccisione dell’adorato papà.

 

 

 

 

 

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