8 Maggio 1998 Oppido Mamertina (RC) restano uccisi Mariangela Anzalone 9 anni e il nonno Giuseppe Biccheri, 54 anni. Una famiglia distrutta perché si trovava a passare per caso dal luogo di un agguato.
Mariangela Anzalone (9 anni) e il nonno Giuseppe Biccheri (54 anni) restarono Uccisi ad Oppido Mamertina l’8 maggio 1998 perché passavano casualmente in automobile davanti ad un negozio dove si era appena consumato un duplice omicidio legato alla faida che in quegli anni stava insanguinando il paesino aspromontano e, a quel momento contava già 50 morti.
Giuseppe Bicchieri, insieme alla moglie, stava riaccompagnando a casa la figlia e i suoi due nipotini, quando i killer, uscendo dal negozio videro l’auto, simile a quella di un famigliare dei due appena uccisi, e scaricarono contro di essa le loro armi. Nonno Giuseppe Bicchieri e Mariangela Ansalone rimasero uccisi sul colpo, la moglie Annunziata, la figlia Franca e l’altro bambino, Giuseppe di otto anni, ridotti in fin di vita.
Una famiglia distrutta solo per una terribile coincidenza.
Articolo da L’Unità del 10 Maggio 1998
Nella scuola di Mariangela «La chiamavamo piccola infermiera»
di Aldo Varano
OPPIDO MAMERTINA (R.C.). Lezione sulla morte tra i bambini della terza C. L’ha imposta la ‘ndrangheta. Francesca, Gisella, Tina, Sonia e Lara stanno in cerchio, coi gomiti appoggiati sui banchi e le teste che si toccano, strette nei loro grembiulini azzurri.
Piangono sommessamente. Forse si raccontano storie e ricordi di Mariangela abbracciandosi alle spalle. Hanno gli occhi rossi e i volti umidi di pianto,come gli altri loro compagni sparsi per l’aula insolitamente calma e silenziosa. Al secondo piano della scuola elementare di Oppido, meno di cento metri dal punto in cui è stata stroncata la vita di Mariangela, nessuno ha il coraggio di alzare la voce. La «piccola infermiera» – era questo il soprannome della bambina – è stata uccisa da un commando mafioso a raffiche di mitragliatrice. I bambini lo sapevano da venerdì sera e ieri mattina a scuola hanno voluto esserci tutti come per farsi coraggio.
Sul suo banco accanto alla finestra ci sono i fiori bianchi. Tonino, che le maestre sostengono sia il bambino più irrequieto della classe,ha sistemato la sedia di Mariangela rovesciandola sul banco, in segno d’attesa della sua amichetta.Tocca infatti a ogni bambino rimettere la sedia a posto quando entra in aula. Tonino ha messo accanto alla sedia, dopo averlo staccato dal muro, il crocefisso dell’aula. Quando i giornalisti chiedono a Rosa Zerbi, Francesca Barbaro e Rosa Muzzupapa – le tre maestre – come hanno spiegato quella morte assurda e devastante, loro scoppiano a piangere. «È così da ieri sera – dice Rosa Zerb i- per noi e i bambini è un tormento. Siamo mamme anche noi. Come si fa a spiegare che una bimba di nove anni è stata ammazzata come fosse un boss pericoloso?». Dice la Barbaro: «Ci sentiamo impotenti. Come se il nostro lavoro fosse inutile, sprecato. Tanti sforzi e tanta fatica per trasmettere valori di vita e di speranza e poi una mazzata così che ci mette in ginocchio».
Mariangela era brava a scuola. Si preoccupava di tutti i bambini. Appena qualcuno stava male andava a trovarlo e poi riferiva alla maestra il decorso della malattia. Aveva passato il pomeriggio del venerdì della strage a scuola per l’incontro con le famiglie.
Mamma Franca aveva avuto soddisfazioni e Mariangela s’era fatta rossa per il piacere quando le sue maestre l’avevano lodata. «Mica lo diciamo perché è morta – piange la Muzzupapa – è veramente così». I ricordi, in un clima di grande emozione, si accavallano.
Nei giorni scorsi aveva preparato la lettera per la festa della mamma. L’ultima interrogazione alla lavagna. Le maestre parlano della sua riservatezza e della sua disponibilità.
Dice Rosa Zerbi: «Dev’essere stato verso le otto. Io ero dietro la piazza ed ho sentito un rumore di tavole che precipitavano. Poi il silenzio. E poi ancora i colpi. Devono essere stati quelli contro Mariangela e i suoi familiari. In paese c’è stato l’inferno. Dov’è mio marito? Dov’è mio figlio? La gente fin quando non ha saputo esattamente le cose non s’è data pace. Vede, abbiamo perso una parte della nostra vita. Non credevo che sarei riuscita a venire a scuola e a entrare in aula. Mio marito mi ha detto: o ci vai subito o non riuscirai a fare più la maestra.
E sono qui. Ma come si fa a spiegare la morte di una bambina ai loro compagnetti? È impossibile», dice asciungandosi le lacrime.
Articolo da L’Unità del 10 Maggio 1998
La notte della strage porte chiuse ai carabinieri
Una sola sala operatoria nell’ospedale, il medico costretto a scegliere tra il bimbo e la madre
di Aldo Varano
OPPIDO MAMERTINA (RC). La violenza e il buio durano da quindici anni a Oppido Mamertina dove si muore non si sa perché, né per mano di chi. Dal 1984 a oggi sono morti di lupara, pistola, fucile e mitragliatrice, 58 persone.
E in quindici anni i cittadini di questo paesino, che dall’orlo della Piana del Tauro comincia ad arrampicarsi verso l’Aspromonte, non hanno mai visto in faccia un assassino, né hanno mai conosciuto almeno il nome di una delle belve che si fronteggiano a colpi di morto ammazzato in questa faida di sangue. Su 58 omicidi, Oppido fa 4mila anime, mai scoperto un colpevole; per quei poveri morti non è mai stato fatto un processo, non c’è mai stata – ricorda il sindaco – la richiesta di un solo rinvio a giudizio.
A Oppido si spara e si muore senza il fastidio di dover dar conto a qualcuno. Difficile capire a Oppido chi è lo Stato e a cosa serve.
Nella piazza assolata ci sono i capannelli di gente che discute. I tre bar sono aperti. Di certo si parla della strage consumata lì, in alto a destra della piazza, accanto alla giocattoleria, dove c’è la macelleria dei Polimeni.
Di quella manciata di secondi si sa tutto. È l’imbrunire di venerdì quando arrivano due o tre uomini per un attacco ai Polimeni.
A pochi metri ci sono centinaia di persone perché la piazza qui è ancora il centro del mondo.
C’è un fuggi fuggi di terrore. Dentro la macelleria sono stati fulminati Giovanni Polimeni e Vittorio Rustico. Il commando non vede un fratello di Polimeni che si nasconde e resta illeso. Giura di non aver visto nulla. I «soldati» delle cosche escono con le armi ancora fumanti nel minuto in cui, in un silenzio spettrale, sale lentamente verso la macelleria, costeggiando la piazza, la Croma di Giuseppe Biccheri, 54 anni. È una coincidenza crudele e maledetta: la vecchia Croma metallizzata è come quella del padre dei Polimeni, macellaio in odor di ‘ndrangheta.
I Biccheri sono gente onesta, nessun rapporto con le cosche. Lui è un cassintegrato, la moglie Annunziata è cuoca. La figlia Franca e i nipotini sono con lui perché il marito di Franca, Basilio Anzalone, è in giro col camion per la consegna dei giornali. Nonno Biccheri sta riportando tutti a casa. La figlia Franca ha passato il pomeriggio a scuola dove i maestri di Mariangela hanno riempito la bambina di complimenti per quant’è brava. Poi l’uomo è passato a prendere la moglie Annunziata che è stata in chiesa per le preghiere del mese di maggio. I fucilieri temono il contrattacco, scambiano l’auto di Biccheri con quella di Polimeni, alzano le armi e sparano furiosamente, contro il carico innocente. Il raid si trasforma in una carneficina. Nonno Biccheri e Maria Angela vengono fulminati, gli altri ridotti in fin di vita. All’improvviso la piazza si rianima, qualche metro più in là da dove si sono mescolati destini e sangue diversi. Si cercano i parenti perduti di vista nel trambusto. Si controlla, si verifica, si cerca di capire di chi è stata la volta, si accerta di non avere familiari, parenti o amici tra i morti. Un ragazzo di una ventina d’anni si carica Mariangela tra le braccia e corre verso l’ospedale. «Me lo son visto davanti col corpicino coi vestiti imbrattati di sangue tra le braccia. Sembrava una scena della peste del Manzoni. Gli ho dovuto dire che non c’era nulla da fare e ho fatto poggiare la bimba in una stanza», dice il dottor Caruso.
Quando arrivano carabinieri e polizia la piazza s’è nuovamente svuotata, neanche un’anima viva. Sul grande quadrato si affacciano decine e decine di abitazioni. Tutte chiuse. Dalle finestre, neanche un filo di luce. Un ufficiale dei carabinieri – «per carità: niente nomi» – ha suonato a tutte le porte e tutti i portoni che hanno l’affaccio in piazza. Nessuno ha aperto. I campanelli hanno trillato a lungo, ma inutilmente. Un paese di fantasmi.
A Reggio, dov’è stato trasportato, Giuseppe lotta contro la morte. È quel fagottino laggiù, un mucchietto di fasce e bende trapuntato da tubi e tubicini che lo legano alle macchine che lo trattengono in vita. I medici non lo mollano un attimo. La dottoressa Italia Albanese confida: «È in costante pericolo di vita. La prognosi nel suo caso è estremamente riservata».
Ieri Giuseppe ha compiuto otto anni e se fosse andato a scuola, ha spiegato il maestro della seconda C, Giuseppe Lentini, sarebbe stato interrogato in storia. In geografia, ieri l’altro, aveva strappato l’applauso dei suoi compagni di classe che avevano chiesto in coro al maestro di mettergli una bella A, il voto più alto. Qualche metro più in là di Giuseppe c’è nonna Annunziata, anche lei gravissima. Giuseppe, quando è arrivato in ospedale a Reggio, aveva già subito una prima operazione al suo paese. I medici erano intervenuti perché stava per essere ucciso da una violenta emorragia. Le emorragie si susseguono ancora. Sono state necessarie parecchie trasfusioni.
I killer hanno scaraventato contro la Croma decine e decine di pallottole. A Giuseppe hanno sbucato pancia e polmone e gli hanno spezzato le ossa. Anche il fegato, spiega il medico, aveva «lesioni da scoppio», cioè piccole lacerazioni provocate dal passaggio violento dei colpi di mitragliatrice. Venerdì un po’ dopo le otto di sera, quando Giuseppe è arrivato in ospedale a Oppido, un centinaio di metri dalla piazza, ci sono stati momenti terribili. Sull’unico letto operatorio era già stata stesa mamma Franca. In attesa, la signora Annunziata. Il dottor Di Certo ha capito che il piccolo era più grave di madre e nonna e ha chiesto a mamma Franca – «ma l’ho fatto solo per scrupolo, avrei comunque scelto di operare il bambino», dice ora – chi doveva operare per primo. «Lui, lui. Salvi mio figlio, per carità», ha urlato senza esitare la donna prima di perdere conoscenza. Franca Bicchieri è stata quindi trasportata a Polistena. Anche lei è grave. Ancora ieri sera non conosceva i particolari della tragedia che ha cancellato le sue famiglie. Chi c’è dietro la strage? In prefettura se lo sono chiesto in un vertice. A Oppido il problema è trovare il bandolo di un massacro antico e perenne. La mappa delle «famiglie» la conoscono tutti. Ferraro, Mazzagati, Polimeni, Zumbo, Gugliotta, Mammoliti, Bonamico, Tallarita; ma si tratta soprattutto dei nomi che ricorrono nel mucchio dei morti di faida. Preoccupato e teso, spiega un professionista: «Ormai è coinvolto tutto il paese. Le parentele qui sono lunghe e tutti hanno avuto un parente vicino o lontano ammazzato. E questo vuol dire che chiunque è un potenziale obiettivo delle cosche che si combattono nella faida.
Neanche i fronti contrapposti sono certi e sicuri. C’è un continuo sbriciolarsi e ricomporsi delle alleanze».
Don Pietro Gallo, rettore del seminario di Oppido, barba lunga e volto buio sbotta: «La gente ci chiede: dobbiamo andarcene? Che succede ai nostri figli che escono la sera? Possiamo vivere con l’incubo che forse ce li restituiranno morti ammazzati?».
In comune ieri c’è stata una solenne riunione del consiglio comunale e s’è decisa la costituzione di parte civile contro chi ha consumato la strage. Era presente anche il vescovo.
I ragazzi del comitato antimafia hanno distribuito l’appello già scritto lo scorso novembre: «Omicidi, sequestri di persona, estorsioni, intimidazioni, intralcio all’attività amministrativa, danneggiamenti a proprietà pubblica e privata, reati per i quali nessun responsabile è stato mai individuato, dimostrano come lo Stato sia assente in ogni forma e con ogni istituzione». E intanto in piazza si coglie la paura. Sangue chiama sangue ed è forse già cominciato il conto alla rovescia per i prossimi morti. C’è l’incubo di non sapere quali saranno le prossime vittime. Potrebbe capitare a chiunque.
Fonte: ricerca.repubblica.it
Articolo del 10 maggio 1998
Mamma stringimi al tuo cuore – L’ ultima poesia di Maria Angela
di Pantaleone Sergi
OPPIDO MAMERTINA – Tre righe, un’acerba poesia per la mamma, per la sua festa. L’avrebbe letta oggi, all’ora di pranzo:
“Stringimi forte al cuore/ io sarò il tuo cielo azzurro/ tu sarai la mia stella”.
Ha chiuso gli occhi Maria Angela Anzalone, nove anni ancora da compiere, li ha chiusi per sempre, vittima, innocente e indifesa, di sicari mafiosi. E la sua mamma lotta per restare in vita. Come il fratellino, come la nonna. “Uno strazio, uno strazio…”, ricorda il medico Carmelo Caruso che l’ha vista arrivare al pronto soccorso, come la Cecilia manzoniana, sulle braccia di un giovane del luogo. Era morta, il corpo devastato, l’hanno sistemata sola, senza fiori, senza lumini, in uno stanzone vuoto e buio dell’ospedale.
Poco distante, sullo stesso piano, si consumava un altro momento della stessa tragedia. Racconta il chirurgo Antonino Di Certo: “Noi abbiamo una sola sala operatoria e su due lettighe c’erano la madre e il piccolo Giuseppe. Dovevamo scegliere chi operare. Le ho detto: signora, o intervengo su di lei oppure opero suo figlio. E la madre mi ha risposto senza esitazione: “Operate lui, salvatelo”. Non avevo dubbi…”.
Sulla piazza della strage e nei luoghi del dolore, giovani e anziani silenziosi dopo il giorno della furia omicida, partecipano a una sorta di veglia funebre collettiva. A due passi dal municipio, a un centinaio di metri dal Duomo, la tragedia, l’altra sera è arrivata come un lampo. Obiettivo dei killer gli uomini del clan Polimeni, individuati nella macelleria del boss, Mico, che però era assente. I sicari sono arrivati armati fino ai denti e hanno puntato le armi contro Giovanni Polimeni e Vittorio Rustico, venticinquenni. Li hanno freddati e non si sono accorti che un fratello del Polimeni vedendoli arrivare si era nascosto evitando così una morte sicura. Dirà, il giovane, che non ha visto niente, che non sa chi ha sparato e ucciso.
I sicari stavano per andarsene, quando, confondendo la Croma grigia di Giuseppe Biccheri, nonno di Maria Angela, per quella dei loro avversari, non hanno esitato un solo istante a scaricare le armi contro il bersaglio in movimento. “Le vittime sono arrivate in ospedale in condizioni pietose”, afferma il chirurgo. Per alcuni non c’era nulla da fare, Polimeni e Rustico erano morti.
Era morta Maria Angela, era morto pure il nonno. E gli altri? “Non vi dico… una situazione critica, drammatica”, ricorda il medico mettendosi una mano sulla fronte. Il piccolo Giuseppe è stato operato nella notte. Ora è in fin di vita a Reggio Calabria. Lesioni all’addome, lesioni da scoppio al fegato, tantissime ferite al petto, ovunque carni lacerate. La mamma è stata operata all’ospedale di Polistena dove combatte la sua battaglia contro la morte, la nonna a Reggio Calabria ed anche lei è grave.
Sono un trauma per Oppido Mamertina queste vite spente a colpi di mitraglietta e lupara. E dire che da queste parti i funerali delle vittime di mafia hanno ritmi incalzanti. Oppido non sopporta più. Anche se nessuno per ora aiuta gli inquirenti. C’era gente nella piazza della morte, chissà se succederà come a Catania, chissà se qualcuno parlerà… Stavolta, infatti, la barbarie non ha avuto limiti. Lo dicono tutti, giovani e anziani, donne e bambini. Sì, anche i bambini, che miscelano lacrime, singhiozzi e ricordi. Trattiene le lacrime Francesca, l’amica del cuore di Maria Angela. Ha scritto lei la “preghiera” col contributo di tutti i compagni della III C.
Era brava a scuola Maria Angela. Proprio due ore prima di essere trucidata si era presa i complimenti delle insegnanti e la carezza-premio della madre. “Due ore prima di morire era qua con noi, c’ era l’incontro tra docenti e famiglie”, racconta l’insegnante Rosa Zerbi, “poco dopo l’hanno trucidata. Mi sembra di morire anch’ io…”. Le violacciocche bianche sul banco vuoto, la sedia di Maria Angela rimasta con i piedi in aria, come l’ avevano sistemata i bidelli.
Riservata e altruista, “piccola infermiera”, allegra e disponibile Maria Angela. Si presentò, un giorno, radiosa: “Maestra ti ho portato un’immagine di padre Pio”. L’immagine ora è appesa al muro, dietro la cattedra. Accanto sistemeranno la sua foto. “Abbiamo perso una parte della nostra vita, i bambini sono disperati”, spiega un’altra insegnante, Rosa Muzzupapa. E la terza insegnante, Francesca Barbaro, sussurra: “Li seguiamo con amore… è terribile vedersela strappare così”.
Fonte: Quotidiano del Sud
Articolo del 27 aprile 2016
“Mio padre tentò di metterci in salvo”
di Luciana De Luca
Giuseppe Biccheri e la nipotina Mariangela Anzalone furono uccisi a Oppido Mamertina l’8 maggio del 1998
La figlia Francesca racconta l’inferno vissuto dentro l’auto mentre li colpivano all’impazzata e vedeva morire la sua bimba
“Noi eravamo cinque persone in macchina ma a casa ne siamo tornate una e mezza. Due sono morte e le altre tre dopo, non erano più persone intere. Quelle rimaste erano persone a metà”
Francesca, mamma di Mariangela Anzalone, 9 anni, e figlia di Giuseppe Biccheri, si trovava in quella Croma grigia, l’8 maggio del 1998, a Oppido Mamertina, quando cinque uomini scaricarono addosso a lei e alla sua famiglia, una pioggia di proiettili. La sua bimba e suo padre non si salvarono. Lei, sua madre Annunziata e suo figlio Giuseppe di 8 anni, furono ridotti in fin di vita.
Aveva 31 anni Francesca, tre bambini, e fino ad allora una vita piena, serena. Poi arrivò quel giorno di maggio e tutto cambiò inesorabilmente.
“Era un venerdì e c’era l9incontro a scuola con i professori per la valutazione scolastica di mia figlia – racconta -. Sono uscita di casa con Mariangela e Giuseppe- Li tenevo entrambi per mano. Dopo aver parlato con gli insegnanti ce ne siamo tornati a casa. Da lì a poco passò mio padre che era andato a prendere mamma appena uscita dalla messa. Decidemmo di uscire per fare un giro in paese e prendere un gelato come premio per Mariangela, per i suoi ottivi voti”.
Da quel momento per Francesca inizia un’altra storia. E la sua voce da tenera e distesa diventa nervosa, quasi ansimante.
Segue: drive.google.com
Fonte: ildispaccio.it
Articolo del 12 maggio 2016
A Oppido Mamertina (RC) il ricordo della piccola Mariangela Anzalone e del nonno Giuseppe Biccheri vittime di faida tra criminalità organizzata
A Oppido Mamertina presso la Chiesa Maria SS. Addolorata si è tenuto un momento di raccoglimento e di ricordo condiviso per il diciottesimo anniversario della morte della piccola Mariangela Anzalone e del nonno Giuseppe Biccheri, vittime innocenti della cruenta faida che ha visto coinvolto il piccolo centro preaspromontano negli anni scorsi.
“Il Sindaco Domenico Giannetta e l’Amministrazione Comunale, tra le iniziative di cui si caratterizza il ricco percorso inerente la Legalità intrapreso sin dall’insediamento, hanno inteso dedicare una giornata alla memoria, attraverso la preghiera e la riflessione e allo stesso tempo condannare fermamente ogni forma di violenza umana. Proprio nei giorni in cui, nell’ormai lontano 1998, si consumò la violenta strage che rese vittima Mariangela, una bambina di appena 9 anni.
La Santa Messa è stata celebrata da Don Giuseppe Acquaro e animata dal Coro Parrocchiale delle voci bianche. Presenti all’iniziativa, oltre alle Autorità civili in veste istituzionale a rappresentare l’intera cittadinanza, i familiari delle vittime e i ragazzi dell’Istituto Comprensivo, accompagnati dal Dirigente Scolastico e dai docenti. In particolare i bambini della Scuola Primaria, che prende il nome proprio da Mariangela Ansalone, hanno voluto ricordare la loro dolce compagna partecipando attivamente alla Celebrazione, attraverso la lettura di pensieri e preghiere e curando l’organizzazione liturgica con grande sensibilità e partecipazione attenta e silenziosa.
Oltre alle rappresentanze delle Associazioni operanti nella cittadina, ha preso parte all’iniziativa anche “Piana Libera”, l’Associazione dei familiari delle vittime di mafia che, al termine della Messa, ha dato il proprio contributo attraverso la lettura dei nomi delle vittime di mafia calabresi, omaggiando il Sindaco Giannetta di tale elenco e di un libro realizzato dall’Associazione, in segno di gratitudine e di plauso per il gesto concreto di vicinanza e di repressione della criminalità organizzata.
“La circostanza odierna vuole essere un abbraccio da parte dell’intera cittadina oppidese che possa giungere al nostro piccolo angelo e che possa stringere forte i familiari di tutte le vittime innocenti di mafia. Non dimentichiamo che tutti noi siamo Mariangela, siamo tutti vittime della criminalità, che possiamo sconfiggere solo creando un’unica imponente forza, imparando e praticando il rispetto delle regole e del vivere civile e abbandonando ogni minimo sentimento di odio o rancore verso gli altri”, così ha concluso il Sindaco Giannetta, ringraziando tutti i presenti e rivolgendosi soprattutto ai bambini.
Il momento di memoria si è concluso con la deposizione di due omaggi floreali sulla tomba della piccola, da parte dell’Istituto Comprensivo e dell’Amministrazione Comunale”.