9 Settembre 1990 Bovalino Sup. (RC). Muore dopo 13 ore di agonia Antonino Marino, 33 anni, brigadiere dei Carabinieri; ferita la moglie incinta ed il figlio di due anni.

Foto da:  strettoweb.com

Antonino Marino era il Comandante della caserma di Platì. Fu ucciso ucciso durante una festa patronale a Bovalino Superiore, il 9 settembre 1990. Profondo conoscitore della criminalità organizzata della Locride, aveva svolto varie indagini sui traffici illeciti e sui sequestri di persona che in quegli anni rappresentavano una delle principali attività criminali della ‘ndrangheta, contribuendo ad assicurare alla giustizia diversi boss. Marino da un po’ di tempo era stato trasferito a San Ferdinando di Rosarno, in quanto aveva sposato una donna della Locride e il regolamento dell’Arma imponeva tale cambio di luogo. Era ritornato nella zona jonica calabrese per assistere ai festeggiamenti in onore dell’Immacolata. La sera dell’8 settembre si trovava con i suoi parenti e la sua famiglia quando dalla folla sbucò un uomo armato di pistola che fece fuoco uccidendolo, ferendo la moglie e anche il piccolo figlio Francesco. Fu trasportato all’ospedale di Locri, ma Nino morì poco dopo le 13 del 9 settembre.
vivi.libera.it

 

 

 

Fonte:  it.wikipedia.org

Antonino Marino (San Lorenzo, 5 ottobre 1957 – Bovalino, 9 settembre 1990) è stato un carabiniere italiano, vittima della ‘Ndrangheta.
Brigadiere dei Carabinieri, entrò nell’arma nel 1975, impegnandosi principalmente nel contrasto alla ‘Ndrangheta. Prima del suo assassinio, aveva operato per anni come comandante della stazione dei carabinieri di Platì dove si impegnò tra l’altro per la soluzione del sequestro di Marco Fiora e contribuì a sventare il sequestro di Claudio Marzocco. Si ritiene infatti che fu grazie anche all’azione di contrasto del brigadiere che i sequestratori in quest’ultimo caso furono costretti a lasciare l’ostaggio incustodito, consentendogli di liberarsi e fuggire dalla prigionia nel febbraio del 1988.
Profondo conoscitore della Criminalità organizzata della Locride ai tempi dei sequestri di persona aveva svolto varie indagini sui traffici illeciti e sui sequestri di persona che in quegli anni rappresentavano una delle principali attività criminali della ‘Ndrangheta contribuendo ad assicurare alla giustizia diversi boss ‘ndranghetisti. Collaborò anche per la liberazione di Cesare Casella.
Nel 1988 Marino era stato trasferito a San Ferdinando di Rosarno in quanto aveva sposato una donna della Locride e il regolamento dell’Arma imponeva il cambio del luogo di servizio. In un periodo di ferie, in visita ai parenti della moglie a Bovalino superiore in occasione dei festeggiamenti in onore dell’Immacolata, la notte del 9 settembre 1990 si trovava seduto all’esterno del bar gestito dai suoceri intento a guardare lo spettacolo di fuochi d’artificio, quando gli si avvicinò un uomo armato di pistola che fece fuoco colpendolo al torace con sei colpi di pistola e ferendo al polpaccio in modo non grave la moglie incinta e al ginocchio il piccolo figlio Francesco.
Ripresa brevemente conoscenza, il militare morì in ospedale il pomeriggio dopo, malgrado gli sforzi dei sanitari.
L’episodio creò una ondata di sdegno e i funerali si svolsero in una atmosfera di tensione. I familiari rifiutarono la corona di fiori dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Le indagini si indirizzarono subito alla sua attività di investigatore contro la ‘Ndrangheta in particolare ai suoi anni trascorsi a Platì come sosteneva il sostituto procuratore Ezio Arcadi, ma per molti anni il delitto rimase irrisolto.
Anni prima dell’assassinio, il Brigadiere aveva già subito un attentato a Platì durante l’attività di servizio da parte di uomini rimasti non identificati che avevano esploso colpi d’arma da fuoco al suo indirizzo, fortunatamente allora ne uscì illeso; In un’altra occasione sempre a Platì vennero scritte sui muri frasi ingiuriose nei suoi confronti.
Il delitto rimase avvolto nel mistero per oltre 15 anni fino alle rivelazioni del pentito di mafia Antonino Cuzzola. Secondo le dichiarazioni circa i mandanti e il movente dell’omicidio, ad ordinare il delitto furono esponenti della famiglia dei Barbaro e Antonio Papalia, all’epoca di 56 anni. Insieme con Papalia vennero messi sotto accusa Giuseppe Barbaro, all’epoca di 63 anni, Francesco Barbaro di 84 anni e Giuseppe Barbaro di 55 anni, tutti di Platì; Invece per quanto riguarda il movente, secondo Cuzzola la decisione di uccidere l’appuntato era maturata per motivi di risentimento dovuti alla condotta rigorosa che questi adottava nello svolgimento della sua attività operativa nella cittadina aspromontana. Il pentito confermò le accuse in sede processuale, ma il GUP intervenuto in quanto il processo si svolse con il rito abbreviato, nel febbraio 2011 pronunciò sentenza di assoluzione con formula piena per tutti gli imputati. In realtà già per Giuseppe Barbaro 55 anni, il pubblico ministero nella sua requisitoria aveva chiesto l’assoluzione. L’11 maggio 2012 la Corte d’assise d’appello confermò la sentenza di assoluzione in primo grado, lasciando ancora insoluto il delitto del brigadiere.
Ma il 16 giugno 2014 i giudici della Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria hanno condannato a 30 anni di reclusione Francesco Barbaro di 58 anni ritenuto l’esecutore materiale e Antonio Papalia, ormai di 75 anni, ritenuto il mandante dell’omicidio del brigadiere. Il processo venne riaperto dalla Corte di Cassazione in seguito a intercettazioni su di un pregiudicato, Agostino Catanzariti, indagato per reati relativi ad appalti in Lombardia. Catanzariti, ignaro di essere ascoltato, in una conversazione rivelò una serie di particolari del delitto, portando alla riapertura del dibattimento conclusosi con la condanna.

 

 

 

 

Articolo da L’Unità del 10 Settembre 1990
‘Ndrangheta scatenata: feriti la moglie incinta e il figlio di 2 anni
In Calabria ormai è guerra
Carabiniere ucciso in un agguato

di Aldo Varano
È morto dopo tredici ore di agonia Antonio Marino, il brigadiere dei carabinieri colpito sabato sera dai killer della Locride. Sei colpi mortali contro di lui, tre contro la moglie ed uno per il figlio di due anni. Antonio Marino diresse a lungo la caserma di Platì, nel triangolo dei sequestri, fu opera sua il fallimento del rapimento Marzocco. Venerdì l’anonima sparò col mitra contro il Municipio di Locri.

Locri. Sabato notte le cosche dell’anonima hanno massacrato un brigadiere dei carabinieri, mentre era in vacanza con la sua famiglia, a Bovalino, nella Locride. Antonio Marino, 33 anni, è morto ieri mattina, dopo avere ripreso per qualche minuto conoscenza. Ferita anche la moglie incinta e il figlio di due anni.
«L’esecuzione» durante la festa del Paese. «Hanno sparato contro un simbolo» dice Antonio Paschetta, capitano dei carabinieri di Locri. Per anni Antonio Marino aveva tenuto in mano la stazione dei carbinieri di Platì, nel  cuore dei dominii controllati dalla cosche della locride, ed aveva dato parecchio filo da torcere all’anonima.

Il suo contributo fu determinante per la liberazione di alcuni ostaggi. Due anni fa, dopo che la sua caserma subì un grave attentato, venne trasferito a S. Ferdinando.

 

 

 

Articolo da L’Unità del 10 Settembre 1990
Esecuzione alla festa del paese
di Aldo Varano
Tentata strage nella Locride: Antonio Marino, 33 anni, brigadiere dei carabinieri, è stato ucciso. Feriti la moglie incinta ed il figlioletto di appena due anni.
«Hanno sparato contro un simbolo», sostiene il capitano dell’Arma di Locri. Marino era in vacanza dai suoceri, per anni aveva lavorato a Platì, nei territori dell’Anonima. Dopo l’assalto al Comune, l’intimidazione contro le forze dell’ordine.

LOCRI. «Hanno sparato contro un simbolo», si lascia scappare Mario Paschetta, capitano dei carabinieri di Locri, la voce roca e gli occhiali scurissimi per nascondere la faccia. Le pattuglie arrivano e partono sgommando dalla sede della compagnia, a nord del paese, invasa dai vertici dell’Arma, magistrati, questore e prefetto di Reggio. sulle auto, i carabinieri a due a due, con gli occhi gonfi e lucidi di chi s’è lasciato andare. C’è commozione e tensione, anche se l’ordine è di non farlo vedere, in quest’altra giornata tragica sul fronte della Locride.

Non ce l’ha fatta il brigadiere antonio Marino, 33 anni, un figlio ai primi passi, e la moglie incinta di due mesi. I killer gli avevano scaraventato addosso 10 colpi con unq micidiale calibro 9 colpendolo al torace ed allo stomaco. I medici dell’ospedale di Locri per quasi otto ore hanno lavorato con ostinazione per salvargli la vita, dall’una alle 9 di ieri mattina. Tutto inutile. qualche minuto dopo le due del pomeriggio il cuore s’è fermato per sempre.
Per fortuna il figlio Francesco, due anni appena, è stato colpito soltanto di striscio e se l’è cavata con 10 punti al ginocchio; anche la moglie, Rosetta Vittoria Dama, 30 anni, non corre pericolo: le due pallottole che l’hanno raggiunta si sono conficcate nel polpaccio.

A Locri, raffiche di mitra contro il potere politico. A Bovalino, un po’ più in là, colpi di pistola contro le forze dell’ordine. La ‘ndrangheta non vuole ostacoli. Ha deciso di spazzare tutto con forza e decisione e non trova nessuno che abbia la voglia o la forza di contrastarle il passo in modo significativo. A farne le spese sono giovani magistrati uditori freschi di nomina, poliziotti, carabinieri. Tutti quanti messi lì a far finta che ci sono governi e Stato, a combattere con un nemico che diventa sempre più forte perché spesso fa affari, economici e politici, con il potere.

La dinamica dell’omicidio non lascia dubbi: chi ha dato l’ordine o il placet ha tentato una strage, con fredda determinazione e cura nei particolari. solo il clima generale da Caporetto dello Stato che cede e si ritira mentre avanzano le cosche, può spiegare l’agguato. Marino e la sua famigliola sono stati sorpresi in un momento di relax. Lui s’era seduto a godersi un po’ di fresco di fronte ad uno dei padiglioni montati a Bovalino Superiore per la festa del Patrono. Intorno, moglie, figlio, amici e conoscenti. La gente, un po’ più in là, per guardare i fuochi d’artificio, il via ufficiale dei festeggiamenti. Poco dopo la mezzanotte di sabato il killer è piombato all’improvviso e, coprendosi dietro gli amici dei Marino, ha iniziato a sparare. Tra la folla, donne e bimbi impietriti dal terrore ed il fuggi fuggi cieco della gente in preda al panico.

Marino era in borghese. Lì a Bovalino stava trascorrendo la villeggiatura in casa dei suoceri, ad un tiro di schioppo dalle spiagge pulite della Locride e, soprattutto, con l’occhio al portafoglio. Presto sarebbe dovuto tornare a San Ferdinando di Rosarno, un’altro centro sul fronte caldo della lotta contro i clan, quelli potenti ed aggressivi della Piana di Gioia Tauro.

Ma il brigadiere la sua carriera di carabiniere l’aveva fatta quasi tutta da queste parti, fino al trasferimento di due anni fa, come rigidamente prevede la prassi dell’Arma, per aver sposato una ragazza del posto.
Per anni, aveva retto il fronte di Platì, comandando la Stazione dei Carabinieri. Bovalino Superiore, Benestare, Careri, Natile Vecchio e Natile Nuovo, Platì: siamo nel cuore dei domini controllati dalle cosche della Locride, quelle feroci dell’Anonima sequestri e quelle che fanno gli affari al mare, ma traggono forza e potere dalle zone interne.
Giovanissimo ma determinato (era nato in un centro preaspromontano del reggino, San Lorenzo) aveva dato filo da torcere alla ‘ndrangheta. E ce l’aveva messa tutta sul caso di Marco Fiora e, specialmente, sul sequestro Marzocco.
Proprio per aver fatto terra bruciata attorno ai banditi, l’Anonima era stata costretta ad abbandonare senza custodia l’ostaggio che era così riuscito a liberarsi e fuggire.

 

 

 

Articolo del 12 settembre 1990 da ricerca.repubblica.it
IL VESCOVO CON LA SCORTA AI FUNERALI DI BOVALINO
di Pantaleone Sergi

BOVALINO Quel vescovo con la scorta armata che arriva ai funerali di una vittima delle cosche e dice che sarebbe un guaio perdere anche la speranza, è un po’  l’emblema di questa Locride blindata che vive in una situazione di tipo boliviano. Se la mafia attacca, e attacca sempre chiunque si opponga alla sua strategia del terrore, lo Stato a protezione mette in campo i suoi uomini in armi. Si limita a difendere, come può. Il brigadiere Antonio Marino, trucidato da un sicario mafioso, era invece uno dei tanti uomini in divisa che lavorano all’attacco della piovra, senza far uso di armi, con l’intelligenza investigativa.

I suoi dossier, le sue relazioni sulle famiglie dell’Anonima di Platì sono stati e sono essenziali ancora a diverse inchieste. E forse in uno di questi dossier, a cui in questo momento sta lavorando il giudice istruttore Nicola Gratteri, ci potrebbe essere la chiave per capire il delitto, per individuare movente e mandanti, per tentare di arrivare a chi materialmente ha eseguito la sentenza di morte emessa da un tribunale mafioso.

Quando l’attività investigativa diventa penetrante va ad incidere su certi santuari, afferma il comandante generale dell’Arma, Antonio Viesti, riferendosi alla tragica fine del brigadiere Marino, ma la risposta è vigliacca perché coinvolge le famiglie. L’Arma comunque non si arrende, non abbassa la guardia. Siamo qui per testimoniare non solo la solidarietà al dolore dei familiari ma anche per ribadire che l’impegno dell’Arma non subirà alcun freno per quanto accaduto.

E sulla stessa lunghezza d’onda si trova il prefetto Domenico Sica, Alto commissario antimafia, il quale spiega che siamo in presenza di un fatto reattivo ad una presenza sicuramente maggiore da parte dello Stato, aggiungendo poi che fatti come quelli che si stanno registrando in questi giorni nella Locride accadono in zone dove lo Stato è, allo stesso tempo, assente e presente. A tre giorni dal delitto del sottufficiale dell’Arma avvenuto alla fine di una settimana di crescendo terroristico contro amministratori e consiglio comunale di Locri, la tensione non scema.

Ieri è stato il momento del dolore e della commozione popolare. Cuore di mamma, figlio sventurato, piangeva davanti alla bara una donna in nero avanti negli anni, mentre il picchetto di carabinieri rendeva l’onore delle armi. Durante i funerali che la moglie del brigadiere Marino, Rosetta Vittoria Dama, ha voluto a Bovalino superiore ci sono stati momenti di grande commozione generale. Piangeva la mamma del brigadiere ucciso, piangeva la moglie, arrivata in chiesa su una carrozzella per le ferite riportate ad una gamba durante l’agguato tragico al marito nel quale di striscio è stato ferito anche il figlioletto Francesco di appena due anni, protetta dagli obiettivi di fotografi e cineoperatori da un muro umano eretto dai parenti.

Ci sono state grida di dolore dei familiari ed anche di tanti commilitoni, colleghi sottufficiali soprattutto, i quali non nascondevano la propria commozione e le proprie lacrime. Ma nella piccola chiesa dell’Immacolata, dove ancora penzolano gli arazzi della festa patronale appena conclusa (Marino è stato ucciso proprio durante i festeggiamenti) sono stati vissuti anche momenti di tensione, con alterchi tra fotografi e parenti della vedova che hanno fatto di tutto per proteggere il diritto della donna a tenere privato il proprio dolore.

La folla che ha preso parte ai funerali era comunque strabocchevole. La piccola chiesa dell’ Immacolata ne ha potuto contenere molto poca. Più di mille persone, che poi tra le viuzze dell’antico borgo hanno fatto ala al passaggio della bara portata a spalla fino al cimitero da colleghi di Marino, sono rimaste fuori. La voce del vescovo Antonio Ciliberti, mesi fa minacciato dalla mafia, il quale ha celebrato il rito funebre davanti alle massime autorità regionali, al generale Vieste, al prefetto Sica, arrivava nitida tra la gente. Marino è un martire, ha detto il vescovo all’omelia, un martire di speranza. La recrudescenza della criminalità non dovrà prevalere. Nella Locride c’è tensione ma anche attesa fiduciosa per un progetto globale che dia risposte ai bisogni e ai drammi della gente.

Le indagini vanno avanti senza sosta. I migliori segugi dell’Arma sono al lavoro. La polizia dà una grossa mano. Sica, per oltre un’ora, nell’ufficio del giudice Gratteri a Locri, è stato a colloquio con il procuratore della Repubblica Rocco Lombardo e con il sostituto Ezio Arcadi che conduce l’inchiesta. Nel vertice è stato fatto il punto della situazione, sono state analizzate le ipotesi investigative più affidabili.

Sica alla fine ha scambiato qualche battuta con i giornalisti: La lotta alla mafia non è un’impresa facile, ha detto. Poi ha spiegato che a suo avviso è necessario migliorare le procedure e i meccanismi, con indagini serrate sul reinvestimento del denaro proveniente da fatti illeciti. Gli affari delle cosche della droga e dei sequestri, dunque, il riciclaggio del denaro sporco, gli investimenti apparentemente legittimi dei clan, restano l’obiettivo primo da colpire.

 

 

 

Articolo del 22 febbraio 2011  di  newz.it
Omicidio del Brigadiere Antonio Marino. Dopo 31 anni assoluzione in primo grado.
di Angela Panzera

Reggio Calabria. Dopo 31 anni arriva la sentenza di primo grado dell’omicidio di Antonio Marino, il brigadiere dei carabinieri ucciso a Bovalino superiore l’8 settembre del 1990. Il gup reggino Tommasina Cotroneo ha assolto per non aver commesso il fatto Francesco Barbaro, 84 anni, Giuseppe Barbaro, 62 anni, e Antonio Papalia, 56 anni, tutti originari di Platì. Per i 3 il pubblico ministero Mario Andrigo aveva richiesto tre condanne a 30 anni di carcere ciascuna ritenendoli quali mandanti del delitto. Assolto anche Giuseppe Barbaro, 55 anni, per il quale lo stesso rappresentate dell’accusa aveva richiesto l’assoluzione.

Rimane quindi irrisolto, almeno per il momento, il caso dell’uccisione del sottufficiale dell’Arma avvenuta nel piccolo paesino della locride mentre erano in corso i festeggiamenti per il Santo Patrono.

Marino fu raggiunto da 10 colpi di pistola sparati da un’unica arma – sotto gli occhi della moglie Rosetta Vittoria Dama, allora al terzo mese di gravidanza, e del figlioletto di due anni – mentre si trovava seduto sull’uscio del negozio appartenente ai suoceri. L’uccisione del Carabiniere gettò un’ondata di sdegno e rancore nell’intera comunità. I funerali del brigadiere furono caratterizzato da una grande tensione, i familiari inoltre non accettarono la corona di fiori inviata dall’allora Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, e la rispedirono indietro. Le indagini vennero immediatamente orientate verso l’attività istituzionale svolta dal brigadiere, che al momento dell’omicidio prestava servizio presso la stazione dei Carabinieri di San Ferdinando, dopo aver comandato per quasi tre anni e mezzo quella di Platì. Al processo si arrivò dopo 20 anni.

I tre Barbaro e Papalia furono chiamati in causa dal pentito Antonino Cuzzola che, nel corso della sua collaborazione con il sostituto procuratore distrettuale antimafia Andrigo, li ha accusati dell’omicidio dichiarando che il brigadiere fu ucciso a causa del ruolo che aveva ricoperto ed in particolare nel contrasto alle cosche operanti nel centro aspromontano. Sotto processo finì anche lo stesso collaboratore Cuzzola, accusato di aver avuto un ruolo nell’omicidio di Carmelo Spanò: omicidio quest’ultimo avvenuto nell’agosto del 1987 a Bocale; il gup Cutroneo, accogliendo quanto richiesto dallo stesso pm durante la requisitoria dello scorso 29 novembre, ha derubricato l’imputazione da concorso in omicidio in favoreggiamento. Cuzzola non può però più essere condannato in quanto il reato è caduto in prescrizione.

Non trova spiegazione quindi l’uccisione del Brigadiere Marino. Il punto interrogativo su questa vicenda si fa sempre più grande; le parti civili, ossia i congiunti della vittima, non hanno trovato ancora giustizia.

 

 

 

Articolo del 23 Aprile 2010 di  ilpaese.info
FINALMENTE PIAZZA MARINO SARÀ UNA REALTÀ

Sarà una combinazione, sarà il “fato”, sarà un positivo accostamento  astrologico, di certo la realtà ci dice che Piazza Marino, pensata nel 1989 quando Tommaso Mittiga era capogruppo della Democrazia Cristiana e sindaco Antonio Carpentieri della stessa DC, verrà inaugurata proprio da Mittiga, oggi sindaco di una coalizione “civica” che vede insieme PD, Pdl e raggruppamenti di semplici cittadini, dall’assessore ai Lavori Pubblici Domenico Vadalà, e,  tra gli altri dell’Amministrazione,  da Carpentieri, oggi consigliere d’opposizione.

In quel lontano ed affollato consiglio comunale, a qualche giorno dalla barbara uccisione del maresciallo capo dei Carabinieri Antonio Marino in piena festa patronale a Bovalino Superiore – era l’8 settembre – Tommaso Mittiga nel ricordare l’eroico servitore dello Stato, disse che “impegno dell’Amministrazione Comunale è quello di dedicare a Marino una piazza, (identificata nel luogo ove si trova -Via XXIV Maggio/Traversa Ceravolo). 21 anni dopo, quell’esponente della Democrazia Cristiana e quel sindaco che oggi è all’opposizione, si ritroveranno insieme per inaugurare un’opera che l’ex sindaco Zappavigna (oggi anch’egli consigliere di minoranza) poteva tranquillamente fare, senza lasciare lo spazio transennato, con l’erbetta cresciuta, rimandando l’inaugurazione a dopo il 31 marzo cioè ad elezioni terminate ma da sindaco riconfermato. Così però non è stato e sarà quindi il professore Mittiga ad indossare la fascia tricolore ed alla presenza di alte cariche dell’Arma Benemerita e della Istituzioni, tagliare il nastro, consegnando ai cittadini di Bovalino un’altra opera dopo ventuno anni, quanti ne ha il figlio del maresciallo Marino che non ebbe modo di conoscere il papà perché ancora nel seno materno.

Ne siamo felici principalmente perché era un’opera che ha atteso tanto prima di essere ultimata, nonostante esistessero gli arredi e poi perché l’attuale sindaco non sta perdendo tempo per “completare” le incompiute, come nel caso del corso Umberto che lunedì sarà chiuso per l’inizio dei lavori di risistemazione dell’impianto di illuminazione e rifacimento dei marciapiedi e del manto stradale.

 

 

 

 

Articolo dell’1 Ottobre 2011 da .reggiotv.it 
La caserma dei carabinieri di Platì intitolata al compianto brigadiere Marino
di Anna Foti

Platì (Reggio Calabria) – Era stata da lui comandata dal 1983 al 1989 e adesso porta il suo nome. La caserma dei Carabinieri di Platì, in provincia di Reggio Calabria è stata intitolata, infatti, alla memoria del Brigadiere Antonio Marino, vittima di un vile agguato mafioso consumatosi il 9 settembre 1990 quando, libero dal servizio, si trovava a casa dei suoceri a Bovalino Superiore, durante i festeggiamenti in onore dell’Immacolata. Un gesto plateale per colpire lo Stato dritto al cuore. All’epoca era alla guida della caserma di San Ferdinando.

Fu insignito della medaglia d’oro al Valor Civile nel giugno del 1993. Nel febbraio dello stesso anno il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri aveva conferito, come prima attestazione di merito (alla memoria) al Brig. Marino Antonio un Encomio Solenne mentre il 2 giugno dello stesso anno il Ministro dell’Interno visto il decreto del Presidente della Repubblica conferiva alla memoria del Brigadiere Marino Antonino la “medaglia d’oro al valor civile”.

Antonio Marino, originario di San Lorenzo in provincia di Reggio Calabria, è deceduto il 9 settembre di 11 anni fa presso l’ospedale Civile di Locri in seguito a gravissime lesioni riportate per l‘esplosione di colpi d’arma da fuoco. Anche la moglie fu attinta al polpaccio sinistro, in quella drammatica circostanza, e il figlioletto, di 1 anno soltanto, colpito al ginocchio destro. Quel bambino oggi è un uomo, Francesco, anche lui carabiniere, sottotenente, e ha ricevuto dal comandante della Legione carabinieri Calabria, gen. Adelmo Lusi, una sciabola donata dai colleghi del padre.

Già bersaglio di esplosioni di arma da fuoco nelle località di Cirella e di Giovambattista di Platì, il brigadiere Marino aveva indagato su tantissimi sequestri di persona, aveva collaborato per la cattura di spietati boss dell’Anonima di Platì e aveva individuato come pista quella di facili e veloci arricchimenti illeciti. Un’eredità che impone la memoria e l’impegno e non solo nella Locride.

Il suo destino era dunque segnato e le modalità particolarmente plateali dell’agguato attestano l’importanza della vittima e del gesto criminale.

La ‘ndrangheta aveva sparato a morte nella ricorrenza della festa patronale, come a Monreale il 4 maggio del 1980 quando fu ucciso il Capitano Emanuele Basile in compagnia della moglie e la figlia di cinque anni in braccio. Era la festa del Crocefisso.

Un atto eversivo venne definito da Ezio Arcadi, sostituto procuratore della Repubblica che seguì le indagini, eseguito in un momento di grande asprezza del conflitto Stato e Intra – stato mafioso, frangente epocale di trasformazione della ndrangheta da Anonima Sequestri a holding di cocaina in cui l’economia criminale cominciò ed essere individuata ed intaccata.

E la reazione a questa ingerenza non di fece attendere e fu spietata.

*Il Brigadiere Antonino MARINO conquistò la Medaglia d’Oro al Valor Civile con la seguente motivazione:

“Comandante di Stazione impegnato in delicate attività investigative in aree caratterizzate da alta incidenza del fenomeno mafioso, operava con eccezionale perizia, sereno sprezzo del pericolo e incondizionata dedizione fornendo determinanti contributi fino al supremo sacrificio della vita stroncata da vile agguato. Splendido esempio di elette virtù civiche e di altissimo senso del dovere. Bovalino (RC), 09 settembre 1990”.

 

 

 

Articolo del 3 Ottobre 2011 da stopndrangheta.it
L’8 settembre 1990 a Bovalino superiore si scivola in pochi istanti dalla festa alla tragedia. L’agguato contro Antonio Marino, 33enne brigadiere dei carabinieri, scatta infatti nel pieno dei festeggiamenti dedicata alla Madonna Immacolata. Il sottoufficiale morirà in ospedale il giorno dopo. Nell’agguato restano feriti anche la moglie e il figlioletto. Medaglia d’oro al valore civile, a Marino il 1 ottobre 2011 è stata intitolata la nuova caserma dei carabinieri di Platì. Pubblichiamo la ricostruzione dei giornalisti Magro e Chirico contenuta nel libro “Dimenticati” (Castelvecchi 2010)
Il senso della divisa: il brigadiere Marino
di Alessio Magro, Danilo Chirico

Bovalino Superiore fa festa. Tutto il paese è in piazza per la Madonna Immacolata, la chiesa è addobbata, le luci per le strade rendono l’atmosefra speciale. Ma c’è qualcuno che ha un altro motivo per festeggiare. Lui si chiama Nino e ha trentatré anni e lei Vittoria e ne deve compiere trenta. Sono sposati da due anni. Hanno appena saputo che aspettano un bambino. Farà compagnia al loro primo figlio, Francesco, che ha appena un anno e mezzo. Quella sera dell’8 settembre 1990 sono in strada tutti e tre, Nino, Vittoria e Francesco. Chiacchierano con gli amici proprio davanti alla trattoria del padre di Vittoria. C’è confusione, l’allegria tiptica delle feste patronali di un paese meridionale. Nino è arrivato a Bovalino, il paese di Vittoria, da appena ventiquattr’ore. Lui, figlio di artigiani, è origianrio di san Lorenzo e da qualche tempo vive e lavora a San Ferdinando, nella Piana di Gioia Tauro. Ha preso un paio di giorni di ferie: alla festa della Madonna non ci vuole proprio rinunciare. E poi ha appena ritirato le analisi di Vittoria. Non le ha ancora aperte, le vuole leggere assieme a sua moglie. Scoprono insieme che Vittoria aspetta un figlio da tre mesi. Un’emozione che non si può descrivere. Nino è un brigadiee dei carabinieri. Uno di quelli che macinano chilometri e controlli, che scrivono pagine e pagine di informative piene zeppe di di notizie, uno di quelli che la ‘ndrangheta proprio non li può vedere. Ma la sera della festa, di boss e picciotti, traffici e sequestri di persona non vuole sentire parlare. E’ a Bovalino per fare festa con la sua famiglia. Sono lì, uno di fianco all’altro, Nino, Vittoria e Francesco. In mezzo alla gente. A divertirsi. E’ passata da poco la mezzanotte quando all’improvviso un uomo con il volto scoperto si nasconde tra la folla e spara. Otto colpi di una pistola con caricatore doppio. E’ un professionista e mantiene il sangue freddo. Scatena il panico. La gente corre a ripararsi e nascondersi. Ci sono centinaia di persone che corrono. Tutti capiscono presto che l’obiettivo era la famiglia di Nino. Sono tutti a terra, uno accanto all’altro, Nino, Vittoria e Francesco. Sotto gli occhi increduli di mezzo paese. Il silenzio è spettrale, l’aria rarefatta. Il giovane carabiniere è stato colpito all’addome, al torace e alla spalla, Vittoria ha una frattura di tibia e perone, il piccolo Francesco è stato colpito di striscio al ginocchio.
Vengono portati in ospedale a Locri. Nino viene subito operato, i medici tentano di bloccare l’emorragia. Sei ore di intervento sembrano salvargli la vita e nelle prime ore del mattino i medici sono prudenti ma ottimisti. Tutti tirano un cauto sospiro di sollievo. Poco dopo le tredici, la situazione precipia e il brigadiere dei carabinieri Antonio Marino viene dichiarato morto. Danno venticinque giorni di prognosi a sua moglie, Rosa Vittoria Dama, che nonostante il dolore, la paura e la ferita tiene dentro di sé il bambino. Se la cava con dieci punti e viene subito dimesso il piccolo Francesco.
Dalla notte iniziano subito le indagini, partono rastrellamenti, perquisizioni, decine di persone vengono sottoposte all’esame dello stub per vedere se hanno addosso tracce di polvere da sparo. L’attenzione degli inquirenti, guidati dal sostituto procuratore di Locri Ezio Arcadi si concentra subito su Platì. Dal 1983 fino a due anni prima, Nino Marino ha lavorato nel paese dei sequestri e le sue informative sono di quelle dettagliate e pesanti. La cosa deve essere arrivata anche all’orecchio dei boss che – sia sa – hanno entrature dappertutto e che comunque riconoscono subito poliziotti e carabinieri da cui guardarsi. E il lavoro di Marino ha portato i suoi frutti proprio in quei mesi.
Torna subito alla mente l’assassinio del comandante della stazione di San Luca Carmine Tripodi, ma gli investigatori ricordano anche che Marino è stato trasferito da Platì nel 1988, dopo che i militari dell’Arma avevano subito un agguato pesantissimo: una camionetta era stata presa a colpi di lupara per segnare che l’attività investigativa – diretta da Marino – stava dando fastidio. Il trasferimento però non significa che Marino non abbia continuato a dare la caccia ai boss dell’Anonima sequestri, né si può tralasciare San Ferdinando, un paese caldo che sta a metà strada tra Gioia Tauro e Rosarno.
C’è agitazione nella Locride. Nel giro di pochi giorni c’è stato un attentato fallito all’assessore democristiano del comune di Locri Federico Fazzari, mentre il giorno dopo, con il consiglio in seduta, sono state sparate raffiche di mitra contro il municipio. E se ancora non bastasse per capire che in Calabria c’è un allarme in corso, il resto lo fa il vescovo Antonio Ciliberti – da poco minacciato dai clan, che hanno anche preso a caolpi di fucile caricato a pallettoni la porta dell’episcopio di Locri e dato alle fiamme il cinema adibito a centro sociale dei gesuiti. Ciliberti lancia pesanti parole di accusa contro i clan, poi parla della morte di Marino: “Il sangue dei martiri è sangue di speranza e quindi di liberazione del mondo”. Nella chiesetta per i funerali c’è anche Vittoria. E’ uscita dall’ospedale ed è arrivata per l’ultimo saluto a suo marito in sedia a rotelle. Gli fa una promessa: il bambino che porta in grembo si chiamerà Nino, proprio come lui. Decide con gli altri familiari di Nino che serve un geste eclatante per protestare contro lo stato di abbandono in cui vive il Sud e che ha portato alla morte del marito. Per questo decide di rispedire al Quirinale la corona di fiori inviata dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Intanto i carabinieri, ancora una volta, sono costretti a piangere una loro vittima e a promettere giustizia e impegno immutato. Lo fanno con il comandante generale Antonio Viesti, che fuori dalla chiesa, in mezzo a una folla di colleghi e amici di Nino, dice a chiare lettere: “Sia ben chiaro, l’Arma non si arrende, non abbassa la guardia. Siamo qui per testimoniare non solo la solidarietà al dolore dei familiari di Marino, ma anche per ribadire che l’impegno dell’Arma  non subirà alcun freno per quanto è accaduto”. Alla fine dei funerali, i colleghi commossi di Nino portano la bara a spalla per le vie di Bovalino verso il cimitero del paese.
E mentre le indagini vanno a rilento, una strana polemica si abbatte sulla storia di Nino Marino. La portano in Parlamento quattro radicali. Chiedono ai ministri dell’Interno, della Giustizia  e della Sanità se sono a conoscenza di come sono andate le ultime ore di vita del brigadiere. Secondo i deputati ci sarebbero stati ritardi tra il ricovero del graduato nell’ospedale di Locri e l’inizio dell’intervento chirurgico. Ciò perché un ufficiale dei carabinieri, presentatosi in ospedale, “dichiarava, pur informato della necessità di provvedere con la massima urgenza all’operazione, che intendeva trasferire altrove il sottoufficiale ferito”. Di fronte all’insistenza dei medici, tra cui il primario Pasquale Tavernese, “l’ufficiale”, si legge nell’interrogazione, “presentava ai sanitari il dottor Galasso. primario del reparto chirurgia d’urgenza dell’ospedale di Siderno, sostenendo che il prefetto di Reggio calabria lo aveva designato per fare l’operazione”. Tavernese e il suo staff “facevano presente l’evidente illegittimità di tale imposizione”, ma di fronte all’urgenza finivano per accettarla. Per i parlamentari, tali fatti avrebbero ritardato l’intervento di un’ora e un quarto.
Oscar Luigi Scalfaro nel 1993 concede la medaglia d’oro al valor civile al brigadiere Marino. È l’unica onorificenza che lo Stato ha riconosciuto a Vittoria, Francesco e Nino. Nello stesso anno, Vittoria – che vive ancora in Calabria – ha ricevuto la visita del nuovo comandante generale dei carabinieri, il generale Luigi Federici. La svolta nelle indagini avviene solo dopo molti anni. E avviene nella lontana Modena. Il 23 ottobre 2006, la DIA arresta Giuseppe Barbaro, di cinquantotto anni, detto «u nigru». È considerato un boss, è considerato il mandante dell’omicidio del brigadiere Nino Marino. L’hanno trovato davanti al centro oncologico insieme alla moglie e alla figlia, dove stava andando da alcune settimane per sottoporsi a delle cure. Con lui, nel processo che si è aperto nel gennaio 2010, sono imputati anche Francesco Barbaro di ottantatré anni, Giuseppe Barbaro di cinquantacinque e Antonio Papalia di cinquantasei. Sono tutti e quattro di Platì. È stato il collaboratore di giustizia Antonio Cuzzola a chiamarli in causa parlando con il pm Mario Andrigo. Addebita al periodo in cui Marino era a Platì le ragioni che hanno portato i boss a decidere la sua morte

 

 

 

REGGIO La sentenza della Corte d’assise d’appello scrive la parola fine sull’assassinio del sottufficiale dei Cc, il 9 settembre 1990 a Bovalino Superiore
GAZZETTA DEL SUD venerdì 11 maggio 2012
Omicidio Marino, 22 anni dopo tutti assolti
Antonio Papalia e i tre Barbaro di Platì: Francesco “castanu”, Giuseppe “u sparitu” e il defunto boss “nigru”Rocco Muscari

LOCRI Dopo 22 anni, non si conoscono i nomi dei mandanti e degli esecutori dell’omicidio del brigadiere Antonino Marino, ucciso a Bovalino Superiore il 9 settembre 1990 sotto gli occhi della moglie e del figlio.
La Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria (presidente Bruno Finocchiaro, giudice Gabriella Cappello) ha mandato assolti Antonio Papalia, Francesco Barbaro, inteso “u castanu”, Giuseppe Barbaro, inteso “u sparitu”, e Giuseppe Barbaro, alias “u nigru” deceduto nelle scorse settimane, tutti di Platì. I quattro erano accusati a vario titolo di essere stati i mandanti del delitto dell’allora 33enne sottoufficiale dell’Arma, in concorso con soggetti non identificati aventi parte all’esecuzione materiale, con premeditazione e per abbietti motivi di supremazia mafiosa, avvalendosi delle condizioni di partecipi a una associazione di stampo mafioso.
Il brigadiere Marino, già comandante della stazione dei carabinieri di Platì, fu ucciso da un commando che agì mentre la vittima si trovava all’ingresso della macelleria dei suoceri, aperta fino a ora tarda in occasione dei  festeggiamenti patronali. Il delitto è rimasto avvolto nel mistero per 15 anni, fino a quando il collaboratore di giustizia Antonino Cuzzola ha raccontato che i Barbaro e Papalia avrebbero dato mandato per l’esecuzione dell’agguato per vendicarsi dell’attività investigativa operata dal brigadiere contro le cosche di Platì, che nell’agosto del 1990 ha portato all’esecuzione di numerosi sequestri di beni riconducibili alle famiglie ritenute dagli inquirenti al vertice della ’ndrangheta. Ma il racconto di Cuzzola non ha retto in primo grado, quando, all’esito degli esami degli elementi probatori il gup di Reggio Calabria, giudice Tommasina Cotroneo, il 21 febbraio del 2011, ha ritenuto di dover assolvere con formula piena i Barbaro e Papalia, in presenza di insufficienza o contraddittorietà della prova.
Il pg Fulvio Rizzo, a seguito del deposito delle motivazioni delle sentenza di primo grado, aveva proposto appello avverso la sentenza di primo grado, chiedendo alla Corte d’assise d’appello di Reggio di riformare la sentenza.
L’accusa ha concluso chiedendo 30 anni di reclusione rispettivamente per Antonio Papalia (cl. 56), e Francesco Barbaro (cl. 27), “u Castanu”. Il pm Rizzo avrebbe chiesto la pena di 30 anni anche per Giuseppe Barbaro (cl. 48) “u nigru”, ma essendo l’imputato deceduto ha richiesto il non luogo a procedere per morte del reo. Infine il rappresentate della pubblica accusa ha chiesto l’assoluzione per il 56enne Giuseppe Barbaro, “u sparitu”, figlio di Francesco “u castanu”, a conferma della sentenza di primo grado.
Secondo l’accusa infatti il giudice di primo grado non avrebbe adeguatamente valutato la credibilità del collaboratore Cuzzola, il quale aveva ammesso la sua partecipazione diretta alle varie fasi del mandato che gli imputati avrebbero in un primo tempo conferito a Domenico Paviglianiti, ma da quest’ultimo rifiutato e successivamente eseguito, secondo quanto dichiarato dal pentito, da altri soggetti che però non aveva saputo indicare.
Di contrario avviso invece i difensori, che hanno concluso chiedendo l’assoluzione per i rispettivi assistiti. Il primo ad intervenire è stato l’avv. Renato Russo, in difesa di Antonio Papalia, che ha richiamato l’attenzione della Corte sull’erronea interpretazione della sentenza di primo grado effettuata dalla Procura generale. Sentenza che secondo l’avv. Russo doveva essere confermata per la corretta adesione ai principi giurisprudenziali in materia di valutazione delle fonti dichiarative, rimaste prive di riscontro, oltre che per l’assenza di un minimo di probabilità logica della veridicità dell’assunto accusatorio.
Giudizio di conferma della sentenza di primo grado è stato richiesto anche dall’avv. Antonio Speziale, in difesa di Giuseppe Barbaro, già deceduto. Secondo il difensore la sentenza del gup non poteva essere suscettibile di esito diverso, non soltanto in ragione delle varie contraddizioni e smentite che, sempre secondo la difesa, si potevano cogliere dalle dichiarazioni del Cuzzola, ma anche per le varie indagini su altre causali dell’omicidio che sebbene risultanti dagli atti di causa erano rimaste inesplorate. A conclusione degli interventi difensivi sono intervenuti gli avvocati Adriana Bartolo e Sandro Furfaro, rispettivamente difensori di Giuseppe Barbaro e Francesco Barbaro. Anche secondo questi difensori la decisione assolutoria di primo grado non meritava una rivisitazione volta a ribaltarne l’esito; e ciò per l’inidoneità intrinseca delle dichiarazioni del Cuzzola a fondare un pur minimale criterio di attendibilità.
Le tesi sostenute dal collegio difensivo hanno fatto breccia rispetto agli elementi portati a sostegno dall’accusa, tant’è che l’omicidio del brigadiere Marino rimane ancora ufficialmente insoluto.

 

 

 

Articolo del 7 settembre 2013 da lentelocale.it
Bovalino ricorda il Brigadiere Marino a ventitrè anni dalla scomparsa

BOVALINO- Martedì 10 settembre alle ore 11.00 presso la Chiesa San Nicola di Bari in Bovalino sarà celebrata una messa in memoria del Brigadiere Antonino Marino, in occasione del ventitreesimo anniversario della sua morte.

Militare impegnato principalmente nel contrasto alla ‘ndrangheta, ha lavorato per anni, prima del suo assassinio, come Comandante della Stazione Carabinieri di Platì. Profondo conoscitore della criminalità organizzata locale ha svolto varie indagini su traffici illeciti e sui numerosi sequestri di persona che in quegli anni rappresentavano una delle principali attività criminali, contribuendo ad assicurare alla giustizia diversi esponenti della ‘ndrangheta.

Il 09 settembre 1990 il Brigadiere mentre si trovava a Bovalino Superiore, con la propria famiglia, in occasione della festa patronale, veniva avvicinato da un killer il quale, profittando della confusione che regnava in paese, anche in considerazione della concomitante esecuzione di uno spettacolo pirotecnico, gli esplodeva contro una decina di colpi di pistola, dileguandosi poi nel buio. Nel vile agguato furono colpiti, all’epoca trentenne, oltre al sottufficiale,anche la moglie ed il figlio di 1 anno.

Il 2 settembre 1993 al militare veniva conferita la Medaglia d’oro al valor civile con la seguente motivazione “Comandante di Stazione impegnato in delicate attività investigative in aree caratterizzate da alta incidenza del fenomeno mafioso, operava con eccezionale perizia, sereno sprezzo del pericolo e incondizionata dedizione, fornendo determinati contributi alla lotta contro efferate organizzazioni criminali fino al supremo sacrificio della vita, stroncata da vile agguato. Splendido esempio di elette virtù civiche e di altissimo senso del dovere”.

Il 30 settembre 2011a Platì è stata intitolata alla memoria del Brigadiere Marino la locale caserma Carabinieri.

 

 

 

Articolo del 16 Gennaio 2014 da ilsole24ore.com
Si riapre il caso di Antonino Marino, carabiniere ucciso alla Festa dell’Immacolata di Bovalino
di Roberto Galullo

Il giudice per le indagini preliminari (Gip) di Milano Franco Cantù Rajnoldi, il 14 dicembre 2013 ha apposto la propria firma all’ordinanza di custodia cautelare che la scorsa settimana ha portato in carcere dieci soggetti nell’ambito dell’ennesima inchiesta contro la ‘ndrangheta in Lombardia, denominata Platino. La lunga e complessa indagine sfociata nella richiesta cautelare è stata condotta – come si dà doverosamente atto nella premessa – essenzialmente dall’Arma dei Carabinieri e in particolare dal Nucleo investigativo del comando provinciale di Milano, coordinata dalla Direzione distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica.

I media hanno messo in evidenza i presunti interessi delle cosche calabresi sui locali notturni di Milano (non è certo una novità, ahinoi) e in particolar modo nei servizi di security ma l’accusa spazia fino alle estorsioni-tangenti commesse in danno di imprenditori e altro ancora.

Nelle pieghe delle ordinanze si possono leggere anche storie e ricostruzioni di omicidi eccellenti . Non dimentichiamo che questa indagine nasce da una costola investigativa sul “movimento terra” nell’ hinterland milanese e nelle province di Pavia, Lecco e Monza e dalle investigazioni sulle cosche Barbaro e Papalia regnanti a Buccinasco, Corsico e Trezzano sul Naviglio.

Oggi continuo su un filone analogo, vale a dire le rivelazioni sull’autore dell’ omicidio del Brigadiere dei Carabinieri Antonino Marino, già Comandante della Stazione dei Cc di Platì dal 1983 al 1988 e ucciso con colpi di arma da fuoco il 9 settembre 1990 a Bovalino. In una intercettazione ambientale del 1° settembre 2012 con Michele Grillo (arrestato nell’operazione Platino), Agostino Catanzariti (anch’egli arrestato) rivela di essere a conoscenza di molte cose di quell’omicidio.

Chi era Marino
E’ bene ricordare chi fosse Marino perché la memoria storica italiana fa acqua da tutte le parti e tenere viva la memoria di Carabinieri come lui fa bene al cuore.
Marino fu insignito della Medaglia d’oro al valore civile alla memoria, conferitagli – con decreto dell’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il 2 giugno 1993 – con la seguente motivazione: «Comandante di stazione impegnato in delicate attività investigative in aree caratterizzate da alta incidenza del fenomeno mafioso, operava con eccezionale perizia, sereno sprezzo del pericolo e incondizionata dedizione, fornendo determinanti contributi alla lotta contro efferate organizzazioni criminali fino al supremo sacrificio della vita, stroncata da vile agguato. Splendido esempio di elette virtù civiche e di altissimo senso del dovere».

 

 

 

Foto da: ilquotidianoweb.it

Articolo del 16 giugno 2014 da  ilquotidianoweb.it
Condannati dopo 24 anni mandante ed esecutore dell’omicidio del brigadiere dei carabinieri

Il 9 settembre 1990 a Bovalino venne ucciso il comandante della stazione di Platì, poi insignito della medaglia d’oro al valore civile: secondo l’accusa a deciderlo fu un boss che in un mese era stato sottoposto a 27 controlli

REGGIO CALABRIA – I giudici della Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria hanno condannato a 30 anni di reclusione il boss Francesco Barbaro, di 58 anni, e Antonio Papalia, 75 anni, ritenuti l’esecutore materiale ed il mandante dell’omicidio del brigadiere dei carabinieri Antonino Marino, avvenuto il 9 settembre 1990 a Bovalino. L’omicidio avvenne mentre il sottufficiale dei carabinieri stava seguendo una processione religiosa insieme alla moglie ed al figlio di due anni.
Contro il brigadiere Antonino Marino furono sparati diversi colpi di pistola uno dei quali ferì lievemente anche il figlio di due anni del sottufficiale dei carabinieri. Le indagini sull’omicidio del brigadiere Marino, dopo 22 anni dal delitto, furono chiuse l’11 maggio 2012 con una prima sentenza di assoluzione emessa dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria contro i presunti autori e i mandanti, tutti componenti della cosca della ‘ndrangheta di Platì Barbaro-Papalia. A fare il nome di Giuseppe Barbaro quale mandante dell’ omicidio del brigadiere Marino era stato il pentito della ‘ndrangheta, Antonino Cuzzola, della cosca Paviglianiti di San Lorenzo (Reggio Calabria). Secondo quanto aveva riferito il collaboratore di giustizia, il brigadiere Marino, comandante della caserma di Platì dei carabinieri, fu ucciso per vendetta perchè troppo attivo nell’attività d’indagine nei confronti degli affiliati della cosca Barbaro.
In particolare, dopo la sua nomina a comandante, Marino aveva compiuto in un mese 27 controlli nei confronti di Giuseppe Barbaro. Successivamente, nel corso di una delle operazioni condotte dalle forze dell’ordine sugli appalti in Lombardia, fu intercettato un pregiudicato, Agostino Catanzariti, che chiacchierando con i suoi sodali aveva riferito una serie di elementi sul delitto. Successivamente a tale intercettazione la Corte di cassazione decise la riapertura del dibattimento assegnandolo ad altro collegio che oggi ha emesso la sentenza.

 

 

 

Articolo del 16 giugno 2014 da ilmattino.it
Omicidio Marino: condannati a 30 anni esecutore e mandante dell’agguato al brigadiere

Reggio Calabria – I giudici della Corte d’Assise d’appello di Reggio Calabria hanno condannato a 30 anni di reclusione il boss Francesco Barbaro, di 58 anni, e Antonio Papalia, 75 anni, ritenuti l’esecutore materiale ed il mandante dell’omicidio del brigadiere dei carabinieri Antonino Marino, avvenuto il 9 settembre 1990 a Bovalino.

L’omicidio avvenne mentre il sottufficiale dei carabinieri stava seguendo una processione religiosa insieme alla moglie ed al figlio di due anni.
Contro il brigadiere Antonino Marino furono sparati diversi colpi di pistola uno dei quali ferì lievemente anche il figlio di due anni del sottufficiale dei carabinieri.

Le indagini sull’omicidio del brigadiere Marino, dopo 22 anni dal delitto, furono chiuse l’11 maggio 2012 con una prima sentenza di assoluzione emessa dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria contro i presunti autori e i mandanti, tutti componenti della cosca della ‘ndrangheta di Platì Barbaro-Papalia.

A fare il nome di Giuseppe Barbaro quale mandante dell’omicidio del brigadiere Marino era stato il pentito della ‘ndrangheta, Antonino Cuzzola, della cosca Paviglianiti di San Lorenzo (Reggio Calabria). Secondo quanto aveva riferito il collaboratore di giustizia, il brigadiere Marino, comandante della caserma di Platì dei carabinieri, fu ucciso per vendetta perchè troppo attivo nell’attività d’indagine nei confronti degli affiliati della cosca Barbaro.

In particolare, dopo la sua nomina a comandante, Marino aveva compiuto in un mese 27 controlli nei confronti di Giuseppe Barbaro. Successivamente, nel corso di una delle operazioni condotte dalle forze dell’ordine sugli appalti in Lombardia, fu intercettato un pregiudicato, Agostino Catanzariti, che chiacchierando con i suoi sodali aveva riferito una serie di elementi sul delitto. Successivamente a tale intercettazione la Corte di cassazione decise la riapertura del dibattimento assegnandolo ad altro collegio che oggi ha emesso la sentenza.

 

 

 

Articolo del 17 Settembre 2015 da ildispaccio.it
Dopo 25 anni, giustizia per il brig. Marino: condanne definitive su Barbaro e Papalia

A poco più di 25 anni dal delitto, finalmente verità e giustizia per la famiglia del brigadiere dei Carabinieri, Antonio Marino. La Cassazione ha infatti confermato al condanna disposta nel luglio dello scorso anno dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria che hanno spedito in galera per 30 anni Francesco Barbaro, classe 1927, e Antonio Papalia, classe 1954.

Confermate dunque le condanne già disposte nel giugno 2014 dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, presieduta da Roberto Lucisano, che aveva stabilito la condanna a trent’anni di reclusione ciascuno per Francesco Barbaro e Antonio Papalia, entrambi originari di Platì. La condanna per i due imputati arriva nel processo d’appello per far luce sull’omicidio del brigadiere dei Carabinieri Antonino Marino, ucciso a Bovalino, nella Locride, il 9 settembre 1990. La Procura Generale aveva invocato la condanna per Francesco Barbaro e per Antonio Papalia. accusati di essere gli ideatori del delitto in cui perse la vita il brigadiere dei Carabinieri, Antonio Marino.

La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, presieduta da Roberto Lucisano (Marialuisa Crucitti a latere) aveva disposto la riapertura dell’istruttoria dibattimentale nel procedimento per far luce sulla morte del brigadiere Antonino Marino, assassinato nel 1990 nella Locride. In particolare, la Corte aveva disposto l’acquisizione ai fini della trascrizione di un’intercettazione contenuta nell’indagine “Platino”, condotta sulla ‘ndrangheta del milanese. La Corte aveva disposto l’acquisizione su richiesta del sostituto procuratore generale Fulvio Rizzo, aggiornando il procedimento ai prossimi giorni per poter affidare l’incarico per la trascrizione dell’audio.

A parlare sono Agostino Catanzariti, storico uomo della cosca Barbaro-Papalia, e l’anziano boss Michele Grillo. In una conversazione intercettata, i due farebbero riferimento all’omicidio del carabiniere, intransigente e tenace nel combattere le ‘ndrine della Locride nel corso della propria attività a Platì. Sulla morte del carabiniere indagherà la Dda di Reggio Calabria, anche sulla scorta delle dichiarazioni di Antonino Cuzzola, che molti anni dopo rispetto all’omicidio (avvenuto a Bovalino, nel periodo della festa del paese) raccontando che ad ordinare l’omicidio del brigadiere sarebbero stati i boss di Platì Antonio Papalia, Giuseppe Barbaro (cl. 48), Francesco Barbaro e Giuseppe Barbaro (cl. 56). Ma in sede giudiziaria le accuse del pentito non saranno ritenute sufficienti per arrivare a una condanna né in primo grado, né in appello. Ora l’intercettazione nell’ambito dell’inchiesta “Platino”, che chiarirebbe anche le motivazioni, registrate dalla viva voce dei boss trapiantati al nord: “Il movente, perché dice che, nel paese, che perseguitava la famiglia Barbaro e menava sopra i “Castanu” e sopra di lui e di suo padre “Che dopo è stato … deciso per ammazzarlo, l’hanno trasferito e dopo … e là…”.

Marino sarebbe stato ucciso per la propria intransigenza investigativa nei confronti delle cosche della Locride. Verrà dunque trasferito nella Piana di Gioia Tauro, ma i boss della jonica decideranno comunque di eliminarlo e attueranno il piano la sera del 9 settembre del 1990 a Bovalino Superiore, in occasione dei festeggiamenti per l’Immacolata. Il brigadiere stava ammirando i fuochi d’artificio insieme alla moglie e al figlio.

 

 

 

Articolo del 19 settembre 2015 da strettoweb.com
Reggio, arrestato il boss di Platì: ha ucciso il brigadiere dei carabinieri Antonino Marino

Il boss della ‘ndrangheta Francesco Barbaro, di 88 anni, accusato di essere stato l’esecutore materiale dell’omicidio del brigadiere dei carabinieri Antonino Marino, ucciso a Bovalino il 9 settembre del 1990, è stato arrestato a Platì in esecuzione di un provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso dall’ufficio esecuzioni penali della Procura generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria. Barbaro deve scontare l’ergastolo.

 

 

 

Antonino Marino – Quotidiano del Sud del 10 agosto 2016 – Pagine della memoria

 

 

 

Calabria Nera-Delitti Irrisolti – L’ Omicidio del brigadiere Antonino Marino
TeleMiaLaTv
Pubblicato il 7 feb 2017

 

 

 

Fonte: lacnews24.it
Articolo del 12 settembre 2018
Fu ucciso 25 anni fa, Bovalino ricorda il sacrificio del brigadiere Marino
di Ilario Balì
Il sottufficiale dell’Arma venne trucidato nel 1990. Nell’agguato rimasero feriti anche la moglie e il figlio

Bovalino e tutta l’Arma dei carabinieri non dimenticano il sacrificio del brigadiere Antonino Marino, trucidato a colpi di arma da fuoco il 9 settembre 1990. Presenti alla cerimonia in occasione del 28° anniversario da quell’efferato delitto autorità militari, civili e religiose della provincia reggina.

Prima del suo assassinio si era occupato di varie indagini su traffici illeciti. Da profondo conoscitore della criminalità aveva collaborato nelle indagini sui sequestri di persona. La sera del 9 settembre 1990 mentre si trovava a Bovalino Superiore con la propria famiglia fu avvicinato da un killer, il quale gli esplose contro alcuni colpi di pistola, colpendolo in parti vitali. Nell’agguato rimasero feriti anche la moglie incinta e il figlio Francesco di appena un anno, oggi stimato ufficiale dell’Arma dei Carabinieri.

Il vescovo Oliva nell’officiare la messa di suffragio, ha rivolto un pensiero a tutti i caduti nell’assolvimento dei compiti istituzionali, immolandosi fino all’estremo sacrificio. Sulle note del “silenzio” è stata infine deposta una corona d’alloro davanti alla lapide nella piazza che porta il suo nome.

 

 

Il video:

L’ARMA RICORDA IL SACRIFICIO DEL BRIGADIERE MARINO

LaC TV – Pubblicato il 12 set 2018

 

 

 

Leggere anche:

 

Articolo del 20 marzo 2021

Antonino Marino, “una ferita che non si è mai rimarginata”

 

 

 

 

 

 

 

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