“I fantasmi del Mediterraneo“ di Andrea Palladino e Andrea Tornago
I fantasmi del Mediterraneo
di Andrea Palladino e Andrea Tornago
Fonte: toxicleaks.org
“Vogue la galère” (Le Monde, 6 febbraio 2015)
“I fantasmi del Mediterraneo“ (ToxicLeaks, 4 aprile 2015)
di Andrea Palladino e Andrea Tornago
Dopo le armi e i rifiuti tossici, le “navi a perdere” servono ormai per un commercio illecito dei più redditizi nel Mediterraneo: il traffico di migranti in fuga verso l’Europa. Un network molto ben organizzato (inchiesta per Le Monde pubblicata il 6-2-2015)
C’è un mondo parallelo dietro la lista di 15 nomi di navi che circola tra i porti del sud Europa. Broker, mediatori, trafficanti d’armi, armatori, noleggiatori, marinai disposti a tutto. Società fantasma create in pochi minuti, tra Odessa e il Pireo. Bandiere di mercantili di Paesi senza mare, acquistabili per poche migliaia di euro e in grado di garantire assenza di controlli e tanta discrezione.
L’universo dei trafficanti accompagna da sempre la storia del Mediterraneo. Da qualche mese ha un nuovo business, la tratta degli umani. Migliaia di migranti che hanno venduto tutto per comprare il biglietto di sola andata per il nord Europa. Costi quel che costi. Stipati nelle stive di navi usate da quelle stesse compagnie, fino a qualche mese prima, per trasportare i kalashnikov che hanno alimentato le guerre all’origine della loro fuga.
Le chiamano “carrette del mare”. Sono vascelli arrivati a fine vita, scafi buoni solo per le fonderie turche o indiane. I porti tra il Mar Nero il sud del Mediterraneo ne sono pieni. C’è un Paese che si è specializzato nel trattare questo genere di merce: la Moldavia. Nessuno sbocco al mare ma un registro navale attivissimo. Bastano 3mila euro per comprare una bandiera di quello Stato, da esporre sul pennone dei cargo ormai a fine vita.
La Blue Sky M, il mercantile lanciato come un missile sulle coste della Puglia mentre si preparavano i festeggiamenti di fine anno, era immatricolata in Moldavia. Quasi 800 migranti a bordo, il pilota automatico inserito, velocità di sei nodi. Solo l’intervento della Capitaneria di Porto italiana – che ha calato sei uomini da un elicottero sul ponte della nave – ha evitato lo schianto dello scafo sulle rocce della punta del tacco della penisola.
La Blue Sky M aveva 37 anni di vita e una stazza di 2240 tonnellate. Apparteneva ad un armatore romeno, la Info market srl di Costanza, sul Mar Nero, e la sua fine era già stata annunciata sulla pagina Facebook di un broker marittimo già nel marzo del 2013: “È pronta per il viaggio di rottamazione” (scrap voyage). Secondo il racconto di un sindacalista del porto di Costanza, raccolto dai media romeni, a metà dicembre la nave sarebbe stata venduta a dei siriani.
La storia del cargo Ezadeen, arrivata sulle coste calabresi poco dopo l’inizio dell’anno, ricollega direttamente il traffico dei migranti alle grandi reti internazionali di trafficanti d’armi, che in questi ultimi anni hanno messo gli occhi sulla Siria.
È una nave cargo destinata al trasporto di animali, battente bandiera della Sierra Leone: 47 anni di servizio, in capo a un armatore con sede a Tripoli, in Libano. La Ezadeen è di proprietà dallo stesso armatore libanese – la società Uni Marine Management – che gestiva, nel 2013, la nave Nour M. Quest’altro cargo di 41 anni, diretto in Libia, era stato fermato l’8 novembre 2013 dalle autorità greche con un carico di 20mila kalashnikov, munizioni ed eslposivi.
Il carico proveniva dal porto ucraino di Oktyabrsk, sul Mar Nero, noto fin dall’epoca sovietica per essere un polo per la logistica delle armi russe dirette verso i fronti di guerra. Questa antica base navale sovietica, guradata a vista ancora oggi da guardie armate, divenne nota a livello internazionale per essere il punto di partenza dei missili nucleari diretti a Cuba durante la crisi del 1962.
Secondo una ricerca la società americana di analisi dei conflitti C4ads, il porto di Oktyabrsk sarebbe il terminale di una vera e propria organizzazione incentrata su Odessa, specializzata nel fornire logistica, coperture e conti sicuri a chi si occupa di trasporti particolari, come quello delle armi. Un gruppo di imprenditori capeggiato da ex politici ucraini, strettamente collegati con il presidente russo Vladimir Putin, attivissimi negli ultimi tre anni nell’invio di materiali bellici verso la Siria e più in generale verso l’Africa del nord e il Medio oriente.
UN MONDO SOTTERRANEO
Il porto di attracco principale di queste navi fantasma cariche di migranti si trova nella città turca di Mersin. Porto chiave sul Mediterraneo, collegato con linee regolari provenienti dal Libano, è una città dove secondo l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifiugiati, oggi si concentrano almeno 50mila profughi arrivati dalla Siria. Una comunità cresciuta velocemente negli ultimi due anni, mentre la guerra civile avanzava.
Oggi i siriani hanno qui le loro scuole – almeno una decina – i loro punti di ritrovo comunitari, i corsi di lingua e di cultura turca per chi decide di rimanere. E una rete fitta di particolarissime “agenzie di viaggio” clandestine verso l’Europa. Tra di loro potrebbero nascondersi circa 3mila “persone in contatto con lo Stato islamico”, riferisce un rapporto dei servizi segreti turchi citato dal quotidiano italiano il Corriere della Sera.
Dopo gli attentati del 7, 8 e 9 gennaio a Parigi questa rete è ora al centro dell’attenzione dei servizi d’informazione europei, con l’Italia in prima fila. Il ministro dell’interno italiano e il capo dell’antiterrorismo sono volati in Turchia per discutere con le autorità, tra l’altro, anche del porto di Mersin, punto di partenza delle navi commerciali che portano migliaia di profughi siriani verso il sud dell’Italia.
Perché è nei dintorni di Mersin che viene organizzata l’ultima parte del viaggio. Un mondo sotterraneo in cui si muovono agenti discreti, alla ricerca di clienti per riempire i mercantili degli armatori. “A Mersin – racconta Alaa, un giovane siriano arrivato in Italia con la Ezadeen – le offerte si trovano sui social network, ma anche in città”. Dietro alla stazione dei bus di Mersin i siriani si incontrano nei motel, dove i broker usano le stanze come uffici clandestini. Così funziona il mondo dei trafficanti.
È un network che lavora in silenzio, con l’esperienza di decenni occupati a far girare le armi, i rifiuti pericolosi, la droga, utilizzando navi fantasma. Sotto il governo turco di Erdogan trovare un biglietto di sola andata per l’Europa non è in fondo così difficile. Basta avere i contatti giusti e quella discrezione che da sempre accompagna i traffici: “Ho visto sempre un solo uomo durante gli incontri clandestini a Mersin – spiega Alaa – l’unico della rete che ho incontrato. Cambiava nome e numero di telefono ogni giorno. Sono stati loro a contattarci quando la nave era pronta”.
Nel punto di ritrovo stabilito, Alaa e gli altri migranti montano su un gande bus, senza sedili né finestre, schermato. Stipati al punto da non poter respirare, in 200 circa, dopo 20 minuti di viaggio arrivano in un villaggio vicino al mare. Li riuniscono tutti in un grande casinò dismesso dove rimangono nascosti per un giorno e una notte, senza cibo né acqua. I contrabbandieri sono andati a cercarli di notte, due a due, per accompagnarli a piedi fino al mare, dove sono partiti a bordo di tre barconi fino alla Ezadeen, ancorata al largo.
“5MILA DOLLARI PER PARTIRE”
Alaa mostra su un tablet la rotta della nave, registrata con il GPS. La partenza è dunque avvenuta a Erdemli, piccola città vicino a Mersin, in Turchia. “Il cargo ha fatto rotta su Cipro, Antalya, Rodi, Creta – dove ci siamo fermati due giorni per una tempesta – e in un porto del sud del Peloponneso. Infine l’Italia”. Poco prima di arrivare, tra la Grecia e l’Italia, i marinai siriani con il volto coperto da un passamontagna hanno abbandonato la nave e sono scappati su un piccola barca verso le coste della Grecia.
Un viaggio sotto gli occhi delle autorità, prima turche e poi greche, preparato con cura: “Abbiamo pagato 5mila dollari [4440 euro] per partire, li ho dati a un intermediario di mia fiducia che li ha passati al broker solo quando sono arrivato in Italia. Se il viaggio andava bene pagavo, se no non pagavo”. Un traffico del genere, con l’uso di grandi navi commerciali tra Mersin e il sud dell’Italia, non potrebbe avvenire senza le giuste coperture. Secondo Alaa “i governi sanno tutto. Tutti sapevano cosa stavamo facendo. I turchi lo sapevano, i greci lo sapevano, anche gli italiani. Ci hanno visti tutti, ma ci hanno lasciato passare. Forse hanno avuto pietà di noi”.
La storia dei trafficanti di uomini e delle navi commerciali ha un inizio ben preciso. Il 29 settembre 2014 arriva nel sud dell’Italia una nave con un nome premonitore, Storm, (“tempesta”). Dopo due giorni arriva la Tiss, gestita da una società ucraina di Odessa, la Multimodal Global Logistics. Questa nave, prima di trasportare il suo carico di profughi, era rimasta bloccata nel 2013 a Istanbul perché l’equipaggio ucraino non veniva pagato da diversi mesi, come attesta una nota del sindacato marittimo. Solo la minaccia di mettere all’asta la nave ha convinto l’armatore a pagare gli stipendi ai marinai.
E poi ancora, qualche giorno più tardi, la Vitom, seguita da altri due battelli non identificati. Ma ci sono anche navi di altra provenienza, come la Haj Zaher dell’egiziana Tarabia MMKI, partita all’inizio di novembre sempre da Mersin e recuperata nei pressi di Cipro. O ancora il cargo turco Baris, arrivato il 25 novembre. In dicembre arrivano altre sei navi, tra cui la Vitriol, in capo ad una società ucraina, e la Happy Venture, con bandiera maltese, gestita da un armatore greco. Secondo dei siriani che hanno avuto a che fare con lui, il network sarebbe gestito da un uomo ricchissimo turco o siriano.
Un’organizzazione molto simile, per articolazione e modalità di funzionamento, solcava già i mari negli anni ’80 con altre navi a fine vita, cariche, in quel caso, di rifiuti tossici da spedire in fondo al mare. Un capitano della Guardia costiera italiana, Natale De Grazia, provò a seguire il filo di quella storia. Non riuscì ad arrivare fino in fondo. Morì, avvelenato, il 13 dicembre del 1995, nel corso della sua ultima missione nel porto di La Spezia: una vicenda che “si inscrive tra i misteri irrisolti” della storia italiana, secondo il Parlamento.
De Grazia stava indagando su una lista di almeno 30 “carrette del mare” scomparse tra lo Ionio e il Tirreno, cariche – secondo alcune fonti – di rifiuti pericolosi. Era sulle tracce di un gruppo di armatori che facevano riferimento a Giorgio Comerio, un imprenditore italiano esperto di navi che negli anni ’90 proponeva di smaltire i rifiuti radioattivi in fondo al mare con dei siluri penetratori.
Il nome di Comerio nel 2006 ritornerà in un rapporto del Sisde – il servizio segreto interno italiano – declassificato nel maggio del 2014, in riferimento a un suo “ruolo di rilievo” in una organizzazione criminale transnazionale che fornisce barconi per il traffico di migranti dal Nord Africa. Comerio oggi è attivo a Bizerte, in Tunisia, dove secondo l’intelligence italiana “è amministratore della ditta Cnt, Constructions navales tunisiennes” e dispone “di un cantiere per la costruzione di barche e gommoni nella località mineraria di Zaribah”.
Dall’epoca delle “navi a perdere” sono passati quasi vent’anni. Da allora, i trafficanti non hanno fatto che ampliare il loro business. Armi, veleni e uomini. I fantasmi del Mediterraneo.